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Autore: sihu    08/02/2011    6 recensioni
La loro non era mai stata una vita facile, mai.
Fin da quando erano venuti al mondo avevano dovuto fare i conti con la crudeltà delle persone, sperimentando fin da subito l’isolamento e l’abbandono. Per gli altri non erano altro che rifiuti della società, i figli del demonio.
Trovare un motivo per tirare avanti ogni santo giorno, magari sorridendo, non per niente facile. A volte neppure per un tipo vulcanico come Rufy.
Era lui il vero fulcro del trio. Nei momenti peggiori ai due fratelli più grandi bastava guardarlo ridere, ingenuo come quando era bambino, per trovare il coraggio di continuare a sfidare il mondo. Tutto sommato si era sempre trattato di uno scambio piuttosto equo: i due fratelli più grandi insegnavano al piccolo a vivere, lui li faceva ridere e li metteva di buon umore.
Ora però, ogni cosa è andata persa; il trio è distrutto.
Tre uomini sull’orlo del baratro incontrano tre donne destinate ad influenzare le loro vite, sia nel bene che nel male. Riusciranno i tre fratelli a tenere fede alla promessa?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- 4 -

PARTENZE

Appena sveglio Ace si ritrovò semplicemente perso, smarrito come quando da bambino aveva realizzato che lui non avrebbe mai avuto una vita normale. Era sdraiato in un letto che non era il su, con i polsi bendati e la gola secca, ed era ancora vivo. Qualcosa, o forse qualcuno doveva essere riuscito ad intervenire mandando a monte il suo assurdo ed improvvisato tentativo di togliersi la vita. Doveva averlo afferrato in tempo, prima che il vuoto lo inghiottisse. Intorno a lui ogni cosa era avvolta nell’oscurità quasi fosse notte, grazie alle tende ben chiuse. Chiunque lo avesse salvato voleva essere sicuro che riposasse per bene. A fatica, nel buio della stanza il ragazzo riuscì ad intravedere una figura assopita, probabilmente Nojiko. Doveva essere stata proprio lei a salvarlo, dopo tutto era l’unica nel villaggio a cui importava qualcosa di lui. Per gli altri era solo una seccatura, un balordo che era arrivato per caso e che avrebbe sicuramente fatto meglio ad andarsene.
La ragazza dormiva appoggiata a lui, agitata e pallida, eppure bastò un movimento quasi impercettibile di Ace a svegliarla.

- Stai bene? -

Chiese subito lei, ansiosa. Non vi era traccia del suo sorriso o della sua solita irruenza, c’era solo molto dolore nei suoi occhi. Ace non rispose e distolse lo sguardo.   

Nojiko aprì la bocca per aggiungere qualcosa, forse una delle sue solite risposte acide, ma la richiuse subito non appena si accorse che il viso del ragazzo era bagnato di lacrime.
Aveva fallito, ancora una volta aveva fallito. Ace chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente ripercorresse quegli eventi che aveva invano cercato di dimenticare.

 
La mente di Ace era tornata molte volte alla giornata maledetta in cui la sua vita era cambiata a tal punto da rendergli intollerabili tutte quelle cose che fino a quel momento aveva adorato, ma non era mai riuscito a trovare una spiegazione abbastanza logica che spiegasse perché lui era vivo e Rufy giaceva sepolto chissà in quale luogo. Aveva ripercorso quelle ore a lungo, fino a perderci il senno, ma non era mai riuscito a riordinare i fatti in modo che acquistassero senso. Ogni dettaglio di quelle ore frenetiche ed assurde era scolpito nella sua memoria: la prigione, il patibolo e la guerra che si era scatenata. Ovunque guardasse vedeva uomini che lottavano, venivano colpiti e morivano a causa sua e della sua irruenza. Suo padre, i suoi fratelli, Rufy e persino sconosciuti personaggi da poco evasi da Impel Down. Ognuno di loro si trovava in quel luogo infernale perché un bel giorno lui aveva avuto l’ardire di affrontare Barbanera ed aveva perso. I cadaveri dei pirati e dei giovani marine si contavano già a centinaia quando suo fratello lo aveva liberato, sorprendendo tutti quanti. Nessuno avrebbe mai scommesso nemmeno una moneta su quel piccolo pirata, così fastidioso ed insignificante, eppure lui ci era riuscito. Faticosamente, lottando contro nemici ben più forti di lui e contro la fatica era arrivato fino al patibolo ed aveva raggiunto il suo scopo. Una volto libero, Ace aveva cercato il viso di suo fratello. Nonostante tutto sorrideva, come sempre, orgoglioso di essere riuscito ad andare in soccorso del fratello maggiore almeno per una volta. Guardando il suo viso così spensierato per un istante soltanto Ace aveva davvero creduto che avrebbero potuto farcela ad andarsene da quell’inferno e a prendere di nuovo il mare, insieme. Subito dopo era arrivato Akaniu, mettendo fine a tutte le speranze. Gli attimi che erano venuti dopo erano così confusi che il comandante della seconda flotta di Barbabianca non riusciva ancora a capirci molto. Da lì tutto si faceva sfumato e non sapeva con certezza come erano andate le cose. Il colpo dell’ammiraglio aveva colpito lui, non direttamente Rufy. Ace era sicuro di essere arrivato in tempo per proteggerlo, mettendosi tra il fratello e il nemico, ma non era servito a molto. Era stato un colpo veramente devastante, tanto che ne portava ancora i segni impressi sulla pelle. Del tatuaggio che una volta riempiva tutta la sua schiena era rimasto poco o niente. Mentre le forze lo abbandonavano Ace aveva visto Rufy piangere chino su di lui, aveva sentito le sue lacrime bagnargli le ferite. Lui era ancora vivo. Conciato male, depresso e distrutto, ma vivo. Ne era assolutamente certo. Non doveva essere stato il colpo dell’ammiraglio a finirlo, forse qualcosa che era successo dopo quando lui non era più lì con lui.
Ace era sopravvissuto per caso, ricordava che le forze lo avevano abbandonato e che tutto era diventato nero. Subito dopo l’urto tutti lo avevano creduto morto, anche una strana ciurma che si era incaricata di seppellire il suo corpo.
Quando si era svegliato qualche settimana dopo, si trovava a bordo di una nave che non conosceva dove c’era un sacco di gente rumorosa. Ognuno correva su e giù, da poppa a prua. Tutti urlavano, oppure ridevano, senza che nessuno si prendesse la briga di farli smettere. Il più fuori di testa di tutti sembrava uno strano tizio con i capelli rossi che Ace era abbastanza sicuro di avere già visto da qualche parte prima di quel momento.
Prima ancora di chiedersi dove fosse finito, il ragazzo si stupì di essere vivo. Certo, ogni singolo muscolo, osso e centimetro del suo corpo gli faceva male, ma era pur sempre vivo. Ancora confuso e dolorante, il ragazzo aveva chiesto delle spiegazioni ed uno strano tizio gli era letteralmente saltato al collo. Sembrava essere il medico di bordo anche se l’aria trasandata, il viso arrossato e la bottiglia di rum che teneva tra le mani non gli davano certo un aria professionale e rassicurante.

- Il nostro capitano ha portato via il tuo corpo e quello del vecchio per seppellirvi. Non credevano che tu potessi davvero essere sopravvissuto a quel colpo. Sei in gamba, ragazzo. Davvero. -

Spiegò l’uomo che doveva essersi preso cura di lui mentre era incosciente, incredulo, allungando al ragazzo un sorso di rum.

- Mio padre è morto, vero? -

Chiese Ace, con le lacrime agli occhi ed il groppo in gola. Non doveva andare così, Barbabianca doveva diventare il più grande. Doveva essere lui il Re dei Pirati, non Gol D. Roger. L’uomo sembrò esitare, quasi restio a dargli troppe informazioni per non turbarlo.

- Si ragazzo, l’era di Barbabianca è finita. -

Decretò l’uomo alla fine, facendosi serio.

Era stato il suo capitano Shank a pronunciare quelle parole durante la cerimonia funebre del vecchio pirata. Le aveva dette con le lacrime agli occhi e l’aria triste di uno che sta seppellendo un vecchio amico contro il quale ha lottato, vissuto e combattuto per tanti anni. Nessuno aveva parlato, nemmeno Marco. Quello che era stato il comandante della prima flotta di Barbabianca era rimasto per qualche ora a piangere sulla tomba di suo padre, poi era andato a cercare i suoi fratelli lasciando una Vivre Card che avrebbe permesso ad Ace di raggiungerlo una volta ripresosi.

- Che ne è stato del mio fratellino? -

Chiese ancora Ace, accorgendosi solo in quel momento che Rufy non era con lui. Se fosse stato lì a quel punto gli sarebbe già saltato al collo. L’uomo sospirò ancora, prima di bere un lungo sorso di rum. Sapeva che una volta sveglio il ragazzo avrebbe voluto sapere tutto quanto, eppure aveva a lungo pregato il suo capitano e i suoi compagni perché non lasciassero a lui quell’incombenza.

- Trafalgar Law l’ha portato in salvo, poi di lui si sono perse le tracce. Ha attaccato ancora il quartiere generale della marina o almeno quello che ne restava. -

Iniziò a raccontare l’uomo. La sua voce era stanca, quella di un uomo che ne aveva viste troppe nella sua lunga vita di pirata. Non sembrava nemmeno più lo stesso pirata che poco prima stava ridendo e saltando da una parte all’altra.

- Perché ha fatto una cosa tanto stupida? -

Chiese Ace, incredulo, mentre il pirata gli porgeva un giornale stropicciato. Non lo degnò di uno sguardo e tornò a fissare l’uomo. Voleva delle spiegazioni, doveva capire a tutti i costi dove si trovava suo fratello per poterlo raggiungere.

- Nessuno di noi lo sa, ragazzo. -

Sospirò l’uomo, rimettendosi a sedere. Sembrava svuotato, apatico.

- Ora come sta? -

Chiese ancora il giovane pirata ferito, stringendo nervosamente i pugni. La sua mente lavorava frenetica, cercando di ricostruire quello che doveva essere accaduto. Se Law lo aveva portato in salvo voleva dire che Rufy, per quanto malconcio fosse, si era salvato. Trafalgar Law era abbastanza famoso per essere un ottimo chirurgo, forse addirittura uno tra i migliori di tutta la prima parte della rotta del grande blu.

- Non sappiamo nemmeno questo.. -

Sospirò ancora l’uomo, voltando lo sguardo verso la parta opposta della stanza quasi volesse evitare lo sguardo del pirata più giovane.

- Diglielo.. -

Disse un altro pirata, arrivato da poco. I due si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, poi il primo uomo parlo anticipando la domanda di Ace.

- La marina lo da per morto. -

Mormorò il medico, con un’espressione seria che ferì Ace. Il ragazzo sentì il suo cuore sussultare, fermarsi e poi riprendere a battere frenetico. Era semplicemente assurdo, una follia. Quei due dovevano essere pazzi. Il troppo sole o forse il rum dovevano avergli fuso il cervello tanto che avevano iniziato a straparlare.

- Non è possibile. -

Esclamò deciso Ace, agitandosi. Suo fratello era sopravvissuto a quella carneficina, lui lo aveva difeso e qualcun altro era riuscito a portarlo in salvo. Non vi era nessuna ragione per tornare al quartiere generale della marina, nessuna. Suo fratello non aveva nessun motivo per morire in un modo tanto stupido.

- Quando lo abbiamo visto noi era ridotto male. Secondo quanto dice il giornale.. -

Continuò a spiegare il secondo pirata, cercando di calmare il ragazzo perché le sue molte ferite non si riaprissero. Ancora una volta il Ace non lo lasciò finire la frase.

- Balle, lui deve diventare il Re dei Pirati. Mi capisci? Non può morire.. Che ne sarebbe dei suoi sogni e dei suoi compagni se lui.. -

Mormorò Ace, interrompendo i due uomini con la voce ormai rotta dalle lacrime.

- Fatti coraggio ragazzo, la vita è dura. -

Lo consolò il pirata, prima di lasciarlo solo con il suo dolore. Ace pianse a lungo come non aveva mai fatto prima di quel momento. Quando si fu calmato notò il giornale che gli aveva passato il medico. I fogli erano rovinati, quasi qualcuno ci avesse versato molte lacrime, ma si leggeva ancora. Diceva che Rufy era andato al quartiere generale della marina, aveva sequestrato un nave, fatto il giro dell’isola, si era tolto il suo cappello per ricordare i morti ed aveva suonato la campana. Di fianco all’articolo vi era una foto che mostrava suo fratello. Era ferito, malconcio e distrutto. Fu allora che capì: Rufy lo credeva morto. Aveva fatto quella follia che gli era costata la vita per lui, per cercare di cancellare tutto il dolore che stava provando. Con quel pensiero si era addormentato, vinto dalla stanchezza. Una volta sveglio aveva trovato ancora il medico al suo fianco, ma non gli aveva più chiesto nulla. Voleva solo guarire e lasciare quella nave. Dopo qualche settimana di convalescenza decise di mettere in pratica il suo piano. I pirati lo avevano implorato di restare con lui, ma Ace aveva ringraziato ed era andato per la sua strada, solo. Da allora aveva vagato, cambiando continuamente isola e finendo per diventare un vagabondo. Un povero alcolizzato che andava di villaggio in villaggio cercando solo di sopravvivere alla meglio.
Quando era partito dalla nave di Shank, declinando la proposta di entrare nella ciurma e rifiutando la Vivre Card del suo amico Marco, era davvero intenzionato a ritrovare il suo fratellino. Ci credeva davvero, allora. Voleva a tutti i costi dimostrare che era ancora vivo, che marina ed il mondo si stavano sbagliando. Non c’erano prove che Rufy fosse morto tranne la parola della marina e uno stupido articolo sul giornale. Una voce dentro di lui gli diceva di sperare e di non arrendersi, e così lui aveva fatto. Aveva cominciato a cercarlo dove era stato visto per l’ultima volta insieme ai suoi compagni, l’arcipelago Sabaody, ma nessuno aveva saputo aiutarlo. Tutto quello che aveva trovato era stato un gruppo di briganti di bassa lega che difendeva una nave con la bandiera dei pirati di Cappello di Paglia. Una nave abbastanza grande, che Ace non aveva mai visto.  Non si era arreso, aveva continuato ad indagare imbattendosi solo in risposte vaghe. Nessuno sapeva nulla.
Alla fine si era convinto che il fratellino era davvero morto, ed era subentrata prima la disperazione, poi il rimorso di essere stato la causa della sua morte.
Rufy era stato l’unica cosa che aveva reso la sua vita migliore, e lui lo aveva ucciso trascinandolo in un guerra ben più grande di lui.

 
La voce di Nojiko distolse Ace dai suoi tristi ricordi, riportandolo alla realtà. La tristezza sul volto della ragazza sembrava essere passata ed avere lasciato il posto ad un’intensa rabbia. Una furia silenziosa che Ace temeva ma che allo stesso tempo lo affascinava.

- Mi senti, straniero? -

Chiese la ragazza, cercando di attirare l’attenzione del ragazzo avvolto dalle coperte.

- Sono una grandissima seccatura, dovresti lasciarmi stare. -

Mormorò Ace piano, debolmente, senza guardarla negli occhi. Non voleva parlare con lei, ne con altri. Non voleva nemmeno sapere chi era stato a salvarlo, la cosa per lui non aveva la minima importanza.

- Nemmeno per sogno, sono troppo testarda. Ti ho capito, sai. Stai male, qualcosa ti manda fuori di testa. Per questo sei diventato un vagabondo senza meta, vero? -

Disse Nojiko, senza arrendersi. La sua voce era dolce e severa allo stesso tempo. Era decisa a non arrendersi, anche se questo voleva dire sopportare l’apatia, il silenzio e la silenziosa rabbia del ragazzo per essere stato salvato contro la sua volontà.

- Potrebbe essere, il mio passato non è affare tuo. -

Decretò Ace, duro. Ancora una volta sperò che i suoi modi sgarbati allontanassero la ragazza nonostante immaginasse fosse inutile.

- Il tuo passato no, ma il tuo futuro si. Non ti lascerò buttare via la tua vita. -

Dichiarò Nojiko, severa. Queste parole sorpresero Ace, lasciandolo senza parole per un lungo istante.

- Quindi che farai? -

Chiese Ace, curioso ed allo stesso tempo divertito. La delusione per non essere riuscito a mettere fine alla sua vita stava pian piano lasciando il posto ad un debole interesse.

- Partirò, e tu verrai con me. Viaggiare ti farà bene e sarai sufficientemente impegnato per smetterla con i tentati suicidi. -

Disse la ragazza, fissando il ragazzo sconosciuto negli occhi. Era decisa, niente avrebbe potuto farla desistere.

- Cosa ti fa pensare che io sia d’accordo con te? -

Chiese Ace, stupito davanti a tutta quella determinazione e confuso dalle parole di Nojiko. Era semplicemente assurdo che lei avesse deciso di partire. La piantagione della madre era tutta la sua vita, non l’avrebbe abbandonata per nulla al mondo. Alle parole di Ace la ragazza tentennò, poi lentamente porse allo sconosciuto un giornale.

- Mia sorella.. Potrebbe essere nei guai.. -

Mormorò lei, indicando un articolo nel quale comparivano alcuni avvisi di taglia. Il ragazzo fissò a lungo le immagini riconoscendo alcuni di quei ragazzi come i compagni di avventura di suo fratello. In particolare la ragazza che Nojiko diceva essere sua sorella era Nami, la navigatrice dai modi burberi con una sfrenata passione per il denaro. Ace lesse velocemente l’articolo, incredulo, mentre una morsa gli stringeva il cuore. Ancora una volta si parlava di suo fratello, anche se indirettamente. Il giornale diceva che dopo la morte del suo capitano la ciurma si era sciolta e che i suoi componenti erano andati incontro a morte insieme al loro capitano, anche se i loro cadaveri non erano mai stati ritrovati dalle autorità.

- Va bene, partiamo. -

Mormorò Ace, scostando le coperte dal letto. Comunque sarebbe finita quella storia, era determinato a saperne di più e a scoprire la verità.

***

Sabo sbuffò, nascondendo alla folla festante il suo vero stato d’animo. In realtà era stanco di tutto quel rumore, non ne poteva più. La festa in onore del suo nobile, o presunto tale, gesto andava avanti da molte ore, praticamente un’eternità tanto da essere troppo persino per uno sciacallo come lui. I brindisi, le torte e i canti in suo onore si erano sprecati. Il ragazzo aveva persino perso il conto di tutti coloro ai quali aveva dovuto raccontare la sua storia, naturalmente ricordandosi di omettere il dettaglio che anche lui all’inizio era intenzionato a rapinare la villa e che quindi non era capitato lì per caso.

Quando i suoi nervi erano davvero molto vicini a cedere, complici anche quei maledetti bambini sorridenti che gli ricordavano Rufy, aveva tagliato la corda senza dare troppo nell’occhio.  Si era ritrovato a vagare per le vie secondarie del piccolo villaggio ed era finito per arrivare al molo. Davanti a lui c’era solamente una fila di grossi navi, pronte a prendere il mare. Sabo sospirò, ringraziando che non ce ne fosse nessuna che assomigliava al grosso galeone che gli aveva fatto da casa per molti anni della sua vita.

- Anche tu scappi dalla folla? -

Chiese una vocina, facendo sobbalzare il rivoluzionario. Si voltò di scatto e ancora una volta si ritrovò di fronte Kaja. La studiò a lungo, sospettoso. Questa volta la ragazza sembrava decisamente meno spaventata e più sicura di sé. Sorrideva, ingenua e felice. Sembrava una bambina, eccitata dopo una grande avventura. Non era minimamente a conoscenza del rischio che aveva corso quella notte.

- Una ragazza che ha appena rischiato la vita non dovrebbe restare sola in un posto del genere.. -

Mormorò Sabo, abbozzando un sorriso. C’era qualcosa in quella ragazza che lo affascinava ed allo stesso tempo lo ripugnava. La sua innocenza, la sua ingenuità ed il suo buon cuore gli ricordavano allo stesso tempo quanto era malvagio e quanto era stato buono fino a prima che la sua vita andasse in frantumi.

- Un eroe come te invece non dovrebbe scappare da una festa in suo onore. -

Lo canzonò lei, sedendosi accanto. Era molto che il rivoluzionario non parlava con qualcuno da sobrio, perciò decise di non allontanarla. Dopo tutto, forse poteva ancora essere piacevole riuscire a sostenere una conversazione con qualcuno di abbastanza intelligente e colto da non dover rapinare la gente per sopravvivere.

- Credimi, non sono un eroe. Sono solo un povero idiota che si è trovato nel momento giusto al posto giusto. -

Disse Sabo, sincero, appoggiando la testa sulle proprie ginocchia. La ragazza sembrò non prenderlo sul serio, abbozzò un sorriso e si voltò pensierosa verso le barche ancorate di fronte a loro. Il vento faceva ondeggiare le bandiere e stuzzicava le vele, legate all’albero maestro. Kaja chiuse gli occhi, assaporando quella brezza leggera e piacevole. Sabo la guardava, ammirato e colpevole.

- Non riesco a smettere di pensare a quello che è successo. -

Mormorò lei, fissando il mare. Sabo sospirò, impacciato. Consolare e tranquillizzare le persone non era mai stato il suo forte, specie in quell’occasione.

- Beh, immagino che sarai ancora sotto shock. Va a dormire, domani andrà meglio. -

Consigliò lui, impaziente di rimanere di nuovo solo insieme ai fantasmi del suo passato.

- Voglio partire.. -

Esclamò lei, cogliendo il ragazzo di sorpresa.

- Cosa? -

Chiese Sabo, incredulo, voltandosi verso la ragazzina ancora persa nella contemplazione dell’orizzonte. Sembrava immersa in un bel sogno. Non si rendeva minimamente conto dei pericoli e dei rischi a cui sarebbe andata in contro se avesse per davvero messo in pratica quell’assurdo desiderio.

- Si, prendere il mare. -

Spiegò meglio lei, incredibilmente seria.

- Una ragazza come te, da sola, in balia di tutti i balordi che solcano i mari. È una pazzia. –

Esclamò Sabo, scuotendo energicamente la testa. Una parte di lui avrebbe voluto urlare che era una stupida ed un’ingenua ma ancora una volta qualcosa lo aveva trattenuto. Non voleva spaventarla, ne tanto meno ferirla distruggendo il suo bel sogno.

- Ci sono anche persone buone, come te. –

Sospirò Kaja, sorridendo con un’aria dolce.

- Io non sono buono! –

Sibilò Sabo, alzando la voce. Quelle parole sembrarono colpire la ragazzina che tuttavia non smise di sorridere. Sembrava incredula ed allo stesso tempo confusa.

- Tu.. Mi hai salvato la vita. –

Disse Kaja, incredula ed impacciata.

- No, io volevo rapinare casa tua, poi ti ho vista ed ho cambiato idea. Quel tizio me lo sono trovato di fronte mentre uscivo. –

Ringhiò Sabo, fuori di sé. Quella ragazza doveva proprio essere cresciuta tra agi, fasti e ricchezze per pensare di poter prendere il mare da sola ed avere sempre qualcuno al suo fianco pronto ad aiutarla invece che farle del male.

- Sei un mostro! -

Urlò Kaja, allontanandosi di corsa. Le parole del ragazzo l’avevano sconvolta, se non fosse stato per l’espressione seria di Sabo forse non gli avrebbe nemmeno creduto. Un delinquente, ecco cosa era. Uno dei tanti bastardi senza cuore sparsi per il mondo e pronti a fare del male senza un perché.

- Te lo avevo detto, no? –

Sospirò Sabo, rimasto solo. Qualcosa lo aveva colpito quando Kaja era corsa via, ma non abbastanza da convincerlo a seguirla. Il suo orgoglio, o almeno quel poco che ne rimaneva, non era pronto ad un gesto del genere.

Prima ancora che la sua coscienza, o quanto meno quello che ne restava, iniziasse a protestare, Sabo si rese conto di non essere solo.

- Che è successo, perché la signorina è corsa via così? –

Chiese uno dei bambini che assomigliavano al suo fratellino, ingenuamente, dopo essere saltato fuori dal nulla. Doveva essere arrivato poco prima, quando Kaja si stava già allontanando. Sicuramente non aveva sentito la sua confessione, oppure sarebbe di sicuro corso a chiamare gli abitanti del villaggio per farlo arrestare.

- Fatti gli affari tuoi, moccioso. –

Sibilò Sabo, lottando contro l’istinto di lanciare il piccolo in acqua.

Il bimbo sembrò non accorgersi del tono furibondo e degli istinti omicidi del rivoluzionario o forse si limitò a non farci troppo caso. Il piccolo si sistemò meglio gli occhiali sul naso, si schiarì la voce e tornò a rivolgersi al ragazzo più grande.

- Kaja è una ragazza straordinaria. Qualche anno fa ha perso i genitori ed stata quasi uccisa dal suo maggiordomo. L’hanno salvata dei pirati sgangherati ed un suo amico, un ragazzo di questo villaggio che diceva un sacco di bugie. –

Iniziò a raccontare il bambino con la voce velata di malinconia per gli orrori che aveva visto Kaja e per quell’amico che l’aveva aiutata e che poi era partito. Gli mancava il suo capitano Usop, specialmente quando ripensava alle storia che gli raccontava la sera prima di andare a letto.

- Che fine ha fatto questo tizio? –

Chiese Sabo, pensieroso.

- Il suo sogno era diventare un pirata, come suo padre, così ha seguito gli altri. Kaja ha dato loro una nave ed ha promesso che avrebbe aspettato il loro ritorno studiando per diventare medico. –

Continuò il piccolo, sospirando. Il rivoluzionario non rispose, ne si mosse.

- Grazie per la chiaccherata.. –

Disse alla fine Sabo, alzandosi e stiracchiandosi.

- Dove vai? -  

Chiese il bambino con gli occhi sgranati per la curiosità.

- Affari miei, moccioso. -

Sbuffò il ragazzo, allontanandosi velocemente prima che al piccolo venisse in mente di raggiungerlo. Le parole del bambino avevano fatto sentire Sabo ancora più in colpa di quanto non si sentisse già, tanto che aveva deciso di partire il prima possibile. Aveva fatto fin troppo male nel poco tempo che si era trattenuto in quel piccolo villaggio.

Alla fine lo sciocco era stato lui. Aveva giudicato Kaja troppo in fretta senza chiedersi se quel sorriso fosse la conseguenza di una vita perfetta o piuttosto nascondesse terribili orrori. Non doveva essere stato facile per la ragazza tornare a fidarsi delle persone e lui aveva finito per rovinare tutto.

Sabo notò un’ombra sfuggente che lo seguiva, ma non ci fece troppo caso. Ormai si era abituato ad essere perennemente seguito da quei terribili bambini, e gli abitanti del villaggio erano troppo presi dalla festa per pensare a lui.

- Aspetta.. –

Disse una voce alle sua spalle che non apparteneva ai bambini che lo seguivano di solito.

- Kaja? Mi spiace.. –

Sussultò Sabo, stupito di vedere di nuovo la ragazza. Nei suoi occhi brillava una luce nuova, decisa. Non sorrideva, ma non aveva nemmeno lo sguardo ferito di poco prima.

- Sta zitto, va bene? Tu hai un debito con me perché mi hai mentito, mi devi un favore. –

Esclamò Kaja, decisa a non farsi interrompere. Malgrado quello che le aveva confessato Sabo, si fidava ancora di lui. Nelle sue parole non ci aveva letto la follia di un mostro quanto la preoccupazione di un fratello maggiore che prova in tutti i modi a mettere in guardia la sorellina testarda e decisa a prendere il mare nonostante tutto.

 - Quindi? –

Chiese Sabo, curioso di scoprire le intenzioni della ragazza.

- Voglio prendere il mare, ritrovare il mio amico Usop e diventare un grande medico e tu mi accompagnerai, intesi? –

Esclamò lei, fissando il rivoluzionario negli occhi a mo’ di sfida.

- Credo di si.. -

Rispose Sabo, sorridendo. Nel volto deciso della ragazzina il rivoluzionario vedeva un nuovo inizio. Forse il senso di colpa per la perdita dei suoi fratelli non si sarebbe mai placato ma almeno doveva provare a dare una svolta alla sua vita.

***

Rufy fissava il mare, aspettando che la nave delle amazzoni comparisse oltre la linea dell’orizzonte. Per la prima volta nella sua vita non era impaziente. Al contrario, una parte di lui desiderava restare ad allenarsi ancora a lungo. Nonostante i due anni passati, gli incredibili progressi e la rinnovata voglia di seguire il suo sogno, non si sentiva ancora pronto. Fino a qualche settimana prima si era illuso di avercela fatta, ma era bastato che arrivasse l’ultimo giorno perché le sue certezze andassero definitivamente in frantumi.

- Ehi, moccioso.. –

Chiamò la voce dello spirito dell’isola mentre lei compariva da un cespuglio, silenziosa e discreta come suo solito. Il ragazzo la guardò a lungo, colpito. Decisamente si trattava di una creatura pericolosa, era una fortuna che non avesse intenzione di fargli del male. Probabilmente non sarebbe riuscito a difendersi sai suoi attacchi. La sua forza non era umana, andava al di là delle possibilità di chiunque.

- Keira, ancora tu? -

Chiese Rufy, sorridendo. Dopo il loro primo incontro il ragazzo di gomma l’aveva intravista molte altre volte ma non ci aveva più parlato. Molte volte gli era parso che lei stesse per venire da lui, ma qualcosa sembrava sempre bloccarla. Lui non si era mai fatto troppe domande. Dopo tutto Rey lo aveva lasciato sull’isola per diventare più forte ed ogni cosa che lo distraeva dall’allenamento non lo aiutava di certo. Ogni volta che il sole tramontava Rufy si rendeva conto che il tempo che gli era stato concesso stava per finire e che di lì a poco avrebbe dovuto riprendere a fare i conti con il mondo intero per dimostrare se era abbastanza forte da difendere sia il suo sogno che i suoi compagni.

- Sono passati sei mesi dal nostro incontro.. -

Iniziò lei, seria, quasi si fosse preparata quel discorso nei minimi dettagli.

- Quindi? –

Chiese Rufy, ingenuamente. Keira sospirò, quasi fosse rassegnata a quella conversazione. Sapeva che i mostri che avevano tenuto in ostaggio il cuore del ragazzo per quei due anni erano ancora tutti lì, ma era arrivato il momento di vincerli per tornare dai suoi compagni. Lei era l’unica che poteva aiutarlo, oppure il suo destino non si sarebbe mai compiuto. Se non fosse partito quel giorno, il suo futuro e quello dei suoi fratelli sarebbe cambiato.

- Che uniti all’altro anno e mezzo che hai passato qui fanno due anni. Non credi che sia ora di tornare? –

Concluse Keira, fissando seria il ragazzo di gomma. Rufy sospirò, distogliendo lo sguardo.

- Come sai tutto questo? Solo i miei compagni potevano capire il messaggio. –

Esclamò Rufy, stupito, quasi temendo una risposta.

- Io leggo nel cuore degli umani anche senza il loro permesso. Vedo ogni cosa, i loro sentimenti, il futuro ed anche il passato. –

Spiegò lei, con un sorriso enigmatico dipinto sul volto. Per tutto il tempo che il ragazzo si era fermato sull’isola lei lo aveva osservato ed aveva letto il suo passato ed il suo futuro.

Rufy sorrise ed abbassò la testa.

- Sai ogni cosa di me, non è vero? –

Chiese il ragazzo, divertito. Per tutto quel tempo lei non gli aveva più parlato perché non gli serviva. Keira sapeva già tutto di lui nel momento stesso in cui era arrivato in quel posto selvaggio insieme a Rey.

- Torna dai tuoi amici e continua il tuo viaggio, cosa aspetti? –

Disse Keira, distogliendo lo sguardo. Era la prima volta che gli spiaceva vedere partire un umano. Ne aveva visti parecchi su quell’isola negli anni. Molti erano morti, altri li aveva uccisi lei. Pochi erano partiti e fino a quel momento non aveva mai sentito la mancanza di nessuno di loro. Quello strano ragazzetto, tuttavia, l’aveva colpita. Non lo avrebbe mai dimenticato, ne era sicura.

- Se hai visto il mio passato allora conosci le mie paure.. –

Iniziò Rufy, serio come mai era stato in tutta la sua vita. Voleva davvero tornare dai suoi amici, l’unica famiglia che gli restava, ma allo stesso tempo aveva paura di non essere all’altezza. Non avrebbe sopportato di perderli di nuovo, per colpa della sua debolezza.

- Credi che se rimarrai tutta la vita su questa isola sperduta proteggerai i tuoi compagni? Loro si aspettano di vederti tornare.. Davvero li vuoi deludere? –

Chiese Keira, tornando a fissarlo negli occhi. Rufy sospirò e si lasciò cadere a terra. Deludere i suoi compagni era doloroso almeno quanto perderli.

- Li ho già delusi. Ho promesso che sarei stato il più forte e mi hanno sconfitto. Ho deluso anche i miei fratelli.. -

Mormorò Rufy a testa bassa, le mani strette intorno ad una foto sbiadita che ritraeva tre bambini, sorridenti e decisi. Keira sospirò, rassegnata.

- Tipico di voi umani, piangervi sempre addosso. Assurdo, davvero inspiegabile. Avanti, tieni e sparisci. –

Esclamò Keira, lanciando un ciondolo al ragazzo di gomma. Si trattava di una pietra azzurra, molto semplice eppure allo stesso tempo misteriosa. In alcuni punti aveva delle venature verdi, in altri sembrava virare verso il marrone ed il nero.

- Che cosa mi hai dato? –

Chiese Rufy, studiando a lungo la forma bizzarra della pietra.

- Nel ciondolo è racchiusa l’essenza di questa isola, portalo sempre con te. –

Rispose Keira, solenne.

- Perché? -  

Chiese ancora il ragazzo, curioso.

- Gli spiriti hanno i loro segreti, ricordi? –

Mormorò Keira, sorridendo. Non poteva svelare di più al ragazzo, ma era certa che il suo dono gli sarebbe stato molto utili in futuro.

- Beh, allora grazie. Ho perso già troppo tempo, dovrò sbrigarmi se voglio arrivare prima dei miei compagni. –

Esclamò Rufy, fissando la barca appena comparsa che stava arrivando a prenderlo.

- Fa con calma, Zoro è già arrivato. –

Mormorò Keira, voltandosi per tornare nella foresta.

- Zoro? Ma si perde sempre.. –

Mormorò Rufy, scuotendo la testa. Era semplicemente impossibile che Zoro arrivasse per primo. Forse Nami, oppure Sanji e Usop, ma Zoro proprio no.

- Il primo ufficiale arriva sempre prima del suo capitano, per prendersi cura dei compagni in sua attesa. -

Spiegò Keira mentre il suo corpo spariva dalla vista di Rufy, lasciandolo pieno di dubbi ma con la certezza che era finalmente tornato il solito ragazzo di gomma di sempre.

ANGOLO DELL'AUTRICE

Per prima cosa, grazie di avere letto la mia storia fino a questo punto. Spero di non avere deluso le vostre aspettative!

Kuruccha: grazie mille!
Sabo è la grande incognita di questa storia, nel senso che non so bene nemmeno io se sia credibile o meno. Con Ace e Rufy è decisamente più facile! Per quanto riguarda Ace, niente paura, basta depressione. Ti assicuro che da ora tornerà ad essere deciso e determinato!  Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!

Tre_88: grazie mille!
Spero che ora sia tutto più chiaro, almeno per quanto riguarda Ace. Se hai altri dubbi, esponili pure! Attualmente Nojiko non ha ancora detto nulla di Nami ed Ace non gli ha detto che la conosce per non turbarla. Della serie: "Si, tua sorella.. la navigratrice di mio fratello morto" non è la frase migliore per iniziare una conversazione!  Ad ogni modo, almeno Rufy è tornato quello di sempre. 

Per quanto riguarda il prologo, si, alla fine si incontreranno per davvero!

Raffa_chan: grazie mille!
prima che si incontrino credo che passerà ancora un po', ad ogni modo hanno preso tutti e tre il mare.. è un inizio, no? 

Brando: grazie mille!
alla fine Ace ha capito chi è Nojiko, ma non gli dice di conoscere Nami. Nel prossimo capitolo tornerà la ciurma, contenta?

Akemichan: grazie mille!
Si, niente coppie. Non sono abbastanza romantica e sdolcinata per gestire una coppia, figurarsi tre! no, non fa per me! Mi spiace che non ti vada troppo giù Sabo, spero ad ogni modo che sia almeno un minimo credibile.

  
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