Non vi siete mai chiesti cosa nasconda Kakashi sotto la sua maschera? o cosa significhi il suo sguardo triste? Forse sono solo i ricordi che ci tace. (Tengo sottolineare che Tsubaki non è un riferimento ma un personaggio originale)
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Naruto prima serie
Il giorno dopo, all’esame, la mente del ragazzo era lucida,
era ritornato a vedere chiaramente le sue priorità e, come
sperava, si diplomò come il migliore del corso. Subito dopo
la consegna del frontale con il simbolo della foglia, formarono i
gruppi e conobbe Rin e Obito, i suoi nuovi compagni. Furono assegnati a
Minato, il jonin che, si diceva, fosse il più potente e
promettente. Quando Kakashi lo vide il suo viso gli ispirò
fiducia e fermezza, la sua fama di invincibile guerriero lo aveva reso
entusiasta all’idea di allenarsi con lui. Alla fine di
quell’intensa giornata si stese sul letto e la sua fantasia
corse alla bambina del giorno prima, Tsubaki; non poté fare
a meno di chiedersi se l’avrebbe rivista. I giorni scorrevano
sereni, l’allenamento era duro ma il giovane genin si
affezionò a Minato; nella sua immagine decisa e fiera vedeva
un ideale e vi si ispirava, in oltre nei suoi gesti era sempre presente
la devozione a Konoha ed un occhio di riguardo per compagni e
sottoposti. Non serve dire che, per un bambino senza affetti, il
maestro diventò ben più che una guida.
“Tu- esordi il jonin un giorno, puntando il dito contro il
ragazzino- cosa è più importante? La missione o i
compagni?” La risposta fu immediata e schietta: “La
missione, sempre. Siamo ninja per questo.” Minato
sospirò, abbassò il braccio poggiando la mano sui
folti capelli dell’allievo. “Siamo ninja per
difendere i nostri compagni. Ma non pretendo che tu lo capisca
subito.”
Con Rin e Obito non mancava mai una sana competizione, ma col tempo
finirono per diventare amici, i primi amici che si guadagnò.
Soprattutto con Obito ci volle del tempo per instaurare un buon
rapporto, il ragazzo si sentiva messo in ombra da Kakashi e tentava di
dimostrare il suo valore in ogni occasione; in più nutriva
una profonda ammirazione per Zanna Bianca e non mancava mai di
ricordarlo al compagno, che invece soffriva ancora molto per la perdita
del padre e avrebbe tanto voluto stesse zitto. Nonostante
ciò Kakashi riconosceva in Obito un ninja fedele e
coraggioso dai saldi principi morali, per questo lo rispettava e
stimava, sentimenti cha vacillavano solo quando assisteva alle
patetiche scuse che Obito avanzava per giustificare i suoi ritardi o
alle magre figure che faceva a causa della cotta che si era preso per
la compagna Rin. Kakashi era più calmo, concentrato sulle
sue aspirazioni non aveva mai un tentennamento, solo una persona
riusciva a farlo sudar freddo, senza accorgersene e con la sola
vicinanza. Ogni sera, dopo cena e prima di tornare a casa, si fermava
all’albero dove l’aveva incontrata la prima volta.
Tsubaki sbucava dall’ombra come la luna quando le nuvole le
passano oltre, ed insieme giocavano o chiacchieravano regalandosi
momenti preziosi in cui le preoccupazioni del mondo non sembravano
riguardarli.
Un anno volò via e venne il giorno in cui dovettero
salutarsi.
“Devi proprio andare?” mugugnò Kakashi,
senza osare guardarla negli occhi.
“Sì, il tuo sogno è qui ed io devo
inseguire il mio.”
“Quindi non ci rivedremo più.”
“Non lo so.. io, io ti prometto che ce la metterò
tutta per tornare a trovarti!” sentenziò decisa
Tsubaki, stringendo i pugni. Lui ne rimase colpito, ma non quanto il
fatto che lui stesso non riusciva a pensare di non poterla
più rivedere. Istintivamente le andò vicino, la
strinse sentendo quel corpicino rigido sciogliersi fra le sue braccia e
ricambiarlo. “Io ti aspetterò, lo
prometto.” Dopo un attimo che cercarono di protrarre il
più possibile si separarono e Kakashi vide che lei stringeva
qualcosa nella mano destra. “Quella
cos’è?”
“E’ la mia maschera da Oinin.”
“Maschera? Perché non hai un frontale come il
mio?”
“Perché io non sono un ninja come te. Appena me ne
andrò dovrò indossarla e da quel momento
sarò un’ombra.” Lui sembrò
non capire, forse non voleva ma comunque appariva confuso.
“Sai bene quale sarà il mio compito, è
più facile se nessuno conosce la mia identità.
Per questo sarà difficile rivederti e per questo odio questa
maschera.”
“Se sarai costretta a nascondere il tuo viso-
esordì Kakashi- allora anche io lo
farò.”
“Cosa? Ma è sciocco!”
“No non lo è! Non è giusto che tu sia
l’unica a sacrificarsi. La tua maschera sarà il
tuo sacrificio e la mia il mio impegno ad aspettarti.” Il
viso del ragazzo era contratto, il suo sguardo brillava di decisione e
Tsubaki, commossa dal gesto dell’amico, non
riuscì a trovare la forza di dissuaderlo. Lo
osservò mentre si copriva il volto con il collo del
maglione, lasciando visibili solo gli occhi, e si infilò la
sua senza ancora calarsela sul volto. “Allora, ci
vediamo..” mormorò lei con gli occhi lucidi.
“Sì, arrivederci Tsubaki.”
“Arrivederci Kakashi.” si coprì la
faccia e scomparve nell’ombra, prima di dire altro e lasciare
che diventasse troppo difficile separarsi dall’amico.
Kakashi si voltò verso la strada di casa ma non fece nessun
passo, si dovette sedere un istante. Il vento si era calmato e la sera
si stava inoltrando, non si vedeva più il sole ma
né la luna né le stelle erano ancora in cielo,
era tutto immobile. Quel paesaggio tanto vivo e rassicurante che spesso
aveva contemplato al fianco di Tsubaki ora gli parve spento, un brivido
lo percosse.
Tornando a casa pensava fra sé e sé che era un
egoista, l’aveva avuta per un anno ogni giorno e non aveva il
diritto di chiederle di rimanere. Poi lui sarebbe rimasto al villaggio
con Minato, Rin e Obito, lei invece doveva recarsi in un posto
sconosciuto e da sola. Era suo compito sostenerla ed aspettarla.
Impegnarsi nell’allenamento, con quella malinconia addosso,
sarebbe stato faticoso ma lo avrebbe certamente temprato. Una volta a
casa si gettò sul letto, guardò il cielo nero
dalla finestra e l’occhio gli cadde su di un libro appoggiato
sul comodino. Lo prese e gli venne quasi da ridere. Aveva visto la
prima volta quel libro in mano a Tsubaki, mesi prima, lei lo stava
leggendo appoggiata ad un albero, aveva il viso rosso e le mani le
tremavano lievemente. “Cosa leggi?”
“Niente!” si affrettò a replicare lei,
nascondendo il libro dietro la schiena. Ovviamente questo non fece
altro che portare alle stelle la curiosità del bambino che
cercò di rubarglielo dalle mani, lei fece di tutto per
allontanarlo ma tra calci e spintoni la lotta non sembrava avere un
vincitore. “Va bene va bene. Ho chiesto al mio
papà come nascono i bambini, lui è arrossito e ha
detto che queste sono cose che solo mamma era brava a spiegare.
Così mi ha dato questo. Lo devo leggere ma per ora non sono
sicura di aver capito nulla.”
“Fa vedere, così poi te lo spiego io.”
Disse con aria saccente, sedendosi sull’erba
cominciò a leggere dove Tsubaki gli indicò, dopo
pochi istanti, però, divenne rosso e le sopracciglia gli si
aggrottarono. “Che schifo!” gridò
lasciando cadere il volume a terra. Lei scoppiò a ridere,
gli andò vicino dandogli un grosso pizzicotto sulla guancia.
“Allora, non dovevi spiegarmi tutto, genio?” lo
schernì ghignando. Anche lui le strinse la guancia in un
pizzico biascicando: “Te lo spiegherei ma è una
cosa terrificante e non riusciresti a sopportarla.” Nella
confusione delle battaglie e dei giochi che seguirono finì
per infilarsi in tasca il libro della ragazzina, per poi accorgersene
solo una volta a casa. Ogni sera si diceva che glielo avrebbe
restituito ma sistematicamente se lo dimenticava “Fa niente,
glielo darò domani.” pensava e questo gli dava un
velato senso di serenità: domani lei ci sarebbe stata
ancora. Così quella sera non poté far a meno di
provare quella stessa sensazione, stingendo il libro, era come se
qualcosa gli dicesse che l’avrebbe rivista anche solo per
restituirglielo.