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Autore: ChiaraPs    08/02/2011    1 recensioni
Quella bambina con la sua sola presenza aveva risvegliato una parte di me che era assopita da lungo tempo, era la parte umana di me, di quello che ero stato.
Avevo dovuta nasconderla, confinarla, rigettarla, perché sentirsi un mostro mi dilaniava, e spingersi a riflessioni su una morale che avevo stracciato e calpestato, a favore della sete, mi avrebbe fatto impazzire.
Fatto sta che quella sera non trovai un posto adatto a Lily e decisi che per solo per quella sera mi sarei preso io cura di lei, per quanto ciò avesse dell’assurdo, glielo dovevo.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4:

9 anni dopo

Nove anni dopo, la mia decisione era stata del tutto annientata dalla voglia che avevo di stare con Lily, di vederla crescere, di passare ancora un’ora davanti a quegli occhi belli e luminosi.

Cresceva e ogni giorno diventava più incantevole, i riccioli biondi che le incorniciavano il viso, le arrivavano ormai alla schiena e, un piccolo nasino alla francese era adornato da minuscole lentiggini chiare, gli occhi grandi e azzurri, erano il riflesso della purezza.

Era la bambina più bella che avessi mai visto, o forse ero io a vederla come un angelo venuto a salvarmi.

Passavamo le giornate, insieme, lei era serena e vivace, io cercavo di essere meglio di quanto fossi in realtà. Di notte quando Lily dormiva, mi congedavo da lei e mi allontanavo furtivo nella notte per quietare la mia sete, per non rischiare al suo risveglio di essere attratto dal suo sangue.

Non potevo permettere che Lily andasse a scuola, non avevo la capacità di accompagnarla in mezzo a tutti quegli umani e non potevo lasciarle raggiungere la città da sola.

E poi Lily non aveva un cognome, un documento, per il mondo non esisteva, ed era assurdo: il mondo popolato di mostri e di sporcizia non sapeva dell’esistenza di quella gemma preziosa, che risplendeva in mezzo a tutto quel fango.

Io sapevo solo che quella era Lily, la mia unica ragione per vivere, il motivo per cui non ero più un mostro o perlomeno mi sforzavo di non esserlo.

Per rimediare alla sua mancata frequentazione della scuola, le avevo insegnato a leggere e scrivere, e cercavo di impartirle le conoscenze più svariate, conoscevo bene la storia e la geografia, perché ero stato in molti dei luoghi di cui le parlavo, perché avevo combattuto in alcune delle guerre che le raccontavo.

Lei apprendeva in fretta, le piaceva leggere, nelle sere autunnali davanti al camino acceso, passava ore immersa nella letture più disparate.

Era intelligente e molto precoce per la sua età, si interessava a tutto quello che le raccontavo, chiedeva spiegazioni se non capiva, non era mai annoiata o svogliata, le piaceva sapere, imparare, non ne aveva mai abbastanza.

Io più di quello non potevo darle, la stavo condannando all’isolamento e me ne rendevo perfettamente conto.

Lei era una bambina e le andava bene così, ma non era giusto, era come condannarla a non vivere, era confinata in una casa con un mostro, che pur di non perderla giocava a fare la tata, senza riuscirci neanche particolarmente bene.

Giocavo con lei, la facevo studiare, ma per quanto cercassi di convincermi non ero la scelta giusta per lei, non ero mai stato convinto della decisione presa, e continuavo a non esserlo, anche se cercavo di non pensarci.

Una sera però mentre era assorta in una delle sue letture mi guardò incerta.

“Com’erano i miei genitori?” mi chiese decisa e capricciosa, io rimasi immobile, dandole le spalle, quella domanda mi colpì come uno schiaffo in pieno viso.

Doveva aver letto qualcosa che le aveva fatto pensare alla sua famiglia.

“Lily ne abbiamo già parlato, io ti ho trovato qui, eri sola e abbandonata, avevi pochi mesi e io mi sono preso cura di te, non so che aspetto avessero o chi fossero” mezza verità, non sapevo chi fossero, ma suo padre l’avevo conosciuto, era robusto e alto, un bell’uomo immaginavo, per quel poco che mi ero soffermato sul suo aspetto.

Suo padre, che si prendeva cura di lei da solo, non era mai venuto nessuno a cercarlo.

Ma quei pensieri scomodi li tenni per me, ben nascosti dove non potessero nuocerle.

“Perché a me non è consentito sapere chi fossero, perché non li ho potuti conoscere?” Lily, triste, gettò il libro, che teneva tra le mani lontano.

“Lily non fare così, ne abbiamo parlato mille volte” dissi brusco alzando la voce, pentendomene all’istante.

Mi rendevo perfettamente conto che volesse conoscere la verità e che soffrisse per il vuoto che sentiva, ma le sue parole mi ferivano, mi ricordavano di quanto fossi stato egoista a credere che potessi essere abbastanza per lei.

Lily scoppiò a piangere, era pur sempre una bambina, e io non sapevo ancora una volta come comportarmi, sentivo la sofferenza mista alla rabbia riempirmi la testa.

“Lily, so che ti sarebbe piaciuto avere la tua famiglia, e che io non sono all’altezza, ma non ho potuto fare di più” la lasciai lì con quelle parole, allontanandomi velocemente dalla casa, dalle sue lacrime che mi ferivano, l’avevo condannata a un’esistenza vuota e misera.

Mi sdraiai sotto un albero sbriciolando una roccia che giaceva lì vicino, sentivo gli occhi pungere, credevo che da un momento all’altro le lacrime potessero uscire da quei pozzi scuri che erano i miei occhi, ma non sarebbe successo, non poteva succedere, io ero un mostro e per quanto ci provassi non potevo rinnegare la mia natura.

“Damian dove sei?” Lily mi chiamava da qualche parte della foresta, ma non volevo tornare, non sapevo cosa dirle.

“Damian” la sentii gridare forte, disperata, e mi scossi controvoglia dal mio torpore per raggiungerla.

Ci misi un secondo a mettermi sulle sue tracce.

“Lily, sono qui” le dissi affranto non appena la raggiunsi

“Non andartene mai più” mi disse urlando con voce rotta dal pianto, le lacrime a incorniciarle il viso.

“Lily, ascoltami” le dissi, mantenendomi a distanza “potremmo andare in città a cercarti una famiglia vera, un padre e una madre che sappiano prendersi cura di te come meriti, che siano dei bravi genitori per te..” mentre le parlavo le avevo voltato la schiena, per non perdermi nei suoi occhi tristi.

“Smettila subito” gridò spaventata e ferita, interrompendomi, “io intendevo dire che avrei voluto conoscere i miei veri genitori, le persone che mi hanno dato la vita, non che tu non sia la mia famiglia, o che tu non sia in grado di esserlo.”

“Lily, tu sei solo una bambina, e non ti rendi conto dei rischi che corri con me, tu hai bisogno di qualcuno che ti possa garantire una vita vera, sei in questo bosco, sola con me, da troppo tempo, tu non ti rendi di quali pericoli ti circondano.” Il vero pericolo ero io, ma non potevo dirglielo,  “Io ci ho provato a lasciarti a qualcuno che fosse più adatto di me ma non ci sono mai riuscito, perché credevo di poterti dare quello che ti serviva, perché non riuscivo a staccarmi da te”

Vidi la sua espressione cambiare, se era possibile divenne ancora più triste

“Tu mi volevi abbandonare? Neanche tu mi volevi?” mi pentii all’istante di quello che le avevo detto.

“No Lily io non ho mai desiderato di abbandonarti, mai, neanche per un istante, ho solo pensato che tu  meritassi di più di quello che ti posso dare io”

“Perché nessuno mi vuole, cosa ho fatto di male?” non mi stava ascoltando, mi avvicinai a lei e le strinsi le spalle scuotendola “Lily tu non hai fatto proprio niente, tu sei una bambina adorabile, che merita il meglio che ci sia al mondo, io non sono il meglio, non sono neanche lontanamente vicino al meglio, perciò non vado bene per te, lo capisci questo?”

“Damian, io sto bene qui, tu sei la mia famiglia e lo sei sempre stato. Io non ho ricordi di nessuno che non sia tu, tu mi hai cresciuta e io non voglio nessun altro” stava tremando per l’agitazione, era davvero scossa.

Alzai gli occhi per guardarla in volto e fu un errore, perché quello che vidi mi dilaniò.

La sua espressione era diventata di puro terrore, e le lacrime ricominciarono a scendere a fiumi sulle sue guance arrossate.

Le sue parole furono il colpo di grazia

“Damian, ti prego, non abbandonarmi anche tu, io ho solo te, non lasciarmi, ti prego, sarò brava, farò quello che vuoi, ma non lasciarmi”

Non dovette dire altro, la guardai serio negli occhi, prendendole le manine.

 “Va bene, Lily ascoltami, finchè mi vorrai io resterò, ma arriverà un giorno in cui vorrai lasciarmi per scoprire il mondo, per farti una famiglia tua, e allora io ti lascerò andare e tu vivrai la tua vita, è chiaro?”

“Io non vorrò mai lasciarti” mi disse, già più serena

“Lo vorrai”

“Quando arriverà il momento ne parleremo” mi disse decisa prima di stamparmi un bacio su una guancia e correre verso casa.

Io rimasi impietrito mentre lei si allontanava. Mai, da quando stava con me, mi ero permesso di sfiorarla, se non per cullarla o per abbracciarla, quando si svegliava in lacrime per l’ennesimo incubo.

Mai mi ero sognato di posare le mie sudice labbra sulla sua pelle di velluto, e lei neanche aveva mai azzardato un contatto tanto intimo con me, forse condizionata dal mio comportamento freddo e distaccato. Ma in quel momento, quando aveva temuto di perdermi, si era lasciata andare a quel contatto così piacevole per la mia pelle di ghiaccio che un brivido mi aveva fatto fremere nel profondo, fin dentro le ossa.

Rimasi intontito da quella sensazione sconosciuta.

Era la solita decisione sbagliata, ma poco mi importava, ne avevo parlato con lei, perché era giusto che sapesse che in qualsiasi momento poteva decidere di andarsene e io non l’avrei fermata.

Lily non poteva soffrire per causa mia, non poteva credere per la seconda volta di venire abbandonata, quando in realtà non lo era mai stata, neanche da suo padre.

Però sapevo una cosa, se voleva stare con me, doveva sapere, conoscere la mia vera natura.

Per lei era l’”età dei perché”, perché il sole ci scalda, perché la luna viene solo di notte, perché non ho potuto conoscere i miei genitori? Quanto ci sarebbe voluto prima che facesse una domanda a cui non avrei saputo rispondere, come perché non invecchi o perché non mangi?

Non potevo farmi prendere in contropiede dovevo rivelarle ciò che ero, senza spaventarla, ma senza mascherare il pericolo che rappresentavo, così forse se ne sarebbe voluta andare da sola, il solo pensiero mi faceva rabbrividire.

“Damian” sentivo Lily che mi chiamava, perciò decisi di rimandare quelle riflessioni a un altro momento.

Stavo tornando verso casa, ancora scosso, quando un rumore, proveniente dal folto della foresta, catturò la mia attenzione.

Poteva essere un animale qualunque, eppure mi resi subito conto, che non era stato il rumore ad allarmarmi, ma la scia che l’aveva seguito per un attimo soltanto.

Era un odore familiare, che non sentivo da tempo, ma che era impresso in me come un marchio.

Ispezionai la foresta, a lungo, attraversandola in tutta la sua larghezza più volte, per trovare quella scia, per capire da dove venisse quell’odore, ma non la trovai.

Ogni rumore mi faceva digrignare i denti, ero attento a qualsiasi odore, anche al più lieve, i miei sensi erano tesi, attenti, ogni movimento mi faceva sussultare, era assurdo che mi spaventassi, che temessi quell’aroma, capii che non avevo paura per me ma per Lily.

Decisi di avvicinarmi alla nostra casa, sempre attento ai rumori intorno.

Alla fine mi convinsi che dovevo essermelo immaginato, anche se era impossibile, dovevo aver scambiato qualche altro odore per quello.

Tornai a casa e Lily era lì ad aspettarmi, mi bastò guardare i suoi occhi di nuovo sereni, per dimenticarmi del mondo intorno.

  
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