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Autore: Danu    06/02/2011    3 recensioni
Lei vive da tutta la vita in un villaggio in mezzo alle montagne. Lui non è mai rimasto in un posto fisso.
Al villaggio ogni primavera arrivano i nomadi e Lydia sa che farebbe meglio a non avvicinarsi per nessun motivo a uno di loro. Ma trascinata dall'esuberanza e la spensieratezza di sua sorella, promesse e matrimoni segreti, attrazioni e nuove libertà, si troverà costretta a scegliere tra un matrimonio senza amore, ma con la certezza di un futuro sicuro, e un sentimento a cui per nulla al mondo vorrebbe rinunciare.
"“Vorrei proprio vedere come reagirebbero, o anche solo sentire cosa direbbero, se ti sapessero fuori la notte da sola nel bosco. Se ti sapessero qui sola. Con me.” Mi guardò con fare allusivo sapendo che avrei capito e che sarei diventata rossa.
“Non ho scelto di venire io qui.” ribattei sulla difensiva non sapendo bene come scusarmi.
“Sì, invece. Non sono io che ti ho chiesto di uscire la notte, anche perché non te l’avrei chiesto.” Lo guardai interrogativa e lui rispose guardandomi con aria accattivante e provocatoria: “Sarei direttamente venuto a prenderti."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lady Fortuna ci aspettava con le mani sui fianchi. “Ce ne avete messo di tempo!”

Piantò i suoi occhi penetranti nei miei e non so perché, ma arrossii come se avessi chissà cosa da nasconderle. Lei fece un mezzo sorriso e si scostò dall’entrata della tenda. “Tua madre ti aspettava. È sveglia.”

Rimasi un attimo sull’entrata esitante notando quanto quell’atteggiamento gentile nei miei confronti stonasse con i sentimenti che quella donna provava per mia madre. Al pensiero di mia madre finalmente sveglia, però non ci prestai attenzione.

Corsi dentro e mi accucciai vicino alla sua branda. “Madre, come ti senti?”

Nonostante fosse rimasta incosciente a lungo, aveva profonde occhiaie sotto gli occhi, come se non avesse dormito da giorni. Il suo viso sembrava pallido sotto la luce calda delle fiamme che arrivava dal centro della tenda e i suoi occhi chiari erano lucidi. Non mi sembrava stesse molto meglio, ma per fortuna ora poteva contare sulle cure di una guaritrice.

“Lydia, perché mi hai portato qui? Quella donna mi ucciderà.” Sussurrò. Nella voce non c’era paura, fastidio piuttosto.

Cosa voleva dire? Mi ricordai delle parole di Lady Fortuna: Tu aiuteresti mai una tua rivale? Cosa era successo tra loro due? E come mai si conoscevano così bene da essere nemiche?
“Non lo farebbe mai!” le dissi. “Madre, cosa vuol dire tutto questo?”  

Lei chiuse gli occhi come se fosse nuovamente stanca. “Non mi va di parlarne.”

“Madre!” la chiamai, ma chissà come era sprofondata nel sonno. Rimasi a guardarla per un poco, ma Lady Fortuna mi richiamò. “Lasciala riposare. Vieni ad aiutarmi, piuttosto. Sarebbe utile imparare qualcosa nel caso dovessi trovarti in queste situazioni.”

Gabriel era sparito. Lady Fortuna legava i nostri fiori in un mazzetto da appendere a testa in giù pronto ad essiccarsi. Ne tirò giù un altro e slegandolo prese una manciata di fiori e li immerse in un recipiente di metallo. “Mettilo a cuocere.”

“Lady Fortuna, qual è il vostro vero nome?” le chiesi rendendomi conto di non sapere davvero come si chiamasse.

“Chiedilo a tuo padre. Lui lo saprà.”

La guardai con la fronte aggrottata e le ripetei la domanda che avevo rivolto a mia madre pochi momenti prima. “Cosa vuol dire tutto questo?”

“Lydia, questa non è l’ora ne il momento adatto.” Replicò.

“Devo sapere.”

Si voltò verso di me completamente e mi piantò quei suoi occhi verdi addosso. “Sono d’accordo, ma non ora.” Ripetè con tono più duro. Poi come se non fosse successo niente, sorrise. “Vieni, ti spiego le basi.” 

                                                                                                      

Più tardi ero piena di informazioni.

“Credo che tu sappia quali sono le quattro parti di una pianta che possono servire per curare.” Aveva iniziato Lady Fortuna. “Radici, fusto e foglie, fiori e frutti. Sì, lo so: è piuttosto elementare, ma preferisco partire dall’inizio.”

Naturalmente la cosa migliore sarebbe stata usare sempre piante fresche, ma non era sempre possibile. Si poteva allora conservarle essiccandole. Si potevano dunque, una volta essiccate, frantumare e trasformare in polveri. Ora sapevo la differenza tra impacco e cataplasma, i poteri di una buona tisana e quelli di un decotto e, in teoria, come si preparava uno sciroppo. Gli astri influenzavano i poteri benefici delle piante, quindi era bene cogliere i fiori e le foglie di biancospino solo il martedì, per quanto fosse possibile.

Non sapevo molto altro e nonostante all’inizio non fossi interessata, iniziavo a cogliere il fascino delle piante. Forse era la magia delle parole entusiaste di Lady Fortuna, ma sentivo di aver scoperto un interesse di cui prima non sapevo niente.

Da quando mia madre si era ammalata mi sentivo meglio, più rilassata. Per prima cosa tornai a casa.

Anne mi venne incontro con aria imbronciata. “Mi manda sempre via.” si lamentò.

“Chi, Charlotte?” Lei annuì e io partii spedita tenendola per mano. Mi sembrava strano che Charlotte si comportasse così in questa situazione, per cui quando trovai mia sorella in un intensa discussione con Aleksandr, capii il perché.

Non dissi niente, ma non me ne andai. Charlotte si girò e vidi sollievo ed esasperazione nella sua espressione. “Mandalo via, ti prego.” Mi disse.

Sospirai lanciando un’occhiata al nomade che assunse un’espressione cocciuta e mi guardò con sfida deciso a rimanere. Non avevo idea di come cacciarlo via, per cui dissi solo: “Dovreste risolvere i vostri problemi, una volta per tutte. In bene o in male, Charlotte.”

Lei mi guardò con disperazione e capii: non voleva. Avrebbe voluto rimandare quel momento in eterno.

Non mi chiesero di andarmene e io rimasi pur in imbarazzo. Non volevo lasciare sola Charlotte perché mai mi era sembrata più debole. L’amore forse poteva essere splendido e meraviglioso, ma in quel momento non mi sembrava altro che un’atroce tortura. 

                                                                                                                    

I baci che si scambiarono erano quanto di più ammaliante e inaspettato potessi vedere e rimasi incantata, ma la presenza di Anne mi ricordò che tutto questo era pericoloso. La presi per mano e la portai su per le scale.

Le pettinai i capelli e glieli intrecciai. “Anne, facciamo un gioco.”

“Un gioco nuovo?” chiese improvvisamente eccitata.

Le sorrisi. “Sì, nuovo.”

“Quali sono le regole?” chiese.

Mi abbassai davanti a lei e le dissi: “Devi promettere che non dirai a nessuno di quanto è accaduto giù. Non una parola, neanche a nostra madre. Attenta. Sai cosa succede a chi non mantiene le promesse.”

Lei mi guardò con uno sguardo tanto profondo che per un attimo mi sentii in colpa, poi sorrise. “I folletti del bosco gli rubano la voce.” Disse spaventata.

“Ma tu non corri nessun pericolo, Anne. Tu sei una brava bambina.” Le dissi cercando di non far trapelare quanto quel gioco mi disturbasse.

“Va bene. Prometto che non dirò niente a mamma o a papà. Non dirò niente a nessuno perché questo è un segreto.” Disse con quell’eccitazione tipica dei bambini che possiedono qualcosa di nuovo.

La lasciai a giocare con la sua bambola di stoffa e scesi trovando mia sorella davanti al fuoco con sguardo assente. Dov’era il suo spirito ribelle sempre irrequieto?

Alzò lo sguardo. La abbracciai. Non avevano risolto niente. Quei baci disperati non erano stati un segno di pace, ma di caos. Nessuno dei due aveva davvero abbandonato le proprie posizioni. Aleksandr era deciso a farsi perdonare e a riconquistarla perché, come aveva giurato, era lei che voleva, nessun’altra. Charlotte d’altro canto non voleva accettare quelle sue parole, non voleva e per il momento niente l’avrebbe smossa.

Non parlammo di tutto questo, tuttavia. Non parlammo di niente. Mi disse solo che aveva mandato Thomas giù in città a cercare nostro padre.

Tornando al campo, non riuscivo a non pensare che era un bene che nostra madre non fosse a casa: avrebbe sicuramente notato l’umore di mia sorella. E per questo, non riuscivo a non sentirmi in colpa. 

   
 
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