…Hold Me…
Don't move...
Don't talk out of time...
Don't think...
Don’t worry, everything is
just fine.
La notte era
calata da così tanto tempo che il cielo cominciava già a schiarirsi nel momento
prima dell’alba.
Narcissa Black, sesto anno Slytherin,
era distesa sul letto immobile, con un braccio a coprirgli gli occhi, quasi
quel dolce e tenuo accenno di luce la potesse uccidere. Era immobile da
abbastanza tempo per scambiarla per morta, se qualcuno avesse potuto vederla.
Il letto a
baldacchino che la incorniciava, con il suo stile barocco, antico; le pareti
della stanza con mattoni a vista, cupi e bigi, che sembravano sussurrare tutto
quello che era accaduto quella notte; le lenzuola verde scuro, di un colore
talmente intenso e talmente costoso che si addiceva soltanto ad un purosangue;
quella stoffa così lucida da sembrare viscida quanto gli Slytherin che ci
dormivano sopra…
La Bella Addormentata,
con i capelli di grano sparsi sul cuscino come sottili fili di seta, la pelle
d’avorio e le labbra rosate, screpolate dove le aveva morse infinite volte
quella stessa sera, teneva gli occhi serrati con talmente tanta forza da non
capire come mai le lacrime continuavano a scenderle copiose sul volto…
Gocce calde
che scendevano sugli zigomi, a bagnare il cuscino lasciando una macchia scura
quanto il sangue.
Le sembrava
passato così tanto da quando era uscita da quella Sala Comune tetra, per un
motivo così innocuo che la faceva stare ancora più male, che le faceva bruciare
il cuore ancora di più.
Ma la cosa
ancora più dolorosa, l’unica che era riuscita a strappare un singulto a quel
pianto silenzioso, era che tutto ciò che aveva visto, inconsciamente lo sapeva
già.
Solo non aveva mai voluto accettarlo.
Non aveva mai voluto crederlo.
Nemmeno quando aveva visto, quella
stessa sera, sua sorella Bellatrix avvolta in un mantello e con un cappuccio a
coprirgli per metà il volto, avviarsi nella Foresta Proibita, con fare cauto,
tenendosi l’avambraccio destro dolorante.
Era certa, dalla finestra della sua
stanza del dormitorio, che quella figura così sottile, così quasi leggiadra,
fosse sua sorella.
Non le serviva nemmeno guardare il
modo sinuoso e sicuro in cui si muoveva, in cui solo lei sapeva muoversi, in
quel modo così simile al passo aggraziato e pericoloso di un felino che stava
per attaccare ma con la stessa viscidità di un serpente che scivola nell’erba
bagnata.
Sapeva che
era lei.
Sapeva
perché le doleva il braccio destro.
Sapeva
perché di notte, quando non portava la vestaglia di seta degli Slytherin, chiudeva
sempre le tende del letto, dicendo che voleva un po’ di tranquillità con quella
voce acida e crudele.
Sapeva
perfettamente che non aveva voluto mai crederci.
Quella figura incappucciata non
poteva essere lei. Bellatrix Black non poteva sgattaiolare in quel modo così
furtivo dal castello, a quell’ora tarda, con un mantello nero incappucciato…
Non era lei neppure quando una figura
maschile - Dio solo sa quanto Narcissa avesse impiegato per convincersi che non
era il Suo Lucius, quello - l’aveva chiamata per nome, con voce tonante,
gelida, per aspettarlo. Una figura maschile che sovrastava la sorella, come
solo Lucius Malfoy ed Rodolphus Lestrange erano in grado di fare. Ma quel
ragazzo aveva le spalle troppo larghe per essere Rodolphus.
Non poteva essere Lucius: non era
certo l’unico in tutta la scuola a camminare con quel comportamento nobile,
reale, come se nulla attorno a lui lo sferzasse. Non era l’unico a camminare
con quell’aria di chi si crede superiore a tutto ed a tutti, con quel fare che
ti fa intendere, così chiaramente da romperti il cuore, che l’avvicinarsi a lui
era soltanto un privilegio riservato a pochi.
Ed invece
si…era l’unico che sapeva camminare in quel modo.
Ma Narcissa
aveva continuato a non volerci credere, mentre un sogno liberatorio riusciva ad
impadronirsi delle sue membra spossate, donandole un sonno profondo e nero
quanto la foresta nella quale erano spariti Bella e Lucius.
Voleva sentire le confortanti braccia
di Lucius serrarsi sul suo corpo fragile, mentre le sussurrava che aveva visto
male, che non era lui, quello.
…voleva sentirsi dire che andava
tutto bene.
Voleva che la stringesse fino a farle
male, fino a farle mancare il respiro.
Voleva la sua stretta di un caldo
soffocante da farla sentire inebriata.
…Hold Me…
***
Si maledì
mentalmente di nuovo, mentre indugiava con troppo amore sul corpo caldo e ben
formato che stava sotto al suo.
I propri
capelli neri, lucidi, accarezzare quel petto che le sembrava così perfetto.
La propria
mano lattea poggiata sul muscolo del braccio di lui, di una carnagione
abbronzata.
I propri
occhi riflettersi in quelli di lui altrettanto scuri.
Voleva perdersi ad accarezzare ogni
muscolo di quel corpo, ogni centimetro di quelle membra; sentire il suo sapore
sulla lingua come acqua in mezzo al deserto; voleva liberare quel sentimento
che sentiva nascosto nel cuore, un sentimento che le scaldava il seno prima di
diffondersi, con una dolorosa dolcezza, in tutto il corpo; voleva poter bagnare
quel petto con le proprie lacrime salate, riempire il silenzio con i suoi
singhiozzi, e sentire le braccia di lui stringerla possessivamente a darle
conforto.
Sussultò
violentemente quando lui le sfiorò con le dita l’interno dell’avambraccio
destro.
Le sue dita
si soffermarono su quelle linee appena accennate che le deturpavano la pelle
lattea, prima di rivolgere uno sguardo carico di apprensione, preoccupazione…
Affetto…
Dentro, lei urlò di disperazione.
La tentazione di baciarlo come non
aveva mai fatto prima, diventò insopportabile.
Lui la
guardò con muto desiderio, domandandole tacitamente perché aveva interrotto
quel ritmo sfrenato che aveva sostenuto a congiungere i loro fianchi.
Lo sguardo
appannato dal piacere, dall’appagamento che lei gli dava anche solo nel
concedersi in quel modo brusco a lui.
I capelli
scuri sparsi sul cuscino ad incorniciargli il viso perfetto e dai lineamenti
decisi.
Lei chiuse
gli occhi con forza, scacciando tutto ciò che l’aveva distratta.
Tolse dalla
testa ogni pensiero che riguardasse la perfezione di lui, la bellezza delle sue
membra calde, la morbidezza dei suoi capelli e la profondità dei suoi occhi
così puri.
Tolse dalla
testa l’affetto del suo sguardo.
Per un breve istante, ebbe la
certezza che sarebbe stata una cosa impossibile.
Sospirò
profondamente, staccando completamente i propri fianchi da quelli di lui.
Il ragazzo
mormorò qualcosa di indecifrabile, con tono deluso, e lei si impose di non
ascoltarlo.
…Tornare indietro da lui e donarle
tutta se stessa, fargli assaporare veramente il sapore della sua pelle.
Poggiargli il proprio cuore in quella
mano calda e scura e darglielo affinché se ne prendesse cura…
…Un cuore malconcio, pieno di
cicatrici, ed indurito…
…Ma le sue mani grandi avrebbero
saputo renderlo morbido di nuovo…
Frustrata, si
alzò, portandosi i capelli lunghi oltre le spalle e cominciando a rivestirsi
con calma studiata.
Come sempre
lui non si lamentò, sapendo che sarebbe stato inutile e che avrebbe reso fine
anche a quegli incontri sporadici, avvolti in un silenzio pieno di disagio per
l’assurdità della situazione e rotto soltanto dal loro respiro affannoso.
Lei lo
guardò con aria orgogliosa, gelida ed indifferente, avvicinandosi con
portamento fiero che sembrò inebriarlo. Non appena lei notò che, senza nemmeno
volerlo, aveva assunto come sempre il comportamento che le avevano imposto sin
da piccola, il comportamento dei Black, cominciò a ridere.
La risata di
Bellatrix Black, è sempre qualcosa di acido e liberatorio.
Una risata
piena di disperazione mostrata come violenza…
L’unico modo
in cui il suo orgoglio, troppo forte per essere anche solo scalfito o piegato,
dava sfogo a quella disperazione che la accompagnava da tutta una vita.
Rise forte per cercare conforto nella
sua stessa voce…
Un conforto che non aveva mai trovato
ma che, se solo avesse voluto cercarlo, lo avrebbe trovato in lui.
Rideva per non perdersi in quegli
occhi…
Rideva per darsi la forza di uscire
da quella stanza lasciandolo con gli occhi scuri sperduti.
Rideva
perché quel comportamento che lei assumeva…
Quello dei
purosangue…
Quello dei
Balck…
Lui non
l’avrebbe mai avuto, per scelta.
Lui aveva
scelto, un lusso che lei non aveva mai avuto.
Forse perché, nel proprio cuore,
Bella era molto più debole di lui, che era andato contro tutti ma che è l’idolo
della sua infame casa e degli amici…
…L’idolo di lei…
Si sbattè la
porta alle spalle con più violenza del solito, con la tentazione di riaprirla
per poterla chiudere violentemente di nuovo, fino a ridurla in frantumi…
Gli stessi
frantumi nel quale si stava spezzando il proprio cuore.
Nuove
cicatrici che promettevano di ucciderla, un giorno o l’altro, quando i punti di
sutura che le chiudono si apriranno.
Ed il suo
cuore verrà smembrato così tante volte da diventare polvere.
Aveva sempre
fatto finta di non averlo, un cuore, ma si rendeva comunque conto che non
poteva viverci senza.
…Non avrebbe mai ammesso che tutto
ciò che voleva era essere stretta da lui…
…Hold Me…
*****
Auguri di Natale in ritardo!
Spero che tutti stiate passando delle
belle feste, senza intoppi e, più o meno, come le volevate.
È strano che stia intraprendendo la
strada di una fan fiction con un tono tanto drammatico perché, sinceramente,
non ne ho nemmeno lo spirito.
Era da abbastanza che volevo scrivere
qualcosa di…em…”forte”, sulle mie adorabili sorelle Black…
Comunque questa fan fic sarà formata
da quattro capitoli, più o meno corti come questo e, sempre, divisi in due
parti.
Le frasi che che metterò ad inizio
capitolo sono della canzone “Numb” degli U2 dalla quale ho preso il titolo,
anche se mi sembra che non ci azzecchi completamente O.o
Mentre il nome di ogni capitolo
formerà alla fine, insieme, il titolo di un’altra loro canzone.
Grazie a chiunque abbia perso parte
del suo prezioso tempo per leggere.