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Autore: Rowena    09/02/2011    4 recensioni
La nuova guerra magica aveva colpito anche lontano, seguendo la sete di potere dell’Oscuro Signore appena sconfitto, segnando dunque gravi perdite ben al di fuori dei confini britannici.
Nessuno si stupì, dunque, se i più rinomati e famosi fabbricanti di bacchette, artigiani eredi di una tradizione antica, si radunarono in un paesino della Bulgaria per rendere l’ultimo omaggio a un loro compagno.
E cominciarono a chiedersi se non fosse il caso di considerarsi una specie in via d’estinzione.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Marietta Edgecombe, Nuovo personaggio, Olivander
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ottime bacchette dal 382 a.C.'
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Era stato detto ben poco d’interessante a quel consesso voluto a tutti i costi da Jusupov, oltre all’assegnazione di Jurga Gregorovitch a Olivander come apprendista. Si finì a discutere di questioni inutili – com’era anche solo pensabile volere dieci Maestri in ogni paese, pensò Olivander, di cosa avrebbero vissuto facendosi una concorrenza tanto spietata? – e a litigare, ragion per cui il mago inglese levò le tende anche prima del previsto.
Con la ragazza alle spalle, tornò nell’edificio in cui si era tenuta la commemorazione alla ricerca di qualcuno che avesse una Passaporta pronta a tornare dalle parti di Londra e che potesse dare un passaggio a lui e alla sua nuova protetta.
«Mi dispiace molto, per la tua famiglia», disse a un certo punto, poiché ancora non avevano spiccicato parola. «Deve essere orribile ritrovarsi soli».
«Mio padre mi ha cacciato quando ho rivelato di non essere interessata a imparare la sua professione. È successo sei anni fa, il minore dei miei fratelli non era nemmeno nato», sibilò la ragazza. «Sono sola da tanto tempo, signor Olivander».
«Devo chiarire una cosa: trovo ammirevole che tu voglia rendere omaggio a tuo padre e imparare il nostro mestiere, ma l’arte delle bacchette non è semplice, né alla portata di tutti. Deve esserci interesse, devi avere passione per quello che fai. Difficilmente potrò insegnarti qualcosa, altrimenti».
Era duro, eccessivamente forse visto il grave lutto che la giovane Jurga stava affrontando, eppure doveva comportarsi in quel modo: era già stata scelta come futura Maestra, non poteva creare una fabbricante negletta.
«Signor Olivander», ripeté con la stessa cadenza di prima, un misto di disprezzo e compassione, «io voglio imparare e capire perché tutta la mia famiglia è stata uccisa per una bacchetta. Non ho chiesto niente per me, né vendetta né giustizia, visto che a quanto pare il signor Harry Potter ha già praticato entrambe sull’assassino, ma le domando questo ora. Se il lavoro di mio padre era così importante da causare la morte di mia madre, che pur essendo una strega capiva ben poco di magia, e dei miei fratellini… Se era così importante allora non voglio che muoia con loro».
Senso di colpa, capì il mago. Tutti ne erano affetti in quel luogo, a quanto pareva. La ragazza era incredula al pensiero di essersi salvata, lei, la pecora nera della famiglia. Non sapeva spiegarsi perché.
«Va bene, ma una volta arrivati a casa mia dovrò verificare le tue abilità. Purtroppo il sangue non garantisce niente».
Olivander era sorpreso nel pronunciare una frase del genere. Era un Purosangue e, pur non facendo discriminazioni nel lavoro, si era sempre sentito superiore a molti dei suoi clienti che varcavano la soglia della sua bottega con un’aria sbigottita, appena piombati in un mondo che credevano non esistesse. Da quando era stato imprigionato, tuttavia, le cose erano cambiate così come il suo modo di vedere il mondo: lui era un Purosangue, dunque perché era stato rapito e torturato in quel modo?
Il sangue non garantisce più niente, non vale più niente.
«Signor Potter», esclamò come risvegliandosi da uno stato di trance e notando il ragazzo più famoso del mondo magico che si guardava intorno abbastanza confuso. «finalmente una faccia amica».
«Questo lo dico io, sono stato assediato da due giornaliste bulgare che credo potrebbero fare concorrenza a Rita Skeeter e… Oh, salve», disse notando solo in quel momento la presenza di Jurga.
«Salve, signor Potter, sono lieta di fare la sua conoscenza. So che forse nel mare delle congratulazioni che ha ricevuto in questi ultimi giorni, i miei ringraziamenti conteranno ben poco, ma vorrei porgerli lo stesso. Le sono grata di aver ucciso quel miserabile assassino».
Harry Potter era ancora più confuso, glielo si leggeva in fronte. Olivander comprese: sembrava quasi che per la ragazza non contassero tutte le vittime dell’Oscuro Signore, i morti caduti per mano sua o dei suoi seguaci, le vite spezzate. Lord Voldemort per Jurga era semplicemente l’uomo che aveva ucciso la sua famiglia, tutto qui.
«Le presento Jurga Gregorovitch, signor Potter, l’unica sopravvissuta della famiglia. Era lontana da casa e si è salvata», spiegò per far comprendere la situazione anche al malcapitato eroe. «Posso essere maleducato e chiedere quando si attiverà la sua Passaporta per il ritorno? È imbarazzante, ma ho dimenticato di richiederne una: credevo che la discussione con i miei colleghi sarebbe stata molto più lunga».
«Tra pochi minuti, ho un incontro con il nuovo Ministro a Londra tra un’ora», rispose Harry con un certo imbarazzo. Olivander inarcò le sopracciglia: aveva letto sui giornali che il giovane eroe era piuttosto restio ad adempiere i nuovi impegni che il mondo magico gli aveva scaricato sulle spalle. Probabilmente aveva immaginato che una volta sconfitto il nemico avrebbe potuto ritirarsi a vita privata, finire la scuola ed essere una persona comune, ma il resto della Gran Bretagna magica aveva idee diverse a riguardo. Come eroe, doveva fare apparizioni pubbliche e occuparsi in prima persona della ricostruzione.
Era solo un ragazzo di diciassette anni, sembrava dire, non era pronto né qualificato per certe cose. In un’intervista recentemente aveva dichiarato di voler tornare a Hogwarts per frequentare il settimo anno, perché in confronto la scuola sembrava il paradiso.
«Speravo che il Ministro Kingsley intervenisse alla funzione», confessò Olivander, «in fondo la famiglia Gregorovitch è morta…»
«È stata l’ossessione di mio padre a portare la morte in casa mia», lo interruppe Jurga fissando un punto vuoto di fronte a sé. «Se non fosse stato così fissato con quella dannata bacchetta e non l’avesse detto mezzo mondo, nessuno sarebbe arrivato fin qui a uccidere».
Il fabbricante di bacchette si morse la lingua, cercando di dissimulare il suo malessere. Gregorovitch non aveva raccontato a tutti la sua scoperta, in realtà: quando aveva comprato per pochi soldi da un povero idiota quella bacchetta, aveva tenuto il segreto per sé, come se godesse sapendo di possedere un tesoro inestimabile per le mani. Era stato solo quando Albus Silente gli aveva mostrato la Bacchetta di Sambuco che aveva vinto al suo antico compagno di studi e nemico per avere una conferma di cosa potesse essere davvero, aveva compreso. Grindelwald aveva confessato a Silente di aver rubato la bacchetta a Gregorovitch, che a sua volta si era confidato con lui, lui che aveva fatto il nome del suo collega sotto tortura.
Gli era arrivato alle labbra prima che potesse ragionare sulla condanna che stava scandendo e, da fabbricante di bacchette, aveva pensato di proteggere la Stecca della Morte e impedire che l’Oscuro profanasse la tomba di Silente. Aveva sperato che la voce della sua scomparsa fosse arrivata alla corporazione e che gli altri fabbricanti si mettessero al sicuro, ma non era stato così. Se avesse saputo dei bambini…
«Qualcosa non va, signor Olivander? La Passaporta sta per attivarsi, la tocchi».
Fortunatamente, i due ragazzi non si erano accorti di nulla. Olivander annuì e toccò la struttura di un vecchio ombrello ormai privo di tela giusto un secondo prima che quella cominciasse a bruciare. Un attimo della solita presa allo stomaco e il terzetto si ritrovò nel pieno centro di Diagon Alley.
«Un servizio a domicilio, fantastico», commentò l’uomo notando che la sua bottega era solo a pochi passi. «Ancora grazie per la cortesia, signor Potter, mi ha tolto davvero da un bell’impiccio».
«Si figuri, signor Olivander, è stato un piacere», si schermì il ragazzo, «ora devo proprio scappare, mi scusi. Arrivederci, signorina Jurga, è stato…»
Un’occhiata della ragazza bastò a impedire che facesse una pessima gaffe, vista la circostanza in cui erano stati presentati.
Il fabbricante di bacchette e la giovane strega lo guardarono allontanarsi. «È sempre così impacciato?»
«Salvo quando deve combattere i maghi oscuri, fortunatamente, ora andiamo», replicò Olivander con un mezzo sorriso, che tuttavia perse non appena tornò a concentrarsi sul suo negozio. L’insegna pendeva ancora e gli interni non erano messi meglio: i segni dell’incursione dei Mangiamorte erano ancora ben visibili, e aveva parecchio da fare per poter riprendere l’attività a tutti gli effetti.
A pensarci bene, prendere degli allievi poteva tornargli comodo in quel momento di caos. Sarebbe stato difficile lavorare a pieno regime per rimpinguare gli scaffali ormai vuoti, ma di certo gli avrebbero dato una mano. Una difficoltà alla volta, decise: entrò nel negozio e si diresse sul retro, dove si trovavano le scale che salivano al piano di sopra.
«Qui c’è la stanza degli ospiti, sistemati pure», indicò alla sua apprendista, «Jurga, non ti ho chiesto se hai bagagli… Non hai niente con te».
La ragazza scosse il capo. «Ho tutto il denaro che mi occorre, comprerò vestiti e tutto il resto nei prossimi giorni, senza fretta», rispose lei tranquillamente prima di spiegare che preferiva viaggiare leggera.
Non aveva nemmeno chiesto una mano per orientarsi. Era una persona molto indipendente e riservata, notò Olivander, che tuttavia non insistette.
«D’accordo, allora fai con comodo. Io devo fare una commissione… Tornerò prima di cena», aggiunse pur intuendo che quella notizia non avrebbe sfiorato Jurga.
Tornò di sotto e s’infilò nel camino, ricomparendo direttamente in uno dei tanti camini di servizio di Hogwarts. In passato accedere sarebbe stato più complesso, avrebbe dovuto richiedere un’autorizzazione, accordarsi il precedenza col Preside, ma con il caos dell’ultimo anno e la distruzione causata dalla battaglia finale solo poche settimane prima il mago riuscì a entrare nella più celebre scuola di magia del mondo senza problemi.
Dopo essersi scrollato dalle spalle la cenere del camino, Olivander si diresse dritto verso la presidenza e rimase stupefatto nel vedere il gargoyle che in genere proteggeva l’accesso completamente divelto dal suo solito posto. Qualcuno aveva forzato la serratura magica per entrare nello studio di Silente…
Sconvolto da quello spettacolo, il mago cominciò a salire le scale chiedendosi quanto davvero fosse ferita Hogwarts. Aveva visto le foto sul giornale, credeva di conoscere i danni subiti dalla scuola, eppure vederli coi propri occhi era un’altra questione, così come lo spettrale silenzio che si sentiva nei corridoi, in genere popolati dai ragazzi in quel periodo dell’anno.
Terminata la battaglia, infatti, vi era stata la conta delle vittime e i superstiti erano stati rimandati a casa col primo treno, poiché il castello era in molte parti inagibile, non vi era un Preside e il corpo insegnanti contava varie defezioni. La professoressa McGranitt, che aveva assunto il comando nell’emergenza, aveva spiegato che era sua intenzione riaprire a settembre e cominciare un nuovo anno scolastico senza intoppi, ma i lavori da fare erano ancora innumerevoli.
Olivander cercò di non badarvi più di tanto e raggiunse la porta dello studio, a cui bussò con scarso entusiasmo. Dall’interno, la voce severa della facente funzioni di Preside lo invitò ad entrare.
«Signor Olivander, che onore», lo salutò sorpresa. «A che devo questa visita?»
Sebbene fosse gentile, si poteva immaginare quale fosse il sottinteso: che diavolo ci faceva lì? Il mago raggiunse la scrivania e si sedette di fronte alla donna, rispondendo al saluto con deferenza.
«Sono venuto a cercare un apprendista, professoressa, vorrei che mi indicasse uno o due studenti adatti a seguire le mie orme sulla via dei fabbricanti di bacchette».
Minerva sembrò poco convinta, quasi scettica. Di certo le sue priorità erano altre in quel momento, ma Olivander non aveva intenzione di farsi dire di no.
«È un momento inadatto per una simile richiesta: avrà saputo che abbiamo interrotto i corsi e che gli studenti non torneranno a scuola prima del prossimo settembre», disse la donna con un’aria sarcastica, «le consiglio di tornare in un momento migliore».
«Non c’è momento migliore di questo, professoressa. Non avevo mai riflettuto sul tempo che mi resta e sull’importanza di preparare un giovane che mi succeda nella professione. Il mio ultimo tentativo, molti anni fa, ha creato un perdigiorno che si è rifugiato a fare bacchette scadenti in Irlanda», rispose secco il mago. «Non ho figli a cui passare la mia attività e la scarsa ospitalità di Malfoy Manor ha accorciato il tempo che mi resta da vivere, e con la morte di Gregorovitch… Devo assicurarmi che anche la tradizione degli Olivander sopravviva».
La professoressa sospirò: sapeva che la questione degli apprendisti poteva far trasformare Olivander in un insopportabile piantagrane. Non era la prima volta che si recava a Hogwarts per quel motivo, eppure tutti i precedenti aspiranti si erano bene o male rivelati inadatti. Il che aveva reso il fabbricante di bacchette lamentoso e insopportabile. «Può lasciare la sua documentazione, come tutti. Quando sarà il momento, l’anno prossimo…»
«Io non sono tutti, Minerva», sibilò il mago con la stessa espressione di quando aveva gelato una McGranitt undicenne al momento dell’acquisto della prima bacchetta. «La mia situazione è particolare, non mi posso permettere di perdere tempo a provinare chissà quanti studenti mediocri prima di trovare quello più giusto».
«Con quello che è successo, dovremmo ritenerci fortunati ad avere ancora degli studenti», sbottò lei alzandosi dalla sua poltrona e raggiungendo la finestra. In lontananza s’intravedeva la tomba bianca e la donna sospirò più forte.
Olivander cercò di moderarsi, consapevole di dover usare le parole giuste. «Cerco un ragazzo brillante ma non troppo popolare, magari orfano», aggiunse pensando che in questo modo l’adozione sarebbe stata più semplice.
Era abitudine dei fabbricanti della corporazione adottare gli eredi designati, se questi non erano dello stesso sangue, per mantenere la tradizione del nome. Era quella che contava, non il singolo fabbricante, che era solo lo strumento per mantenere viva un’arte antichissima.
Tuttavia, la McGranitt non sembrava volergli dare retta. «Magari anche Purosangue, sì? O devo selezionare solo maschi? So che è tra i più accaniti critici delle donne nel suo settore».
Era vero, non solo per la dubbia qualità delle bacchette di Madame De Guise, fatte con anime mediocri. Olivander era all’antica, era stato educato così e non aveva la minima intenzione di cambiare all’età che aveva raggiunto. Jurga era una questione a parte, se era la discepola voluta da Gregorovitch l’avrebbe formata a prenderne il posto, così da pagare i debiti, ma niente di più e non sarebbe stata la donna che aveva di fronte a fargli cambiare idea.
Espresse quest’ultimo pensiero a voce alta, ribadendo che quello era il suo metodo, e la strega alzò le spalle replicando che non per quello doveva essere giusto.
«Minerva… Ho già una ragazza difficile a cui insegnare, un’eredità di Gregorovitch. La sola dei suoi figli che è scampata alla strage, a dire il vero. Vorrei un ragazzo perché ho già lavorato con loro, sarei più a mio agio».
Le ostilità erano inutili, comprese Minerva. Erano due vecchi stanchi e soli, non c’era ragione per darsi fastidio a quel modo. «Posso solo consigliarti qualche studente che si è già diplomato da almeno un anno e che per quel che ne so io non ha ancora scelto una carriera particolare», ammise alla fine, cercando di ricordare qualche nome. «Sempre sperando che siano ancora vivi… Questa dannata guerra! I ragazzi che avrebbero dovuto diplomarsi questo giugno ripeteranno l’anno, sa? Se riusciremo a sistemare il castello durante l’estate».
«Con lei alla guida di Hogwarts, tutto è possibile», rispose Olivander credendo davvero in quelle parole. Dall’occhiata che gli lanciò, tuttavia, la donna non sembrò particolarmente convinta della sua sincerità.
«Non sono un Preside, non mi ritengo all’altezza… Gestirò il periodo di emergenza, ma poi mi ritirerò. Forse abbandonerò del tutto l’insegnamento, non ho ancora deciso».
Il mago comprese: ricordava che la McGranitt era stata colpita da diversi Schiantesimi qualche anno prima da cui forse non si era mai completamente ripresa, e anche la battaglia non doveva aver contribuito a migliorare la sua salute. Ma non era tutto lì, lo sentiva.
«Ho protetto la scuola di Albus», spiegò infatti lei, quasi gli avesse letto nel pensiero, «ho fatto quello che ho potuto per tenere al sicuro i nostri studenti. Forse è il momento che lasci spazio a nuovi insegnanti».
Era amaro sentire una donna che aveva diversi anni in meno di lui essere così pronta a farsi da parte: era davvero finita per loro, dovevano dare fiducia a una nuova generazione e ritirarsi? Gregorovitch era andato in pensione, limitandosi a vendere le tante bacchette prodotte in anni e anni di lavoro senza produrne di nuovo, eppure aveva fatto una fine davvero pessima.
Non voleva pensarci. «Allora, questi nomi?»
«Se vuole segnarli su pergamena…», gli rispose Minerva passandogli una penna e un foglietto, «Le consiglio Stebbins, è figlio di un Babbano che fa la guardia forestale, conosce molto bene gli alberi e le piante».
Era una buona idea, pensò Olivander, e quando sentì che il ragazzo era stato a Tassorosso se ne convinse ancora di più. Tuttavia, non bastava.
«Interessante… Ma è più importante che chi sceglierò sappia mantenere i segreti del mestiere anche a costo della vita o sotto la tortura più crudele».
Non come me, ammise solo con se stesso.
La professoressa sembrò avere la risposta, da come le brillarono gli occhi. «Ho la persona che fa per lei».
   
 
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