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Autore: congy    02/02/2011    26 recensioni
Cosa può succedere all'interno di una casa editrice quando l'uomo di cui ti sei invaghita ti soffia la promozione e il lavoro che hai sempre desiderato?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Dedico questo capitolo ad una persona importante che sta attraversando un momento difficilissimo.

Francesca, spero di strapparti un sorriso. Ti voglio bene.

 

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Capitolo 4

 

Questioni di pene

 

 

Il mese più orribile della mia vita è appena trascorso. E quando parlo di “più orribile” non uso un eufemismo o non cado nel melodrammatico. È l’assoluta verità.

Da una parte credo essermela meritata.  Parlo troppo, parlo spesso, parlo senza pensare. Che bel connubio. Un connubio che mi porterà ad una crisi di nervi.

Daniele ha mantenuto la promessa, fatta più a se stesso che a me in prima persona: mi voleva dimostrare di essere stronzo come capo e non solo come persona. Bene, c’è perfettamente riuscito.

Dopotutto gliel’ho chiesto io.  Quasi.

La nana non mi ha parlato per una settimana dopo averle detto il pasticcio che avevo combinato. E alla fine della settimana di punizione –non scontabile nemmeno con una vaschetta del suo gelato preferito -, mi ha fatto trovare, attaccato sul muro della mia camera un cartellone con la regola delle dieci “P” : Prima pensa, poi parla, perché parole poco pensate portano pene. L’ultima parola era sottolineata e tra parentesi c’era scritto: “Dove ‘pene’ non è quello che vorresti prendere tu!”. L’ho guardata malissimo anche perché mi ha tolto la battuta di bocca. Ormai sono prevedibile per lei.

E, al lavoro, la stessa cosa. Il desktop del mio pc è occupato dalle stesse parole solo che, al posto di ‘pene’, ha inserito ‘problemi’. Perché? Perché altrimenti avrei pensato solo al ‘pene’ del mio capo e non sarebbe stato costruttivo per me. Che baggianate!

Il grande capo non mi parla più. O meglio: per parlare parla, ma esclusivamente di lavoro. Lo fa per innervosirmi, è ovvio. Ma non dovrei innervosirmi perché io lo odio e gli ho giurato odio eterno, giusto?  Gliel’ho chiesto io, quindi tecnicamente si comporta bene. Praticamente vorrei che si sbottonasse un po’ con me. E non mi riferisco ai pantaloni, anche se la nana afferma che sono talmente attratta da lui che se lo vedessi soltanto con un bottone spuntato lo violenterei sulla scrivania all’istante. Dannata scrivania, non riuscirò più a vederla con gli stessi occhi.

Ma non solo si limita a non parlarmi e a logorare in questo caso i miei nervi, ma mi ha costretta a lavorare con lui nello stesso ufficio. Come è stato possibile? Semplice: mi ha nominato sua assistente. Non so se lo abbia fatto perché mi ritiene in gamba o perché vuole sottolineare il suo essere maschio dominante, ma lo ha fatto. Gli concedo, solo in questo caso, il beneficio del dubbio.

La giornata forse più drammatica è stata proprio quando ha comunicato la lieta novella: quella cioè della mia pseudo-promozione.

 

 

“Ho analizzato tutto il vostro operato in questi giorni e sono davvero molto soddisfatto. Ci sono molte persone in gamba e non posso che essere totalmente fiducioso nella possibilità di una collaborazione assolutamente proficua. Tuttavia, come vi avevo accennato, ho bisogno di un assistente e collaboratore di fiducia che mi assista e ho scelto Samanta Dolce.”

“Samanta io?” non volevo crederci. Non potevo campare tutti i minuti di tutte le ore di tutti i giorni a stretto contatto con lui. Ti odio, Daniele Costa!

“Non credo che ci siano altre Samanta qui tra noi. Ti voglio collocata nel mio ufficio tra un quarto d’ora. Ti ho fatto preparare la scrivania nel mio studio.” Collocata? Non sono un oggetto. Questi furono i miei primi pensieri in quel momento.

“Potete andare!”ognuno se ne andò e mi lascò sola con lui.

“Perché lo hai fatto? Io nno volevo”

“Che tu ci creda o no, sei la migliore qui dentro. Ed è per questo che esigerò ogni goccia del tuo sudore, ogni tratto della tua penna, ogni respiro che uscirà dalla tua bocca – e, solo in quel momento, pensai davvero di adoperare la scrivania per scopi illeciti. Era così sensuale. La sua voce poi, mi sarebbe venuto un infarto – dovrai sboccare il cosiddetto veleno qua, perché da me non avrai tregua” Le sue labbra si erano piegate in una smorfia soddisfatta. Forse voleva ottenere le mie scuse con il suo charme, ma se c’è una cosa di cui sono dotata è la perseveranza. O la testardaggine, che dir si voglia.

“Vai a prendere le tue cose: quindici minuti e ti voglio qui. Non tollero ritardi”. Non che avessi avuto molto da prendere, ma tra scartoffie varie, il mio pc e i miei quadri ci avrei messo un po’ di più. Cominciai a eseguire gli ordini del grande capo con rammarico, dopotutto quello studio mi era sempre piaciuto. Dava su un parco pubblico ed era piuttosto rilassante da osservare. Purtroppo le cose stavano cambiando. E non in meglio.

Entrare nel suo ufficio fu piuttosto complicato. Ero sommersa dalla mia roba e in quel momento nessuna anima pia passava per potermi dare una mano. Bussai perciò con i piedi, ma non mi aprì.

“Daniele, potresti aprire, per favore?”

“Sto lavorando. Non disturbare”

“Daniele, per favore. Daniele!” lo supplicai. Ma guarda te che mi toccava fare.

Alla fine, però, aprì.

“Grazie molte” sibilai tra i denti.

“Era un esperimento.”

“Tu e i tuoi dannati esperimenti” bisbigliai sottovoce. Ma mi sentì.

“Volevo capire quanto avresti impiegato a supplicare e quanto fossi portata con la logica.”

“Non sto capendo, perdona la mia stupidità”

“Se tu avessi un benché minimo senso logico, avresti posato a terra qualcosa e avresti aperto la porta. Invece no! Ti sei abbassata a supplicare di aprirti la porta senza cercare una soluzione adeguata al tuo problema. Sei troppo comoda e lenta, Samanta. E questo non va bene”

 

 

E quello è stato solo il primo di una serie di attacchi, premeditati senza ombra di dubbio, nei miei confronti. Ho voluto lo stronzo? Bene, ora ho lo stronzo, mentre come rapporto interpersonale siamo a zero. Un po’ come la mia autostima che non ha mai toccato punti così bassi, nemmeno con Davide.

 

 

“Cos’è questo schifo?”

“E’ il primo capitolo corretto de’ ‘Il Leone e la gazzella’” esclamai. Mi sembrava piuttosto ovvia come cosa.

“Questo lo noto da me. Quello che non comprendo è come mai questa robaccia sia così poco scorrevole” la tentazione di scaraventargli addosso una fiumana di imprecazione fu forte, fino a quando non pensai alla parola d’ordine di Luciana. ‘Pene’, che non indicava quello che volevo prendere io.

“Ma non ci sono errori grammaticali o di ortografia. Quello è lo stile proprio dell’autore. Ha sempre scritto in questo modo. Lo sai anche tu che oggi come oggi lo stile degli scrittori non risente dell’italiano standard, né per quanto concerne la grammatica, né per i segni di interpunzione” sbuffai, esasperata.

“Samanta, non ti ho scelta per avere delle lezioni di linguistica italiana applicata. Anche Baricco utilizza frasi minime, addirittura ridotte ad essere costituite da una sola parola, eppure il suo discorso è elegante, fluido. Questo è una schifezza” lanciò i foglio contro di me, disgustato. Non dovevo mettermi a piangere, non dovevo. Dopotutto, c’erano volute solo tre ore di lavoro.

“Ma questo è il suo stile. Stiamo per pubblicare il suo terzo libro, lo conosciamo.” lui annuì, forse per cercare qualcosa con cui ribattere. Sorrise, con quel sorriso che mi costringeva ogni volta a trattenermi, o dall’impulso di saltargli addosso, o da quello di prenderlo a schiaffi.

“E, dimmi, Samanta, quante copie abbiamo venduto del suo ultimo romanzo?” abbassai la testa. Mi sentii un’incompetente.

“Meno di cinquantamila.”

“Bene, allora si fa come dico io. Ti devi sforzare a modificare questo testo per renderlo scorrevole. Deve scivolare via come se galleggiasse sull’acqua. Deve essere etereo e impalpabile. Il romanzo ne trarrà profitto sicuramente perchè la trama è davvero grandiosa.”

“Mi stai chiedendo l’impossibile, e tu lo sai. E’ come chiedere ad uno scalpellino di smussare gli angoli delle sculture di Michelangelo”

“Per carità, è un paragone assurdo. Senesi non è il Michelangelo della scrittura. Non sono io che sono esigente, Samanta: ti sto solo chiedendo di fare quello che farebbe ogni sensato revisore di bozze. Le cose sono due in questo caso: o tu non sei in grado di revisionare un testo, oppure ti fai trascinare troppo dai gusti personali. In entrambi i casi non stai facendo bene il tuo lavoro.”Altra martellata sull’unghia del piede. Unghia del piede incarnita.

 

 

Ma non è terminata qui.

 

 

 

“Samanta, devi farmi una valutazione in termini economici di Ciani” Ciani era il nostro ultimo acquisto. Uno scrittore emergente che aveva ottenuto immediatamente le nostre simpatie. Era brillante, con uno stile fluido e brioso. La trama poi era molto suggestiva: a metà tra romanzo gotico e il romanzo d’amore. L’atmosfera cupa che aleggiava all’interno di quelle pagine ti trasmetteva un senso di angoscia che ti impediva di bloccare la lettura. Un libro straordinario.

“Veramente questo non è compito mio. È Luciana che gestisce la contabilità”

“ La devi fare tu: Luciana non è un revisore di bozze e non può capire se vale davvero la pena pubblicare un libro. Proprio perché, come ti ho già detto, il libro non è una questione solamente di soldi. Se Ciani è un autore valido, si può arrivare alla pubblicazione, anche per poche copie vendute. Ma non mi sporco la faccia per un libro trash.”

“Ma…”

“Niente ‘ma’. Siamo una casa editrice media e non possiamo spendere soldi a vanvera. Quando sfonderemo, potremo pubblicare i libri di cani e porci. Ora, fai quella valutazione”

 

 

 

Il colmo, però, è stato stanotte. Perché il grande capo ha deciso di svegliarmi alle due di notte. Avrebbe potuto fare altro, anziché pensare al lavoro. Dormire, per esempio. Anche se, in effetti, a quell’ora sarebbe potuto essere con una donna. Stronzo com’è, anziché farci del buon sano sesso, ha pensato bene di lavorare. Perché mi sento scossa a questo pensiero? Non è gelosia, certamente no. Il mio odio nei suoi confronti è direttamente proporzionale al suo pene a riposo e in attivo. Pene, pene, pene, non quel tipo di pene. Pene è un femminile plurale, non un maschile singolare.

 

 

 

“Samanta, abbiamo sbagliato i calcoli.”

“Posso…posso capire a che ti riferisci? Non è bello essere svegliate a quest’ora.”

“Il romanzo di Sabellio non può essere mandato in stampa martedì prossimo. Ci saranno le vacanze pasquali in mezzo e rischieremmo di posticipare la data di pubblicazione. Dobbiamo mandarlo in tipografia giovedì”

“Giovedì? Ma è tra tre giorni. E io  lascio sempre un margine di tempo per poter rivedere meglio in caso di errori di battitura o altro.”

“Non c’è tempo. Domani voglio i quattro capitoli mancanti sulla mia scrivania. Ci siamo intesi?”

“Ma ho sonno. Dividiamoci almeno il lavoro. Non riuscirò mai a completare tutto per le nove di doma..di stamattina”supplicai controllando l’ora segnata sulla sveglia posata sul comodino.

“D’accordo. Tu farai i primi due, io gli altri. Buon lavoro.” E riagganciò. Avrebbe dovuto darmi la buona notte, non augurarmi un buon lavoro. Dannato, dannatissimo e fottutissimo lavoro.

 

 

 

“Che ci fai sveglia a quest’ora?” la nana, racchiusa nel suo pigiamino viola che sfoggia con tanto orgoglio, entra nel soggiorno. Io, morta per il sonno mancato, sto per crollare sulla tastiera.

“Mi ha svegliato alle due e un quarto per farmi lavorare”

“Chi?” si dirige verso il piano cucina e comincia a preparare il nostro amato caffè.

“Daniele. Quell’uomo mi porterà alla rovina”

“Può essere. Oppure ti porterà all’orgasmo.” Sogghigna soddisfatta.

“Luciana, ti prego, le battute di prima mattina, risparmiatele.”

“Veramente non era una battuta. Sta cercando di attirare la tua attenzione su di sé” annuisce convinta.

“Ma se lo odio”

“Appunto: se lui si comportasse come una persona normale, che accetta passivamente le tua ridicola pretesa di non provare a frequentarvi, tu lo ignoreresti, non penseresti nemmeno a lui. L’odio è un sentimento molto più forte dell’indifferenza e può portare, credo, ad avere un orgasmo multiplo.”

“Che cosa ridicola!” sbuffo, ma non posso pensare alla possibilità che un po’, giusto un po’, gli interessi veramente. Scuoto la testa per scacciare questo pensiero: da dove proviene tutto questo compiacimento?

“Gli uomini sono primitivi e, per comprenderli, ti devi abbassare al livello di homo erectus. Dove eretto non è quello che pensi tu. Bevi, ti farà bene” il caffè ha sempre avuto il potere di inebriare i miei sensi e di darmi la carica. Ma questa mattina, proprio no.

Arrivo al lavoro totalmente rimbambita. E questo non sarebbe grave se non lo fossi già naturalmente di mio. Sarà un disastro oggi.

“Alla buon’ora!” il buongiorno si vede dal mattino. L’unica cosa che mi risolleva sono i suoi occhi. E le labbra. Dannato, dannatissimo e fottutissimo lavoro. Dannato, dannatissimo e fottutissimo Daniele. Perché devi essere così affascinante?

“Sono solo cinque minuti di ritardo. Non farla tanto lunga.”

“Se fai cinque minuti di ritardo oggi, cinque domani e cinque dopodomani, alla fine arriverai ad assentarti dal lavoro per giorni interi.”  E penso: pene, pene, pene. Oh, accidenti! Riesco a figurarmi solo una cosa. Fortunatamente, proprio nel mio pensare a quel tipo di pene, riesco a non rispondere male come vorrei.

“Come comandi tu, capo. Eccoti i capitoli.” Gli lancio la chiavetta usb e non mi rivolge più la parola intento com’è ad analizzare il romanzo.

“Hai fatto un buon lavoro” alzo gli occhi dal pc e lo osservo, basita.

“Dici a me?”

“Non c’è nessun altro qui dentro e le probabilità che io mi stia complimentando da solo sono piuttosto scarse.”

“Beh, grazie” non gasarti, Sam, per favore.

“Che stai correggendo?”

“Un capitolo di Ciani”

“Oggi dovrai fare altro per me.” Altro? Frena gli ormoni, santo cielo. E’ il tuo capo. Pene, pene, pene. Sì, giusto.

“E cosa?”

“Devi andare a Firenze”

“Firenze?”

“Sì. Anni fa ho letto un romanzo davvero ben scritto di un mio collega d’università, nonché grande amico, Carlo Bianchetti e vorrei che andassi a ritirarlo da lui. Vorrei poterci andare io, ma ho una riunione con il consiglio di amministrazione. Ti ho prenotato il biglietto di andata e di ritorno e ti ho scaricato il percorso da fare per arrivare a casa sua.” Preferivo essere presa sulla scrivania, veramente. L’idea di spostarmi non è affatto allettante. Ho un senso dell’orientamento davvero orribile e sono già sicura che mi perderò.

“D’accordo, Daniele”

“Ah, un’altra cosa: quando avrai ritirato il manoscritto, vorrei che andassi alla casa editrice Vallecchi per ritirare un volume di Giovanni Papini, ‘Le memorie d’Iddio’. L’ho letto da giovane, ma purtroppo non è più in vendita presso nessuna casa editrice e ho pensato che sarebbe stata una buona cosa rimetterlo in circolazione. Tu sai chi era Giovanni Papini, vero?” mi sento punta nel vivo. Posso essere comoda e lenta, posso essere trasportata dai libri, posso essere influenzata dallo stile dell’autore. Ma se c’è una cosa che non sono è l’essere incompetente.

“Giovanni Papini è uno scrittore futurista, un scrittore eclettico che è noto soprattutto per la sua attività giornalistica.”

“Hai imparato bene la lezione, Samanta. Puoi andare. E non tornare senza il libro di Papini. Non so se faranno storie o meno, ma se lo faranno, voglio che usi tutte le tue arti per prenderlo” è un invito più o meno velato a prostituirmi? Maledetto!

“Se il loro capo è affascinante, perché no? Oppure potrei usare il mio gancio destro. Mi hanno detto che è particolarmente efficace. Tanto da riuscire a mandare un uomo alto e forte all’ospedale” e, per la prima volta, dopo quasi un mese, vedo un sorriso sorgere spontaneo sulle sue labbra. Poi scompare immediatamente.

“Vai a fare il tuo lavoro, Samanta” non c’è una traccia di umorismo nella sua voce. Capisco di aver sbagliato il mese scorso, ma mi sembra un tantino esagerato il suo comportamento. E poi, anche lui ha preteso troppo da me. Come fai, senza nemmeno conoscermi, a baciarmi, a dirmi che sei interessato a me? Non è così che devono andare le cose. Certo, se ripenso a Davide che ci ha messo due anni per dirmi che mi amava, beh, anche questo non va bene. Ma le mezze misure non esistono più? La mia voce interiore dice che nemmeno io sono per le mezze misure, ma la metto a tacere. Ho ragione io. Punto.

Controllo il biglietto del treno e mi accorgo di essere in ritardo: devo correre immediatamente alla stazione.

Perché non esistono i taxi efficienti come a New York? Lì fischi e dieci taxi si fermano, soprattutto se sei una bella donna. O almeno è quello che capita nei film. Io, sfortunatamente, non sono mai stata a New York e non sono una bella donna. Carina, forse, ma non bella. Inoltre, qui a Milano, il sistema non solo dei taxi, ma dei mezzi di trasporto in generale è abbastanza pietoso. Mi tocca prendere la metropolitana, sperando che non faccia i soliti tredici minuti di ritardo. E mi tocca anche cambiare dalla linea rossa alla gialla. Che giornata!

E io ho sonno.

Dopo non so quante imprecazioni, quanti spintoni visto che è ora di punta, l’ora del SUCA, dopo un cambio alla fermata Duomo, e dopo aver ceduto il posto ad una vecchietta che di dolce aveva solo il diminutivo visto che non si è degnata nemmeno di ringraziare, arrivo alla stazione Centrale. Non prendo il treno da un sacco di tempo, ma la stazione è mutata. Hanno creato un labirinto di scale mobili da fare invidia alle scale di Hogwarts. Giornata lunga, lunghissima.

Per un soffio riesco a prendere il treno dopo averlo, per un soffio, obliterato. Il viaggio non dovrebbe essere lungo, sulle due ore circa, ma non posso impedire ai miei occhi di chiudersi. Oltretutto, non potrei nemmeno lavorare: ho sempre il mal di testa quando viaggio. Cerco di rilassarmi, ma l’unica cosa che mi ritorna alla mente è lui: Daniele. E per una volta mi concedo il lusso di non pensare al suo pene, ma alle mie pene strettamente connesse a lui. Non riesco a capire il suo comportamento. Si dice che le donne siano quelle indecifrabili,  quelle che quando dicono: “Fai che vuoi!” intendono dire: “Se non fai come dico io, ti eviro!”, oppure che esclamano:“Vattene via!” sottintendono un bel: “Resta con me e coccolami”, quelle che hanno cambiamenti d’umore repentini. Tutto questo è vero. Ma allora, o Daniele è una donna travestita da uomo, oppure c’è qualcosa che non va, qualcosa che sfugge a me, ma che sicuramente fa parte di qualche piano malefico. Vuole portarmi alla pazzia? Pochi mesi e mi dovranno rinchiudere. Vuole licenziarmi perché non sopporta che mi sia comportata in un modo così scortese con lui, ma, non potendolo fare senza un buon motivo, aspetta che sia io ad andarmene? Anche questa è una questione risolvibile in pochi mesi. Sono sull’orlo di una crisi di nervi. Vuole che io ceda alle sua avances? In questo caso riuscirò a resistere. Sono testarda e non mi faccio corrompere così facilmente. O al massimo chiederò ad un gigolò di professione di soddisfarmi in modo da non cadere nelle braccia del mio capo. La nana ha sempre ragione. Vuole dimostrarmi che può essere uno stronzo anche come capo? Credo che ci sia abbondantemente riuscito.

La soluzione mi sfugge, ma la situazione è sempre uguale per me: sono immersa in un mare di peni…problemi, problemi, problemi. Dannata nana.

Senza pensare ad altro che a questo, arrivo a Firenze. Ho sempre amato questa città che, per un motivo o per un altro, ho soltanto visto in varie foto sui libri di storia dell’arte. Mai visitata. Eppure per molti anni è stato il mio sogno nel cassetto.

Controllo la cartina che mi ha gentilmente stampato il mio amato capo e capisco che non sarà facile arrivare né dal suo amico scrittore, né alla casa editrice. Posso provare con i filobus, ma credo che ci metterò molto tempo. Non mi devo abbattere, devo dimostrare che sono in gamba e che posso mantenere il mio posto di lavoro e che non sono da meno ad un pallone gonfiato che pensa che tutto il mondo dipenda dalla sua casa editrice.

Proprio quando decido di provare, nonostante la mia pessima capacità di orientamento, a prendere un filobus, ecco spuntare un auto bianca. Un taxi. Allora non esistono solo a New York.

Via Verdi, 43.

Il taxi riesce a portarmi a destinazione in meno di mezz’ora. Spero solo che  non mi attenda qualche sorpresa negativa. Daniele ha detto che questo Carlo Bianchetti è un suo amico. Gli avrà parlato di me? Cosa gli avrà detto? Vuole farmi fare un’ulteriore figuraccia? Da un mese a questa parte non faccio altro: una in più o in meno non farà la differenza. No, non credo che succederà questo: è un stronzo, ma uno stronzo che fa bene il suo lavoro e che, se non si fidasse di me, non mi affiderebbe dei compiti tanto importanti. Mi cullo su questa convinzione quando busso alla porta.

Mi apre un ragazzo, qualche anno più grande di me, credo, dagli occhi e dai capelli neri.

“Carlo Bianchetti?”

“Samanta Dolce?” sorride amabilmente. È affascinante, certo, ma non quanto Daniele. Lui ha qualcosa in più che non so ben spiegare in realtà. Cos’è?

“Come sapeva che sarei venuta io?”

“Me lo ha detto Daniele la settimana scorsa. Mi ha parlato molto di lei”

“Se le fa piacere, può darmi del tu”

“Ma certo, solo se lo fai anche tu. Entra in casa. È piuttosto fresco oggi, nonostante ci sia il sole.”

“Quindi, Daniele ti ha parlato di me? Avrà parlato male, immagino”un sorriso amaro si dipinge sulle mie labbra.

“Oh, tutt’altro, invece. Credo di non averlo mai visto tanto infervorato per una ragazza”

“Veramente io sarei la sua assistente. E voglio sottolineare che non c’è nessun tipo di relazione tra noi che non sia di tipo professionale”

“Excusatio non petita…”

“Accusatio manifesta. Conosco il proverbio latino. Ma, in questo caso, ho solo dichiarato un dato di fatto”

“Può essere. Io non ti conosco Samanta, ma conosco Daniele. Sono dodici anni che lo frequento e abbiamo fatto insieme tutte le esperienze possibili. Anche quelle meno lecite. E posso assicurarti che non l’ho mai visto così interessato ad una donna. È stato molto il tipo da sesso senza amore, non so se mi spiego”

“Certo, capisco perfettamente. Come vi siete conosciuti?” dire che non ho sentito una scossa al petto per la descrizione di Daniele, per il suo “sesso senza amore”, sarebbe una bugia. Mi fa male.

“All’università. Seguivamo alcune lezioni insieme solo che io studiavo lettere classiche. C’è stata subito alchimia tra noi. Non sentimentale, tranquilla, siamo entrambi etero. Io, inoltre, sto quasi per sposarmi.”

“Anche se foste omosessuali, io non avrei problemi”

“Sì, come no” non mi crede. Pensa che io sia attratta da Daniele. Un po’ è vero.

“No, è vero. Sono assolutamente contraria alle relazioni tra colleghi di lavoro. E, inoltre non provo nulla per Daniele. È solo il mio capo”

“Farò finta di crederci, Samanta. Comunque, lavorativamente parlando, Daniele è molto soddisfatto del tuo operato”

“Scusa, ma stiamo parlando dello stesso Daniele? Perché tutto quello che mi dice il mio amatissimo e dilettissimo capo è che non sono un buon revisore di bozze”

Alza le spalle con sufficienza, come per voler screditare le mie parole.

“Bisogna andare al di là di quello che le persone dicono o mostrano. Solo allora potremmo dire di averle capite veramente” rimango a fissarlo, un po’ in soggezione in realtà. Un po’ spaventata dalle sue parole.

“Sei un filosofo?”

“No, sono un’insegnante di lettere. Ma col tempo si imparano certe cose.”

“Mi sarei aspettato una frase del genere da un cinquantenne, non da un mio coetaneo quasi.”

“Beh, non è l’età che conta, quanto le esperienze che abbiamo fatto.”

“Già – controllo l’orario e mi accorgo che è tardi. No ce la farò a fare tutto quanto – non per metterti fretta, ma devo andare dall’editore Vallecchi e fra due ore e mezzo ho il treno. Rischio di fare ritardo e poi chi lo sente il tuo amico?”

“Ah, se c’è una cosa che Daniele odia è il ritardo. Non so quante volte mi ha lasciato senza passaggio quando facevo ritardo.” Sorride, ma io, al suo posto, nei confronti di Daniele, mi sarei incavolata di brutto. Com’è che quest’uomo è così arrogante, borioso, pieno di sé, è così stimato e apprezzato da tutti?

Mi porge, quasi con tristezza, il manoscritto. È fondamentale per il grande capo che l’autore si conosca immediatamente con l’editore. Per questo, una volta che decide di pubblicare un libro, invia il revisore di bozze incaricato per la revisione di quel testo dall’autore. Credo che sia una buona idea. È necessario che ci sia subito un certo feeling tra le varie parti.

“ ‘Il sole in inverno’, mi piace come titolo. Di cosa tratta?”

“Parla del fatto che bisogna andare al di là di quello che le persone dicono o mostrano” lo osservo curiosa. Quest’uomo ha un carisma non indifferente.

“Quindi è autobiografico”

“Sì e no. A te capire cosa lo è e cosa no” sorride e io ricambio.

“Grazie, Carlo. La mia visita da te è stata molto istruttiva.”

“Ci vediamo tra due settimane, Samanta. Ho lavorato quindici anni a quel libro. Cerca di valorizzarmelo bene” sembrerebbe una critica, ma il suo sguardo mostra tutt’altro: la sua più totale devozione verso la sua opera che ha cresciuto e amato come un figlio. Ecco perché amo il mio lavoro.

 

La casa editrice è piuttosto semplice da raggiungere. Si trova al centro, a pochi passi dal Giardino della Fortezza. Firenze non ha nulla a che vedere con Milano. Quest’ultima è una città fredda, caotica, invivibile e a tratti anche puzzolente. Qui tutto è a misura d’uomo. Se potessi mi trasferirei all’istante.

“Posso aiutarla?” una ragazza sulla ventina mi parla al di là di una scrivania.

“Sì, sono Samanta Dolce e sono un revisore di bozze dell’Agape editore di Milano. Dovrei incontrare il direttore editoriale”

“Mi spiace, signorina, ma il signor Manzi non c’è” cosa? Come? Credo di non aver sentito bene. Non posso fallire, non oggi e non per un’inezia del genere.

“Per me è importante incontrarlo. Dove lo posso trovare?”

“Oggi non c’è, mi spiace e non ha detto quando tornerà”

“Lei non può aiutarmi in alcun modo?”

“Io faccio la segretaria qui, ma, se posso, la aiuterò volentieri” oggi è la mia giornata fortunata. Non devo gridarlo troppo forte, però.

“Sì, il mio direttore editoriale vorrebbe una copia di un libro non più in circolazione, un libro della vostra casa editrice per comprare i diritti d’autore.” Spiego.

“Sì, ho capito. Se mi dice quale libro state cercando proverò a trovarlo nel nostro catalogo.”

Amo questa donna.

“Sono ‘Le memorie di Iddio’ di Papini.”

“Controllo subito” infila gli occhiali, probabilmente sono di sola lettura.

“Di che anno è?” controllo l’incartamento che Daniele mi ha dato e rispondo: “1912”

“Signorina…”

“Mi puoi chiamare Samanta, se vuoi. E puoi usare il ‘tu’”

“Io sono Silvia, piacere. Quello che devo dirti, però, non ti farà piacere” sembra in preda al senso di colpa.

“Ossia?”

“ ‘Le memorie di Iddio’ non sono registrate nel catalogo”

“Cosa?” sgrano gli occhi e mi mordo la lingua. L’avevo detto che non bisognava pensare di aver avuto fortuna.

“Non c’è alcun libro con questo titolo. Tutte le opere di Papini ci sono, ma non questa.”

“E’ impossibile. Quel libro è stato stampato sicuramente. Forse non è stato registrato” non posso tornare a mani vuote, ne va della mia dignità.

“Può essere. In tal caso bisognerebbe controllare nel catalogo cartaceo.”

“Bene”

“Il catalogo cartaceo è a Pisa, sottoposto ad uno studio dell’università.”

“Oh, cazzo! Perdonami!” ma perché non riesco mai a controllarmi? Ha ragione la nana: sono uno scaricatore di porto.

“Non preoccuparti, avrei usato espressioni anche più colorite se fossi stata nei tuoi panni. L’unica cosa che possiamo fare prima di arrenderci è controllare l’archivio che contiene due o tre copie di tutti i libri pubblicati dalla Vallecchi”

“Benissimo, posso andare da sola se tu hai da fare”

“D’accordo, ti accompagno immediatamente”

L’archivio è quanto di più polveroso esista. Ormai è tutto catalogato al pc. Se da una parte è comodo, dall’altra non scambierei l’odore dei libri per nulla al mondo. L’emozione che si fa spazio mentre si volta pagina o mentre si tocca l’inchiostro nero inciso a chiare lettere, no, questo non te lo potrà mai dare una misera schermata del computer.

Questa sorta di biblioteca è suddivisa in settori: per anno di pubblicazione, per tipo di scritto, per autore.

Comincio proprio con quest’ultimo.

Non c’è nulla.

Se è un’opera di Papini, come fa a non essere catalogata sotto il suo nome? C’è di tutto, perfino il suo diario. Ma de’ ‘Le memorie di’Iddio’ neanche l’ombra.

Provo con l’anno. 1912.

Niente.

Provo con la categoria “giornalisti futuristi”.

Niente.

Papini, ma dove cazzo sei finito? Oltre che all’altro mondo, ovvio.

Controllo nuovamente le sezioni. Ma, come nelle addizioni in cui spostando gli addendi la soluzione non cambia, anche qui la situazione resta identica.

Questo libro si è come volatilizzato.

E ora chi lo sente l’uomo?

Mi toccherà la sua sfuriata.

Torno nell’ingresso, delusa e amareggiata. Un’altra sconfitta per me. Non ci voleva questa.

“Sei fortunata, è appena arrivato il direttore editoriale. So che è un grande appassionato di Papini, ti potrà sicuramente aiutare.”Silvia mi sorride e mi guarda come se mi avesse salvato la vita. Ion effetti, un po’ è così.

Siano ringraziati tutti i santi!

Mi faccio presentare da Silvia ed entro nel suo studio.

“Buon pomeriggio, sono Samanta Dolce e sono un revisore di bozze della casa editrice Agape”

“ Giuseppe Manzi” un uomo robusto con dei grandi baffi argentei mi sorride bonario mentre ci stringiamo la mano.

“Allora, signorina, in cosa posso esserle utile?”

Per l’ennesima volta ripeto questa frase: “Mi servirebbero ‘Le memorie d’Iddio’ di Papini. Vorremmo ripubblicarle”

“ Siete sicura che sia quella l’opera che cercate?”

“Sì, sicurissima” mi osserva dubbioso e scoppia a ridere. Una risate piena, gioiosa, irresistibile. Ma io non rido, anzi, sono piuttosto irritata dal suo comportamento.

“Potrei sapere perché ride?” prima pensa, poi parla, prima pensa, poi parla. Aboliamo il pene. Sì, come no. Risulto acida persino alle mie orecchie.

“Signorina, ma lei conosce Papini come scrittore?”

“Beh, non è certamente uno degli autori che conosco meglio, ma qualcosa la so” quanto mi sento ignorante in questo momento.

“Dovrebbe sapere che Papini ha avuto una conversione religiosa.”

“Sì, e allora?”

“Il testo che lei vorrebbe è un’opera totalmente atea di cui Papini ha fatto bruciare tutte le copie al momento della conversione. Quel libro non esiste più”

Ecco.

Mi cade il mondo addosso in un attimo.

Per qualche secondo non riesco a respirare, nemmeno a credere a quello che mi ha appena detto.

Poi torno a respirare e a rendermi conto della cantonata che ho appena ricevuto.

“Mi scusi del tempo che le ho sottratto, signor Manzi. E perdoni la mia stupidità” esco in silenzio, con la coda tra le gambe, senza avere nemmeno la voglia di arrabbiarmi. Saluto distrattamente Silvia e vado alla stazione.

Arrivo giusto in tempo per il treno.

E per le due ore successive non faccio altro che ripetermi di non piangere. Non mi sono mai fatta vedere piangere da nessuno eccetto che dai miei genitori e da Luciana e oggi non sarà un’eccezione. Dopotutto, non è successo nulla di grave. Mi ha solo preso in giro mettendo in luce la mia ignoranza. Nulla di grave, nulla di grave. Perché sono così distrutta, allora?

Arrivo a Milano, arrivo all’Agape.

Salgo le scale seguita dall’occhiata materna di Antonietta.

Entro nel suo studio. È seduto verso la finestra e non mi vede.

“Eccoti il romanzo del tuo amico.” Glielo getto malamente sulla scrivania.

“E Papini?” lo sento ridere sottovoce.

“Grazie”

“Cosa?” si volta e sgrana gli occhi. Quello che vede forse non gli piace. Meglio per me. Anche la nana sbaglia.

“Per avermi affossato così tanto. Nemmeno Davide ci era riuscito in cinque anni. Ma tu sei stato un vero e proprio campione: in un solo mese ce l’hai fatta. Complimenti!”

“Samanta, che hai in viso?” si alza immediatamente e mi raggiunge. Mi scanso. Non voglio avere niente a che fare con lui.

“Non mi toccare.” Lui allontana la mano che si era alzata in direzione del mio viso.

“Hai delle macchie rosse, simili a bolle.” prendo lo specchietto dalla borsa e mi osservo. Che sta succedendo alla mia faccia?

“Beh, non mi è mai successo. Complimenti anche per questo: sei il primo ad avermi provocato una reazione allergica. Sarai soddisfatto.”

“Ti accompagno in ospedale: non stai bene. Dovrai fare cortisone, antistaminico e…”

“No, io non verrò da nessuna parte con te”

“Ma, Sam…”

“Luciana, lei deve accompagnarmi. Tu non sei nessuno per me.” Continua a guardarmi imperterrito, gli occhi freddi.

“Ti prego, Sam, io..io non immaginavo..”

“Cosa non immaginavi? La mia amarezza o la mia reazione allergica? E’ inutile che fai finta di sentirti in colpa. Siete tutti uguali, voi uomini, a partire da Davide. Non avete remore quando si tratta di far soffrire una donna.” Un lacrima, una sola, bastarda, scende sul mio viso. La scaccio immediatamente. Almeno questa soddisfazione non voglio dargliela.

“Chi è Davide?”

“Non ha importanza. Comunque, un uomo migliore di te. Ha solo impiegato cinque anni per distruggermi. ”

 

 

 

 

Finito!

Scusate il ritardo mostruoso. Come ho detto a chi ha recensito lo scorso capitolo, ho avuto dei problemi di famiglia molto gravi che mi hanno reso impossibile la scrittura. E’ una storia stupida e banale, e per questo non riuscivo a scriverla. Inoltre sto portando a termine la mia prima ff e devo dare spazio a quella.

“Excusatio non petita, accusatio manifesta” è un proverbio latino che significa: scusa non richiesta, accusa manifesta. Imparate dai latini, mi raccomando.

Sabellio è un eretico del III sec aC di cui ho preso solo il nome.

La vicenda di Papini è vera, totalmente vera. E’ un autore che amo molto e di cui ho conosciuto la storia grazie alla tesina della maturità. Vi lascio la vita: Giovanni Papini.

Grazie per essere giunte fino a qui e per avermi aspettato.

Un bacio

Federica

 

 

   
 
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