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Autore: Hakigo    10/02/2011    1 recensioni
RACCONTO IN REVISIONE!
Cit Cap. 6: [Lo guardai imbarazzata e indignata, mordendomi il labbro, aspettando la sua reazione, ma lui mi stava semplicemente guardando, imbacuccato dentro Il suo cappotto da mille dollari e la dentro la sua sciarpa firmata. Sorrideva, col naso rosso e gli occhi brillanti.
In quel momento, quando mi sporsi verso di lui e lo baciai, capii.
La mia non era una cotta. Era qualcosa di dannatamente serio, troppo serio.
Mi cacciavo sempre nei guai, ma che potevo farci se non potevo vivere senza I miei stupidi problemi? Capii che l'amore non ha ostacoli, non ha pregiudizi, non ha ragione. L'amore è come una clessidra: se si riempie il cuore, la mente si svuota. Lui, quell'uomo splendido che mi teneva stretta a sè con il giornale ancora tra le dita, era il mio amore, il Dio del mio cuore e non avrei potuto impedirlo. L'amavo, l'amavo tantissimo e non avrei permesso al mio cervello di farmelo scappare, non ora che ne avevo tremendamente bisogno.
Quel bacio di una mattina gelida di settembre, mi scaldò più della cioccolata calda che ora giaceva impotente sul marciapiede.]

Un racconto attuale, che non mette da parte le difficoltà che propone la vita. Il tutto misto ad una tenera storia d'amore della protagonista Irene, un'italiana amante dell'arte e della buona cucina.
Buona lettura.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vestire un corpo freddo non è certamente un atto dolce, piuttosto qualcosa di triste e deprimente. Vedere il modo in cui un fratello apparentemente disinteressato cura nei minimi dettagli le pieghe degli abiti, il modo in cui la stoffa ricade sulla federa dell’interno della bara, fu per me qualcosa di estremamente profondo e ricco di sentimento, da farmi commuovere.
Perché c’è bisogno di perdere per apprezzare?
Il corpo di Grace era più magro di quanto fosse mai stato. Sul capo era stata posta una parrucca mora e riccia che assomigliava tantissimo ai suoi reali capelli che ormai non aveva più, dopo l’incidente. Nonostante l’avessi sempre creduta bellissima, adesso non era che un corpo freddo e smagrito, con gli occhi chiusi. Mi rendevo conto solo ora di quanto fosse importante l’anima di una persona. Che importa di come siamo fuori? Non siamo forse tutti uguali davanti alla morte?
Avevo sempre pensato che fosse una frase di consolazione per le persone che non riescono a trovare un partner e non era così. Su quante cose mi sbagliavo, su quante cose avevo costruito degli ideali senza ricavarne nulla in cambio. Vedere la mia migliore amica all’interno di quel pezzo di legno, bianca come un lenzuolo, più che farmi piangere, mi colpì profondamente, soffocando il mio cuore e proibendomi di emettere un solo suono. Si poteva definire una specie di shock? Non ce la facevo più a mantenere lo sguardo su quella scena, ad osservare le lacrime di suo fratello sgorgare come un fiume in piena, bagnando leggermente i suoi abiti.
Avevamo scelto io e Melanie il suo abbigliamento perché conoscevamo entrambe molto bene i suoi gusti ed i suoi abiti preferiti, tuttavia nessuna delle due era stata in grado di farsi avanti per vestirla, al contrario di suo fratello. Cercava di mantenere un’espressione dignitosa, ma davanti all’affetto non esiste nemmeno un briciolo di dignità: c'è solo dolore, rimorso per non averle detto “ti voglio bene” prima che chiudesse gli occhi, ma allo stesso tempo serenità. Sul viso di Grace non era presente alcuna imperfezione, insieme ad un sorriso appena accennato. Era ovvio che fosse felice per il fatto di aver visto alcune delle persone che amava di più in quella vita prima di andare dall’altra parte o in cielo, ovunque fosse in quel momento. Neanche la religione ci può consolare in momenti simili. Cosa ci importa del Paradiso se quella persona non è con noi? Tanto valeva avvertirci subito di non affezionarci a nessuno, avremmo vissuto nella solitudine più assoluta, piuttosto che soffrire. Per me sarebbe stato un giusto compromesso, perché a quanto pareva, la morte aveva attraversato la mia vita più e più volte, tanto da portarmi a credere che probabilmente essa fosse una compagna fedele, che non mi abbandonava mai neanche a distanza di anni, prima con mio fratello, poi con Andrea e adesso con Grace. La morte ci toglie la voglia di vivere, sebbene in un secondo momento ci porti a capire la reale importanza della nostra vita, dimostrandoci con quanta facilità possiamo esserne privati. Siamo troppo gracili per comandare il mondo.
Joe si era ritirato in un angolino, privo di espressione, guardando quella scena come se fosse un fatto che non lo riguardasse minimamente. Doveva provare i miei stessi sentimenti, all’incirca. Il solo trovarlo lì ne era dimostrazione.
Alexander, nelle braccia del marito di Melanie, sembrava completamente separato dal nostro mondo. La sua mamma non si muoveva, non poteva neanche vestirsi, non sorrideva e non gli stendeva le braccia per abbracciarlo. Doveva sentirsi tradito, anche se probabilmente neanche lui capiva ciò che provava. Anche se non nei migliori dei modi, sua madre si era presa cura di lui da quando era nato, da sola. E adesso neanche lei c’era più, come non c’era mai stato il padre se non in quegli ultimi periodi. Da solo contro il mondo, costretto ad alzare i pugni, sebbene non fosse neanche in grado di alzare se stesso da terra.

- Non so come ringraziati per esserti presa cura di Alexander per tutto questo tempo – mi ringraziò Melanie con un sorriso, mentre teneva il mio piccolo sole in braccio. Aveva gli occhi gonfi. Mi aveva detto che nonostante Grace avesse sempre procurato problemi, non poteva non volerle bene. Era terribilmente triste per non aver fatto in tempo a salutarla, al contrario di me.
Sua sorella non aveva detto niente riguardo a loro, ma non me la sentii di mentire, quindi le dissi solamente che voleva un mondo di bene a tutta la sua famiglia. Mi ero sentita un po’ in colpa per aver mentito, ma era ovvio che anche se la mia amica non aveva pronunciato quelle parole, non avesse pensato ai suoi fratelli e ai suoi genitori. Credo che le fosse passata davanti tutta la sua vita. Chissà come si era sentita in quegli ultimi istanti. Pensarci, nonostante ormai fosse passata una settimana, mi faceva sentire ancora male.
- Starai scherzando, spero, Melanie – sorrisi, abbracciandola.
- Stammi bene – salutò ancora. Diedi un bacino al bambino e ci avviammo verso l’entrata dell’aeroporto. Non mi fermai a vedere Joe che salutava Alexander per un fatto di privacy. Sembrava molto rattristato dal fatto che stesse per separarsi in modo quasi permanente dal suo bambino. In quegli ultimi giorni aveva passato tutto il tempo con lui, giocandoci di giorno e facendolo dormire vicino a lui di notte.
Passai il check-in e andai verso l’aereo, sedendo a bordo. Era sera ed ero stanchissima. Non vedevo l’ora di addormentarmi per un po’, prima di arrivare in città.
Joe arrivò un paio di minuti più tardi, mettendo la valigia a mano al suo posto, sedendosi vicino a me: sembrava avere il mio stesso desiderio di dormire. Era stata una giornata dura per entrambi, dopotutto.
- Come stai? – gli chiesi non appena si rilassò contro lo schienale.
- Uno schifo – ammise, guardandomi.
Annuii e guardai fuori. Sembrava quasi che quella notte avesse aiutato entrambi ad aprirsi di più con l’altro. Per il momento, non mi aveva fatto altre proposte, forse perché era troppo impegnato con il bambino, ma sapevo che alla fine sarebbe tornato al posto di battaglia.
 
Come immaginavo, mi aveva chiesto di dormire a casa sua, ma io rifiutai, visto ciò che era successo la volta scorsa. Non appena varcai la soglia del mio appartamento, tirai un sospiro liberatorio.
- Finalmente a casa – sussurrai, buttando la valigia a terra e chiudendomi la porta alle spalle. C’era un po’ di odore di chiuso e faceva un freddo tremendo. Probabilmente avrei fatto meglio a restare da Joe, ma mi sentivo più sicura ad aver rifiutato. Andai subito ad accendere i riscaldamenti e, data la fame, decisi di prepararmi qualcosa da mangiare, niente di complicato e qualcosa abbastanza veloce da cucinare. Scelsi un paio di toast caldi e mi addossai al termosifone mentre li mangiavo.
Mentre facevo la doccia, poggiai il pigiama sulla stufa. Con l’indumento caldo, andai finalmente a infilarmi sotto le coperte gelide, rabbrividendo e sperando che tutto si riscaldasse il più in fretta possibile.
Nonostante avessi compiuto le mie azioni abituali, c’era qualcosa che non andava, qualcosa che mancava, nel mio appartamento. Come avrei passato la serata con il piccolo Alexander e Grace che dormivano nella camera vicino alla mia? Avrei preparato per loro la cena, avrei cambiato il bambino mentre Grace si faceva il bagno dopo di me e dopo un bel film, saremmo andati tutti a letto sfiniti, stanche e svogliate di tornare a lavoro l’indomani.
Con questi pensieri, feci molta fatica ad addormentarmi. Avrei preferito di certo passare la notte con un corpo caldo vicino al mio, con Joe, ma i miei ideali m'impedivano di ripetere quello che avevo già fatto una volta per sbaglio. No, non s'impara dai propri errori. Sapevo che avrei passato tutte le notti successive a preoccuparmi della mia solitudine, finché non mi fossi decisa a fare un passo avanti.
Magari sarei potuta andare da Norman, come lui aveva proposto o magari sarei tornata da Joe. Dovevo scegliere fra amore puro e una questione di letto. La risposta era più che ovvia, perché la cosa che poteva coinvolgermi al minimo era proprio la seconda, perché sapevo che l’innamorato mi avrebbe travolto con i suoi sentimenti, senza farmi tornare più a galla.

- Ehilà! – chiamò una donna entrando in redazione – Siamo felici del suo ritorno. Che ne dice se stasera andiamo a berci qualcosa? – chiese sedendosi sulla sua scrivania. Sheila, ecco come si chiamava. Era mora con degli occhiali da vista che proteggevano un paio di occhi chiari, intelligenti e vispi. Sapeva che quella proposta riguardava tutti gli editori che lo avevano seguito nel corso di quegli anni e che di conseguenza non c’era niente d'intimo leggendo tra le righe, anche perché se fosse stato il contrario gli avrebbe sicuramente dato del tu.
- Non c’è problema – rispose con un cenno del capo e sorridendo. Lei sorrise e uscì di nuovo dalla redazione. Nonostante sapesse di avere un certo fascino sulle donne, Sheila non si era mai lasciata abbindolare dai suoi sorrisi e dalle sue battutine. L'ammirava e si sentiva allo stesso tempo un po’ sminuito dai suoi modi di fare, al contrario di come si sentiva quando era con Lei.
Lei era caduta immediatamente ai suoi piedi, ma faceva di tutto per non lasciarsi prendere. Si chiedeva ancora cosa fosse a trattenerla. Si piacevano entrambi, ma dopo il loro primo bacio, qualcosa era cambiato, come se avesse paura di lui e dei suoi stessi sentimenti. Ogni giorno, da quando era partito, Lei era il suo chiodo fisso, il perno sul quale ruotavano tutti i suoi pensieri. Forse avrebbe fatto meglio a non partire, nonostante Lei non avesse risposto alla sua richiesta, tuttavia ormai l’aveva fatto e tanto valeva rimanere e ricominciare qualcosa di nuovo, magari un nuovo libro su cui lavorare, anche se sapeva già che probabilmente avrebbe impersonato lei all’interno della protagonista femminile che intendeva utilizzare. Il fatto che non riuscisse a concentrarsi su una storia al di fuori di Lei, lo faceva deprimere, perché sapeva che da quel momento Lei sarebbe esistita solo nella sua mente, nei suoi ricordi e nelle pagine del suo nuovo libro. Sospirò.
- Afflitto? – chiese Mortimer, mentre prendeva un caffè al distributore vicino alla sua scrivania.
- Molto – rispose mettendo la testa fra le mani e massaggiandosi un po’ le palpebre. Ogni notte la sognava ed ogni mattina si sentiva afflitto perché Lei non era con lui. Lei non sapeva da quanto tempo si conoscevano, in realtà, Lei non sapeva che di solito saliva sulla scala antincendio per spiarla in segreto, anche se l’amica se n’era accorta. Lei non sapeva che non appena l’aveva vista addormentata sul letto di sua madre, con il suo viso angelico dormiente, era rimasto ore ed ore ad osservarla, prima di svegliarla, rendendosi conto che la posizione che aveva assunto le avrebbe provocato un fastidioso mal di schiena. Lei non sapeva che quel che prima era una forte attrazione, dopo il primo bacio era diventato amore. Lei non sapeva.
Era talmente tanto preso a pensare che quando alzò di nuovo la testa, Mortimer era già andato via.
La sera andò a prendere una birra insieme ai colleghi e il bere lo aiutò notevolmente a smettere di scervellarsi per qualche ora o minuto, dipendeva dall’argomento che avrebbero affrontato durante la serata.
- Il tuo nome non è italiano? – ruppe il ghiaccio uno dei colleghi.
- No, è di origine spagnola, anche se io sono nato in Italia – confessò bevendo un sorso di birra.
- Non mi dire! – gridò quasi Sheila – Ho sempre sognato di andare in Italia! Ti invidio tantissimo! –
- Città? – domandò uno dei capi redattori.
- Venezia –
Sheila sorrideva a più non posso. Adesso si che sembrava interessata a lui.
- Ricordi qualche parola, o qualche canzone? –
- Quando ero piccolo, mia madre cantava sempre una canzone che si chiama “Volare” –
- Ti prego, cantacela! – lo pregò Sheila.
- Conosco una persona che potrebbe pronunciarla con meno difficoltà di me... – ammise, giocherellando con il bicchiere. Eccola tornata a far capolino nei suoi pensieri.
- Ohoh! Qui qualcuno è innamorato! – trillò l’editore dandogli una pacca sulla schiena.
- Già... – concluse, bevendo un lungo sorso di birra.
- Il tuo ultimo libro ha venduto tantissimo…non mi stupisce il fatto che tu abbia una Porche – cambiò discorso un altro. Era evidente che aveva capito che lo scrittore non era intenzionato ad entrare in quel campo.
- La Porche è un ricordo di mio padre, in realtà – sorrisino. Vide chiaramente una donna intenta a fissarlo con la coda dell’occhio.
- Non ha paura che possano rubargliela? –
- Un modello simile non si vede molto in giro – ridacchiò. Si voltò verso la ragazza di prima. Non appena i loro sguardi si incrociarono, lei arrossì, distogliendo immediatamente il proprio. Ecco, Sheila era veramente l’unica incapace di cedere al suo sorriso, a quanto pareva.

- Dove sono le pubblicità? – domandò Joe mezz’ora dopo esser entrato in ufficio.
- Sono appena arrivate, ci sto lavorando – sbuffai infastidita. Non riuscivo più a concentrarmi. Stavo organizzando nel modo più economico possibile i miei viaggi, dall’America all’Italia e in seguito dall’Italia verso l’Inghilterra. Avevo optato per rimanere un massimo di tre giorni nella mia vecchia casa, per andare a trovare papà, mio fratello e Andrea. Dopo sarei passata alle serre dov’ero cresciuta e sarei tornata a casa nostra, magari per dare una sistemata, sempre che non fosse stata affittata a nessuno. Volevo rivedere i miei libri, prendere qualcosa che avevo dimenticato, carezzare i muri dove c’erano ancora i segni dei quadri che avevo appeso e che poi avevo portato via con me, buttarmi sul letto dove avevo dormito ogni notte e dove avevo passato pomeriggi interi a parlare con le mie amiche, mettendoci lo smalto. Pensavo anche di rivisitare qualche vecchia conoscenza con la quale avevo ancora contatti, qualche vecchio compagno di scuola.  
Avevo paura che tre giorni non bastassero, ma non potevo trattenermi di più, perché oltre che rivedere al più presto papà, volevo anche al più presto passare giorno e notte con mamma per almeno un paio di giorni.
- Perchè non sei voluta venire a casa mia? - chiese mentre sistemavo le ultime pagine.
- Come scusa? - chiesi distratta.
- Ieri sera. Non sei venuta – ripetè alzandosi e venendo a sedermi alla sedia davanti la mia scrivania.
- Arriva al punto. - mi alzai ed andai con la lavagna elettronica verso la finestra. Ormai era un'abitudine quella di non volerlo troppo vicino. Probabilmente era sbagliato, perchè adesso ci conoscevamo più a fondo, avevamo stretto un rapporto decisamente intimo, quindi il mio comportamento non era neanche lontanamente giustificato.
Le veneziane si mossero, facendoci calare in un silenzio profondo per qualche secondo. Joe non abbassava quasi mai le tende ed era chiaro che tutto l'ufficio avesse sentito quel rumore, quando li aveva separati dal resto dell'ufficio, facendoli incuriosire e preoccupare allo stesso tempo per un minuto o poco meno.
- Irene, entrambi abbiamo bisogno l'una dell'altro. Dopo tutto quello che è successo, tu continui ad evitarmi, specialmente quando siamo in ufficio. Voglio sapere se c'è qualcosa che ti ferma dall'aprirti veramente – mi accigliai e lo guardai. Perchè adesso se ne usciva con discorsi simili? Parlava proprio lui di fiducia, quando non si era preso neanche la briga di andare al battesimo di suo figlio, nonostante lo avesse promesso? Doveva aver intercettato i miei pensieri, anche perchè ero più che sicura che avessi assunto la mia tipica espressione da “senti-chi-parla”.
- Dovresti conoscere la differenza tra casa e ufficio, Joe -
- Differenza? -
- Adesso noi siamo colleghi. Nella nostra vita privata, siamo sempre come dei colleghi. Il nostro rapporto si è fatto un po' più intimo, ultimamente, ma non vedo il motivo per il quale dovrei comportarmi in un modo “diverso” dal normale. -
- Vorresti dire che tu mi eviti solamente perchè siamo in ufficio? - domandò. Non sprecai neanche il fiato per rispondergli. Non aveva afferrato il concetto.
- No, io non ti evito, è solo il mio modo di comportarmi – precisai – Cosa cerchi, cosa vuoi da me? - chiesi in definitiva. Perchè girare intorno all'argomento quando potevamo arrivarci direttamente? Le mie parole sembrarono quasi spiazzarlo ed innervosirlo allo stesso tempo. Non riuscii bene a percepire la sua espressione. Ok, ero stata brusca e forse lui si sentiva quasi come una pezza da piedi usata e poi gettata via. Si, dovevo spiegarmi meglio – Aspetta, mi sei stato di grande aiuto, ci siamo consolati e...distratti – indugiai su quella ultima parola, imbarazzata, perchè era proprio quello che avevamo cercato l'uno nell'altra quella notte: una distrazione – ma adesso è passato ed io non riesco a capire cosa vuoi. Non girare intorno al discorso e arriva dritto al punto. - chiara, niente di più ed io non pretendevo ne più ne meno di altrettanta chiarezza.
- Irene – quando mi chiamava per nome era sempre un brutto segno. Mi venne incontro ma io non mi mossi – Io...ti ho sognato spesso. -
- Ci stai girando intorno – lo ammonii, andando verso la finestra.
- No, il punto è proprio questo. Quella notte ho capito che volevo una situazione stabile, un corpo caldo da cui tornare la sera dopo il lavoro, una persona con cui litigare e scherzare.. -
Non mi mossi, pietrificata. Avevo una vaga idea di dove volesse andare a parare. Stavolta ero caduta in una trappola con tutte le scarpe. Non lo avrei ritenuto che uno scherzo, se non avesse avuto uno sguardo tanto serio.
- Voglio un'altra possibilità, con la vita, con Alexander. - confessò infine.
- Perchè mi stai dicendo questo? -
Rimase in silenzio per qualche istante – Non sono mai stato tipo da relazioni fisse, ma sento che dopo quello che è successo, potrei farcela, veramente. Ho bisogno di te, per riuscirci. -
KABOOM.
No, no, no. È impossibile, fatemi svegliare da un brutto sogno.
“Pensa, pensa ad una risposta ad effetto” mi ripetei più e più volte mentalmente. Candid Camera, ti ho scoperto!
Quando vide che la risposta non arrivava, cominciò a diventare irrequieto.
- Sono stata una distrazione, non mi vuoi veramente – commentai con l'amaro in bocca, un amaro che si stava espandendo piano piano in tutto il mio corpo, soffocando il cuore ed impossessandosi di ogni mio pensiero. Fernando non aveva aspettato che mi schiarissi le idee, non gli avevo dato neanche realmente una risposta. Eppure era partito per l'Inghilterra a condurre un chissà quale giro di affari, la sera stessa in cui me lo aveva chiesto. Probabilmente sarebbe partito anche senza il mio consenso, era impossibile prenotare un volo all'ultimo minuto, specialmente nel periodo prossimo al Natale, quando migliaia e migliaia di persone tornavano dalla loro famiglia.
- Ci piacciamo entrambi, potrebbe andare, potrebbe succedere qualcosa – disse lu, cercando di convincermi.
– È inutile, tu non sei il tipo da avere una donna per volta – mi voltai verso di lui, poggiando la lavagna sulla sua scrivania. Sapevo chiaramente che anche quella sera avrebbe avuto compagnia.
- Cambierò. - era vicino al mio viso.
- Non basta. - volevo un caffè, così mi avviai verso la porta, passandogli dietro – Vado a prendermi un caffè – aprii la porta ed uscii. L'ufficio si zittì una seconda volta e sentii almeno una ventina di sguardi puntati su di me fino a quando scomparii dietro l'angolo per andare alle macchinette, infilando la chiavetta e ordinandolo.
- Irene, tutto ok con il capo? - mi chiese una collega che stava scegliendo qualcosa da mangiare. Non si voltò verso di me, perchè digitò il numero del prodotto sulla tastiera.
- Siete tutti terrorizzati dal playboy a quanto pare – commentai sarcastica, ma senza alcun tono acido.
- La maggior parte, sì. Almeno quella maschile – si voltò verso di me non appena prese la sua merendina. Ridacchiai.
- Voi donne non ne avete paura perchè con quel faccino può farvi tutto ciò che volete – dissi allora, facendo ridere anche la collega. Ci conoscevamo da tempo, si chiamava Jasmine. Solitamente andavamo a prendere sempre una birra appena dopo il lavoro, insieme a lei e a Grace. Era mia amica, oltre che collega, anche se non parlavamo mai di fatti troppo personali, al contrario dell'altra. Pensavo che anche lei avesse un passato non tanto rose e fiori, altrimenti ne avrebbe parlato apertamente.
- Per me è come un VIP. Non mi sono mai neanche avvicinata a lui, i raccomandati non mi vanno a genio – ammise senza troppi giri di parole. Ecco com'era Jasmine. Era arrivata in ufficio, a fare una lavoro che le piaceva con le sue sole forze, di conseguenza odiava a morte i superiori come Joe, perchè avevano amici nei piani più alti.
- Con il caratteraccio che ha, neanche a me piacerebbe conoscerlo – commentai cominciando a bere il mio caffè.
- A proposito, Irene, parliamoci chiaro. Qui in ufficio girano strane voci.. - cominciò. Ecco, non sarei mai voluta arrivare a conversazioni simili. Non c'era cosa che odiavo di più degli impiccioni che non avevano niente da fare se non rovinarmi la carriera.
- Quali voci? - chiesi senza guardarla, sorseggiando.
- Pauline ha detto di avervi visto in fila al check-in dell'areoporto- Le abbiamo detto che si sbagliava, ma lei ha avuto una storia con il capo e saprebbe riconoscerlo anche a miglia di distanza. - si, ero nei guai.Non avevo avuto il tempo di dirle di Grace perchè avevo passato praticamente tutto il tempo nella veccchia casa della mia amica o in albergo.
- Possiamo uscire un attimo? - chiesi seria. Un lampo le passò negli occhi e sapevo che aveva capito male – Si tratta di Grace – mi affrettai a precisare. Cambiò espressione immediatamente e annuì.
Uscimmo dall'ufficio, prendemmo l'ascensore e ci avviammo verso l'uscita. Una volta fuori, la feci sedere su una delle panchine e poi mi accomodai a mia volta.
Parole, parole e parole, in contrasto con i sentimenti che vagavano e danzavano sul volto di Jasmine. Mi sentii crudele per non averle parlato prima della fuga e della visita in ospedale che avevo fatto all'ultimo minuto, ma non avevo avuto tempo, non ne avevo avuto neanche per preparare in grandi linee la mia valigia, nel caso in cui avessi avuto il bisogno di fermarmi più a lungo. Nonostante fosse giusto che lei sapesse tutto sulla sua amica, io mi astenni dal parlare della paternità di Joe. Lo odiava già abbastanza e non volevo mettere il carico da dodici. Lei cominciò a piangere, ma in modo dignitoso, mi abbracciò, tremò un tantino, ma non emise neanche il minimo suono, lasciandosi unicamente cullare dal mio affetto e dal mio calore. Capii solo in quel momento cosa intendeva veramente il mio capo con le sue parole: lui aveva sofferto ed ero stata io a consolarlo. Se adesso mi chiedeva ancora di tornare da lui, di cominciare a passare più tempo insieme, probabilmente voleva solo dirmi che aveva bisogno di un punto chiave con cui sfogarsi, una persona da abbracciare nei momenti difficili e da cui tornare a casa quando si è stanchi. Io però non volevo assolutamente questo. Avevo già Norman che mi creava problemi di livello psicologico con le sue proposte e non ne volevo altri, di problemi. Gli avrei risposto in modo conciso, esprimendomi.
E comunque avevo ancora Lui in mente.
Fu in quel momento che decisi. Quando sarei partita dall'Italia per l'Inghilterra, lo avrei cercato e avrei messo in chiaro le cose una volta per tutte, a costo di rovinarmi il Natale.

Note finali____
Eccomi con un nuovo aggiornamento dopo non si sa quanto tempo! La scuola mi sta veramente mettendo in ginocchio quest'anno D:
Com'è andato l'inizio del nuovo anno? Spero bene per tutti, anche se forse è decisamente tardi per chiederlo. A me è partito benissimo a quanto pare, speriamo che continui ad andare sempre meglio, un po' di fortuna serve a tutti diamine! Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio immensamente chi ha inserito il racconto tra i preferiti, seguiti o da ricordare e prego con tutto il cuore che anche questo vi sia piaciuto. Baci, haki-chan. <3 
   
 
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