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Autore: Diana924    07/02/2011    2 recensioni
Quando la sua liberta Flavia viene trovata morta in circostanze misteriose, la matrona Caterina de’Medici non crede a un incidente. Decisa a far luce sul mistero la donna indaga, nella Roma imperiale di Augusto. Perché Flavia era fuori di casa quella notte? Che segreti nasconde la sua schiava?
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Il giorno seguente, dopo una buona dormita e una colazione ancora più frugale del solito, solamente due uova, Caterina de’Medici si decise a recuperare la chiave.

Si diresse verso la vasca dei pesci, a sinistra, e dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, si chinò e immerse la mano, cercando la chiave. Ebbe fortuna al terzo tentativo, quando la sua mano incontrò il metallo della chiave, che stava iniziando ad arrugginirsi.

La esaminò brevemente, era un chiave molto semplice, ordinaria, ma su un lato vi era l’incisione di un grappolo d’uva. L’uva, il vino, e Bacco era il dio del vino.

Corse nella stanza di Flavia e cercò il cofanetto. Lo trovò sotto il suo letto, come Flavia stessa aveva scritto nel suo testamento, lo stesso che lei preso alle vestali; lo prese e lo portò nella sua stanza, dopo aver dato ordine che non la disturbassero.

Veloce infilò la chiave, ma si rese conto che non entrava. Stava già maledicendo Lucio quando provò a  invertire il lato della chiave, e questa volta entrò. Non sarebbe stato necessario forzare la serrature con il pugnale.

Lentamente, per potersi gustare quel momento, aprì il cofanetto e vi vide quello che era custodito al suo interno.

Vi erano un mantello, accuratamente riposto, nero con i bordi ricamati in rosso,una copia della tragedia del greco Euripide “ Le Baccanti “, cosa piuttosto strana, visto che Flavia non sapeva né leggere né scrivere latino, solo in greco, e l’opera che in quel momento lei stringeva tra le mani era scritta in latino e non in greco... Quando sollevò il testo vide una veste, bianca. La prese e rimase senza parole, era macchiata di sangue, e sembrava sangue appena rappreso. Caterina de’Medici lanciò la veste, orripilata, e vide un’altra cosa. Un pugnale, sporco di sangue.

Ebbe paura, per la prima volta da quando aveva iniziato quell’indagine, ebbe seriamente paura.

Flavia aveva conservato quegli oggetti, quegli oggetti sporchi di sangue innocente.

Si voltò, e vide qualcosa che sporgeva dal libro. Si chinò e osservò meglio, era una lettera, infilata nel libro, come ultima speranza. Vi era scritto solo “ I sacerdoti di Bacco e i fedeli più esaltati sono … “ seguiva l’elenco di alcuni sacerdoti del dio e di alcuni cittadini romani, tra cui diversi personaggi importanti.

Dietro quella facciata ce n’era un'altra: “ Queste persone sono colpevoli della morte dei sei persone, di cui non ho mai saputo il nome, sacrificate a Bacco con il pugnale che ho riposto qui vicino ”.

Ecco a cosa le era servito il pugnale che aveva chiesto ad Afro quel giorno in conclusione. Ed ecco spiegata la sua ansia e la sua paura. Si chiese se le avessero chiesto solo di portare l’arma, o se l’avevano costretta a compiere il sacrificio, trasformandola in un’assassina.

Prese il foglio e se lo nascose addosso, poi rimise tutto com’era.

Portò il cofanetto in biblioteca, e là ricopiò su un pezzo di pergamena il messaggio, prese l’originale e lo nascose dentro una pergamena di inni a Giove, che reputò un nascondiglio sicuro.

Mise la copia tra le pagine de “ Le Baccanti ” di Euripide  e per terminare riportò il cofanetto al suo posto, sotto il letto di Flavia.

Era ora di procurarsi dell’altro veleno, era decisamente ora. Dopo c’era la questione della spilla, altrettanto urgente ma anche meno pericolosa.

***

Quella notte, non appena ebbe congedato gli ospiti del suo banchetto, solo tre clienti del suo defunto marito, Caterina de’Medici uscì di casa, avvolta in un mantello nero che le nascondeva il volto.

Doveva andare nella Suburra, dal suo avvelenatore di fiducia, un italico discendente dagli etruschi, Appio Tullio. Era fidato e discreto,  ed era stato incarcerato due volte per avvelenamento e di certo ciò che voleva evitare era finire per la terza volta al temuto carcere Mamertino.

Di notte Roma diveniva una città pericolosa, per questo lei si muoveva con tre schiavi armati di torce, era meglio non rischiare, in ogni stradina buia poteva celarsi un malvivente armato di coltello.

In ogni angolo c’era una prostituta con un cliente, in ogni vicolo un lenone spingeva un ragazzino tra le braccia di uomini che non vedevano l’ora di passare alcuni momenti divertenti con ragazzini che avevano l’età dei figli, o dei nipoti.

E nella Suburra era anche peggio; se negli altri quartieri tutto quello accadeva ben nascosto, lì ogni azione avveniva sotto gli occhi di Selene, la Luna., che non giudicava ma osservava implacabile.

Caterina de’Medici pensò seriamente di usare il pugnale quando un uomo le si avvicinò e le chiese quanto volesse, se non fosse stato per i suoi schiavi che lo allontanarono quell’uomo sarebbe morto. O quando un lenone cercò con tutti i mezzi di venderle per un’ora un ragazzino di circa tredici anni, che la osservava con espressione spaventata e maliziosa allo stesso tempo.

Ma era meglio non distrarsi, non ora che bussava con forza alla porta di Appio Tullio.

L’uomo venne personalmente alla porta, sebbene avesse degli schiavi era convinto che molti di questi potessero essere indiscreti e tradirlo, anche se per errore. L’uomo, capelli biondicci, occhi di un azzurro gelido, era famoso per la sua bravura nel preparare un veleno e anche per la velocità con cui incassava il compenso.

<< Domina, cosa desiderate dal vostro umile servo? >> << Per quale motivo la gente bussa alla vostra porta Appio Tullio? Per quale motivo la gente vi paga? Per quale motivo io sono qui? Per il vostro veleno, il vostro veleno, che non lascia traccia nelle sue vittime, che agisce rapido ed indolore o lentamente e con atroci tormenti per lo sventurato >> fu la risposta di Caterina de’Medici che quella notte si sentiva ispirata dalle Muse, mentre si copriva il volto, in modo che Appio Tullio la riconoscesse.

<< Domina, entrate, la mia casa è sempre aperta per voi >> disse, mentre le faceva strada; lei fece segno agli schiavi di restare nei paraggi, abbastanza vicini da poterla scortare al ritorno, ed entrò.

La casa era spoglia e semplice, senza alcuna decorazione, frugale quasi.

<< Ditemi pur. Come volete che il vostro uomo muoia? >> << Abbastanza lentamente da farmi gustare appieno lo spettacolo, e abbastanza lentamente da non farmi annoiare >> fu la risposta.

<< Penso di avere quello che cercate, domina >> le giunse la voce di Appio Tullio, che si muoveva in quella casa scarsamente illuminata con la bravura di un animale della notte.

Frugò un po’ tra le sue cose e ne emerse con una piccola custodia. << Qui dentro c’è uno dei miei veleni più potenti, domina. Di solito non lo cedo a nessuno, ma voi rappresentate una lodevole eccezione, quindi eccolo qui. E’ una polvere molto sottile, da usare a contatto, o impregnarne le vesti o mescolandola al cibo. Ma attenzione, è molto potente, e letale. E non ha un contro veleno >> disse. Caterina de’Medici capì quel che voleva e gli consegnò un borsellino pieno di monete, che tintinnò quando lui ne soppesò il contenuto.

Poi si voltò, ed uscì da quella casa, con la custodia ben stretta tra le mani, seguita dagli schiavi, che tenevano alte le torce, diretta verso casa, era stata assente anche troppo a lungo.

x  NonnaPapera: forse è innamorato, forse no, vedremo... potrebbe aver rubato, come potrebbe non averlo fatto...

   
 
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