Fanfic su attori > Coppia Downey.Jr/Law
Segui la storia  |       
Autore: Shadowolf    10/02/2011    3 recensioni
New York City, fine anni '20. L'era del proibizionismo è al suo punto di massimo splendore, come anche il commercio illegale di armi e alcool. Le forze di polizia, dilaniate al loro stesso interno da spie e fughe di notizie, tentano di reagire come meglio possono, senza in realtà fare molto. Toccherà ad un nuovo procuratore con poteri di polizia istituire una task force di cadetti, in grado di contrastare il potere assoluto delle gang.
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non ho dormito tutta notte. Da quando sono tornato a casa, dopo esser passato dai miei per annunciar loro la fatidica promozione, e mi sono buttato a peso morto sul letto, la mia testa ha preso a girare per conto suo, troppo eccitata per calmarsi e concedersi quelle otto ore di sonno necessarie al mio corretto funzionamento. Ore che ho passato invece a girare e rigirarmi sul materasso leggermente umido, vista la pioggia del giorno precedente e i muri di cartapesta che mi ritrovo. Soltanto a notte fonda – verso le tre suppongo, visto che si erano da poco spenti i lampioni giù in strada – sono riuscito a dormire un po’. O meglio, a riposare, visto che ho come l’impressione di essere sempre rimasto vigile, almeno in parte. Continuavo a chiedermi perché proprio me. Cosa aveva fatto credere a questo tizio venuto chissà dove di poter meritare un simile incarico. Si vociferava che fosse di gran prestigio, ma anche molto pericoloso. Non che abbia particolarmente a cuore la mia vita, ho imparato a non prenderla troppo sul serio, ad accettare qualsiasi cosa possa incontrare sul mio cammino, però ci tengo a sapere quali siano i rischi che corro se mi imbarco in una determinata impresa. In tutta la mia vita, nessuno mi ha mai preso in considerazione, né in un verso né nell’altro. A scuola non ero un genio, ma neanche un nullafacente. In guerra non si sognavano di darmi il comando di una minima unità, anche se ne avrei avuto tutti i requisiti, ma neanche di affidarmi un compito dal quale c’erano ben poche chance di cavarsela. Sono sempre stato nella zona di limbo, per dirla così. Né troppo dentro, né troppo fuori. Costantemente nel mezzo. Che è quanto di peggio ci possa essere. E sì, volevo essere promosso, ma non entrare a far parte di una task force. Già il nome ti dà da pensare. Senza contare che ho dovuto spiegarlo due volte ai miei prima che capissero.
Rotolo su un fianco e prendo l’orologio dal comodino, per la decima volta nel giro di un’ora, e vedo che sono quasi le sette. Farei meglio ad alzarmi, visto che devo essere al nuovo posto di lavoro per le otto. Lascio andare uno sbadiglio e mi trascino pigramente al lavabo, aprendo il rubinetto dell’acqua calda nella vana speranza che ne esca. Inutile, dopo tre minuti e 35 secondi mi restituisce sempre il solito gelo. Rassegnato, cerco il rasoio e comincio a radermi, muovendo in continuazione la testa nel vano tentativo di fare un lavoro che non mi faccia sembrare come uno appena uscito dai lavori forzati. Lo specchio che avevo è accidentalmente caduto a terra un mese e una settimana fa, dopo che il mio vicino ha passato un intero pomeriggio cercando di inchiodare un quadro al muro. Inutile dire che alla fine c’è riuscito sì, ma a scapito del mio specchio appunto, che non ha resistito a tre ore di martellamenti ed alla fine s’è arreso, andando a morire in tre grandi pezzi ed una montagna pazzesca di figlioletti sul pavimento. Ho rimesso i magnifici tre insieme alla bell’e meglio, e mi rado spostando la testa a destra, manca, sopra e sotto. Certo, avrei potuto andar lì e lamentarmi, ma Ian è una brava persona, e sono assolutamente convinto che stava soltanto cercando di accontentare quell’incontentabile di sua moglie. Qualcun altro l’avrebbe già mandata al diavolo, ma non Ian. Lui è buono, e loro due si amano per davvero. Ogni volta che scambiamo due parole sul pianerottolo, o che viene a fare una partita a carte con me quando lui e Meryl hanno un piccolo diverbio (sempre per stupidaggini varie), finisce sempre per parlarmi di lei, di come si sono conosciuti, e della loro vita insieme. Non dovrebbe, giusto? Hanno appena litigato! Invece no, lui è lì seduto di fronte a me e pian piano gli si allarga un gran sorriso luminoso sul viso. Ogni. Singola. Volta. Se mai mi chiedessero la definizione di vero amore, credo sarebbe questa. Ian e Meryl.
Dieci minuti più tardi, vestito alla meglio con una camicia prestatami ieri da mio padre giusto per l’occasione e dei pantaloni neri che comprai per il matrimonio di mia sorella, un paio di anni fa, esco di casa, subito illuminato dai raggi del sole mattutino che si fa pian piano strada attraverso l’East River. Almeno la giornata promette bene.
‹‹ Siamo mattinieri quest’oggi, mio caro Robert. Qual buon vento ti porta qua fuori già alle sette e mezza? ››
Sorrido appena e mi giro verso Ian, sventolandogli una mano in segno di saluto.
‹‹ Vento di nuovo lavoro, signor McKellen. La... divisione alla quale sono stato assegnato ora ha gli uffici più a Sud, e devo esser lì per le otto, quindi mi devo muovere prima... – mi fermo un attimo e ridacchio – purtroppo. ››
‹‹ Oh, sei stato finalmente promosso e non mi dici niente? ››
‹‹ Be’, in realtà non è proprio una promozione, diciamo più un... cambio di mansioni. E poi è avvenuto tutto così in fretta... Sono ancora abbastanza confuso, a dirgliela tutta. ››
Mi guarda perplesso e si avvicina, poggiandomi una mano sulla spalla.
‹‹ Confuso? ››
‹‹ Sì, è roba fresca... di ieri pomeriggio. Sono andato a dirlo ai miei, sa, e quando sono tornato ho visto tutto spento nel vostro appartamento e ho pensato che stavate entrambi già dormendo, quindi ho preferito non disturbare. ››
Annuisce, ridacchiando lievemente, in una smorfia che lo rende più giovane rispetto ai suoi quasi sessant’anni.
‹‹ Vero, Meryl mi ha fatto preparare del latte caldo apposta, era stanchissima. ››
‹‹ Eh, vorrei avere anch’io qualcuno che mi portasse una tazza fumante quando sono stanco... Una donna fortunata, Meryl... ››
‹‹ No, sono io quello fortunato, fidati... ››
Non cambierà mai. Gli faccio un cenno e mi libero dalla sua stretta, lasciandogli una pacca veloce sulla spalla e incamminandomi verso le scale.
‹‹ Buona giornata, signor McKellen! Ci vediamo stasera. ››
‹‹ A te, Robert. Buon primo giorno! ››
Alzo il passo fino a quasi correre per raggiungere la fermata dell’autobus, realizzando improvvisamente che forse – forse – sono in ritardo. Ho solo mezz’ora per raggiungere la Bowery, e dio sa il traffico che c’è per strada. Da quando hanno messo sul mercato questo nuovo modello di automobile sembra che tutti ne debbano per forza possedere una, quasi come fosse qualcosa di indispensabile. Certo, capisco che sia comodo avere un mezzo personale a propria disposizione, ma mi sembra che ce la stavamo cavando benissimo anche prima, quando ce l’aveva solo qualche ricco dei quartieri alti.
Con un gesto magnanimo il conducente acconsente a prolungare la fermata di qualche istante in più, dandomi così modo di raggiungere il bus prima che ripartisse, così dopo ventisette minuti esatti di corsa (dato che farò meglio a tenere a mente da qui in avanti) scendo all’incrocio con la Bleecker e proseguo dritto per un isolato e mezzo, fino a ritrovarmi, come mi era stato comunicato, davanti ad una piccola palazzina a due piani di colore arancione sporco. La strada pare per lo più deserta, eccetto qualche uomo che cammina svogliatamente sul marciapiede, trascinando i piedi. Come ogni volta prima di un appuntamento importante nella mia vita, me ne rimango lì impalato a fissare l’edificio, incapace di fare altro. Entrare? Devo proprio? Potrei restare qui, in fondo, no? Voglio dire... Oh, andiamo, che stupidaggini. 28 anni e dover fare ancora di queste scene. Dai, su, muoviti ed entra. Finiscila. Ma ho paura... E di cosa?Non lo so... La paura è irrazionale, no?
Alla fine mi faccio coraggio ed entro. Il portone sa di muffa, e di umidità. In un certo senso mi sembra di stare a casa, almeno per quanto riguarda gli odori. Non ci sono cassette della posta appese al muro, e il pavimento sembra... bagnato?
‹‹ Non ci far caso, il tizio che abita al piano terra dice che s’è rotta una tubatura. Forse la riparano, forse no. Ma noi non abbiamo di questi problemi, non ti preoccupare. ››
Mi guardo intorno alla ricerca del proprietario di questa voce allegra e per niente grave ma non incrocio nessuno, e prima che possa pensare al fatto che provenga da sopra, questa mi precede.
‹‹ Su, qui su. Non sono un fantasma, non ti preoccupare! ››
Ridacchia di nuovo e quando finalmente alzo la testa, la prima cosa che mi capita davanti sono due occhi mar- no, grigi, sì grigi, senza dubbio, e profondi, in mezzo ai quali troneggia un ciuffo riccio e ribelle. Gli faccio un cenno e salgo in fretta le scale, giusto per fare buona impressione su di lui, chiunque egli sia. Probabilmente un tipo come me, solo un po’ più vivace. E allegro. E per niente preoccupato. Gesù, buon per lui. Forse ha già incontrato il capo e gli è piaciuto, così adesso è a posto. Perciò sorride, è stato all’altezza delle aspettative.
Lo raggiungo e gli stringo la mano, tentando un sorriso a mia volta. Che ho come l’impressione non mi riesca, ma tant’è.
‹‹ Ciao, mi chiamo Sean. Complimenti per la puntualità! ››
Ecco, cominciamo. Cavoli, sono solo du- no, tre minuti dopo le otto. Non è colpa mia, ho solo calcolato male il tempo!
‹‹ Scusa, davvero, è che il traffico è diventato un casino adesso, non abito neanche tanto lontano, pensa...  – Troppo, stai parlando troppo. – Scusa, piacere, sono Robert. ››
‹‹ Oh, non preoccuparti, siamo tra amici qua. E poi non sei mica in ritardo. Non era sarcasmo il mio, solo una constatazione. Sei il primo. ››
Mi sorride convinto, mentre annuisce di nuovo e mi poggia una mano sulla spalla. Mi rilasso un poco, rinfrancato, ma proprio mentre apro la bocca per parlare di nuovo mi blocco di colpo, il mio cervello ha finito di elaborare l’informazione dietro quelle parole.
‹‹ Sono... il primo? ››
‹‹ Sì! Non è arrivato nessuno ancora... ›› conferma, prima di scuotere piano la testa, guardandosi intorno. ‹‹ Ah, lo sapevo, che questo posto era fuori mano... Avrei dovuto informarmi meglio, sì. Era quello che avrei dovuto fare... ››
Non dirmelo, non dirmelo, non dirmelo. Ti prego ti prego ti prego, fa che non sia così, fa che non s-
‹‹ N-Nessuno? Allora... Allora... ››
Lo guardo e sento le mie dita muoversi per conto loro, come se mi produssero. Continuo a fissarlo e lui deve leggere la mia muta domanda nei miei stessi occhi, perché ridacchia di nuovo e annuisce.
‹‹ Chi sono io? Sean! Te l’ho detto, no? ››
‹‹ Sì, me... l’hai... l’ha, l’ha detto, ma... ›› Oddio santo, sono fregato. Mamma, papà, ho perso il lavoro dopo dieci minuti che ero lì, insubordinazione... Dio che disastro, dovrebbero appiccicarmi un adesivo sopra alla fronte con scritto “Attenzione. Idiota” a caratteri cubitali. ‹‹ Oddio mi scusi, io... non avevo capito che lei... era il capo, giuro, non era assolutamente mia intenzione mancarle di rispetto, anzi, ci mancherebbe, lei è la prima persona che mi ha dato fiducia in tutta la mia vita, tanto che a dire il vero non so perché abbia scelto me, davvero, in mezzo a tanti... Non so dirle quanto mi dis- ››
‹‹ Oh insomma, quante storie! ›› mi interrompe, regalandomi un sorriso a trecentosessanta gradi. ‹‹ Sono sempre Sean, okay? Non mi piacciono tutti questi appellativi ridondanti, capo, commissario, superiore... La mia opinione? Sopravvalutati. Quindi non ti preoccupare. ››
Annuisce e mi dà qualche pacca sulla spalla, conducendomi dentro l’appartamento. Lo seguo in modalità di zombie, perché se prima ero in ansia, adesso sono più virante al perplesso. Niente “appellativi”? Lo devo chiamare per nome? Cosa siamo, tutti una grande famiglia? Io do del lei a qualsiasi persona più grande di me, e lui chiaramente lo è. Ma poi, anche se fosse, è sempre un mio superiore, non scherziamo. Questa cosa pu-
‹‹ Dài, Robert, rilassati. Non è un test d’ammissione, sei dentro! Anzi, mettiti pure comodo... ›› si ferma e dà un’occhiata in giro, grattandosi la nuca, prima di accennare ad un punto alle mie spalle ‹‹ su quella sottospecie di divano, lì in fondo. Cristo, non hanno lasciato proprio niente qui, toccherà mettere mano al portafogli, almeno per un tavolo, delle sedie... ››
Seguo il suo sguardo e intercetto il sofà in questione, che in effetti deve aver visto giornate migliori. Mi avvicino con una certa cautela, quasi come fosse un mostro dormiente, e constato che è coperto da parecchi centimetri di polvere. Oltre che essere pieno di graffi e squarci, tanto che in vari punti si intravede perfino la spugna tentare di uscire alla luce del sole. Magari potrei declinare l’invito, tipo... Okay, girati e glielo dici. Fai lo schizzinoso come sempre. Non è questione di fare lo schizzinoso, è che fa schifo! Va bene, allora non sederti... Però mi ha detto di mettermi comodo, magari se non lo faccio l-
‹‹ Ehi, era un invito, non un obbligo... ›› mi fa da dietro, raggiungendomi e fermandosi al mio fianco, guardando anche lui verso quello scheletro di divano ai nostri piedi, con quella che mi pare essere una punta di ribrezzo. ‹‹ Sì, in effetti... Direi che è meglio lasciar stare, decisamente. ››
Ride piano e la sua risata contagia pian piano anche me, permettendomi di alzare gli occhi su di lui, per la prima volta dal momento della mia imbarazzante scoperta, qualche minuto fa. Mi scrolla leggermente le spalle e annuisce, guardandomi dritto negli occhi.
‹‹ Sì, questo è lo spirito giusto! Puoi lasciarti andare qui, sei tra amici! ››
Alle sue parole abbasso lo sguardo, ancora un po’ imbarazzato per il pseudo incidente diplomatico.
‹‹ È che... non sono abituato, mi hanno sempre insegnato a m- ››
Mentre inciampo sulle parole risuona un bussare alla porta. Mi interrompo, parzialmente sollevato, e seguo lo sguardo del mio capo, che si va a depositare in quella stessa direzione.
‹‹ Prego, la casa è aperta. Se siete ladri vi avviso, non c’è niente da rubare. ››
‹‹ È... permesso? In realtà non so se questo è il posto giusto, mi hanno detto al primo piano, ed era l’unica porta aperta, quindi ho pensato che fosse qui... ››
La nuova voce, intensa e con un accento di Harlem, preannuncia l’arrivo di una figura alta e dalle braccia possenti, dai tratti afroamericani e... in maglietta corta. In che razza di posto sono mai capitato? Getto istintivamente un’occhiata al mio corpo e sospiro lievemente: sembro uscito da uno di quei negozi di Manhattan dove hanno preso a mettere dei corpi di plastica davanti alle entrate e ad agghindarli come fossero persone umane.
Il mio capo annuisce vistosamente e gli si fa incontro, tendendogli il braccio già disteso. Ora che faccio? Me ne rimango qui e aspetto che saluti lui me? Ma teoricamente potrebbe essere di grado superiore al mio, quindi dovrei prestargli io il primo saluto... Però il capo ha detto che siamo tra amici, quindi potrei anche imitare quel che fa lui...
‹‹ Oh, non preoccuparti, il posto è proprio questo... Ciao, io sono Sean! ››
Osservo la faccia del tipo aprirsi in un sorriso discreto, facendo un vago segno del capo nella sua direzione. Mi chiedo se sappia che sta stringendo la mano al suo superiore.
‹‹ Be’, in tal caso... Piacere, sono Jamie. È un piacere far parte di questo progetto, boss. ››
Oh ecco. Lui lo sa. Si sarà tipo informato. Mica come me.
‹‹ È un onore averti con noi, Jamie. E per piacere, niente boss. Sono Sean. Solo Sean, okay? ››
‹‹ Come vuole lei, bo- ehm, voglio dire, Sean. ››
‹‹ E niente formalismi, se è possibile. ››
Adesso anche il tipo è confuso, glielo leggo in faccia. Sì, c’è qualcosa in cui sono bravo, almeno una. Capisco al volo le facce di chi mi parla, capisco se mentono. Credo sia stato questo a farmi andare avanti, nonostante tutto. Sono una specie di arma segreta, o almeno credo di esserlo. Magari mi sbaglio comunque. Non sarebbe la prima volta.
‹‹ ... D’accordo, è lei il capo dopotutto, no? ›› si ferma, pensando a quel che ha appena detto, mentre il mio superiore lo guarda negli occhi, ridacchiando piano – sì, ridacchia sempre. ‹‹ Ehm... Tu, sei tu il capo. ›› ride leggermente anche lui, e in quel momento mi rendo conto che ha un bellissimo sorriso. ‹‹ Oh cielo, prometto di impegnarmi. Vi assicuro che non sono neppure tanto male, potete mettermi alla prova, non vi deluderò! ›› finisce, annuendo convinto e per la prima volta degnando anche me di una menzione. In realtà sono io che per la prima volta permetto ai nostri sguardi di incrociarsi, perché fino a questo momento avevo tenuto lo sguardo fisso in avanti, puntato in una non meglio precisata grinza del muro. Quel sorriso ha cambiato tutto. Tendo a fidarmi di più delle persone che te lo regalano una volta ogni tanto, più che di quelle che sembrano costantemente avere le labbra sorrette da due fermagli negli angoli.
Gli faccio un cenno del capo e mi affretto a stringergli la mano, vergognandomi un po’ di porgergliela tutta sudata. Per fortuna Jamie non sembra notarlo, e anzi me la scuote con forza e sicurezza, a lungo. Ouch...
‹‹ Ciao, piacere, sono Robert. ›› Che faccio, aggiungo il cognome o no? A Sean non glielo hai detto... Perché non sapevo che lui era il capo! E finiscila di chiamarlo Sean! Lui vuol essere chiamato così, genio... Chi se ne frega, è pur sempre un superiore! Quindi contravvieni alle regole ora? – Gli sorrido, inspiegabilmente, e non dico altro.
‹‹ Okay, ti chiamerò Robbie. Robert è troppo lungo, e sa di aristocratico, e Sean qui non vuole formalismi, hai sentito, no? Ti dà fastidio? ››
Scuoto la testa e mi stringo nelle spalle, affrettandomi ad asciugare il palmo della mano sui pantaloni, appena me la lascia. Odio essere nervoso.
‹‹ No macché, figurati... ››
‹‹ Bene, allora è deciso. ›› conclude, lasciandosi cadere a peso morto sul divano impolverato. Gli acari mi finiscono tutti addosso e comincio a sentir grattare in gola. Evidentemente a Jamie non danno fastidio. Dopotutto, viene da Harlem. Da quelle parti sono fortunati a non avere le finestre di casa rotte, di questi tempi.
Rimaniamo tutti e tre in silenzio per un po’, aspettando probabilmente l’arrivo degli altri. Immagino ci manchino una decina di persone, più o meno. Mi sposto vicino alla finestra e guardo la strada, che pian piano comincia a popolarsi dei rigattieri, spuntati come funghi da qualche anno a questa parte, quando l’aumento del salario minimo ha permesso a tutto il ceto medio di sbarazzarsi delle vecchie cose per far spazio alle nuove. Controllo l’orologio, le otto e cinquantadue minuti. Alla faccia della puntualità.
Come se mi stesse leggendo il pensiero, la voce del mio capo chiama il mio nome, interrompendo i miei pensieri che stavano già per prendere il largo.
‹‹ Visto Robert? In confronto, sei arrivato in anticipo! ›› ridacchia, e in quel preciso momento la porta d’ingresso viene sbattuta con forza contro il muro, preannunciando così l’arrivo di quel che spero essere un altro poliziotto. Ma tutto ciò che carambola dentro è un ammasso di capelli mossi e corti di colore indefinito, tra l’avorio, il marrone sporco e forse il beige. Mi giro giusto in tempo per cogliere di sfuggita il nuovo arrivato piegarsi sulle ginocchia, ansimando veracemente. Vana aspettativa, non so chi sia, ma certamente non è uno di noi. È un ragazzino.
‹‹ Ehi, ehi, ehi, amico, che succede? ›› comincia Jamie, ridacchiando e mettendogli una mano sulla schiena, cercando di intravederne il viso. Ma lui è troppo impegnato a recuperare il fiato per rispondergli, così interviene il capo per lui.
‹‹ Robert, Jamie... Vi presento Neil... ›› si ferma, pensandoci un attimo su, e poi si rivolge al piccoletto. ‹‹ O Patrick? Come preferisci essere chiamato giovanotto? ››
Lo vedo raddrizzarsi e prendere un paio di profondi sospiri, prima di mettersi sull’attenti, in una buffa e veloce mossa che non riesce a non strapparmi un sorriso.
‹‹ N-Neil, signore. Neil andrà benissimo. ›› annuisce poi, regalandogli un largo ghigno pulito.
‹‹ E Neil sia! Ti offrirei un bicchier d’acqua, ma siamo un po’ a corto di risorse, come forse avrai notato... ››
‹‹ Non si preoccupi signore! Sto benissimo! ››
‹‹ Bene, allora direi che possiamo cominciare. ››
Cominciare?
‹‹ Cominciare, Sean? ›› incalza Jamie, il suo tono perplesso come lo sarebbe stato il mio se solo avessi avuto il tempo di formulare la domanda a voce alta.
‹‹ Cominciamo! ›› gli fa eco il piccolo Neil, annuendo convinto e prendendo posto anch’egli sul divano, nascondendo subito dopo una smorfia di disgusto quando gli acari attaccano anche lui.
Il capo ridacchia ed annuisce, prima di diventare improvvisamente serio, per la prima volta da quando l’ho incontrato, sulla tromba delle scale.
‹‹ Sì, cominciare, Jamie. Siamo tutti qui, purtroppo. O per fortuna, questo solo il tempo ce lo dirà con certezza. Non so se qualcuno di voi ha mai fatto parte di una task force, ma per sua natura questa richiede un piccolo gruppo di persone, per far sì che ci sia affiatamento tra i suoi membri, e, cosa più importante, fiducia. Completa, assoluta. Incondizionata. Conto che diventeremo tutti amici, così da poter contare uno sull’altro. Questo è l’unico modo che abbiamo per dare un taglio alla gang. È una piccola area di interesse la nostra, vero, ma sarà il nostro punto di partenza. La criminalità organizzata – la mafia, questo è il suo vero nome – si fonda su piccoli gruppetti che contribuiscono al grande organismo. È una specie di alveare, e se vogliamo arrivare al suo cuore, dobbiamo ragionare come loro, agire come loro. in altre parole, essere loro. Certo, lavorare in quattro persone sarà sfiancante, ma è per questo che ho scelto... voi ›› fa una piccola pausa, abbassando per un secondo la testa, un gesto che mi lascia un po’ perplesso, almeno sul momento, perché da quel poco che ho avuto modo di notare, non è qualcosa che fa spesso ‹‹ Ho letto i vostri fascicoli, avete una buona propensione al lavoro: diverrà il nostro pane quotidiano. Sono convinto che faremo cose importanti come gruppo, e se ci impegniamo, sono certo che otterremo qualche successo. Che ne dite? Vi piace come piano? ›› conclude, facendo vagare lo sguardo su ognuno di noi, il sorriso sulle labbra.
Per un momento nessuno parla. Ho la testa vuota, come se ci fosse appena passato su un treno. L’unica domanda che mi viene in mente è cosa ci faccio qui. Checché ne possa dire lui, a me sembra una missione suicida. Pura e semplice così com’è. Non fa per me, io sono uno tra tanti, se sono un poliziotto è semplicemente perché volevo fare qualcosa di utile per la società, sì, questo è vero, ma da qui a combattere insieme ad altre tre... no, due persone e mezzo un’intera organizzazione criminale ce ne passa. Ogni tanto sento di questi grandi uomini che arrestano i boss della malavita, loro sì che ci sanno fare, hanno carattere, hanno carisma. Già solo sentirli parlare per radio ti dà fiducia, ti fa credere che sì, in effetti un giorno migliore non è solo possibile, ma anzi, addirittura probabile. Io mi impappino già solo a parlare con qualcuno che non conosco invece. Non s-
‹‹ Certo che ci piace, signore! Mettiamoci subito al lavoro! ››
La voce squillante di Neil rompe per prima il silenzio che cominciava a farsi leggermente imbarazzato, almeno da parte mia. Sollevo la testa e non posso fare a meno di trattenere un altro sorriso all’entusiasmo del ragazzino. ... Ecco, altra domanda. Che ci fa qui lui? Non può essere un poliziotto, vero? È... piccolo. Probabilmente non sa neanche tenere in mano una pistola, per carità!
‹‹ Oh, sono contento di sentirtelo dire, Neil! E anche tu, smettila di chiamarmi signore, non è necessario. ››
Il ragazzino abbassa leggermente lo sguardo, imbarazzato, e per la prima volta mostra cenni di insicurezza.
‹‹ Allora... come devo chiamarla, s- ... ››
‹‹ Sean sarà perfetto. ›› lo rincuora il capo, annuendo con convinzione.
Lui sorride nervoso e comincia a torcersi le mani, chiaramente a disagio con tanta libertà. Il che, se è possibile, me lo rende ancor più simpatico.
‹‹ Jamie, tu che ne dici? ››
‹‹ Onestamente? Ho un unico dubbio. Questo fringuello qui ha più di quattordici anni? ››
‹‹ Ehi! ›› si riscatta improvvisamente Neil ‹‹ Per tua informazione ne ho diciotto. ››
‹‹ Diciotto. ›› osserva sarcastico Jamie ‹‹ Da quanto tempo sei in polizia? Una settimana? ››
‹‹ No, un anno. Ne compio diciannove tra due mesi. ››
Il capo ridacchia e punta un dito contro il ragazzo di Harlem.
‹‹ Neil ha completato l’accademia nel minor tempo possibile da quando l’hanno inaugurata. Ti assicuro che sa il fatto suo. Ci sono altre osservazioni? ››
‹‹ Se lo dice lei, per me è okay. Basta che non mi copra le spalle in missione, per quello scelgo Robbie qui. ››
‹‹ ... È anche uno dei miglior tiratori in circolazione, giusto così per dire. Ma va bene, se vuoi Robert è okay. ››
Fa un cenno verso di me e mi batte una pacca sulla spalla. Adesso me lo chiede. Ed io non so che dirgli. Magari gli domando che cosa l’ha spinto a scegliere me. Non ha senso come mossa, ci deve pur esser scritto da qualche parte nel mio curriculum che sono bravo solo a tirarmi indietro, no? Tipo, da quando Mark mi dava fastidio a scuola. E poi anche in guerra. Chi vorrebbe uno come me tra le sue fila? Nessuno.
Ma alla fine non dice niente, ed io non so se esserne contento o meno. Perché adesso pare ovvio che sono dentro, volente o nolente. Oh, e la mia opinione non vale niente. Benissimo.
‹‹ Bene, direi che per oggi è tutto! Ci vediamo qui lunedì mattina alle nove, possibilmente. ››
Intercetto lo sguardo scettico di Jamie.
‹‹ Come, lunedì? E adesso? ››
‹‹ Oggi è giornata libera. Divertitevi, uscite con le vostre ragazze, fate quel che volete. Non sapete che non si comincia mai a lavorare di venerdì? ›› sghignazza il capo ‹‹ Piuttosto, ricordatevi di portarvi una sedia da casa, se ne avete in più. E magari anche un tavolo. Come forse avrete notato, siamo in carenza di suppellettili. ›› conclude, facendo un cenno a tutti e recuperando un cappello – che fino a questo momento non avevo notato minimamente – dal pavimento, indossandolo e dirigendosi verso la porta. ‹‹ Au revoir. E che l’ultimo chiuda la porta! ››
Rimaniamo a scambiarci perplesse per una manciata di secondi ancora, prima che Neil parli.
‹‹ Oh be’, allora ci vediamo lunedì, ragazzi. Se mi muovo magari riesco a fare la spesa per mia mamma. Divertitevi anche per me! ››
Ci strizza l’occhio e si affretta alle scale, scomparendo subito dopo. Scambio un’occhiata interrogativa con Jamie, che si limita a stringersi nelle spalle e a rivolgermi un mezzo sorriso.
‹‹ Vuoi un passaggio? ››
Cosa?
‹‹ Hai... Tu possiedi una macchina? ››
‹‹ ... Sì. Altrimenti non ti avrei chiesto se volessi un passaggio, ti pare? ››
Logicamente.
‹‹ Oh. Be’, sì grazie, mi eviti la scocciatura di lottare contro la giungla urbana. ››
‹‹ Capisco cosa vuoi dire, sì. ›› ridacchia, e insieme ritorniamo in strada, che adesso è decisamente un via vai ininterrotto di gente. Annotarsi: in questo quartiere la giornata comincia verso le nove e mezza.
‹‹ Ah, io abito su, all’East Side... ››
‹‹ Non è un problema, abito solo qualche bl- Ow! ››
Si interrompe, andando a finire contro la portiera della macchina. Mi giro verso di lui e gli presto una mano d’aiuto, puntando nel frattempo gli occhi verso i due ragazzi che ci hanno appena passato.
‹‹ Ooooops! ›› sogghigna il più alto, non degnandoci nemmeno di uno sguardo, ma continuando a camminare come se niente fosse.
‹‹ Ehi! Almeno chiedi scusa! ›› urlo di rimando, facendo per andare ad acciuffarlo, mosso improvvisamente da un’ondata di giustizia. Dev’essere l’effetto delle parole del caso.
‹‹ Lascia stare ›› mi ferma Jamie, rialzandosi. ‹‹ Sono abituato. ››
La sua voce, chissà come, arriva alle orecchie dello spilungone, che ridacchia e senza voltarsi neanche stavolta replica.
‹‹ Il fatto che Louis Armstrong abbia successo non cambia il fatto che siano dei pezzenti, dillo al tuo amico. ››
Apro la bocca per rispondergli ma mi ritrovo la mano di Jamie a mo’ di tappo, che scuote la testa e alza le spalle.
‹‹ Andiamo. Upper o Lower? ››
‹‹ Upper. ›› grugnisco. ‹‹ Avresti dovuto lasciare che gli dessi una lezione... ››
‹‹ Tu? Ma fammi il piacere. Ti avrebbe fatto a poltiglia. Ed io non voglio stare in squadra con un quattordicenne. ››
‹‹ Dice di averne diciotto, quasi diciannove. ››
‹‹ Credi a tutto quello che ti dicono? ›› sghignazza e parte, lanciandomi un’occhiata complice.



AUTHOR'S CORNER: Sì, non sono morta. E sì, posto di nuovo dopo due settimane. Ma ho avuto da fare. Più o meno. E poi non vi ho proprio lasciato al secco, no? Quindi su, un po' di umana e studentesca comprensione u_u
Aaallora, venendo a noi. Un paio di precisazioni *non ricorda cosa voleva dire* Vabbè, parto dai personaggi nuovi. So che Ian McKellen è gay, ma mi serviva come faccia e mi sta troppo simpatico (Magneto rulez!), e Meryl ovviamente è la Streep (che tipo sarebbe una versione ante litteram di Miranda ne Il Diavolo Veste Prada, se non si fosse capito xD)... Non fanno una bella coppia insieme? xD
Sean è Penn. Dopo un quarto d'ora passato a girarmi e rigirarmi nel letto ieri mattina ho avuto un flash illuminatore. E' perfetto per il ruolo (soprattutto se ve lo ricordate o l'avete visto in The Indian Runner e in Mystic River *____*), e poi ha quel sorriso particolare che te lo figuri immediatamente.
Jamie è Foxx, che irl è l'esempio di bromance più bromance che ci sia (parlando di Rob), e secondo me Rob dovrebbe fare film solo con lui e Jude, punto. Cioè, avete visto i cinque minuti che ha in Due Date? Ero lì che nella mia testa gridavo a Rob di fare un altro film con Jamie (ignoratemi).
Neil (o Patrick, LOL) è Harris, che non so se lo conoscete, ma è il Barney di How I Met Your Mother, o il Dr. Horrible di Dr. Horrible's Sing-Along Blog (che oggi sarebbe così, ma dato che nella storia è piccino, vi ho messo come riferimento quella foto lì).
La macchina di Jamie (e di tanti milioni di Americani in quegli anni è la Ford Model T, che sicuramente avrete visto e stravisto nei film del periodo.
Avrei duecentoquattrodici altre cose da dirvi, ma è un'ora che sto scrivendo questa cavolo di nota e onestamente mi sono scocciata, quindi rimando ai prossimi capitoli.
Prometto che aggiornerò presto (spero/mi auguro/ogni tanto chiedete notizie LOL) u.u
P.S.: non preoccupatevi per il delirio qui sopra, c'è mio padre che mi sta dando il tormento oggi -.-

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Coppia Downey.Jr/Law / Vai alla pagina dell'autore: Shadowolf