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Autore: Miss Demy    01/02/2011    24 recensioni
New York City. La città che non dorme mai. Forse perchè è proprio di notte che si accendono le luci del Moonlight.
Un incontro improvviso, un ritrovarsi in un luogo inaspettato.
In una città, dove l'amore è solo una leggenda metropolitana, vengono meno le certezze del bel Marzio Chiba, crolla il suo Mondo e se ne crea uno nuovo, uno migliore.
Dal cap.2:
- Nessuno parlava, riuscii a sentire il suono della cintura che veniva slacciata. Non poteva essere. Seiya voleva…
Non riuscivo neanche a pensarlo, figuriamoci a dirlo.
Non mi importava delle conseguenze, aprii la porta, o meglio, ci provai.
Purtroppo era chiusa a chiave. Disperazione. Ma perché? Non la conoscevo, non sapevo nulla di lei. Eppure il cuore mi batteva forte se ripensavo al suo sguardo e alla sua dolcezza di quella maledetta-santa mattina.
“Seiya, apri questa porta. Subito. Muoviti!” ripetevo, battendo pugni sulla porta, facendo intendere che avrei continuato finché non mi avesse lasciato entrare.
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, la mano iniziava a farmi male. Non mi importava però. Io dovevo proteggerla.

Dal cap.11
-Guardavo l'Upper East Side e mi sembrava di osservarla per la prima volta.
Quella magia che si era appena creata all'interno della stanza, con lei tra le mie braccia e Lei stretta a me, così da poter udire il suo cuore battere all'impazzata sulla mia schiena mi fece riflettere sul fatto che; bastava davvero poco, era sufficiente soltanto l'affetto e l'amore delle persone amate per rendere felice un uomo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonlight'
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Cap. 9: Un tesoro chiamato Usa


Attraversammo le porte che ci condussero direttamente al lungo corridoio ai cui lati erano disposte le stanze per la degenza.
Tutte rigorosamente chiuse, per rispetto dei piccoli pazienti e della loro privacy.
Mentre raggiungevamo la stanza di Usa, vedevo Bunny agitata, ansiosa, che però cercava di trovare la calma per non mostrarsi stremata davanti alla piccola.
Mi sentivo onorato, Lei mi aveva appena dimostrato la sua fiducia proponendomi di conoscere la persona più importante della sua vita, colei per la quale aveva messo se stessa in secondo piano accettando un lavoro che la faceva soffrire e la obbligava a scendere a compromessi.
Però d’altra parte ero a disagio, non sapevo come comportarmi davanti a quella piccola creatura malata e fragile. Cosa le avrei detto? In che modo avrei dovuto presentarmi? Che ruolo avevo io per lei e per Lei?
Finalmente, a metà corridoio, Bunny rallentò il passo spedito, bloccandosi davanti alla porta sulla quale era scritto ‘30’.
Fece un respiro profondo chiudendo gli occhi e poi, poggiando la mano sulla maniglia della porta:
“Sei pronto?”
Le accarezzai dolcemente la guancia e, sorridendo lievemente, annuii.
 
Le veneziane, dalle quali penetravano i tiepidi raggi di sole, donavano alle pareti bianche una tonalità verde chiaro, rilassante per gli occhi.
Ma non per lo spirito. Infatti, una volta entrati, l’angoscia più totale mi percorse.
Rimasi spiazzato, inerme, immobile con la porta chiusa alle mie spalle.
Bunny, invece, facendo il giro del letto, si diresse immediatamente verso la bambina debole e ancora stordita per via degli antidolorifici.
Le sollevò delicatamente la testa e il busto dal letto e la strinse al suo petto.
Le accarezzava i capelli che portavano i segni di cicli di chemioterapia, le baciava il viso, e la piccola si stringeva a lei trovando rifugio vicino al suo cuore.
“Piccola mia, sono qui, come stai?”
“Bunny, cos’è successo, dov’eri?”
Bunny cercava di non piangere, di inghiottire il suo dolore per non renderlo visibile:
“Hai dormito piccolina, ma non eri sola, io ero qui fuori. Ora sono qui con te.”
Riprese a baciarle le guance e la fronte.
Quella scena era disarmante, per chiunque.
Bunny sollevò lo sguardo dalla sorella e mi guardò.
In quel momento vide il vero Marzio Chiba,  quello che non mostravo mai a nessun altro. Il mio sguardo era affranto dal dolore, il mio sorriso rassicurante – che mi mostrava sempre sicuro di me stesso – era scomparso. Adesso ero visibilmente vulnerabile, spaventato, insicuro, impotente.
Ero un uomo.
Ci guardammo per qualche istante.
I suoi occhi mi dicevano che aveva tanta paura, che non sapeva cosa fare, mi chiedeva aiuto.
Ed io, le rivelavo che ero altrettanto spaventato, che avrei voluto tanto aiutarla ma che mi sentivo impotente.
“Chi è questo ragazzo, Bunny? È il tuo fidanzato?”
Anche la bambina si era voltata verso di me, rimanendo sempre stretta fra le braccia della sorella.
Rimasi per un attimo senza parola, osservando quegli occhi bellissimi, color nocciola con qualche sfumatura di rosso.
Bunny sorrise imbarazzata:
“Lui è Marzio, è mio amico, volevo fartelo conoscere.”
A quelle parole, mi avvicinai al letto e, prendendole con delicatezza una mano, la baciai dicendo:
“Sono felice di conoscerti, Usa. Bunny mi parla spesso di te, sei una bambina molto coraggiosa, lo sai?”
Mi guardò incuriosita, sorpresa. Credo che Bunny non avesse fatto mai entrare nessuno in quella stanza prima di quel momento.
Sorrise lievemente.
Il suo sguardo, il suo viso, portava i segni della stanchezza e della sofferenza.
Mentre accarezzavo la sua piccola mano ancora nella mia, inevitabilmente mi accorsi dei lividi al braccio, dovuti ai numerosi prelievi sicuramente andati male.
Una strana sensazione di dispiacere mai provato prima e di tenerezza assoluta si impadronì di me.
Avrei tanto voluto fare qualcosa per aiutarla, per farla stare bene.
Era così piccola e indifesa.
Bunny non smetteva di coccolarla. Anche lei era sconvolta. I suoi occhi erano gonfi e stremati. Credo che non avesse dormito completamente, così come credo che non avesse mangiato nulla dalla sera precedente.
Volevo andarle accanto e stringerla, darle quel conforto, quell’amore di cui aveva bisogno per affrontare quella situazione tragica.
“Marzio, tu vuoi bene a Bunny?”
Com’è vero il detto: la voce dell’innocenza!
Bunny arrossì improvvisamente e io, non sapevo cosa rispondere, o meglio; sapevo di amare Bunny in una maniera inspiegabile – nonostante la conoscessi da pochi giorni - e che avrei fatto di tutto per renderla felice, ma preferii soltanto dire:
“Sì, le voglio molto bene e da oggi vorrei essere anche tuo amico, ti va’?”
Annuì e lasciò la stretta di Bunny voltando il busto verso di me e allungando le braccia.
Mi riempì il cuore, mi chinai verso di lei e la strinsi a me, cercando di non farle male. Era molto fragile e sciupata.
Bunny ci guardava con occhi pieni di dolcezza, tanto da lasciar uscire un  sorriso carico di serenità. Vedermi abbracciare Usa le piaceva, la faceva sentire più tranquilla. Sapeva che non era più da sola. Sapeva che io le sarei stato accanto.
Solo quando la piccola si allontanò dal mio abbraccio, rimettendosi sdraiata, le dissi:
“Come sei bella, Usa, sei una bambina bella e coraggiosa.”
Sorrise. E anche Bunny.
Mi piaceva quella complicità che si era creata, anche se nel luogo peggiore di tutti, nell’aria si respirava una sensazione di armonia e di calore che mi faceva sentire in pace con me stesso. Un calore mai provato prima. E so che per Bunny era lo stesso.
“Bunny, io vorrei un frappè! Con tante fragole! E con la panna sopra!”
Usa aveva pronunciato quella frase con tanto entusiasmo, ma Bunny si rammaricò subito.
Sapeva che i medici non le avrebbero permesso di comprarle cibo non previsto dall’ospedale, soprattutto dopo quello che la piccola aveva passato la notte prima.
“Usa, non so se questo è possibile…” disse dispiaciuta, titubante, tenendo la manina della piccola tra le sue.
“Non è giusto… io ho fame, voglio il frappè, ti prego, ti prego!”
Bunny era in difficoltà, per una bambina di soli cinque anni, da un anno ricoverata in ospedale senza poter vivere una vita allegra e spensierata come gli altri coetanei, senza poter mangiare ciò che voleva – soprattutto quando la chemio le toglieva anche la forza di respirare - quella situazione non era per niente facile; e Lei si sforzava di non fargliela pesare, anche se poi inevitabilmente questo accadeva.
Mi chinai verso di lei e accarezzandole la guancia:
“Usa, facciamo così, parlo con il professor Tomoe e se per lui va bene ti compro il frappè più buono dell’Upper East Side! Va bene?”
Cercavo di non deluderla, di renderla – a modo mio – contenta.
Sorrise annuendo. Sorrisi anch’io.
Se dovessi stabilire un momento in cui poter affermare con certezza che Bunny mi amasse, quello era Il momento.
Mi guardava, mi osservava, e i suoi occhi lasciarono trasparire una nuova luce.
Piena d’ammirazione, di gratitudine, di meraviglia. Unita alla luce piena d’amore che ormai da un po’ leggevo nello specchio della sua anima. Potei affermare con certezza, che quel momento fu anche per me Il momento in cui capii che l’amavo ancora di più. Che l’avrei amata per sempre.
Mi chinai e baciando una guancia di Usa dissi:
“Vado, cerco di convincerlo e torno col frappè!”
E lei, entusiasta, sebbene la debolezza:
“Anche a Bunny, prima, dai un bacio anche a Bunny!”
Bunny arrossì, rimanendo sorpresa. Voleva dire qualcosa ma la precedetti:
“Certo, anche a Bunny.”
E mentre facevo il giro del letto, per andarle vicino, ci guardammo intensamente, lasciando che i nostri occhi si intendessero senza bisogno di dire nulla, sotto gli occhi ingenui e curiosi di Usa.
 Le misi una mano sulla schiena e le diedi un bacio sulla guancia.
Ma non uno di quelli che avevo dato a Usa. No.
Dischiusi leggermente le labbra, accarezzandole così la sua guancia prima di baciarla.
Era un bacio dolce ma sensuale.
Ovviamente Usa non riuscì a notare la differenza, ma Bunny arrossì, chiudendo gli occhi per assaporare meglio quella dolce sensazione. Sapevo che dopo tutta la tensione accumulata, quel bacio – innocente ma pieno d’amore – le piacque, ne ero certo. Lo desiderava, mi amava. E io la amavo di più.
Riaprì gli occhi non appena sentì le mie labbra andare via dal suo viso e il mio respiro allontanarsi dalla sua pelle.
 
Lanciai un sorriso rassicurante a entrambe e uscii dalla stanza.
Parlai con il professor Tomoe di alcune cose e, inoltre, riuscii a convincerlo ottenendo il permesso per comprare a Usa ciò che voleva.
Lasciai quindi l’ospedale e, a un isolato da lì, comprai due frappè e dei biscotti.
 
Tornai presto nella stanza ‘30’, notando Bunny con Usa in braccio davanti alla porta del bagno interno alla stanza.
“Le ho fatto il bagno nel frattempo.”
Era stanchissima, a fatica riusciva a sorreggerla.
Posai sul comodino la busta della caffetteria e la raggiunsi:
“Dalla a me, ci penso io!”
Presi la piccola fra le mie braccia molto delicatamente.
Nel porgermela, le nostre mani si incontrarono, come ad accarezzarsi teneramente.
Ormai, quando le parole non lo facevano, erano i nostri corpi – anche involontariamente - a parlare, ad esprimersi, manifestando le nostre emozioni e il nostro bisogno reciproco l’uno dell’altra.
Rimanemmo a guardarci per qualche istante, volevo parlarle con i miei occhi blu e  profondi, sperando che lì potesse leggere tutto l’amore che provavo per Lei.
Sorrise, poi:
“Hai visto Usa, Marzio ha portato il frappè! Sei contenta?”
Lei annuì ringraziandomi. Ormai le poche forze la stavano abbandonando.
La sdraiai sul letto e le porsi il frappè e i biscotti mentre Bunny le rimboccava le coperte.
Porsi l’altro anche a Bunny e con tono apprensivo:
“Tieni. Sei stanca, siediti e bevilo.”
Sorrise lievemente e, sedendosi accanto al letto, lo bevve.
 
Rimasi lì una mezz’ora. Usa mi raccontò delle sue passioni e dei suoi sogni.
Amava colorare e le piacevano le favole sulle fate, soprattutto quelle sugli unicorni e i cavalli alati. Il suo sogno era quello di andare a Disneyworld.
Era molto simpatica. E, nonostante la malattia, riusciva a donare a chi la guardava un sorriso pieno di dolcezza.
Durante la nostra chiacchierata la porta si aprì e un’infermiera entrò dicendo:
“Mi spiace, il professor Tomoe ha fatto un’eccezione ma adesso dovete andare via.”
Usa era abituata a vedere la sorella solo nelle ore di visita e Bunny pure.
Io invece ne fui dispiaciuto, la compagnia di Usa era molto piacevole e stare lì con lei, con loro, mi faceva stare bene.
“Torno presto a trovarti, sei contenta?” le dissi dopo averle baciato la fronte.
“Sì, sono felicissima, grazie Marzio!”
Stavo per allontanarmi quando mi chiamò facendomi segno di avvicinarmi a lei.
Mi chinai e, all’orecchio, mi sussurrò:
“Prenditi cura di Bunny. È sola e io sto in pensiero.”
Notai in lei una maturità mai vista in nessun’altra persona della sua età.
Nonostante stesse male, si preoccupava per la sorella.
Mi sciolse il cuore.
Sorridendo, all’orecchio le risposi:
“Sta’ tranquilla, penso io a lei. È al sicuro con me.”
E l’avrei fatto, avrei fatto sì che fosse veramente al sicuro con me. In un modo o nell’altro, mi sarei preso cura di Lei.
Bunny si chinò per abbracciarla forte a sé e baciarle le guance:
“Torno stasera piccola. Colora i tuoi disegni e stasera me li fai vedere, ok?”
Usa annuì e noi la salutammo lasciando la stanza.
 
Una volta fuori dall’ospedale, guardai Bunny, notando la sua stanchezza sempre più evidente.
Presi coraggio:
“Bunny, non vorrei sembrarti sfacciato ma, abito a due isolati da qui. Ti andrebbe di salire a prendere un caffè? Niente docce e nessun atteggiamento impulsivo. Giuro!”
Sorrise ma poi, ritornando seria, abbassò lo sguardo:
“Ti ringrazio Marzio ma sono molto stanca. Preferisco tornare al Moonlight e riposare un po’. Stasera voglio farmi  trovare più riposata da Usa.”
Avrei tanto voluto dirle che poteva sdraiarsi sul mio letto e, cullata fra le mie braccia, addormentarsi con la testa lì dove batteva il mio cuore.
Ma non lo feci.
“Certo. Hai ragione. Sei stanca, hai bisogno di riposare.”
Inghiottii la mia gelosia e poi ripresi:
“Stanotte, poi, devi anche lavorare.”
Scosse la testa:
“No. Ho chiesto a lady Amy alcuni giorni di ferie spiegandole la situazione di Usa e me li ha concessi.”
“Capisco. Per qualsiasi cosa non esitare a chiamarmi. Me lo prometti?”
Sorrise e annuendo:
“Marzio, ti ringrazio davvero tanto per quello che hai fatto oggi per me e per Usa. Mi sono comportata male con te in questi giorni. Ti ho trattato male. Non dovevo. Non volevo.”
“Non importa Bunny, è tutto apposto. Non pensare a me, riposati, sei stremata.”
Per un attimo la sua espressione mutò.
Non capii se per la frase ‘non pensare a me’ o se per la carezza alla guancia, alla quale si abbandonò seguendo la mia mano col viso.
“A presto Marzio!”
Sorrisi falsamente, cercando di nasconderle il mio dispiacere ora che aveva appena iniziato ad avviarsi verso la parte opposta della banchina.
“A presto, Amore…” sussurrai quando era già andata via.
 
Arrivai a casa, posando sul tavolino basso del salotto il mio notebook che portavo con me da quella mattina.
Mi sdraiai un attimo sul divano, portando le mani al viso.
Che sensazioni, che emozioni, avevo provato in meno di due ore.
Avevo finalmente notato personalmente quanta sofferenza esistesse, quanto dolore tanti piccoli bambini innocenti e le persone a loro care dovessero sopportare senza poter far nulla per evitarlo.
Se solo avessi potuto aiutare Usa…
Poi ripensai a Bunny e con quanta dolcezza si dedicava a sua sorella.
Al suo modo di mostrarsi sempre in forma, nonostante le forze la avessero abbandonata già da molto, alla paura che portava nel cuore.
Ripensai alle sue parole piene di sconforto, al suo sfogo mentre mi confidava che doveva sempre fingere senza poter essere se stessa.
Sia con Usa che col Mondo intero.
Anche lei aveva bisogno d’affetto, di coccole, d’amore.
E io avrei tanto voluto darle tutto l’amore che provavo per lei. Grazie a lei.
Se solo me lo avesse permesso…
Poi il mio cellulare squillò, riportandomi alla realtà.
Era Moran. Non lo avevo più sentito dopo il nostro ultimo incontro al Crown.
“Ciao Marzio, com’è andata con Bunny? Non mi hai fatto sapere nulla! Si è ingelosita?”
Sorrisi nervosamente: “Lascia perdere Moran, preferisco non pensarci. Comunque, con Bunny i rapporti sono migliorati, adesso credo che mi consideri un amico. Ti racconto tutto appena ci vediamo.”
Non ricordo cosa rispose perché il campanello di casa suonò, distraendomi.
Salutai Moran, chiedendomi curioso chi fosse, dato che non ricevevo mai visite inaspettate.

Aprii la porta e rimasi stupito, incredulo, mentre una sensazione di felicità spazzava via la stretta al cuore che sentivo da quando avevo salutato Bunny all’uscita dell’ospedale.
Il mio, iniziale, sguardo sorpreso lasciò subito posto ad un sorriso sincero.
Con un’espressione dolce, Bunny mi guardava sorridendo:
“È ancora valido l’invito per un caffè?”
 
… continua.


 
Dedicato a tutti i bambini malati, alle persone a loro care e a coloro che ricordano i piccoli, ormai, angeli del Paradiso.

 
Il punto dell'autrice

Cari lettori, prima di tutto ci tenevo a ringraziarvi per l’affetto che mi dimostrate.
Moonlight ha già ottenuto più di 100 recensioni in 8 capitoli, quindi grazie di cuore a tutti voi!
Spero che questo capitolo non vi abbia deluso, ci tenevo a dedicare un capitolo a Usa e far riflettere sulla sofferenza che purtroppo realmente esiste.
Fatemi sapere cosa ne pensate, anche se negative, le recensioni son sempre gradite!
Un bacio e a prestissimo!
Demy

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