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Autore: ThisIsLeisure    11/02/2011    2 recensioni
Caterina è una giovane ragazza nobile di Milano, non compresa dal padre e dalla matrigna, si sente sola come non mai nella sua vita. Finche non conosce Alexandre, un vampiro bello,tenebroso, e nobile Spagnolo. La vita di Caterina sta per cambiare drasticamente.
Angeli, vampiri, amore, morte, famiglia e il senso della vita, sono parti fondamentali di questa storia. Siete pronti ad iniziare il viaggio?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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La Rosa e le sue Spine.
 
Qualcuno, o meglio, qualcosa, mi stava osservando. Ci avrei giurato. Cosa ci facevo nella foresta in ogni caso? Feci un passo in avanti, e mi accorsi di non avere su le scarpe. Mi osservai i piedi, appoggiati alle ruvide e secche foglie arancioni. Il cuore iniziò a battermi sempre più forte. Dov'ero? Ero in un bosco, di sicuro. Gli alberi erano altissimi, e se provavo a guardare in alto non vedevo altro che rami e foglie arancioni che si mescolavano, formando una ragnatela.
Mi guardai in torno con il cuore che batteva forte. Era solo un mare di foglie arancioni, l'aria era gelida. In lontananza potevo solo vedere un velo di nebbia. 
Snetivo quegli occhi su di me. Sentii delle foglie rompersi alla mia destra, mi girai ma non vidi niente. Pensai di scappare, ma chi mi diceva che c'era un modo per uscire da questo dedalo di alberi e foglie rotte? Mi passai una mano nei capelli, mordendomi il labbro inferiore. Sentii un altro rumore dietro di me, mi girai di scatto, causandomi un leggero giramento di testa. Niente. Stavo impazzendo? Di sicuro. Dio quello sguardo posato su di me mi stava facendo impazzire. Mi girai di nuovo di scatto verso la sinistra. Un ragazzo se ne stava li, in piedi, davanti a me. Un ragazzo biondo, dagli occhi grigi chiaro, quasi sull'argento. Stava a circa 5 metri da me, ma lo vedevo chiaramente in volto. 
Era perfetto. Viso perfetto, capelli perfetti, occhi perfetti, corpo perfetto. 
Aprii bocca per chiedergli chi fosse, e perchè mi stava osservando.
«Shh.» disse portandosi un dito sulle labbra, chiedendomi di tacere.
Non facevo più caso al cuore che stava praticamente esplodendo nel mio petto. Mi osservava, con il dito ancora sulle labbra, sorrideva. Non uno di quei bei sorrisi, uno di quelli che ti fanno a tua volta sorridere. Un sorriso maligno. 
«Rosam cape, spinam cave.» lo disse con molta teatralità, la voce era a dir poco stupenda. Ma c'era qualcosa di profondamente sbagliato in quel ragazzo, maligno, quasi. 
Non riuscivo nemmeno a parlare, il fiato mi si bloccava in gola. Qualcosa continuava a urlare nella mia mene: "non dire niente!"
Stavo zitta, ferma. Il ragazzo mi fissava. Sorrise un ultima volta, e poi finalmente, aprii gli occhi.
 
 
Mi alzai a sedere di scatto, respirando a fatica. Mi trovavo nella mia stanza, o meglio, quella in casa di Carlos. Respiravo ancora a fatica. Quando mi passai la mano nei capelli, potei sentire il sudore sulla fronte. Faceva estremamente caldo. Scesi dal letto alto, e accesi subito le luci della stanza. Odiavo il buio, e odiavo dormire da sola. Alex mi apparve nella mente, corsi sulla scrivania a prendere il cellulare. Andai sotto ultime chiamate, avevo pure le mani sudate, schiacciai il bottone verde. 
Partì subito la segreteria: «La persona que vos llama no está momentaneamente disponible.» 
Chiusi il telefono.
Pensavo al sogno, o meglio incubo, che avevo appena avuto. Gli occhi ghiacciati di quel ragazzo ricompasero nella mia mente, facendomi venire i brividi. 
Aveva detto qualcosa no? Qualcosa ma non in Italiano...ne in Spagnolo. Dai Cate, pensa. Era forse Latino? Qualcosa tipo: Rosa capem? e poi? Spinam caven? 
E dire che lo avevo pure studiato per due anni, ma era una delle lezioni che facevo al mattino presto, quindi non prestavo molto ascolto. Aprii il primo cassetto, e fui felice di trovarvi un blocchetto a quadretti, e una penna. Cercai di nuovo di ricordarmi le parole, ma era solo un ricordo confuso. Alla fine scrissi, con una calligrafia disordinata, "Rosam Capem, Spinem Cave". Non suonava giusto, ma mi venne solo quello in mente. 
Decisi che mi serviva una camomilla per calmarmi. Aprii lentamente la porta della camera, sperando di non svegliare nessuno. 
Le luci del corridoio erano spente. C'era solo la luna, che filtrava dalal finestra sopra le scale. Esitai passando di fianco la stanza di Carlos. Mi fermai, notando che la luce filtrava da sotto la porta. Era sveglio? Saranno state le 3. Continuai lungo il corridoio, scesi le scale silenziosamente. Corsi verso il tavolino di fianco all'entrata, presi il piccolo telecomando, e schiacciai il bottone che Nina aveva schiacciato prima. Si accesero le luci del piano terra. Camminai verso la cucina, passanodo per il salone notai che la maglietta di Carlos era ancora per terra. La raccolsi, puzzava estremamente di alcohol. La portai con me in cucina, la buttai nel lavandino di metallo, e lasciai scorrerci sopra l'acqua fredda. Cercai tra i vari cassetti, ma non c'era segno di bustine di tè. Aprii il grande frigor, era quasi vuoto. Giusto un paio di bistecche, del latte, dell'acqua e degli affettati. Presi la bottiglia di latte, e andai alla ricerca di un bicchiere. Aprii un paio di scompartimenti sopra il forno, ma non trovai altro che piatti. 
«Che cerchi?»  
Feci cadere il latte dallo spavento, ma qualcuno lo raccolse prima che toccasse terra. Pensai che fosse Carlos, ma mi sbagliavo. Axtone si allontanò velocemente da me, non appena prese la bottiglia del latte nelle mani. La appoggiò sul tavolino che ci separava. 
«Dio mi hai spaventata.» dissi toccandomi il petto, il cuore mi batteva forte. Ma che serata era? Tra la storia di Carlos, l'incubo, e questo...
«Scusami. Disse sorridendo, come se stesse ridendo ad una battuta che solo lui aveva colto.
Passò di fianco a me, aprii l'ulrimo sportello della credenza, e tirò fuori un bicchiere. Aprii la confezione del latte, e ne versò un po' dentro. 
«Tieni» sorrise. 
«Grazie.» mi sedetti al tavolo, mentre metteva via il latte.
«Axtone? Perchè sei vestito così?» osservai i pantaloncini corti che aveva addosso. Le scarpe da ginnastica, e una felpa nera. Lo guardai con sospetto.
«Oh, stavo andando a correre.» mi sorrise. 
«Tu cosa fai sveglia alle 5 del mattino?» Le 5? No impossibile...quel sogno era veramente durato così tanto?
«Ehh mi sono svegliata e non sono più riuscita ad addormentarmi. Pensavo di bere una camomilla, ma ho trovato il latte.»
Una porta al piano di sopra sbattè. 
«Carlos.» confermò Axtone, mi guardò come se fossi colpevole del cattivo umore di Carlos.
«Io non volevo...si insomma non volevo...»
«Riaprire vecchie ferite?» chiese con tono retorico. Aveva le braccia conserte. 
Sospirai, «gia.» 
«Gli piace farsi vedere come un tipo duro, ma dentro di sè soffre molto.» 
Annuii lentamente. 
«Se fossi in te,» mi avvertì, «non approffiterei troppo della pazienza e dell'autocontrollo di Carlos.» A cosa si riferiva? Parlavamo ancora di quello che gli era successo o no?
«C-certo. Non gliene parlerò più.» 
«Non mi riferivo a quello.» stavo per chiedergli a cosa si riferisse, ma era gia scomparso. Posai il bicchiere vuoto nel lavandino, e recuperai la maglietta di Carlos. Puzzava un po' meno di alcohol, ma era ancora terribilmente macchiata. Mi accorsi solo allora di cosa stavo indossando. Una camicia da notte di pizzo nero, e anche abbastanza corta. Axtone doveva essere un fidanzato molto fedele, probabilmente non se ne era nemmeno accorto. 
Rimasi li al lavandino, intenta a pulire le macchie di alcohol con il sapone. Un impresa non facile. 
Ripensai alla telefonata di Alexandre, c'era qualcosa che non andava nel tono della sua voce mentre mi parlava. Non mi ha dato nemmeno il tempo di chiedergli con chi aveva parlato...ero forse egoista? Si insomma, ho parlato solo di Madrid e di me stessa, non gli ho nemmeno detto quanto mi mancava. Volevo solo sentire la sua voce. Si, ero di sicuro un egoista. La stupida macchia non se ne voleva andare. Mi sorpresi quando il sole iniziò velocemente a sorgere. Dovevano essere le 6. Osservai il giardino di rose, fuori dalla finestra. La tenue luce del sole rendeva il giardino ancora più bello. Fui quasi spinta ad uscire in giardino.
L'aria era a dir poco gelida, il temporale aveva lasciato una aria fresca. Camminai sul sentiero bagnato, poco mi importava. Mi vennero subito i brividi lungo tutto il corpo, ma li ignorai. Ero nel paradiso terrestre, circondata da bellissime rose rosse e nere, anche se nere non erano. Il sentiero di pietre divideva esattamente le rose rosse da quelle nere. Mi sedetti a gambe incrociate sul sentiero di pietre, come una bambina dell'asilo, e a volte lo ero. Sfiorai i petali di una delle rose nore. Era la più piccola tra tutte le altre, e i petali erano ancora ben chiusi. C'era una cosa che non mi spiegavo, eravamo a metà novembre, come facevano le rose a essere ancora vive? E a fiorire?
Sentii dei passi di fianco a me, ma non mi voltai per guardare chi era. Carlos si accovacciò di fianco a me, sedendosi sulla punta dei piedi. Mi appoggiò un cappotto sulle spalle. E i brividi sparirono in un paio di secondi. 
«Perchè ci sono le rose?» chiesi osservando ancora quella più piccolina.
«Hmm cosa intendi?» aveva la voce stanca, come se avesse parlato per ore e ore.
«Siamo in inverno, o comunque autunno. Le rose ci sono solo in primavera e estate.»
«Si è vero.» sapevo che non mi avrebbe dato una risposta. Sorrisi.
Pensai che forse lui parlasse il Latino, essendo "vecchio".
«Posso farti una domanda? Ma non mi puoi chiedere da dove proviene.»
«Va bene.» 
«Cosa sgnifica "Rosam capem, spinem cave"?» 
«Rosam che? Forse intendi "Rosam cape, spinam cave"?» aveva un tono come per dire che ero stupida per non sapere perfettamente il Latino.
«Si quella cosa li.» l'immagine del bel ragazzo biondo mi ritornò in mente.
«Significa che se vuoi la rosa, devi prenderti anche le sue spine.» 
Ma cosa poteva sinificare? E perchè un bel ragazzo mi sarebbe venuto in sogno per dirmi una cosa del genere?
Se vuoi la rosa, devi prendere anche le sue spine. 
 
  
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