PARTENZE
Appena
sveglio Ace si ritrovò semplicemente
perso, smarrito come quando
da bambino
aveva realizzato che lui non avrebbe mai avuto una vita normale. Era
sdraiato
in un letto che non era il su, con i polsi bendati e la gola secca, ed
era
ancora vivo. Qualcosa, o forse qualcuno doveva essere riuscito ad
intervenire
mandando a monte il suo assurdo ed improvvisato tentativo di togliersi
la vita.
Doveva averlo afferrato in tempo, prima che il vuoto lo inghiottisse.
Intorno a
lui ogni cosa era avvolta nell’oscurità quasi
fosse notte, grazie alle tende
ben chiuse. Chiunque lo avesse salvato voleva essere sicuro che
riposasse per
bene. A fatica, nel buio della stanza il ragazzo riuscì ad
intravedere una
figura assopita, probabilmente Nojiko. Doveva essere stata proprio lei
a
salvarlo, dopo tutto era l’unica nel villaggio a cui
importava qualcosa di lui.
Per gli altri era solo una seccatura, un balordo che era arrivato per
caso e
che avrebbe sicuramente fatto meglio ad andarsene.
La ragazza dormiva appoggiata a lui,
agitata e pallida, eppure bastò un movimento quasi
impercettibile di Ace a
svegliarla.
-
Stai bene? -
Chiese
subito lei, ansiosa. Non vi era
traccia del suo sorriso o della sua solita irruenza, c’era
solo molto dolore
nei suoi occhi. Ace non rispose e distolse lo sguardo.
Nojiko
aprì la bocca per aggiungere
qualcosa, forse una delle sue solite risposte acide, ma la richiuse
subito non
appena si accorse che il viso del ragazzo era bagnato di lacrime.
Aveva fallito, ancora una volta aveva
fallito. Ace chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente
ripercorresse quegli
eventi che aveva invano cercato di dimenticare.
La mente di Ace era tornata molte
volte alla giornata maledetta in cui la sua vita era cambiata a tal
punto da
rendergli intollerabili tutte quelle cose che fino a quel momento aveva
adorato, ma non era mai riuscito a trovare una spiegazione abbastanza
logica
che spiegasse perché lui era vivo e Rufy giaceva sepolto
chissà in quale luogo.
Aveva ripercorso quelle ore a lungo, fino a perderci il senno, ma non
era mai
riuscito a riordinare i fatti in modo che acquistassero senso. Ogni
dettaglio
di quelle ore frenetiche ed assurde era scolpito nella sua memoria: la
prigione, il patibolo e la guerra che si era scatenata. Ovunque
guardasse
vedeva uomini che lottavano, venivano colpiti e morivano a causa sua e
della
sua irruenza. Suo padre, i suoi fratelli, Rufy e persino sconosciuti
personaggi
da poco evasi da Impel Down. Ognuno di loro si trovava in quel luogo
infernale
perché un bel giorno lui aveva avuto l’ardire di
affrontare Barbanera ed aveva
perso. I cadaveri dei pirati e dei giovani marine si contavano
già a centinaia
quando suo fratello lo aveva liberato, sorprendendo tutti quanti.
Nessuno avrebbe
mai scommesso nemmeno una moneta su quel piccolo pirata,
così fastidioso ed
insignificante, eppure lui ci era riuscito. Faticosamente, lottando
contro
nemici ben più forti di lui e contro la fatica era arrivato
fino al patibolo ed
aveva raggiunto il suo scopo. Una volto libero, Ace aveva cercato il
viso di
suo fratello. Nonostante tutto sorrideva, come sempre, orgoglioso di
essere
riuscito ad andare in soccorso del fratello maggiore almeno per una
volta. Guardando
il suo viso così spensierato per un istante soltanto Ace
aveva davvero creduto
che avrebbero potuto farcela ad andarsene da quell’inferno e
a prendere di
nuovo il mare, insieme. Subito dopo era arrivato Akaniu, mettendo fine
a tutte
le speranze. Gli attimi che erano venuti dopo erano così
confusi che il
comandante della seconda flotta di Barbabianca non riusciva ancora a
capirci molto.
Da lì tutto si faceva sfumato e non sapeva con certezza come
erano andate le
cose. Il colpo dell’ammiraglio aveva colpito lui, non
direttamente Rufy. Ace
era sicuro di essere arrivato in tempo per proteggerlo, mettendosi tra
il
fratello e il nemico, ma non era servito a molto. Era stato un colpo
veramente devastante,
tanto che ne portava ancora i segni impressi sulla pelle. Del tatuaggio
che una
volta riempiva tutta la sua schiena era rimasto poco o niente. Mentre
le forze
lo abbandonavano Ace aveva visto Rufy piangere chino su di lui, aveva
sentito
le sue lacrime bagnargli le ferite. Lui era ancora vivo. Conciato male,
depresso e distrutto, ma vivo. Ne era assolutamente certo. Non doveva
essere
stato il colpo dell’ammiraglio a finirlo, forse qualcosa che
era successo dopo
quando lui non era più lì con lui.
Ace era sopravvissuto per caso,
ricordava che le forze lo avevano abbandonato e che tutto era diventato
nero. Subito
dopo l’urto tutti lo avevano creduto morto, anche una strana
ciurma che si era
incaricata di seppellire il suo corpo.
Quando si era svegliato qualche settimana
dopo, si trovava a bordo di una nave che non conosceva dove
c’era un sacco di
gente rumorosa. Ognuno correva su e giù, da poppa a prua.
Tutti urlavano,
oppure ridevano, senza che nessuno si prendesse la briga di farli
smettere. Il
più fuori di testa di tutti sembrava uno strano tizio con i
capelli rossi che
Ace era abbastanza sicuro di avere già visto da qualche
parte prima di quel
momento.
Prima ancora di chiedersi dove fosse
finito, il ragazzo si stupì di essere vivo. Certo, ogni
singolo muscolo, osso e
centimetro del suo corpo gli faceva male, ma era pur sempre vivo.
Ancora
confuso e dolorante, il ragazzo aveva chiesto delle spiegazioni ed uno
strano
tizio gli era letteralmente saltato al collo. Sembrava essere il medico
di
bordo anche se l’aria trasandata, il viso arrossato e la
bottiglia di rum che
teneva tra le mani non gli davano certo un aria professionale e
rassicurante.
-
Il nostro capitano ha portato via
il tuo corpo e quello del vecchio per seppellirvi. Non credevano che tu
potessi
davvero essere sopravvissuto a quel colpo. Sei in gamba, ragazzo.
Davvero. -
Spiegò
l’uomo che doveva essersi
preso cura di lui mentre era incosciente, incredulo, allungando al
ragazzo un
sorso di rum.
-
Mio padre è morto, vero? -
Chiese
Ace, con le lacrime agli occhi
ed il groppo in gola. Non doveva andare così, Barbabianca
doveva diventare il
più grande. Doveva essere lui il Re dei Pirati, non Gol D.
Roger. L’uomo sembrò
esitare, quasi restio a dargli troppe informazioni per non turbarlo.
-
Si ragazzo, l’era di Barbabianca è
finita. -
Decretò
l’uomo alla fine, facendosi
serio.
Era
stato il suo capitano Shank a
pronunciare quelle parole durante la cerimonia funebre del vecchio
pirata. Le
aveva dette con le lacrime agli occhi e l’aria triste di uno
che sta
seppellendo un vecchio amico contro il quale ha lottato, vissuto e
combattuto
per tanti anni. Nessuno aveva parlato, nemmeno Marco. Quello che era
stato il
comandante della prima flotta di Barbabianca era rimasto per qualche
ora a
piangere sulla tomba di suo padre, poi era andato a cercare i suoi
fratelli
lasciando una Vivre Card che avrebbe permesso ad Ace di raggiungerlo
una volta
ripresosi.
-
Che ne è stato del mio fratellino?
-
Chiese
ancora Ace, accorgendosi solo
in quel momento che Rufy non era con lui. Se fosse stato lì
a quel punto gli
sarebbe già saltato al collo. L’uomo
sospirò ancora, prima di bere un lungo
sorso di rum. Sapeva che una volta sveglio il ragazzo avrebbe voluto
sapere
tutto quanto, eppure aveva a lungo pregato il suo capitano e i suoi
compagni perché
non lasciassero a lui quell’incombenza.
-
Trafalgar Law l’ha portato in
salvo, poi di lui si sono perse le tracce. Ha attaccato ancora il
quartiere
generale della marina o almeno quello che ne restava. -
Iniziò
a raccontare l’uomo. La sua
voce era stanca, quella di un uomo che ne aveva viste troppe nella sua
lunga
vita di pirata. Non sembrava nemmeno più lo stesso pirata
che poco prima stava
ridendo e saltando da una parte all’altra.
-
Perché ha fatto una cosa tanto
stupida? -
Chiese
Ace, incredulo, mentre il
pirata gli porgeva un giornale stropicciato. Non lo degnò di
uno sguardo e
tornò a fissare l’uomo. Voleva delle spiegazioni,
doveva capire a tutti i costi
dove si trovava suo fratello per poterlo raggiungere.
-
Nessuno di noi lo sa, ragazzo. -
Sospirò
l’uomo, rimettendosi a sedere.
Sembrava svuotato, apatico.
-
Ora come sta? -
Chiese
ancora il giovane pirata
ferito, stringendo nervosamente i pugni. La sua mente lavorava
frenetica,
cercando di ricostruire quello che doveva essere accaduto. Se Law lo
aveva
portato in salvo voleva dire che Rufy, per quanto malconcio fosse, si
era
salvato. Trafalgar Law era abbastanza famoso per essere un ottimo
chirurgo,
forse addirittura uno tra i migliori di tutta la prima parte della
rotta del
grande blu.
-
Non sappiamo nemmeno questo.. -
Sospirò
ancora l’uomo, voltando lo
sguardo verso la parta opposta della stanza quasi volesse evitare lo
sguardo
del pirata più giovane.
-
Diglielo.. -
Disse
un altro pirata, arrivato da
poco. I due si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, poi il primo
uomo
parlo anticipando la domanda di Ace.
-
La marina lo da per morto. -
Mormorò
il medico, con un’espressione
seria che ferì Ace. Il ragazzo sentì il suo cuore
sussultare, fermarsi e poi
riprendere a battere frenetico. Era semplicemente assurdo, una follia.
Quei due
dovevano essere pazzi. Il troppo sole o forse il rum dovevano avergli
fuso il
cervello tanto che avevano iniziato a straparlare.
-
Non è possibile. -
Esclamò
deciso Ace, agitandosi. Suo
fratello era sopravvissuto a quella carneficina, lui lo aveva difeso e
qualcun
altro era riuscito a portarlo in salvo. Non vi era nessuna ragione per
tornare
al quartiere generale della marina, nessuna. Suo fratello non aveva
nessun
motivo per morire in un modo tanto stupido.
-
Quando lo abbiamo visto noi era
ridotto male. Secondo quanto dice il giornale.. -
Continuò
a spiegare il secondo
pirata, cercando di calmare il ragazzo perché le sue molte
ferite non si
riaprissero. Ancora una volta il Ace non lo lasciò finire la
frase.
-
Balle, lui deve diventare il Re dei
Pirati. Mi capisci? Non può morire.. Che ne sarebbe dei suoi
sogni e dei suoi
compagni se lui.. -
Mormorò
Ace, interrompendo i due
uomini con la voce ormai rotta dalle lacrime.
-
Fatti coraggio ragazzo, la vita è
dura. -
Lo
consolò il pirata, prima di
lasciarlo solo con il suo dolore. Ace pianse a lungo come non aveva mai
fatto
prima di quel momento. Quando si fu calmato notò il giornale
che gli aveva
passato il medico. I fogli erano rovinati, quasi qualcuno ci avesse
versato
molte lacrime, ma si leggeva ancora. Diceva che Rufy era andato al
quartiere
generale della marina, aveva sequestrato un nave, fatto il giro
dell’isola, si
era tolto il suo cappello per ricordare i morti ed aveva suonato la
campana. Di
fianco all’articolo vi era una foto che mostrava suo
fratello. Era ferito,
malconcio e distrutto. Fu allora che capì: Rufy lo credeva
morto. Aveva fatto
quella follia che gli era costata la vita per lui, per cercare di
cancellare
tutto il dolore che stava provando. Con quel pensiero si era
addormentato,
vinto dalla stanchezza. Una volta sveglio aveva trovato ancora il
medico al suo
fianco, ma non gli aveva più chiesto nulla. Voleva solo
guarire e lasciare
quella nave. Dopo qualche settimana di convalescenza decise di mettere
in
pratica il suo piano. I pirati lo avevano implorato di restare con lui,
ma Ace
aveva ringraziato ed era andato per la sua strada, solo. Da allora
aveva
vagato, cambiando continuamente isola e finendo per diventare un
vagabondo. Un
povero alcolizzato che andava di villaggio in villaggio cercando solo
di
sopravvivere alla meglio.
Quando era partito dalla nave di
Shank, declinando la proposta di entrare nella ciurma e rifiutando
Alla fine si era convinto che il
fratellino era davvero morto, ed era subentrata prima la disperazione,
poi il
rimorso di essere stato la causa della sua morte.
Rufy era stato l’unica cosa che aveva
reso la sua vita migliore, e lui lo aveva ucciso trascinandolo in un
guerra ben
più grande di lui.
La voce di Nojiko distolse Ace dai
suoi tristi ricordi, riportandolo alla realtà. La tristezza
sul volto della
ragazza sembrava essere passata ed avere lasciato il posto ad
un’intensa
rabbia. Una furia silenziosa che Ace temeva ma che allo stesso tempo lo
affascinava.
-
Mi senti, straniero? -
Chiese
la ragazza, cercando di
attirare l’attenzione del ragazzo avvolto dalle coperte.
-
Sono una grandissima seccatura,
dovresti lasciarmi stare. -
Mormorò
Ace piano, debolmente, senza
guardarla negli occhi. Non voleva parlare con lei, ne con altri. Non
voleva
nemmeno sapere chi era stato a salvarlo, la cosa per lui non aveva la
minima
importanza.
-
Nemmeno per sogno, sono troppo
testarda. Ti ho capito, sai. Stai male, qualcosa ti manda fuori di
testa. Per
questo sei diventato un vagabondo senza meta, vero? -
Disse
Nojiko, senza arrendersi. La
sua voce era dolce e severa allo stesso tempo. Era decisa a non
arrendersi,
anche se questo voleva dire sopportare l’apatia, il silenzio
e la silenziosa
rabbia del ragazzo per essere stato salvato contro la sua
volontà.
-
Potrebbe essere, il mio passato non
è affare tuo. -
Decretò
Ace, duro. Ancora una volta
sperò che i suoi modi sgarbati allontanassero la ragazza
nonostante immaginasse
fosse inutile.
-
Il tuo passato no, ma il tuo futuro
si. Non ti lascerò buttare via la tua vita. -
Dichiarò
Nojiko, severa. Queste
parole sorpresero Ace, lasciandolo senza parole per un lungo istante.
-
Quindi che farai? -
Chiese
Ace, curioso ed allo stesso
tempo divertito. La delusione per non essere riuscito a mettere fine
alla sua
vita stava pian piano lasciando il posto ad un debole interesse.
-
Partirò, e tu verrai con me.
Viaggiare ti farà bene e sarai sufficientemente impegnato
per smetterla con i
tentati suicidi. -
Disse
la ragazza, fissando il ragazzo
sconosciuto negli occhi. Era decisa, niente avrebbe potuto farla
desistere.
-
Cosa ti fa pensare che io sia
d’accordo con te? -
Chiese
Ace, stupito davanti a tutta
quella determinazione e confuso dalle parole di Nojiko. Era
semplicemente
assurdo che lei avesse deciso di partire. La piantagione della madre
era tutta
la sua vita, non l’avrebbe abbandonata per nulla al mondo.
Alle parole di Ace
la ragazza tentennò, poi lentamente porse allo sconosciuto
un giornale.
-
Mia sorella.. Potrebbe essere nei
guai.. -
Mormorò
lei, indicando un articolo
nel quale comparivano alcuni avvisi di taglia. Il ragazzo
fissò a lungo le
immagini riconoscendo alcuni di quei ragazzi come i compagni di
avventura di
suo fratello. In particolare la ragazza che Nojiko diceva essere sua
sorella
era Nami, la navigatrice dai modi burberi con una sfrenata passione per
il
denaro. Ace lesse velocemente l’articolo, incredulo, mentre
una morsa gli
stringeva il cuore. Ancora una volta si parlava di suo fratello, anche
se
indirettamente. Il giornale diceva che dopo la morte del suo capitano
la ciurma
si era sciolta e che i suoi componenti erano andati incontro a morte
insieme al
loro capitano, anche se i loro cadaveri non erano mai stati ritrovati
dalle
autorità.
-
Va bene, partiamo. -
Mormorò
Ace, scostando le coperte dal
letto. Comunque sarebbe finita quella storia, era determinato a saperne
di più
e a scoprire la verità.
***
Sabo
sbuffò, nascondendo alla folla
festante il suo vero stato d’animo. In realtà era
stanco di tutto quel rumore,
non ne poteva più. La festa in onore del suo nobile, o
presunto tale, gesto
andava avanti da molte ore, praticamente
un’eternità tanto da essere troppo
persino per uno sciacallo come lui. I brindisi, le torte e i canti in
suo onore
si erano sprecati. Il ragazzo aveva persino perso il conto di tutti
coloro ai
quali aveva dovuto raccontare la sua storia, naturalmente ricordandosi
di omettere
il dettaglio che anche lui all’inizio era intenzionato a
rapinare la villa e
che quindi non era capitato lì per caso.
Quando
i suoi nervi erano davvero
molto vicini a cedere, complici anche quei maledetti bambini sorridenti
che gli
ricordavano Rufy, aveva tagliato la corda senza dare troppo
nell’occhio. Si
era ritrovato a vagare per le vie
secondarie del piccolo villaggio ed era finito per arrivare al molo.
Davanti a
lui c’era solamente una fila di grossi navi, pronte a
prendere il mare. Sabo
sospirò, ringraziando che non ce ne fosse nessuna che
assomigliava al grosso
galeone che gli aveva fatto da casa per molti anni della sua vita.
-
Anche tu scappi dalla folla? -
Chiese
una vocina, facendo sobbalzare
il rivoluzionario. Si voltò di scatto e ancora una volta si
ritrovò di fronte
Kaja. La studiò a lungo, sospettoso. Questa volta la ragazza
sembrava
decisamente meno spaventata e più sicura di sé.
Sorrideva, ingenua e felice. Sembrava
una bambina, eccitata dopo una grande avventura. Non era minimamente a
conoscenza del rischio che aveva corso quella notte.
-
Una ragazza che ha appena rischiato
la vita non dovrebbe restare sola in un posto del genere.. -
Mormorò
Sabo, abbozzando un sorriso.
C’era qualcosa in quella ragazza che lo affascinava ed allo
stesso tempo lo
ripugnava. La sua innocenza, la sua ingenuità ed il suo buon
cuore gli
ricordavano allo stesso tempo quanto era malvagio e quanto era stato
buono fino
a prima che la sua vita andasse in frantumi.
-
Un eroe come te invece non dovrebbe
scappare da una festa in suo onore. -
Lo
canzonò lei, sedendosi accanto.
Era molto che il rivoluzionario non parlava con qualcuno da sobrio,
perciò
decise di non allontanarla. Dopo tutto, forse poteva ancora essere
piacevole
riuscire a sostenere una conversazione con qualcuno di abbastanza
intelligente
e colto da non dover rapinare la gente per sopravvivere.
-
Credimi, non sono un eroe. Sono
solo un povero idiota che si è trovato nel momento giusto al
posto giusto. -
Disse
Sabo, sincero, appoggiando la
testa sulle proprie ginocchia. La ragazza sembrò non
prenderlo sul serio,
abbozzò un sorriso e si voltò pensierosa verso le
barche ancorate di fronte a
loro. Il vento faceva ondeggiare le bandiere e stuzzicava le vele,
legate
all’albero maestro. Kaja chiuse gli occhi, assaporando quella
brezza leggera e
piacevole. Sabo la guardava, ammirato e colpevole.
-
Non riesco a smettere di pensare a
quello che è successo. -
Mormorò
lei, fissando il mare. Sabo
sospirò, impacciato. Consolare e tranquillizzare le persone
non era mai stato
il suo forte, specie in quell’occasione.
-
Beh, immagino che sarai ancora
sotto shock. Va a dormire, domani andrà meglio. -
Consigliò
lui, impaziente di rimanere
di nuovo solo insieme ai fantasmi del suo passato.
-
Voglio partire.. -
Esclamò
lei, cogliendo il ragazzo di
sorpresa.
-
Cosa? -
Chiese
Sabo, incredulo, voltandosi
verso la ragazzina ancora persa nella contemplazione
dell’orizzonte. Sembrava
immersa in un bel sogno. Non si rendeva minimamente conto dei pericoli
e dei
rischi a cui sarebbe andata in contro se avesse per davvero messo in
pratica
quell’assurdo desiderio.
-
Si, prendere il mare. -
Spiegò
meglio lei, incredibilmente
seria.
-
Una ragazza come te, da sola, in
balia di tutti i balordi che solcano i mari. È una pazzia.
–
Esclamò
Sabo, scuotendo energicamente
la testa. Una parte di lui avrebbe voluto urlare che era una stupida ed
un’ingenua ma ancora una volta qualcosa lo aveva trattenuto.
Non voleva
spaventarla, ne tanto meno ferirla distruggendo il suo bel sogno.
-
Ci sono anche persone buone, come
te. –
Sospirò
Kaja, sorridendo con un’aria
dolce.
-
Io non sono buono! –
Sibilò
Sabo, alzando la voce. Quelle
parole sembrarono colpire la ragazzina che tuttavia non smise di
sorridere. Sembrava
incredula ed allo stesso tempo confusa.
-
Tu.. Mi hai salvato la vita. –
Disse
Kaja, incredula ed impacciata.
-
No, io volevo rapinare casa tua,
poi ti ho vista ed ho cambiato idea. Quel tizio me lo sono trovato di
fronte
mentre uscivo. –
Ringhiò
Sabo, fuori di sé. Quella
ragazza doveva proprio essere cresciuta tra agi, fasti e ricchezze per
pensare
di poter prendere il mare da sola ed avere sempre qualcuno al suo
fianco pronto
ad aiutarla invece che farle del male.
-
Sei un mostro! -
Urlò
Kaja, allontanandosi di corsa.
Le parole del ragazzo l’avevano sconvolta, se non fosse stato
per l’espressione
seria di Sabo forse non gli avrebbe nemmeno creduto. Un delinquente,
ecco cosa
era. Uno dei tanti bastardi senza cuore sparsi per il mondo e pronti a
fare del
male senza un perché.
-
Te lo avevo detto, no? –
Sospirò
Sabo, rimasto solo. Qualcosa
lo aveva colpito quando Kaja era corsa via, ma non abbastanza da
convincerlo a
seguirla. Il suo orgoglio, o almeno quel poco che ne rimaneva, non era
pronto
ad un gesto del genere.
Prima
ancora che la sua coscienza, o
quanto meno quello che ne restava, iniziasse a protestare, Sabo si rese
conto
di non essere solo.
-
Che è successo, perché la signorina
è corsa via così? –
Chiese
uno dei bambini che
assomigliavano al suo fratellino, ingenuamente, dopo essere saltato
fuori dal
nulla. Doveva essere arrivato poco prima, quando Kaja si stava
già
allontanando. Sicuramente non aveva sentito la sua confessione, oppure
sarebbe
di sicuro corso a chiamare gli abitanti del villaggio per farlo
arrestare.
-
Fatti gli affari tuoi, moccioso. –
Sibilò
Sabo, lottando contro
l’istinto di lanciare il piccolo in acqua.
Il
bimbo sembrò non accorgersi del
tono furibondo e degli istinti omicidi del rivoluzionario o forse si
limitò a
non farci troppo caso. Il piccolo si sistemò meglio gli
occhiali sul naso, si
schiarì la voce e tornò a rivolgersi al ragazzo
più grande.
-
Kaja è una ragazza straordinaria.
Qualche anno fa ha perso i genitori ed stata quasi uccisa dal suo
maggiordomo.
L’hanno salvata dei pirati sgangherati ed un suo amico, un
ragazzo di questo
villaggio che diceva un sacco di bugie. –
Iniziò
a raccontare il bambino con la
voce velata di malinconia per gli orrori che aveva visto Kaja e per
quell’amico
che l’aveva aiutata e che poi era partito. Gli mancava il suo
capitano Usop,
specialmente quando ripensava alle storia che gli raccontava la sera
prima di
andare a letto.
-
Che fine ha fatto questo tizio? –
Chiese
Sabo, pensieroso.
-
Il suo sogno era diventare un
pirata, come suo padre, così ha seguito gli altri. Kaja ha
dato loro una nave
ed ha promesso che avrebbe aspettato il loro ritorno studiando per
diventare
medico. –
Continuò
il piccolo, sospirando. Il
rivoluzionario non rispose, ne si mosse.
-
Grazie per la chiaccherata.. –
Disse
alla fine Sabo, alzandosi e
stiracchiandosi.
-
Dove vai? -
Chiese
il bambino con gli occhi
sgranati per la curiosità.
-
Affari miei, moccioso. -
Sbuffò
il ragazzo, allontanandosi
velocemente prima che al piccolo venisse in mente di raggiungerlo. Le
parole
del bambino avevano fatto sentire Sabo ancora più in colpa
di quanto non si
sentisse già, tanto che aveva deciso di partire il prima
possibile. Aveva fatto
fin troppo male nel poco tempo che si era trattenuto in quel piccolo
villaggio.
Alla
fine lo sciocco era stato lui.
Aveva giudicato Kaja troppo in fretta senza chiedersi se quel sorriso
fosse la
conseguenza di una vita perfetta o piuttosto nascondesse terribili
orrori. Non
doveva essere stato facile per la ragazza tornare a fidarsi delle
persone e lui
aveva finito per rovinare tutto.
Sabo
notò un’ombra sfuggente che lo
seguiva, ma non ci fece troppo caso. Ormai si era abituato ad essere
perennemente seguito da quei terribili bambini, e gli abitanti del
villaggio
erano troppo presi dalla festa per pensare a lui.
-
Aspetta.. –
Disse
una voce alle sua spalle che
non apparteneva ai bambini che lo seguivano di solito.
-
Kaja? Mi spiace.. –
Sussultò
Sabo, stupito di vedere di
nuovo la ragazza. Nei suoi occhi brillava una luce nuova, decisa. Non
sorrideva,
ma non aveva nemmeno lo sguardo ferito di poco prima.
-
Sta zitto, va bene? Tu hai un
debito con me perché mi hai mentito, mi devi un favore.
–
Esclamò
Kaja, decisa a non farsi
interrompere. Malgrado quello che le aveva confessato Sabo, si fidava
ancora di
lui. Nelle sue parole non ci aveva letto la follia di un mostro quanto
la
preoccupazione di un fratello maggiore che prova in tutti i modi a
mettere in
guardia la sorellina testarda e decisa a prendere il mare nonostante
tutto.
- Quindi? –
Chiese
Sabo, curioso di scoprire le
intenzioni della ragazza.
-
Voglio prendere il mare, ritrovare
il mio amico Usop e diventare un grande medico e tu mi accompagnerai,
intesi? –
Esclamò
lei, fissando il
rivoluzionario negli occhi a mo’ di sfida.
-
Credo di si.. -
Rispose
Sabo, sorridendo. Nel volto
deciso della ragazzina il rivoluzionario vedeva un nuovo inizio. Forse
il senso
di colpa per la perdita dei suoi fratelli non si sarebbe mai placato ma
almeno
doveva provare a dare una svolta alla sua vita.
***
Rufy
fissava il mare, aspettando che
la nave delle amazzoni comparisse oltre la linea
dell’orizzonte. Per la prima
volta nella sua vita non era impaziente. Al contrario, una parte di lui
desiderava restare ad allenarsi ancora a lungo. Nonostante i due anni
passati,
gli incredibili progressi e la rinnovata voglia di seguire il suo
sogno, non si
sentiva ancora pronto. Fino a qualche settimana prima si era illuso di
avercela
fatta, ma era bastato che arrivasse l’ultimo giorno
perché le sue certezze
andassero definitivamente in frantumi.
-
Ehi, moccioso.. –
Chiamò
la voce dello spirito
dell’isola mentre lei compariva da un cespuglio, silenziosa e
discreta come suo
solito. Il ragazzo la guardò a lungo, colpito. Decisamente
si trattava di una
creatura pericolosa, era una fortuna che non avesse intenzione di
fargli del
male. Probabilmente non sarebbe riuscito a difendersi sai suoi
attacchi. La sua
forza non era umana, andava al di là delle
possibilità di chiunque.
-
Keira, ancora tu? -
Chiese
Rufy, sorridendo. Dopo il loro
primo incontro il ragazzo di gomma l’aveva intravista molte
altre volte ma non
ci aveva più parlato. Molte volte gli era parso che lei
stesse per venire da
lui, ma qualcosa sembrava sempre bloccarla. Lui non si era mai fatto
troppe
domande. Dopo tutto Rey lo aveva lasciato sull’isola per
diventare più forte ed
ogni cosa che lo distraeva dall’allenamento non lo aiutava di
certo. Ogni volta
che il sole tramontava Rufy si rendeva conto che il tempo che gli era
stato
concesso stava per finire e che di lì a poco avrebbe dovuto
riprendere a fare i
conti con il mondo intero per dimostrare se era abbastanza forte da
difendere
sia il suo sogno che i suoi compagni.
-
Sono passati sei mesi dal nostro
incontro.. -
Iniziò
lei, seria, quasi si fosse
preparata quel discorso nei minimi dettagli.
-
Quindi? –
Chiese
Rufy, ingenuamente. Keira
sospirò, quasi fosse rassegnata a quella conversazione.
Sapeva che i mostri che
avevano tenuto in ostaggio il cuore del ragazzo per quei due anni erano
ancora
tutti lì, ma era arrivato il momento di vincerli per tornare
dai suoi compagni.
Lei era l’unica che poteva aiutarlo, oppure il suo destino
non si sarebbe mai
compiuto. Se non fosse partito quel giorno, il suo futuro e quello dei
suoi
fratelli sarebbe cambiato.
-
Che uniti all’altro anno e mezzo
che hai passato qui fanno due anni. Non credi che sia ora di tornare?
–
Concluse
Keira, fissando seria il
ragazzo di gomma. Rufy sospirò, distogliendo lo sguardo.
-
Come sai tutto questo? Solo i miei
compagni potevano capire il messaggio. –
Esclamò
Rufy, stupito, quasi temendo
una risposta.
-
Io leggo nel cuore degli umani
anche senza il loro permesso. Vedo ogni cosa, i loro sentimenti, il
futuro ed
anche il passato. –
Spiegò
lei, con un sorriso enigmatico
dipinto sul volto. Per tutto il tempo che il ragazzo si era fermato
sull’isola
lei lo aveva osservato ed aveva letto il suo passato ed il suo futuro.
Rufy
sorrise ed abbassò la testa.
-
Sai ogni cosa di me, non è vero? –
Chiese
il ragazzo, divertito. Per
tutto quel tempo lei non gli aveva più parlato
perché non gli serviva. Keira
sapeva già tutto di lui nel momento stesso in cui era
arrivato in quel posto
selvaggio insieme a Rey.
-
Torna dai tuoi amici e continua il
tuo viaggio, cosa aspetti? –
Disse
Keira, distogliendo lo sguardo.
Era la prima volta che gli spiaceva vedere partire un umano. Ne aveva
visti
parecchi su quell’isola negli anni. Molti erano morti, altri
li aveva uccisi
lei. Pochi erano partiti e fino a quel momento non aveva mai sentito la
mancanza di nessuno di loro. Quello strano ragazzetto, tuttavia,
l’aveva
colpita. Non lo avrebbe mai dimenticato, ne era sicura.
-
Se hai visto il mio passato allora
conosci le mie paure.. –
Iniziò
Rufy, serio come mai era stato
in tutta la sua vita. Voleva davvero tornare dai suoi amici,
l’unica famiglia
che gli restava, ma allo stesso tempo aveva paura di non essere
all’altezza. Non
avrebbe sopportato di perderli di nuovo, per colpa della sua debolezza.
-
Credi che se rimarrai tutta la vita
su questa isola sperduta proteggerai i tuoi compagni? Loro si aspettano
di
vederti tornare.. Davvero li vuoi deludere? –
Chiese
Keira, tornando a fissarlo
negli occhi. Rufy sospirò e si lasciò cadere a
terra. Deludere i suoi compagni
era doloroso almeno quanto perderli.
-
Li ho già delusi. Ho promesso che
sarei stato il più forte e mi hanno sconfitto. Ho deluso
anche i miei
fratelli.. -
Mormorò
Rufy a testa bassa, le mani
strette intorno ad una foto sbiadita che ritraeva tre bambini,
sorridenti e
decisi. Keira sospirò, rassegnata.
-
Tipico di voi umani, piangervi
sempre addosso. Assurdo, davvero inspiegabile. Avanti, tieni e
sparisci. –
Esclamò
Keira, lanciando un ciondolo
al ragazzo di gomma. Si trattava di una pietra azzurra, molto semplice
eppure
allo stesso tempo misteriosa. In alcuni punti aveva delle venature
verdi, in
altri sembrava virare verso il marrone ed il nero.
-
Che cosa mi hai dato? –
Chiese
Rufy, studiando a lungo la
forma bizzarra della pietra.
-
Nel ciondolo è racchiusa l’essenza
di questa isola, portalo sempre con te. –
Rispose
Keira, solenne.
-
Perché? -
Chiese
ancora il ragazzo, curioso.
-
Gli spiriti hanno i loro segreti,
ricordi? –
Mormorò
Keira, sorridendo. Non poteva
svelare di più al ragazzo, ma era certa che il suo dono gli
sarebbe stato molto
utili in futuro.
-
Beh, allora grazie. Ho perso già
troppo tempo, dovrò sbrigarmi se voglio arrivare prima dei
miei compagni. –
Esclamò
Rufy, fissando la barca
appena comparsa che stava arrivando a prenderlo.
-
Fa con calma, Zoro è già arrivato. –
Mormorò
Keira, voltandosi per tornare
nella foresta.
-
Zoro? Ma si perde sempre.. –
Mormorò
Rufy, scuotendo la testa. Era
semplicemente impossibile che Zoro arrivasse per primo. Forse Nami,
oppure
Sanji e Usop, ma Zoro proprio no.
-
Il primo ufficiale arriva sempre
prima del suo capitano, per prendersi cura dei compagni in sua attesa.
-
Spiegò Keira mentre il suo corpo spariva dalla vista di Rufy, lasciandolo pieno di dubbi ma con la certezza che era finalmente tornato il solito ragazzo di gomma di sempre.
ANGOLO DELL'AUTRICE
Per prima cosa, grazie di avere letto la mia storia fino a questo punto. Spero di non avere deluso le vostre aspettative!
Kuruccha: grazie mille!
Sabo è la grande incognita di questa storia, nel senso che
non so bene nemmeno io se sia credibile o meno. Con Ace e Rufy
è decisamente più facile! Per quanto riguarda
Ace, niente paura, basta depressione. Ti assicuro che da ora
tornerà ad essere deciso e determinato! Spero che
questo capitolo ti sia piaciuto!
Tre_88: grazie mille!
Spero che ora sia tutto più chiaro, almeno per quanto
riguarda Ace. Se hai altri dubbi, esponili pure! Attualmente Nojiko non
ha ancora detto nulla di Nami ed Ace non gli ha detto che la conosce
per non turbarla. Della serie: "Si, tua sorella.. la navigratrice di
mio fratello morto" non è la frase migliore per iniziare una
conversazione! Ad ogni modo, almeno Rufy è tornato
quello di sempre.
Per quanto riguarda il prologo, si, alla fine si incontreranno per davvero!
Raffa_chan: grazie mille!
prima che si incontrino credo che passerà ancora un po', ad
ogni modo hanno preso tutti e tre il mare.. è un inizio,
no?
Brando: grazie mille!
alla fine Ace ha capito chi è Nojiko, ma non gli dice di
conoscere Nami. Nel prossimo capitolo tornerà la ciurma,
contenta?
Akemichan: grazie mille!
Si, niente coppie. Non sono abbastanza romantica e sdolcinata per
gestire una coppia, figurarsi tre! no, non fa per me! Mi spiace che non
ti vada troppo giù Sabo, spero ad ogni modo che sia almeno
un minimo credibile.