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Autore: Sissi Bennett    11/02/2011    6 recensioni
Prendete tutto ciò che Lisa Jane Smith ci ha raccontato su Bonnie McCullough e dimenticatevelo. Bonnie manca da parecchi anni a Fell's Church, non hai mai conosciuto Elena Gilbert, non sa di essere una strega e ingnora l'esistenza dei vampiri. Ma ciò che stravolgerà la sua vita è il legame che condivide con i fratelli Salvatore, totalmente diverso da quello cui siamo stati abituati.
Dal quarantaduesimo capitolo:
Si stava mettendo in gioco per davvero, si stava abbassando a fare quello che in condizione normali avrebbe evitato come la peste. Tutti in quella sala non se n’erano neppure accorti, lo consideravano alla stregua degli altri. Bonnie, invece, sapeva che tutto quello era solo per lei. Damon si sentì quasi ridicolo.
Presentarsi su quel palco significava mettersi a nudo e mentre le altre ragazze avrebbero fatto a gara per accaparrarselo, una sola sarebbe stata l’unica e vera destinataria di un messaggio ignoto al resto dei presenti: sono qui, scegli me, punta su di me.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie McCullough, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Quasi tutti, Stefan Salvatore
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ashes &Wine

Capitolo due: Pierce right through me

 

“Words like violence
Break the silence
Come crashing in
Into my little world
Painful to me
Pierce right through me
Can't you understand
Oh my little girl”

(Enjoy the silence- Depeche Mode)

 

 

 

Glielo dobbiamo Damon, glielo devi.

Questa era nuova. Lui, un vampiro di cinquecento anni, che aveva mietuto decine di vittime senza mai un rimorso, senza mai un tentennamento, lui doveva qualcosa a una semplice umana, che per altro non vedeva da anni.

Non è una semplice umana, è Sissi. Ti piaceva Sissi, ricordi?

Se esisteva una cosa peggiore di avere Stefan sempre intorno che cercava di redimerlo, era sentire la sua maledetta voce anche quando lui non c’era.

La cosa assumeva sfumature allarmanti, una volta acquisita la consapevolezza che quello non era Stefan che gli stava parlando con il pensiero, bensì la sua stessa mente che, per qualche ragione ignota, aveva scelto di vestire i panni di suo fratello minore per comunicargli quei messaggi assolutamente irritanti.

Sì, Sissi gli era piaciuta. Un tempo, quando era ancora una bambina, innocente e ingenua che si era convinta di vedere in lui il suo eroe.

Lo stesso eroe che le scacciava i mostri da sotto il letto, che le aveva insegnato ad andare a cavallo e che di notte attendeva, senza farsi vedere da Stefan o da Zach, che lei si addormentasse prima di lasciare la sua stanza.

Quell’eroe che, dopo essersi accertato che lei dormisse profondamente, se ne usciva di casa, in cerca di giovani vergini, cui succhiare il sangue, per poi ucciderle del tutto o soggiogarle e divertirsi con loro.

Sissi aveva una visione totalmente distorta di lui, ma era proprio questo che Damon apprezzava della sua compagnia. Era per quella sua dolcezza e spontaneità che si era rifiutato di usare i suoi Poteri su di lei, che aveva ordinato a Zach di non rivelarle mai la sua vera identità o quella di Stefan.

Insomma era realmente arduo resistere ai suoi grandi occhi castani che lo guardavano come se fosse stato la persona più importante che avesse al mondo. Era una sensazione che condivideva anche con Stefan e Zach e loro, con quell’enorme cuore d’oro che si ritrovavano, dovevano sicuramente sentirla più di lui, ma il fatto di provarne una piccola parte era già di per sé sconvolgente.

Chi era quella piccolina per spiazzarlo con un’occhiata? Chi era per crepare, anche se solo superficialmente, la pietra che, da tanto ormai, si era stabilita dentro di lui, dura e compatta e( almeno così credeva) indistruttibile?

Questo, però, accadeva otto anni prima, quando lei aveva solo dieci anni, viveva ancora al Pensionato e giurava che da grande avrebbe sposato zio Damon.

Questo accadeva prima che lei lo tradisse, complice di quel miserabile di Zach.

Non ti ha tradito, Damon, ha solo undici anni, cosa poteva fare?

Queste erano le vere parole di Stefan, dette in un vano tentativo di calmarlo, dopo che aveva saputo la brillante novità.

Facile nascondere le colpe dietro una mera questione di età. Sissi era ancora una bambina, adorabile e spesso accondiscendente, ma quando si impuntava su una cosa, diveniva caparbia e decisa.

Avrebbe potuto opporsi, rifiutarsi di partire, così di punto in bianco, per l’Italia senza avvertire nessuno (lui), senza lasciare un indirizzo, un recapito, senza farsi sentire per anni, avrebbe potuto dire semplicemente no.

La tua presenza non le faceva bene, ho dovuto allontanarla per il suo bene. Mia sorella non deve finire nei tuoi casini.

Che scusa patetica! Lui non l’avrebbe mai toccata con un dito, nemmeno una volta cresciuta e divenuta una donna. Non le avrebbe fatto del male. Mai.

Ora però le cose erano cambiate, ora anche l’immagine di una Sissi diciottenne si mischiava a quella di tante altre ragazze che avrebbe sedotto volentieri per il proprio piacere. Se mai se la fosse ritrovata davanti, adesso, e ne era certo, l’avrebbe usata senza ripensamenti, avrebbe infilato i canini in quel collo che, se non ricordava male, era già allora candido e invitante, e l’avrebbe guardata morire come tutte le altre. Nessuna pietà, nessun pentimento, nessun dispiacere, neanche un piccolo, stupido e inutile sentimento umano.

Perché lui era un vampiro.

Perché lui faceva certe cose per istinto.

Perché era cattivo.

Perché non gliene importava.

Perché lui non doveva niente a nessuno.

Specialmente a Bonnie Salvatore.

 

Immobile come una statua di cera. Ecco cosa avrebbero pensato i passanti vedendola lì, ferma in mezzo alla strada, con un borsone a tracolla, una valigia a fianco, posata sull’asfalto e un’altra borsa in spalla.

Una statua di cera. Ipotesi avvalorata dalla sua pelle bianca, translucida, quasi trasparente che sembrava, a momenti, riflettere i raggi del sole.

Bonnie si era imbarcata in quel viaggio completamente insensato e improvviso, senza neanche pensare realmente a quello che stava facendo.

Facile muoversi spinti dall’adrenalina, dalla voglia di rompere gli schemi, dalla consapevolezza di un’azione inaspettata e imprevedibile.

Solo in quel momento, scesa da pullman che l’aveva condotta a Fell’s Church dall’aeroporto di Atlanta, si era veramente resa conto di ciò che era successo.

Era fuggita dal suo collegio in Italia, infrangendo una decina di regole della scuola ( cosa per cui sarebbe stata minimo sospesa), aveva preso il primo volo diretto in uno stato che non era il suo, per quanto fosse comunque vicino, e aveva sbagliato tre volte pullman prima di trovare quello giusto.

Per cosa poi?

Presentarsi in casa sua e scoprire che Zach stava bene e che, semplicemente, non aveva avuto il tempo o la voglia di chiamarla?

Perché se da un lato era preoccupata che gli fosse accaduto qualcosa di male, dall’altro era terrorizzata di avere un’ulteriore conferma che a suo fratello, di lei, gliene frega poco o niente.

Era proprio quella la conclusione cui era arrivata, duranti i suoi anni in Italia.

Per quale altro motivo l’avrebbe mandata in un collegio all’estero se non per disfarsi di lei? C’erano altre ragioni per cui un fratello si separerebbe dalla propria sorella, con così poco preavviso e in maniera così definitiva?

D’altronde Zach si era occupato di lei fin da quando i loro genitori erano morti, aveva sacrificato molto per starle accanto e forse era solo stufo di ricoprire il ruolo del tutore responsabile. Era una cosa umanamente comprensibile.

Ma Bonnie non riusciva a darsi pace: sentirsi un peso, un ostacolo, un qualcosa in più, era un fardello troppo pesante da sopportare per una ragazza emotiva come lei. Non pretendeva molto dopo tutto: solo vederlo un po’ più spesso di persona e non attraverso una web-cam, solo parlargli come quando era piccola e non quelle scarne e aride conversazioni cui si era abituata negli ultimi tempi.

Avrebbe voluto poter tornare a casa ogni tanto, ma Zach non glielo aveva mai permesso. Un paio di volte l’aveva raggiunta per passare l’estate in qualche capitale europea*, ma durante gli ultimi tre anni non era più successo.  

Bonnie si era ritrovata a girare, durante le vacanze estive, da sola per il vecchio continente, con qualche amica che avrebbe dato di tutto per stare il più lontano possibile dalla famiglia. Come sei fortunata, Bonnie. Le dicevano sempre.

Strano, lei pensava la stessa cosa di loro. Loro che erano tartassate dalle chiamate dei genitori, loro che a Natale erano costrette a tornare a casa, loro che avrebbero voluto avere quella libertà che Bonnie avrebbe volentieri gettato via.

Erano sette anni che non metteva più piede a Fell’s Church e non sapeva se essere più felice o spaventata.

Compose velocemente il numero di Zach, mentre fermava un taxi.

Rispose ancora la segreteria telefonica.

“Ehi Zach, sono ancora io, Bonnie, tua sorella, hai presente? Quella che hai spedito in Italia a studiare e che non vedi da un bel pezzo. Sarà il cinquantesimo messaggio che ti lascio in dodici ore: sono tornata, sono qui a Fell’s Church e sto venendo a casa in questo momento. Richiamami o fingiti almeno un po’ felice quando sarò lì”. Chiuse la chiamata con tono amareggiato.

Sapeva che c’era la probabilità che Zach avesse avuto qualche problema, magari di salute, ma non poteva fare a meno di essere arrabbiata.

“Dove ti porto?” le chiese il tassista, dopo che ebbe caricato i bagagli.

“Solo un secondo” rispose Bonnie aprendo il portafoglio, dove aveva riposto un foglietto su cui aveva appuntato l’indirizzo.

Pazzesco non ricordarsi nemmeno la via di casa propria! Ma era troppo tempo che non tornava e aveva dovuto scriverla per non dimenticarsela.

Mentre estraeva il biglietto, l’angolo di quello che pareva un cartoncino bianco spuntò dal lato destro del portafoglio.

Lesse al tassista l’indirizzo e si concentrò su quella sua “scoperta”. Non era un semplice pezzo di carta, ma una fotografia; ritraeva lei su un cavallo.

Rammentava bene quando era stata fatta: un anno prima della sua partenza, al maneggio di Fell’s Church e ricordava altrettanto bene chi gliel’ aveva scattata.

Suo zio Damon, alias un’altra persona che era scomparsa dalla sua vita come una nuvola di fumo. Nemmeno un messaggio in sette anni. Altro brutto colpo per Bonnie, che gli si era affezionata in modo quasi innaturale.

Zach e Damon non andavano affatto d’accordo e Bonnie, seppur piccola, aveva capito fin da subito che era lei il motivo per cui Damon ritornava così spesso in città. Era una sensazione piacevole, senza contare poi il fatto che la bambina si era presa una bella cotta per il ragazzo. Fantasticava su un loro futuro insieme, come quando le bambine si convincono che da grandi sposeranno il proprio papà.

Solo che Bonnie il papà non ce l’aveva più.

Una volta l’aveva perfino confessato a Zach, facendogli quasi venire un infarto.

Sai, io e Damon un giorno ci sposeremo.

Era stato proprio quest’ultimo, udendola, a rispondere qualcosa sul fatto che la sua confessione sarebbe stata troppo lunga per una vita umana. Non aveva mai capito che cosa volesse dire quella frase, ma capitava spesso che se ne uscisse con tali perle criptiche. Anche se Zach l’aveva intesa fin troppo bene.

Era un bell’uomo, suo Zio Damon. Probabilmente lo era anche ora. Chissà, magari si era sposato davvero, aveva avuto dei figli.

Sorrise con malinconia ripensando anche al fratello minore di Damon, Stefan. Il dolce Stefan. Premuroso, gentile, buono, affettuoso, che a volte si era dimostrato molto più adatto di Zach ad prendersi cura di lei.

Non perdeva mai la calma, era rassicurante averlo intorno, la faceva sentire al sicuro, come se mai avesse potuto accadere qualcosa di male in sua presenza.

Zach era molto più tranquillo quando lui era nei paraggi; forse perché lo credeva capace di tenere a bada il fratello maggiore.

Per quale motivo, poi, Damon dovesse essere tenuto a bada, era un mistero per la piccola Bonnie, che non riusciva proprio a vedere nulla di cattivo in lui.

Avvertì che il taxi si era fermato. Guardò fuori dal finestrino e si stupì di essere già arrivata a destinazione. Si era talmente persa nei ricordi da non accorgersi nemmeno che avevano oltrepassato i cancelli del Pensionato dei Salvatore.

Pagò l’autista e recuperò le sue valigie. Attese che la macchina se ne andasse, prima di voltarsi infine verso l’enorme villa. Respirò a fondo, senza riuscire a trattenere un sorriso.

Sono a casa.

 

Strizzò le ultime gocce di sangue, rimaste nella sacca di plastica, in un bicchiere. Aveva sentito che una macchina aveva parcheggiato nel suo cortile, ma non le diede troppo peso. Doveva essere Stefan di ritorno dal suo allenamento di football. Tornato a casa con la sua Elena.

Fece una smorfia e aprì un cassetto in cerca di una camicia da mettere per l’incontro con il Consiglio. Frugò con una mano, mentre con l’altra continuava a sorreggere il bicchiere con il sangue.

Spinse la mano in fondo al cassetto, sicuro di afferrarne una a righe nere, alcune più scure, altre più chiare, ma si ritrovò a sfiorare con la punta delle dita qualcosa di completamente diverso. Un foglio, sembrava al tatto.

Lo prese e lo portò alla luce: era una fotografia.

La strinse un po’ più del dovuto, ricordandosi quando l’aveva scattata e a chi. Dopo la sua partenza, aveva fatto in modo che Zach facesse sparire ogni traccia della sua esistenza. Quella era l’unica foto sopravvissuta. L’aveva nascosta in quel cassetto tempo addietro e poi se n’era scordato.

La fissò per qualche secondo e poi ce la ributtò dentro, con uno scatto di rabbia.

Serbava troppo rancore per intenerirsi per una semplice immagine. Lei era come tutti gli altri e non si sarebbe fatto scrupoli ad assaggiarla, magari ad ucciderla.

“Zach … c’è nessuno?  Zach ci sei?”.

Una voce proveniente da sotto. Cercava Zach. Chi poteva cerca Zach? Non aveva mai avuto una gran vita sociale; lui stesso si era ben premurato di renderglielo impossibile.

Lasciò la sua stanza e scese le due rampe di scale che lo separavano dal piano terra. All’ingresso, circondata da valigie, c’era una ragazza. Capelli rossi, lisci, legati in una coda alta, francesine di pelle marrone, Jeans aderenti, una t-shirt bianca e un gilet marrone.  Bel fisico nel complesso. Bel lato B; non poté appurare se lo stesso valesse per il “davanti”, dato che lei gli dava le spalle.

Gongolò sentendo che quella giornata poteva trasformarsi in qualcosa di davvero piacevole e dolce, mentre tutto il fastidio di poco prima scemava in una aspettativa di pieno godimento.

Almeno finché la ragazza non si voltò, rivelando due grandi occhi castani che si allargarono ancora di più nel riconoscerlo.

“Damon …”.

“They tell you a good girl is quiet
That you should never ask why
Cause it only makes it harder to fit in
You should be happy, excited
Even if you're just invited
‘Cause the winners need someone to clap for them”

(Here I am- da “Camp Rock”)

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Eccoci qua con il secondo capitolo. Lo so che potrebbe risultare noioso, in effetti non succede nulla di eclatante, è ancora una parte dell’introduzione, ma ritenevo fosse importante inquadrare i sentimenti dei due protagonisti in relazione a questa parte del loro passato che ritorna prepotentemente nelle loro vite.

Rimandato quindi in loro incontro al prossimo capitolo, sperando di non avervi tediato troppo con questo =)

Solo una precisazione: nel primo capitolo avevo scritto che Zach non si era mai allontanato da Fell’s Church; quello era solo il pensiero di Stefan.

In realtà, come afferma qui Bonnie, l’uomo è andato a trovare la sorella qualche volta, senza ovviamente farlo sapere ai due vampiri, soprattutto perché non voleva rischiare di essere seguito e quindi svelare l’esatta “ubicazione” della ragazza.

Ringrazio tanto chi ha recensito e/o chi ha messo la storia tra le preferite e/o seguite. Giuro, non m’immaginavo che avesse così tanto successo.

A settimana prossima!

Fran.

  
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