Eternal
Moonglow
capitolo 04:
Diversa
Dopo un tempo
infinito, svanì tutto.
Il dolore, le fiamme, le mie urla. Per qualche attimo prevalse in me la
consapevolezza assoluta che ero finalmente riuscita a fuggire da
quell’inferno.
Mi sembrò di risvegliarmi da un incubo eterno, la mente
completamente sgombra.
E, incredibilmente, molto più spaziosa – o almeno,
così la percepivo io. Ero
ancora immersa nel buio, ma l’oscurità non mi
schiacciava più: avevo soltanto
gli occhi chiusi.
Esalai un respiro profondo, che portò con sé
tantissime fragranze differenti
che riuscii a distinguere perfettamente l’una
dall’altra, contemporaneamente.
Quell’ondata di odori mi distrasse, e per un secondo mi
dimenticai di riaprire
gli occhi.
Eppure avrei potuto farne a meno, perché riuscivo a sentire
ogni singolo rumore
ed ero in grado di percepire ogni minimo movimento intorno a me.
Incredibile.
Qualcosa – o qualcuno – si mosse alla mia destra, e
riprendere padronanza della
vista fu istintivo e istantaneo.
Aprii gli occhi, lo sguardo fisso verso l’alto, in una luce
abbagliante che non
recava alcun fastidio alla mia vista. Nessunissimo fastidio.
Vedevo lo spettro coi sette colori, ogni singolo filamento di luce che
fluttuava in quello spruzzo abbagliante. Spostai la mia attenzione sul
soffitto
costruito in travi di legno, dei quali riuscivo a distinguere ogni
singola
venatura.
Di nuovo, incredibile.
Mi sentivo come se il mio udito, il mio olfatto e la mia vista non
fossero mai
stati così percettivi e perfetti prima di quel momento.
Mi sentivo incredibilmente diversa… Eppure ero sempre io.
Quella nuova consapevolezza mi distrasse del tutto, facendomi
dimenticare di
ciò che mi aveva fatto riaprire gli occhi.
«Bella», sussurrò qualcuno di fianco a
me.
Nello stesso istante, qualcosa di caldo mi toccò la mano.
Balzai in piedi, e in un battito di ciglia – me ne accorsi a
mala pena – mi
ritrovai con le spalle al muro, sulla difensiva. Ma il ragazzo di
fronte a me,
lo avvertivo, non aveva nulla di pericoloso, e mi sentii sciocca per la
mia
reazione.
Anzi, lo sentivo incredibilmente simile a me.
Tese, molto lentamente, una mano verso di me, un sorriso rassicurante
sul suo
volto bellissimo. Qualcosa dentro di me si scosse. Quel volto mi era
incredibilmente familiare…
«Bella», ripeté. «Va tutto
bene, ora. Non avere paura di me», mi disse,
avvicinandosi ancora di più.
Azzardai un passo verso di lui, stendendo il mio braccio per
raggiungere la sua
mano.
«Così, brava», mormorò
dolcemente, mentre le nostre dita si intrecciavano sopra
il lettino che era stato la mia pira.
«Chi sei?», gli domandai, fissando i suoi occhi
dorati. Lui si avvicinò a me, e
la sua dolce fragranza mi inondò completamente.
«Sono Edward, Bella. Non ti ricordi?»,
domandò, senza smettere di sorridermi.
«Hai un volto familiare», mormorai, toccandogli la
guancia senza pensarci. «Ma
non riesco a ricordare chi tu sia».
Il suo sguardo si rabbuiò leggermente, dispiaciuto, ma il
sorriso non abbandonò
le sue labbra.
«Non ti preoccupare, è normale. Immagino che tu ti
senta confusa e che abbia
sete», disse, comprensivo.
Una parte del mio cervello esaminò la parola confusa:
è vero, mi sentivo molto confusa, vuota… Come se
non
avessi presente da dove fossi arrivata. Dove fossi,
chi fossi prima di riaprire gli occhi.
Mi sentivo appena nata, come se alle mie spalle non avessi passato.
Ero completamente smarrita, sola.
Invece la parola sete
mandò
completamente a fuoco la mia gola, tanto che lasciai la mano di Edward
per
afferrarmi il collo, in un inutile tentativo di bloccare
quell’incendio
divampato così improvvisamente.
Era un bruciore così intenso, mi chiesi come mai non fossi
riuscita ad
accorgermene prima. Strinsi gli occhi, emettendo un sibilo basso.
«Questo è… insopportabile»,
soffiai, cercando con tutte le mie forze di
sfruttare la mia nuova mente spaziosa per ignorare quel dolore.
Mi prese il volto tra le mani, guardandomi negli occhi. Questo
bastò, per
qualche strana ragione, a farmi diminuire il fuoco in gola.
«Lo so, Bella, lo so. Presto passerà, ti porteremo
a caccia e la tua gola starà
meglio», mi rassicurò, fissandomi concentrato.
«C-Caccia?», sussurrai, spaesata.
«Sì, servirà a nutrirti e a far passare
la sete. Carlisle sarà con me, e ti
aiuteremo, cacciando con te e insegnandoti come fare. Hai sempre voluto
vedermi
cacciare, no?», disse, sorridendo sulle ultime parole.
Non ricordavo di aver mai desiderato una cosa del genere. Come potevo,
se non
riuscivo nemmeno a ricordarmi chi fosse lui?
«Non ricordo…», risposi.
Fece un risolino, baciandomi la fronte. «Non ti preoccupare,
presto ricorderai
tutto. Ricorderai che io e te…».
«Bella!».
Volsi lo sguardo davanti a me, seguendo quella voce bella, nuova e
limpida. Un
uomo poco più grande di Edward, dai capelli biondi e dal
viso bellissimo, si
fece incontro a noi.
«Carlisle», mormorò Edward come saluto,
facendo scivolare via le mani dal mio
viso e mettendosi al mio fianco.
L’uomo mi posò le mani sulle spalle, sorridendomi.
Anche lui aveva le iridi di
quello strano color oro.
Mi ispirò un’immediata sicurezza.
«Bella, figlia mia, sono così felice che tu sia
qui. Come ti senti?», domandò,
stringendo leggermente la presa sulle mie spalle.
Sorridergli fu spontaneo.
«Mi sento… Bene, direi», risposi,
provando a bilanciare il mio stato d’animo.
«Vedo che la trasformazione è andata a buon fine.
Sei splendida, veramente».
«Trasformazione?», domandai, confusa.
Lo sguardo di Carlisle si fece più serio. Si
voltò leggermente verso Edward.
«Non ricorda nulla?», gli domandò.
Edward scosse la testa in segno di diniego.
«Capisco. Può succedere», disse, poi
tornò a guardarmi. «Avremo il tempo di
spiegarti tutto, Bella, stai tranquilla. Comunque, io sono Carlisle, il
dottore
che lavorava nell’ospedale di Forks».
«Non penso che Bella sappia di cosa stai parlando,
Carlisle», gli fece presente
Edward.
Carlisle gli sorrise, sereno. «Non importa. Più
cose le diciamo, più sarà
facile ricordare, anche se ciò che le dico, ora come ora,
per lei non vuol dire
assolutamente niente. I ricordi si costruiranno di nuovo poco alla
volta, e
tutto tornerà a posto da solo», gli rispose,
fiducioso.
Edward lo guardò qualche secondo, poi annuì.
«Vado a chiamarli», disse al dottore.
Strano, Carlisle non aveva aperto bocca.
Quest’ultimo sondò le mie perplessità e
ridacchiò, mentre Edward usciva dalla stanza.
«Edward sa leggere nel pensiero, Bella. Gli ho detto di
andare a chiamare il
resto della famiglia, per ripresentarteli», mi
informò, posandomi una mano
sulla testa.
«Leggere nel pensiero? Famiglia?», fu tutto quello
che riuscii a dire. Era così
frustrante non sapere ciò di cui stava parlando. Quanti
pezzi avevo perso? E
perché?
«Tranquilla Bella, presto sarà tutto
più chiaro», cercò di tranquillizzarmi
Carlisle, notando la mia agitazione. «Devi soltanto fidarti
di noi, vedrai che
andrà tutto bene».
Annuii, leggermente turbata.
La frustrazione, sommata alla sete che continuava a scorticarmi la
gola, mi
rendeva nervosa.
Mi voltai nell’istante esatto in cui percepii Edward varcare
la soglia.
Lo seguirono due ragazzi, uno biondo dalla chioma leonina, e
l’altro, enorme, coi
capelli ricci, corti e
scuri. Del primo, fece scattare in me l’istinto
dell’autodifesa il fatto che
avesse il viso coperto di cicatrici; del secondo, la stazza.
Il ragazzo biondo mi guardava diffidente e concentrato al tempo stesso,
come se
stesse cercando di studiarmi. Quello moro, invece, mi sorrise
amichevole, ma
restò a distanza.
Dietro di loro, comparvero tre femmine: una era piccolina, il viso
vispo
incorniciato dai capelli corti e neri; la seconda che vidi era
più alta, bionda
e slanciata, veramente bellissima. L’ultima, invece, era poco
più alta della
prima, il dolce viso a cuore incorniciato da folti capelli color
caramello.
Mi guardavano nascoste dagli energumeni davanti a loro; il folletto dai
capelli
corti si sporse da dietro il braccio del ragazzo biondo.
«Emmett, Jasper, tranquilli: non vi farà del male.
È stranamente controllata,
per essere una neonata», disse Carlisle ai due ragazzi.
Il ragazzo biondo – non sapevo se fosse Emmett o Jasper
– mi inchiodò con lo
sguardo, diffidente. «La sento innervosita, Carlisle.
Potrebbe scattare da un
momento all’altro. Sarebbe pericoloso».
Lo guardai, senza capire cosa intendesse. Io? Pericolosa?
Ero parecchio nervosa per via della sete, certo, e anche abbastanza
inquieta…
però se riuscivo a non pensarci, la cosa non mi procurava
poi tanto fastidio.
«Nel caso succedesse, Jasper, saremmo pronti. Non temere per
l’incolumità delle
ragazze: sapranno difendersi, senza fare del male a Bella»,
tentò di nuovo di
rassicurarlo Carlisle.
Jasper lo fissò qualche secondo, combattuto sul da farsi.
Poi si spostò dalla
soglia, facendo entrare le tre ragazze.
Un battito di ciglia, e lo ritrovai dietro di me; mi bloccò
le braccia dietro
la schiena. La mia prima reazione fu quella di levarmelo di dosso, ma
venni
subito invasa da una sensazione di calma che bloccò
l’istinto di autodifesa.
Mi sfuggì un ringhio.
«Piano, Jazz», lo rimproverò Edward.
«Ben ritrovata, Bella», disse al mio orecchio, in
tono più amichevole.
Provai a calmarmi, stringendo i denti. «Ciao,
Jasper».
«Anche se probabilmente non ricorderai nulla, ti chiedo scusa
per ciò che è
successo al tuo compleanno. Sono desolato», aggiunse in tono
più basso. Quella
frase distolse la mia attenzione dal fastidio che mi procurava il fatto
che mi
tenesse così bloccata, e non riuscii a capire cosa
intendesse.
Ma fu soprattutto lo sguardo di Edward, davanti a me, a distrarmi:
un’ombra era
calata sui suoi occhi, e non capii il perché.
«Oh, Bella, quanto tempo!», trillò la
ragazza più piccola, venendomi incontro e
circondandomi il collo con le braccia. Sentii la stretta di Jasper
raddoppiare.
«Mi sei mancata tantissimo», sussurrò
con una nota di dolore nella voce
squillante.
Non seppi come ribattere.
Si staccò da me, guardandomi per qualche istante, poi
ridacchiò. «Uhm, sì,
scusami… Io sono Alice», disse, sorridendomi, poi
mi accarezzò una guancia.
«Eravamo migliori amiche, e spero potremmo esserlo di
nuovo… Ma le previsioni
sono piuttosto rosee!», esclamò, un luccichio
negli occhi.
Poi mi squadrò dalla testa ai piedi. «Sei
spiccicata alle mie visioni, è così
che ti ho sempre vista! Anzi, forse sei ancora più bella e
straordinaria.
Veramente, sei splendida», aggiunse parlando velocemente,
emozionata.
Continuavo a guardarla senza dire niente, sorridendo imbarazzata. Mi
sentivo
così a disagio a non ricordarmi di lei.
«Alice, dalle un po’ di tregua», la
riprese bonaria la giovane donna con i
capelli caramello, avvicinandosi a me.
Alice mi lanciò uno sguardo di scuse e si fece da parte,
così che l’altra
potesse mettersi davanti a me e abbracciarmi.
«Ciao piccola, io sono Esme. Sono così felice di
rivederti», mormorò, mentre mi
stringeva delicatamente. Le sorrisi, a disagio.
La ragazza bionda non si era mossa dalla soglia, e mi guardava in
maniera
ostile, a braccia incrociate.
Al contrario, il ragazzone moro fece due lunghi passi verso di me,
nascondendomi tra le sue braccia in un abbraccio vigoroso.
«Ma guarda chi si rivede! Ciao Bella, io sono Emmett, e
quell’acida là in fondo
è Rosalie», disse, ridacchiando. Rosalie emise un
sibilo contro Emmett.
«Ce l’hai fatta a diventare una di noi, alla fine!
Ti va una sfida a braccio di
ferro?», domandò il ragazzo, strizzandomi un
occhio.
Edward rise, regalandogli un pugno sulla spalla.
«Non ti conviene, Em. È molto più forte
di te, potresti perdere un braccio. E
poi dobbiamo assolutamente portarla a caccia», disse,
guardandomi.
Il fuoco alla gola divampò istantaneo.
Edward mi poggiò una mano sulla spalla, e Jasper
mollò la presa. Scivolò vicino
ad Alice, circondandole la vita con un braccio.
«Io non so come si fa», mormorai, nel panico,
l’istante esatto in cui me ne
resi conto.
«Ci siamo noi apposta, Bella», mi
rassicurò Alice, sorridendomi. «E comunque,
è
molto semplice. Dovrai soltanto lasciarti andare, dovrai seguire
l’istinto».
«Ma cosa andremo a cacciare?», domandai.
«Qualsiasi animale si trovi nella foresta. Nei boschi della
zona abbondano
cervi, e se si è fortunati anche qualche pantera»,
mi rispose Edward,
sorridendomi.
Per qualche strana ragione, la sua risposta mi turbò. Come
se non l’avessi mai
fatto prima, e l’idea di farlo per la prima volta mi
terrorizzasse.
Esme si avvicinò a Carlisle, guardandomi preoccupata.
«Sembra spaventata, Carl», gli sussurrò
nell’orecchio, senza smettere di
guardarmi. «Non pensi che sia meglio
usare…».
Carlisle la interruppe, sorridendole con dolcezza.
«È meglio abituarla sin da ora al nostro stile di
vita», disse, sfiorandole una
guancia.
«Allora non ti dispiacerà se usciamo a modo
mio», esclamò Alice, affiancandomi
e circondandomi le spalle con un braccio. Mi spinse verso la finestra e
l’aprì,
Jasper che continuava a seguirla come un’ombra. Non capii
cosa volesse fare.
Edward volò al mio fianco. «Alice»,
sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
Il folletto lo ignorò, e si rivolse a me con lo sguardo.
«Nel caso te lo stessi chiedendo, Bella, dobbiamo
saltare», mi disse, indicando
la finestra spalancata.
Il paesaggio che si estendeva oltre quel quadrato erano alberi su
alberi. Una
distesa infinita di vegetazione che si protraeva per chilometri,
spezzata,
pochi metri più sotto, da un corso d’acqua che
rompeva il verde.
«Okay», mormorai, continuando a guardar fuori.
Inspirai l’aria, e mi arrivarono alle narici miriadi di odori
diversi: muschio,
tronchi, legno, acqua, aghi di pino, foglie, terra umida, resina,
cespugli…
Ne registrai più che potei e li assimilai, per non
dimenticarmene. Forse,
anch’essi facevano parte del passato che Carlisle mi avrebbe
svelato dopo.
Alice mi diede un colpetto sulla spalla per attirare la mia attenzione.
«Guarda ciò che faccio io, Bella, è
semplicissimo», disse, balzando sul
davanzale. Si voltò verso di me, guardandomi
dall’alto.
«Devi fare un passo avanti, tenendo la gamba sospesa, e
lasciarti cadere nel
vuoto».
Attuò le parole in fatti mentre mi spiegava, e un secondo
dopo aver completato
la frase era già atterrata sul manto verde scuro, qualche
metro più in
basso.
Ero allibita, ma presi il suo posto sul davanzale, fissando un piano
più giù,
indecisa.
«Non preoccuparti Bella, non ti farai niente»,
disse Edward, al mio fianco,
stringendomi la mano. «Saltiamo insieme».
Lo guardai, stiracchiando un sorriso. «Voglio provare da
sola», dissi, poco
convinta.
«Come desideri», asserì con un sorriso.
Lasciai la sua mano, chiudendo gli occhi e facendo un –
inutile – respiro
profondo.
Poi, avanzai un passo nel vuoto lasciandomi cadere, proprio come aveva
appena
fatto Alice.
Per un millesimo di secondo mi sentii inghiottire dal nulla, e il
millesimo
successivo mi ritrovai in piedi e saldamente stabile, proprio come se
fossi
scesa da uno scalino di pochi centimetri.
Riaprii gli occhi, sorpresa, guardando il sorriso smagliante di Alice.
«È vero», esclamai.
«È semplicissimo!». Lei rise, divertita
dalla mia euforia.
Edward, Jasper e Carlisle ci seguirono, atterrando morbidi
sull’erba uno dopo
l’altro.
Li osservai, perplessa. «Ho bisogno di così tanto
aiuto per cacciare?»,
domandai, ansiosa.
«Soltanto perché è la tua prima volta.
A dire il vero pensavamo di
accompagnarti solo io e Carlisle, ma poi Alice ha insistito per
aggregarsi a
noi», spiegò Edward. Guardò Jasper in
modo strano. «Jasper…»,
proferì.
«È soltanto il solito iper-protettivo»,
disse Alice con aria critica, finendo
la frase di Edward.
Jasper fece un breve sorriso. «Solo quando si tratta di
te».
Lei schioccò la lingua ghignando, poi si voltò in
direzione del fiume e
sfrecciò via. Con un salto, lo attraversò in
volo, atterrando sull’altra riva.
«Vieni Bella!», mi chiamò, agitando le
braccia sottili in alto.
Sorrisi, e raccolsi il suo invito, scattando verso di lei.
Ero padrona di ogni singola fibra del mio corpo.
Ogni mio movimento era controllato e straordinariamente preciso, come
se
seguisse uno schema ben definito e non avessi bisogno di sforzarmi per
mantenerlo. Veniva tutto da sé, spontaneamente.
Mi sentivo leggera, nonostante riuscissi ad avvertire la forza vigorosa
e
consistente che mi riempiva, una forza che non mi appesantiva affatto.
Per questo non feci alcuno sforzo a imitare i movimenti di Alice per
saltare il
fiume: con la rincorsa, arrivai fino ai massi che costeggiavano la riva
e vi
saltai sopra, usandoli come trampolino di lancio. Mi librai in volo
senza
alcuno sforzo, e l’atterraggio fu morbido e preciso come
quando ero saltata dal
primo piano.
Fantastico.
«Sei stata bravissima, Bella», si
complimentò Edward, quando ci raggiunse
insieme agli altri.
Mi illuminai. «È stato facile», mi
giustificai, emozionata. «Mi è piaciuto
tanto».
Edward sorrise, intenerito, poi mi appoggiò un braccio sulla
spalla.
«Andiamo», disse, facendo un cenno con la testa in
direzione nord.
Annuii, poco consapevole di ciò che mi stava aspettando, e
sparii assieme a
loro nel verde della foresta.
Angolo
autrice.
Lol ho dovuto buttare un
occhio sui miei vecchi
capitoli per ricordare come intitolavo questo spazio ._. Mama,
che tristezza.
Beh, ecco qui. Dopo la bellezza di sei mesi, Bella ha riaperto gli
occhi.
E’ stato così difficile per me avere a che fare
con questa Bella tutta nuova ‘-‘
Insomma, sì, mi sento strana nei suoi riguardi…
boh.
Mi scuso per le parti descrittive e per la leggera confusione che
può farvi
provare un capitolo del genere, ma è ciò che
prova in questo momento la nuova vampitonna.
Senza ricordi sembra ancora più ameba XD
Niente panico per il vuoto mentale della tonna J presto si
ricorderà tutto! Dopo
la caccia sarà più concentrata, e
riuscirà a ricordare tutto… spero!
Vi chiedo inoltre di pazientare, per rincontrare Jake, almeno un paio
di
capitoli. Il prossimo sarà dedicato alla caccia della tonna,
nonché alle spiegazioni
di Carlisle, penso…
Ma quello dopo, il nostro Jacobbino
bello tornerà in
scena <3
Spero solo di non metterci tanto ç___ç anzi, ne
approfitto per scusarmi del
ritardo…
Sono un disastro T_T ma la colpa è anche di S., che mi
deconcentra perché sta
sempre al centro dei miei pensieri >_< (ahahah
ti amo idiota <3)
Ringrazio infinitamente le persone che hanno recensito, quelle che
hanno
inserito questa storia alle preferite, alle seguite e quelle da
ricordare.
Grazie di cuore, come sempre <3
Alla prossima, e spero presto!
un bacio,
Bea :3