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Autore: congy    13/02/2011    26 recensioni
Cosa può succedere all'interno di una casa editrice quando l'uomo di cui ti sei invaghita ti soffia la promozione e il lavoro che hai sempre desiderato?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Abbiamo trovato il vero volto di Daniele!!! Ecco perciò un nuovo banner realizzato dalla eccezionale e disponibilissima Poison Spring. Grazie cara!

Dedico il capitolo, visto che siamo quasi a San Valentino, al mio amore Samy88, la vera Samanta.

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Capitolo 5

 

Biscotti e Nutella

 

Mi sveglio per un vociare inatteso, un rumore di sottofondo che non concilia il mio sonno. Sono le tre del mattino, dannazione! Chi è  che chiama o parla a quest’ora? Mi alzo e, scalza, vado ad origliare. Non si dovrebbe fare, ma quale persona sana di mente telefonerebbe a notte fonda?

“Sì, Daniele, sta bene. No, non devi preoccuparti. Le hanno fatto l’antistaminico. Sì, adesso si è sgonfiata, le bolle sono quasi scomparse. Dovrebbe fare le prove allergiche, ma credono che sia solo dovuto a stress e…”

“Si può sapere che stai combinando?” strillo. In questo momento, ammazzerei la mia migliore amica.

“Ok, Daniele, ci vediamo domani. Ciao” chiude la chiamata e mi fissa, incredula.

“Luciana, dimmi che quello al telefono non era Daniele”

“Cambierebbe qualcosa?”

“Sì, Luciana, sì. Non volevo parlargli, non volevo che sapesse come stessi. Perché devi sempre intrometterti?”

“Era preoccupato. Sai quante volte ti ha chiamato da pomeriggio? Te lo dico io: venticinque chiamate, una ogni quarto d’ora circa.  Più quindici messaggi.  E tu non ti sei degnata di rispondere. Nemmeno di inviare un insulso messaggio con scritto: ‘Sto bene’. Lui ha sbagliato, ma tu, proprio perché parli tanto della cosiddetta superiorità delle donne, dovevi dimostrarti superiore. E non mi sono intromessa. Lui ha  chiamato me. Non ho risposto a nessuna delle telefonate che ha fatto a te, quindi non colpevolizzarmi sempre.” Poche volte l’ho vista così arrabbiata. E poche volte lo sono stata anch’io in questo modo.

“Se ti sta così simpatico Daniele, vai ad abitare da lui. Se sei mia amica dovresti stare dalla mia parte e non allearti con il nemico.”

“Fottiti, Samanta. E te lo dico con tutto l’affetto possibile” si rimette sotto le coperte e mi volta le spalle.

“Oltre al danno la beffa. Grazie, Luciana” il sarcasmo sta per dilagare.

“Oh, non fare la melodrammatica, per favore. Se c’è una cosa che non sopporto è chi si piange addosso”

“Sai che non sono una che si piange addosso, Luciana. Ma mi sento così umiliata. E non può chiamare adesso, non dopo quello che mi ha fatto e dirmi che è pentito” scoppio a piangere: l’ansia, la preoccupazione per la reazione allergica, la stanchezza, la delusione riescono a traboccare dai miei occhi.

“Vieni qua, Sam. Il letto è grande e per te c’è sempre posto. Dopotutto sono una nana” tira la coperta e mi fa spazio. In questo momento mi sento ridicola: così grande e ho ancora bisogno di tutto questo? Sì, in questo momento ne ho bisogno.

Rimaniamo per qualche minuto in silenzio. Dobbiamo entrambe sbollire la rabbia accumulata in questi ultimi minuti.

“Nana, secondo te perché ho questa sfiga con gli uomini? O meglio, perché sono circondata da uomini così ritardati emotivamente?”

“Gli uomini sono ritardati emotivamente. Per dirla alla Hermione Granger, hanno la capacità emotiva di un cucchiaino.” Hermione Granger, grande donna.

“Uhm, credi che sia colpa mia?”

“Che intendi dire?”

“Pensi che io abbia qualche problema ad approcciarmi con gli uomini? Prima Davide, adesso Daniele…”

“Ma Daniele non era il tuo capo?” la sento ridere al buio.

“Sì, ma…”

“Ti senti attratta da lui. Dopotutto è un gran bel figo. E poi è colto, intelligente, brillante e…”

“Dannatamente stronzo. Non negarlo. Dopo quello che mi ha fatto, non puoi ostinarti a difenderlo.”

Ribatto secca. Se c’è una verità incontrovertibile è questa: Daniele è una grandissimo, colossale stronzo.

“Non ne sono ancora così sicura”

“Luciana, ma è palese! Come fai ancora a dubitarne?”

“Bah, io credo sempre che dietro ad ogni azione ci sia sempre una ragione più o meno valida. Il sesso, per esempio. Sai, quello è alla base di tutto”

“Ma piantala!” ribatto scoppiando a ridere. Ecco ritornata la mia nana, quella che se non inserisce per ogni frase un riferimento al sesso non è contenta. E a me piace.

“Sinceramente credo che tu debba lasciargli spiegare il suo punto di vista, il perché abbia agito così. Solo allora potrai mandarlo a quel paese.”

“No, non voglio parlargli. Ha oltrepassato il limite. Ha ferito il mio orgoglio e questo non lo accetto da nessuno.”

“Anche tu non ci sei andata tanto leggera.” Mi sento punta nel vivo. Sì, in effetti ho esagerato, mi sono presa delle libertà eccessive nei suoi confronti. Però…

“Beh, adesso siamo pari. Non abbiamo bisogno di chiarimenti.”

“No, avete bisogno di una sana…” Ed ecco un’ulteriore battutina a sfondo sessuale. Luciana la annovero nel gruppo del “Chi molto parla, poco pratica”. Lei credo che sia in astinenza da più tempo di me. Ma, dietro la sua scorza da allupata, credo che sogni ancora l’amore romantico, quello che ti sconvolge mente e corpo. Lei non l’ha ancora trovato.

“Non osare dire ‘scopata’. Non è di questo che abbiamo bisogno.”

“Oh, sì invece. Ti guarda sempre il culo quando cammini. Pensa costantemente a cosa potrebbe farci con quel culo.” sogghigna.

“Ma chi?”

“Gargamella, ovvio. Sam, secondo te, chi? Daniele!”

“Non è vero.”

“Sì che è vero e, comunque, anche tu sbavi per lui. La soluzione, quindi, è una sola.”

“E sarebbe?”

“Una scopata. Almeno vi togliete qualche sfizio e inoltre potete capire se c’è affinità a letto. Ops, sulla scrivania.” Ma che assurdità dice? Mi alzo, sfiancata da questo conversazione, dal suo letto e vado in camera mia.

“Buonanotte, nana” mi rintano sotto le mie coperte e cerco di addormentarmi nonostante il suo viso mi ritorni in mente con una nitidezza agghiacciante. Dove sono i miei guantoni quando servono? Oggi li avrei utilizzati volentieri contro di lui. Però mi sembrava così dispiaciuto. Scuoto forte la testa: non devo pensare a Daniele, non ci devo pensare. Lui è uno stronzo e io sono stata la vittima del suo scherzo di pessimo gusto, questo è quanto.

Con fatica mi riaddormento.

 

 

Mi alzo scombussolata e con un forte mal di testa. A chi imputare la colpa? A Daniele, ovvio. E’ sempre colpa sua. Non ci sono congiunzioni astrali che tengano quando lui gravita nel mio mondo. da quando c’è lui tutto va miseramente uno schifo. So io di cosa ho bisogno: di tanta, tantissima Nutella spalmata sui biscotti secchi. C’è chi dice che quando sta male psicologicamente non riesce a mangiare. Tutte balle per me: se sto male di testa almeno lo stomaco deve godere. Questa è la mia filosofia.

Bene, la nana non c’è. Meglio per me, altrimenti mi avrebbe perseguitato dicendo di non mangiare quelle schifezze. Ma non c’è e me le mangio.

Apro la nostra dispensa e cosa trovo? Il nulla. Non c’è niente da mangiare. Al posto delle mie leccornie c’è un misero post-it. Maledetta nana. Mi ha fregato.

 

Cara la mia porca,

non troverai niente in casa. Ho portato tutto in ufficio e banchetteremo là con la tua nutella, i tuoi biscotti e le tue patatine. Digiuna e fai penitenza.

La tua nanetta del cuore.

 

PS: Non hai neanche la carta di credito e soldi nel portafoglio. So che quando hai una necessità sei piuttosto inventiva. Stavo pensando di portar via anche i croccantini dei gatti, ma voglio darti fiducia :P

 

PPS: non c’è neanche il gelato. Non voglio che ti riduca a  una balena come quando hai rotto con Davide.

 

 


 


Porca, porca, porchissima Eva! Come lei mi devo accontentare di una mela. Forse è meglio una banana, in effetti. Dopotutto, anche Eva ha avuto la sua.

Odio profondo verso la nana. Sarei tentata di mettere tutto in una valigia e lasciargliela all’ingresso di casa. Forse non basta una sola valigia, ma non importa. Potrei sempre appendere i suoi perizomi sulla porta d’ingresso del vicino. Mi è sembrato particolarmente interessato alla nana.

Ma, mentre sono immersa nelle maledizioni in copto verso la mia carissima coinquilina, ecco l’illuminazione: 100 euro sono nel libro di Nigro, il libro più brutto che io abbia mai letto, conservati per poter essere usati in caso di  necessità. Ho necessità impellente di nutella! La voglio, la bramo, la desidero. Solo lei può tirarmi su. Ma prima mangio la frutta: devo cercare di prendere in giro la nana. Saprà altrimenti che avrò bleffato e chi riuscirà a sopportare i suoi schiamazzi?

Mentre sbuccio la mia banana, non oso immaginare i doppi sensi che trarrebbe Luciana da questo piccolo atto,  sento il citofono squillare. Oh, santa miseria!

“Quel coglione! La visita fiscale doveva mandarmi, porca di quella maiala” sono talmente arrabbiata che sferro un calcio alla gamba del tavolo. Piccola considerazione da fare: indosso solo un paio di calzini!

“Cazzo, cazzo, cazzo!” impreco. Una cosa giusta può esserci nella mia incasinatissima vita?

Il campanello continua imperterrito a suonare. Tenendomi il piede saltello su una gamba sola fino alla porta e la apro.

Non è l’uomo della visita fiscale.

E’ il coglione.

E’ Daniele.

Chiudo la porta immediatamente.

Ma…ma come si permette di presentarsi a casa mia? È il mio capo e basta, può vedermi domani in ufficio e, se davvero è dispiaciuto, chiedermi scusa lì. Non capisco perché debba venire a casa mia. Con che diritto poi.

Lascio che il campanello squilli più e più volte, ma non ci bado. Ho bisogno di nutella. Ora che ho visto il mio capo anche di un po’ di panna spruzzata direttamente in bocca.  E di biscotti, tanti, tantissimi biscotti.

Mi vesto rapidamente senza badare ad accostamenti o colori: devo andare in un supermercato, non ad una sfilata di moda. Jeans e maglioncino bianco. Mi guardo allo specchio e inorridisco: le macchie, sebbene più chiare rispetto a ieri sera, sono comunque molto evidenti sulla mia carnagione lattea. Dannazione, neanche il correttore mi potrà aiutare. Spero che non mi prendano per un untore di peste bubbonica.

Infilo il giubbino di pelle, prendo i miei gelosi risparmi chiusi in quell’orribile libro ed esco. E lo ritrovo sulle scale, immobile. Gli occhi scuri fissi su di me e un sorriso a metà tra il sollievo e lo sconforto.

“Finalmente hai aperto!” si alza dal penultimo gradino della rampa e mi viene incontro. Mossa sbagliata. Senza degnarlo di uno sguardo, scendo le scale rapidamente cercando di non inciampare nei miei stessi piedi.

“Sam, aspetta, voglio parlarti!” sento che è dietro di me, ma non mi fermo. Non voglio vederlo. Non oggi, non adesso.

Mi agguanta per un polso proprio mentre sto per uscire dal nostro condominio. In un attimo mi ritrovo addossata al muro. Lui è troppo vicino a me. Troppo. Sento il suo respiro sul mio viso, le sue mani ancora strette sulle mie, il suo torace premuto contro il mio. Non devo baciarlo: io lo odio.

“Se non ti sposti immediatamente ti arriva un calcio ai gioielli di famiglia che non basterà una corsa all’ospedale. Lasciami subito”

“In realtà non lo vuoi. Lo so io e lo sai anche tu. Ci stiamo solo prendendo in giro, Samanta. E io non lo sopporto” La sua stretta si fa più decisa. Morirò di autocombustione, è certo.

“Cosa sai tu di quello che io voglio o non voglio? Io esigo che tu adesso ti sposti”. E il calcio arriva. Proprio lì. Ho dosato la forza, di certo non voglio portarlo in ospedale. Non con la mia macchina almeno.

“Porca puttana!” si piega su se stesso tenendosi la parte lesa.

“Ben ti sta”

“Sì, hai ragione” sussurra rimessosi in piedi.

“Cosa?”
“Nulla, non preoccuparti” Esco senza guardarlo negli occhi sia per la vergogna, sia per la rabbia e mi incammino verso il mio minimarket di fiducia. Non ho tempo per andare all’Ipercoop del Bonola. Mi volto per controllare se se ne sia andato  e lo vedo seguirmi.

Sul suo visto si stampa un sorriso furbo di chi la sa lunga e di chi ha già preventivato tutto: “Mi hai detto di spostarmi, non di  non seguirti”

“Daniele, smettila. Io non sto giocando. Perché deve essere tutto tremendamente divertente per te? Perché tutto ironico e sarcastico? Fattelo dire: hai un’ironia e un sarcasmo del cazzo!”” mi fermo in mezzo al marciapiede e lo fronteggio. Non ne posso più: sento che mi verrà nuovamente una reazione allergica.

“Neanch’io sto giocando, ma se questo è l’unico modo per avere la tua attenzione, allora sono disposto a comportarmi come un bambino”

“Bene, fa’ pure. Ma non è detto che tu avrai una mia reazione di qualche tipo.” continuo a camminare imperterrita e anche lui mi segue. La sua camminata è morbida, fluente. Ne riconosco la falcata per il modo in cui le foglie si frantumano sotto i suoi piedi. Quasi silenziosamente. Io sono molto meno elegante.

“Cosa stiamo facendo?” non devo rispondere, non devo rispondere. Lo sento sogghignare, probabilmente per il mio mutismo. Lo odio, lo odio, lo odio.

Un passo.

Due passi.

Tre passi.

Quattro passi.

“Allora, me lo dici?” Silenzio, Samanta, silenzio. Non rispondere. Sta solo cercando di farti esplodere.

Un passo.

Due passi.

Tre passi.

Quattro passi.

“Sam, mi degni di una risposta?”

“Primo: il mio nome è Samanta. “Sam” è solo per gli amici e tu non lo sei. Secondo: sono uscita perché devo andare al supermercato. Terzo: devo comprare nutella e biscotti perché mi sono svegliata con la voglia di Nutella e biscotti. E, prima che tu me lo chieda, quarto: non sono incinta. Ora taci!” ammutolisce all’istante con mia somma gioia. Credo di avere oggi un certo ascendente su di lui.

Entro nel piccolo supermarket e lui mi segue. Sembra un cucciolo bastonato. Beh, un bella bastonata gli ci vorrebbe in effetti. Più di una. Tante bastonate. Con un bastone lungo e grosso. E io godrei. Non c’era un accenno sessuale in questi pensieri, vero? Sarà la sindrome premestruale, senza ombra di dubbio.

Non ci metto molto per arrivare al mio reparto preferito. E la vedo: la dolce, morbidissima, nocciolosa, cioccolatosa  e orgasmica nutella. Sia ringraziato ogni giorno il signor Ferrero!

Prendo un solo barattolo, quello più piccolo e poi una scatola di biscotti secchi. La più piccola. La verità è che neanch’io mi voglio ridurre come al periodo post separazione con Davide. Due anni fa non potevo guardarmi allo specchio, non potevo indossare più una gonna, non potevo salire sulla bilancia. Non potevo. Punto. E non voglio ritornare in quello stato pietoso. Oggi voglio solo coccolarmi a suon di dolcezze.

“Oh, i pop corn! Li farò zuccherati. Buonissimi!”

“I pop corn con lo zucchero? Non ti sembra di star esagerando con le cose dolci? ”

Non rispondo e continuo imperterrita il mio giro all’interno del negozio alla ricerca delle caramelle gommose alla fragola. Credo di essere travolta in questo momento da un attacco di shopping compulsivo.

“Ciao, Samanta!” mi volto e mi trovo faccia a faccia con la cassiera del minimarket, Fabiana. Essendo il negozio piuttosto piccolo e poco frequentato, abbiamo avuto la possibilità di conoscerci col tempo. Sebbene un po’ pettegola, Fabiana è sempre stata una persona affabilissima e disponibile, nonostante abbia tre bambini a carico.

“Ciao, Fabiana. Ti trovo in gran forma!”

“I bambini sono a scuola tutti e tre e non ha idea di quanto sia piacevole come cosa. Tornare a casa e sentire il silenzio più totale. Hai idea di quanto possa essere idillico e utopico un momento del genere per chi ha come me tre figli? Anche io ti trovo bene, comunque. E lui? –dice, indicando il coglione – E’ il tuo ragazzo? Oh, non sai quanto sia felice della cosa, Sam. Pensavo che dopo Davide non avresti più trovato nessuno, e invece…”

“Oh, Fabiana, lui…lui non è il mio ragazzo” ma perché tutte a me? Perché?

“Sono Daniele e sono un suo amico. Solo amici” mi si avvicina e stringe la mia mano. Forse per dirmi che ha capito, che reggerà il mio gioco. Ma, dopotutto, è la verità: lui è…cos’è lui? Allontano le mie dita, che stanno andando a fuoco, dalle sue. Lui non è niente. Lui è solamente il mio capo stronzo.

“Oh, sì, certo, capisco. Beh, allora spero che il tuo principe azzurro arrivi presto, Samanta.”

“Certo che arriverà. Quando il cervello degli uomini sarà dotato di più di un neurone funzionante. Un neurone che non pensi esclusivamente al sesso o ai soldi. Speranza praticamente vana, quindi. Noi andiamo, Fabiana. Mi ha fatto piacere rivederti.” La mia voleva essere una frecciatina nei suoi confronti? Sì, voleva esserlo. E se si sente punto nel vivo perché si ritiene un uomo pensante , beh, tanto meglio. Io non lo ritengo certamente tale.

Dopo aver pagato, usciamo. Regna il silenzio tra di noi. Io perché non ho voglia di parlare e lui perchè sta sicuramente macchinando qualcuna delle sue diavolerie. Cammina al mio fianco, non più dietro di me ed è corrucciato, sembra perfino preoccupato. A volte la sua mano sfiora la mia. A volte i suoi occhi incrociano i miei. Non c’è traccia di umorismo in essi.

“Samanta?”

“Sì?”

“Ecco…” ma proprio quando sta per parlare, comincia a piovere. E non quella pioggerella sottile e delicata, ma un vero e proprio acquazzone.

“Cazzo! Non ho l’ombrello” .

“Corriamo. Casa tua non è distante” mi prende la mano e comincia a correre. Nonostante l’impedimento della pioggia posso vedere il suo corpo flettersi, le sue falcate eleganti, le sue gambe lunghe, i suoi capelli che si muovono con il vento e che vengono appiattiti dall’acqua che gronda sul suo viso. No, Sam, non pensare quello a cui stai pensando. Non è sexy, no, non lo è.

Arriviamo al mio appartamento col fiatone. Daniele rimane qualche passo dietro di me e fa per avviarsi già per le scale.

“Che fai?”

“Me ne sto andando. Mi è sembrato di capire che non mi vuoi in casa tua” sorride amaramente e non mi guarda, intento a sfiorare con un dito il profilo del corrimano in legno. Che devo fare? Non voglio passare per maleducata. È questa la verità, che io non voglia sembrare maleducata? Impazzirò prima o poi, me lo sento.

“Hai la macchina?”

“No, oggi è dal meccanico per il cambio dell’olio” il suo sorriso si allarga. Si potrebbe definire solo in un modo: compiaciuto. Ha una faccia da schiaffi.

“Entra, non voglio che ti prenda una bronchite” apro la porta di casa e accorrono immediatamente i miei gatti, che, avvertendo la presenza di un estraneo, scappano spaventati. Soprattutto Bizet: come gatto gay non dovrebbe essere attratto da Daniele?

“E’ carino qui”

“Grazie. L’ha arredata Luciana: io non sono molto brava con gli accostamenti. È tutta opera sua. Certo, quando ha dipinto le pareti della mia stanza di rosa confetto, volevo sprofondare. O ammazzare lei.”

“Non ti piace il rosa?”

“Odio il rosa. È il colore più disgustoso che esista. E Luciana me lo presenta in tutte le salse possibili.”

“Me la immagino che ti insegue per casa costringendoti ad infilare un maglioncino di lana rosa. Abominevole” ride sguaiatamente. È così bella la sua risata.

“E questo è niente!” rido anch’io, ma, vedendo l’occhiata che mi lancia, ritorno seria. Sono in imbarazzo. I suoi occhi, i suoi sguardi mi imbarazzano.

“Ehm..il bagno è di là. Puoi usare l’asciugatrice. Io vado a cambiarmi” corro in fretta nel mia stanza e respiro finalmente bene, senza la sua presenza al mio fianco. Daniele provoca reazioni strane al mio corpo, reazioni che non riesco a gestire. Dovrei essere arrabbiata con lui, per esempio. Perché sono solo un tantinello nervosa? Perché mi batte così forte il cuore? Non di certo per la corsa. Perché sto sudando? Neanche in questo caso posso imputare la colpa alla corsa: pioveva. Daniele, che mi stai combinando?

Mi cambio velocemente indossando la mia tuta preferita, quella che la nana chiama amorevolmente “Tuta da suora” perché è di colore nero. A me piace e poi è la stessa tuta che indossavo quando ho conosciuto Daniele. Ma che mi viene in mente? Non posso essere così smielata, santo cielo. Io sono incazzata! Incazzata nera con il mio capo.

Lego i capelli umidicci in una crocchia alta e torno in soggiorno.

Quello che si presenta ai miei occhi è quanto di più erotico possa esistere. Addio ormoni tenuti a bada per tanto tempo e benvenuta lussuria. Sento che morirò. In piedi vicino alle mensole delle nostre foto, Daniele, nudo dalla cintola in su, mi da le spalle.

Cintola in su. Morirò, è sicuro.

Seguo la curva della spalle, la pelle tirata intorno alle scapole, la linea del bacino, l’attaccatura del sedere. Il suo sedere! Quanto vorrei fare la sue conoscenza. È troppo compresso nei pantaloni, accidenti, ma questo non mi impedisce di farmi un’idea piuttosto chiara delle sua forma. Perfetta. E poi cosa vedono i miei occhi? Un tatuaggio che avvolge tutta la circonferenza del bicipite. Voglio toccarlo, devo sentirlo sotto la mia pelle.

No, Sam, no! Che vuoi fare? Non sei una ninfomane, non lo sei mai stata. E lui è il tuo capo, il tuo capo sexy, colto, affascinante, che ispira sesso anche quando respira, ma è il tuo capo. E devi ricordarti che ti ha trattato malissimo per un mese per un motivo di cui tu non sei a conoscenza.

L’oggetto del mio pensiero afferra una foto dalla mensola e la osserva con un sorriso dolce mentre segue con il pollice il contorno della foto stessa. Ma perché deve essere così dannatamente schizofrenico?

“Quella sono io a otto anni” sobbalza sentendomi parlare.

“Ho notato: non sei cambiata molto. Bella eri e bella sei.”

“Insomma, con vent’anni di più la differenza si vede.” Cosa dovevo rispondere? Nessuno mi ha mai fatto un complimento tanto spontaneo e gentile. E nessuno con un complimento mi ha provocato una scossa d’eccitazione che ha percorso tutta la mia schiena.

“Si vede, ma non cambia la realtà delle cose” si volta e credo che finalmente posso morire. Se la schiena era perfetta, beh, niente rasenta la perfezione quanto il suo petto. Non eccessivamente muscoloso, non eccessivamente piatto. Un collo lungo, tornito con un leggero strato di barba. Mi fermo ad osservare il suo pomo d’Adamo desiderando di baciarlo, di succhiarlo, di lambirlo. E voglio sapere il suo profumo, conoscerlo, inebriarmi con esso e di esso. Ma mi allontano per non cadere in tentazione.

“Sam, posso parlarti?”

“Credo di sì” dico in un soffio. Perchè provo queste cose? Io non dovrei.

“Ci possiamo sedere?”

“Oh, sì, scusami.” sprofondiamo entrambi sul divano mentre Bizet e Minù tornano alla carica. Ancora diffidenti si strusciano sulle nostre gambe. Ma né io, né lui ci badiamo.

“Samanta, quello che volevo dirti…quello per cui sono venuto…insomma, quello che voglio dirti è che ho sbagliato. Non avrei dovuto comportarmi in questo modo con te. Ti ho preso in giro e mi dispiace” rimane zitto, ma continua a fissarmi. Se c’è una cosa che so è che i maschi sono tremendamente orgogliosi. Non dicono mai: “Mi dispiace, ho sbagliato” , ma generalmente fanno ricadere la colpa anche sull’altro. Se c’è una frase che il mio ex diceva era: “Scusami se ho sbagliato, ma sei stata tu a farmi arrabbiare”. Che cavolo di scuse sono? O hai sbagliato o non hai sbagliato. Sta a me, poi, chiedere scusa per i miei sbagli.

Ma Daniele non ha detto questo, non ha parlato di me. E questo, solo questo, mi permette di concedergli una seconda opportunità.

“Perché lo hai fatto?”

“Per smuoverti. Non ho raggiunto il mio risultato, ma l’idea era quella.”

“Smuovermi? In che senso?”

“Volevo farti aprire con me. Volevo che tu avessi una reazione attiva nei miei confronti. Se avessi accettato passivamente la tua decisione di non voler avere niente a che fare con me, il nostro rapporto sarebbe morto. E io non lo potevo permettere. Volevo e voglio conoscerti. E volevo e voglio farti conoscere Daniele. Ma  quello che non volevo e non voglio è l’essere inserito nello stereotipo che ti sei creata a tuo uso e consumo, quello di uomo uguale stronzo. Io non sono così e nemmeno tu sottosotto ci credi. Ma non sapevo come fare. E ho escogitato questa maschera pietosa che si è ritorta contro di me” respira dopo aver parlato a raffica. È nervoso. Come me. E io, cosa dovrei rispondere?

“Vedi, Daniele, io sono una persona molto autoironica, rido praticamente sempre di me e permetto anche agli altri di farlo. Non ho nessun problema in tal senso. Ma tu mi hai umiliata come persona, come revisore, come tutto. Hai messo in discussione tutto il mio lavoro di questi anni, tutto il mio sudore, i sacrifici fatti. Credo che da una parte tu abbia avuto ragione: sei più in gamba di me ed è per questo che tu sei diventato direttore editoriale e io no. Me ne rendo conto, lo ammetto. Ma lo scherzo, o non so cosa fosse, di Papini mi ha fatto male. Molto male. – mi alzo dal divano e gli do le spalle. Non so perché  io stia facendo queste confessioni a lui. Non lo so. - E quando sto male io mangio. Mangio da fare schifo. Ecco perché volevo i biscotti con la nutella. Ecco perché la nana mi ha svuotato la dispensa stamattina. Perché il cibo mi da una gratificazione che le persone non riescono a darmi. – respiro profondamente per riprendermi da questo flusso continuo di parole – La verità è che io sono una debole. E non lo dico perché voglio farti sentire in colpa – gli occhi mi si riempio di lacrime, dannatissime. Fortuna che sono di spalle. – lo dico perché…beh, non lo so neanch’io il perché.”

“Vieni qui” e mi abbraccia da dietro incrociando le braccia all’altezza del mio collo.

“Mi dispiace, Sam. Se potessi tornare indietro non mi comporterei allo stesso modo. Alcune di quelle cose le pensavo e le penso davvero come il fatto che tu debba imparare a non farti condizionare dai gusti personali, ma sei in gamba. Ho cercato di trovare quanti più errori possibili nel tuo lavoro e lo facevo sia per danneggiare te, sia per cercare di trovare qualche difetto in te. Sei un ottimo revisore di bozze, Sam. Uno dei migliori. E non lo dico per farmi perdonare. O non solo. E Papini non è poi uno scrittore così noto. Non è mica Dante.” mi stringo a lui portando le mie mani all’altezza delle sue. E lui le stringe e sono calde, accoglienti, morbidissime.  E alle mie narici arriva il suo profumo, dolce, fruttato.

“Dispiace anche a me, Daniele. Credo che abbiamo sbagliato entrambi. In modi diversi e tu sicuramente di più, ma anch’io ho la mia buona dose di colpe.”

“Sì.” Sussurra al mio orecchio causandomi la pelle d’oca su tutto il corpo.

“Che profumo usi?”

“Jaïpur, perché?” mi volto per annusare il suo collo. Seguo la linea del suo collo col naso per imprimermi il suo odore. Ha un sottile strato di barba.

“Hai un buon odore. È delicato, dolce.” Sam, ma che stai facendo? Riprenditi. Ma, mentre penso una cosa, ne faccio un’altra. Poggio la mano sul suo collo e lo accarezzo. Seguo il duo profilo con l’unghia dell’indice e lo sento deglutire rumorosamente.

“Sam?” la voce è roca, sensuale. Le mie terminazioni nervose bruciano.

“Sì?”

“Posso baciarti?” è la prima volta che me lo chiede. E per la prima volta sono io che prendo l’iniziativa. Non rispondo, lascio che siano le mie labbra a parlare per me.

E, a differenza delle altre volte, è un bacio più dolce, più lento, più vero. Lascio che la sua lingua segua i contorni della mia bocca, che mordicchi il mio labbro, che esplori ogni anfratto. E io faccio lo stesso. Mi abbandono tra le sue braccia, preda di un desiderio che non ricordo di aver mai provato. Mi sento leggera, mi sento bene, mi sento con un vuoto al centro della pancia. E’ tutto perfetto. Forse posso ricominciare daccapo. Ma, quando sono in preda all’estasi del bacio più sublime che io abbia dato e ricevuto, mi tornano alla mente le parole di Carlo: È stato molto il tipo da sesso senza amore.

“No, non posso, Daniele, non posso” mi stacco immediatamente. E sento freddo.

“Sam…”

“Io non posso farlo, Daniele. Non ce la faccio.”

“E’ per Davide?” mi guarda serio e, forse, anche un po’ adirato.

“No, è per te. Davide non c’entra nulla. Carlo mi ha detto che sei uno dalle storie facili. Chi mi garantisce che non sarà così anche per me? Chi mi garantisce che, magari dopo avermi portata a letto, tu non sparisca? Io, dopotutto, non so nulla di te.”

“Carlo ti ha detto solo questo? Perché se è così ha tralasciato la parte più importante del discorso che abbiamo avuto.” la sua voce sale di un’ottava. È arrabbiato.

“Mi ha detto che..che non sei mai stato attratto così tanto da una ragazza”

“Già: è quello che gli ho detto ed è quello che provo verso di te. Ma a te basta un nonnulla per mandare tutto a puttane, per farmi sentire un’idiota.  È vero: ho avuto molte ragazze in passato, e allora? Questo fa di me una cattiva persona? Non ti sto chiedendo di sposarti, ma di provare a frequentarci. E’ così difficile da capire?” mi sento uno schifo. Ha capito più me  di quanto io abbia capito me stessa. Ma so che non sono tipo da mezze misure e so che non riuscirei a vivere questa..questa cosa tra di noi alla leggera. Lo so. Ed è per questo che non posso rischiare.

“Daniele, io..io non mi sento ancora pronta” sussurro.

“Per cosa? Per una relazione fissa? Non ti sto chiedendo nemmeno questo. Ti sto chiedendo di conoscerci.” È vero, ha ragione. Dio, mi sento così stupida, ma è più forte di me.

“Vorrei che..vorrei che tu mi dessi un po’ di tempo. ”

“Per cosa?”

“Per riflettere. Per perdonarti bene. il fatto che ti abbia detto che abbiamo sbagliato entrambi non deve farti credere che io ti abbia perdonato. Ho capito il tuo punto di vista, ma ci vuole del tempo per rimettermi in carreggiata. E poi mi serve tempo per capire bene. Per capirti bene.”

“Posso farti una domanda?”

“Sì”

“Se non mi hai ancora del tutto perdonato, perché mi hai baciato? E non dire perché te lo avevo chiesto io. La mia era una domanda e tu potevi non accettare.”

“Non lo so perché l’ho fatto. Sono stata attratta dal tuo odore, credo. E di certo, vederti a torso nudo non ha aiutato.”

“Sei una contraddizione vivente, Sam. Dici che hai paura, che sei dubbiosa e poi ti avventi su di me. E poi dici di nuovo che sei dubbiosa. Io non riesco a seguirti. Davvero.” Ride e passa le dita tra i capelli. Ma è una risata nervosa, non divertita.

“Beh, in effetti nemmeno io mi comprendo il più delle volte. Vuoi sapere la verità? Io, a parte il mio lavoro, non so cosa voglio dalla vita. Né dagli uomini. Sono rimasta scottata da loro.”

“Sam, questa credo che sia la scusa più ridicola di questo mondo. Anche mia madre ha lasciato mio padre perché aveva un amante. Devo pensare che ogni donna sia una puttana? Andiamo Sam, la vita è molto più variegata di quello che pensi tu. Non è come per la nutella  di cui c’è solo quella marrone. La vita è un gelato variegato dai gusti più diversi.” So che ha ragione. Ha dannatamente ragione. Tutti me lo dicono, ma io non imparo questo piccolo concetto. Non riesco ad impararlo.

“Mi piace questa metafora. Ma, sebbene mi piaccia, non posso dire di averla assimilata bene. E te lo ripeto: io ho bisogno di tempo”

Annuisce, ogni ombra di ilarità scomparsa dal suo volto,  mi volta le spalle e si dirige verso il bagno. Ritorna con la felpa indossata.

“Va bene. Io posso aspettare quel tanto che ti serve per capire bene quello che vuoi anche se non lo comprendo appieno. Cercherò di non essere invadente ed oppressivo e cercherò di farmi perdonare come si deve. Oltre questo non posso prometterti altro.”

“Va più che bene.” lascia un bacio leggero sulla mia guancia indugiando sulla mia pelle, mentre con l’indice segue il profilo del mio viso. Si stacca di botto.

“Io vado. Ciao, Sam” e chiude la porta dietro di sé.

Ho bisogno di biscotti e nutella.

 

 

 

“Tu sei un’emerita cogliona!”

“Su, Luciana, infierisci pure”

“Ma dico: quel figo della miseria ti chiede scusa, ti dice che gli piaci che vorrebbe baciarti e tu dici: ‘Non so cosa voglio dalla vita’? Ti eri fatta di qualche droga stamattina?”

“Nana, la verità è questa. Avrei dovuto dirgli che mi interessava?” sbuffo esasperata. Non solo Daniele, ora si mette anche la nana.

“No, avresti dovuto dirgli: “Sono in astinenza da due anni e ho un disperato bisogno di fare sesso e non voglio più mangiare biscotti alla nutella per sentirmi gratificata.’ Questa è la sacrosantissima verità”

“Non mi sento pronta”

“Sam, svegliati, che i treni passano e tu perdi il viaggio. E non commiserarti sempre nel ricordo di Davide. Accetta la situazione: sta per avere un bambino.” Si porta la mano alla bocca dopo aver detto l’ultima frase. Io impallidisco. Sentir parlare di lui e della sua vita perfetta, una vita che sarebbe dovuta essere la nostra vita, mi fa male.

“Luciana, la fidanzata di Davide è incinta?”

“Sì”

“E come fai a saperlo?”

“Può avermi chiamato tua madre per avvisarmi”

“E quando mia madre ti avrebbe chiamata?”

“Due settimane fa” abbassa lo sguardo. Sa che sto per incazzarmi di brutto.

“E perché non me lo hai detto?”

“Sam, lo sai anche tu perché. La prima cosa che avresti pensato, o che hai pensato, è quella di Davide che chiedeva a te di avere dei figli e dopo due giorni ti lasciava. E saresti di nuovo andata a finire a biscotti e nutella. E, sinceramente, io sono un po’ stufa di vederti così. Ora, pensa a quello che vuoi dalla vita, pensa a quel poveretto di Daniele che ti sta aspettando e non fare cazzate” e, detto questo, Luciana se ne va lasciandomi sola nella mia stanza.

Da domani cercherò di capire cosa voglio dalla vita.

Ora però voglio biscotti e nutella.

 

 

 

 

 

 

Buon pomeriggio!

Eccomi con questo aggiornamento domenicale. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Sam è completamente sciroccata, non sa che vuole dalla vita, ma non sa nemmeno se odiare o amare Daniele. Un bell’inconveniente! Solo la nana riesce a darle un po’ di buon senso, santa donna lei!

Venendo al capitolo, il romanzo di Nigro è “I fuochi del Basento”, uno dei libri più brutti che abbia mai letto. Se vi capita, non compratelo.

La frase di Hermione Granger è presa da “Harry Potter e l’Ordine della Fenice”. E’ una frase che ho sempre ricordato perché è la vera verità.

I biscotti con la nutella sono quelli che mangio io quando sono depressa. D’estate in realtà mangio i biscotti col gelato.

Per il capitolo scorso sempre la santissima e bravissima Poison Spring ha creato un banner con le dieci P di Luciana. Eccolo qui.  

So finendo di rispondere alle recensioni dello scorso capitolo. Le concluderò stasera, credo.

Un bacione a tutte,

Federica

 

 

   
 
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