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Autore: Sasita    12/02/2011    6 recensioni
Tutto inizia nel miglio. Jane ha ucciso John e non l'ha fatto per legittima difesa. Qual'è la pena per questi omicidi se non la morte? Così inizia una corsa contro tutto, contro tempo e legalità perché Jane e Lisbon possano finalmente vivere la loro vita. Scappando da tutto ciò che è loro noto, si ritrovano a vivere con nomi di altri, e ad amarsi come prima non avevano mai potuto fare. E cosa succederà loro? Riusciranno a scampare i pericoli? E potranno mai tornare a fare quel che amano di più al mondo, nella loro meravigliosa Sacramento? Leggere per sapere! E recensire per piacere! :)
Genere: Commedia, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Long Fic Jisbon'
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SMILING SUN

 
Un leggero e caldo raggio di sole accarezzò la guancia rosea della danna dai capelli bruni che dormiva tranquilla con la testa sulla spalla dell’uomo con cui viaggiava. Il treno andava a passo sostenuto e l’abitacolo era ancora immerso nel buio della notte, protetto dalle tende tirate sul finestrino per schermare la luce del giorno.
Bastò quel tiepido raggio di luce solare a far uscire dalle braccia di morfeo quella piccola grande donna.
Sbatté piano le palpebre inspirando il profumo dolce e caramellato della pelle del suo compagno.
Si mosse appena, attenta a non svegliarlo, lasciando un caldo bacio sulla sua guancia e si alzò stiracchiandosi, sorridendo al nuovo giorno.
Aprì la tenda, lasciando che la tiepida luce inondasse la stanzetta, spalancò la finestrella per prendere una boccata dell’aria fresca del primo mattino, e con gli occhi di nuovo chiusi si lasciò rinfrescare dalla piacevole brezza primaverile.
L’orologio del suo nuovo cellulare rimandava i segni luminosi delle ore, erano le sei e un quarto e l’alba era appena finita, e lo si poteva capire dal pallido arancio che si andava disfacendo nel celeste del cielo.
Teresa era certa che per arrivare a New Orleans mancassero almeno altre cinque ore, a causa della lunga fermata fatta a Phoenix, verso le tre del mattino.
In quel preciso istante stavano attraversando la barriera invisibile che divideva New Mexico e Texas, avvertiti da un cartello blu che indicava a caratteri cubitali il nome dello stato in cui erano appena entrati.
La ferrovia che stavano percorrendo sembrava infinita ed era tutta dritta, attraverso il grande Texas, in mezzo alle steppe dell’estremo sud del paese.
Aprì gli occhi con il sorriso sulle labbra, il cielo brillava terso di un azzurro turchese bagnato solo all’orizzonte da morbide nuvole bianche, tuffate nella terra bruna.
In quel punto dello stato non si trovavano molti centri abitati, per via del clima desertico e inospitale perfino per le fabbriche.
Solo piccoli arbusti e basse palme verdeggianti si scorgevano sporadicamente, rendendo noto che la vita sopravviveva anche lì, per quanto difficile potesse sembrare.
Aveva i gomiti appoggiati sul finestrino e il viso sporto fuori a sentire il vento creato dalla velocità sulle guance, quando due braccia calde le abbracciarono la vita.
-Buongiorno mia principessa.- Le disse Patrick in un sussurro ancora assonnato, con gli occhi a mezz’asta.
-Buongiorno.- gli rispose girandosi per baciargli dolcemente le palpebre semichiuse.
Sì sentì stringere tra quelle braccia forti e si ritrovò con la testa sul suo petto prima ancora di formulare la domanda che le frullava in testa, facendogliela dimenticare.
-Sì, ho dormito bene, nonostante la scomodità.- le disse Jane, capendo i suoi pensieri.
Sorrise, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente quell’aria di felice e tiepida libertà che la loro vita gli prospettava.
In quel momento non le importava se il suo pseudo compagno le poteva leggere la mente, si rendeva conto che fuori dall’ambito lavorativo poteva anche essere utile e divertente, non troppo, però.
-Come ti senti, oggi?- gli chiese Lisbon
-Libero.- rispose Jane, senza nemmeno fermarsi a pensare, stringendola di più a sé.
E lei capì tutti i sottointesi di quella parola.
Libero da tutto.
Libero dal carcere e dalla paura della morte.
Libero dalla sua nemesi.
Libero dalla voglia di vendetta e dal senso di colpa.
Libero di amare e vivere di nuovo.
-E felice.- aggiunse –Stranamente e insanamente felice. E tu, Teresa?-
La donna provava ancora un brivido quando Jane la chiamava con il suo nome e non con il suo cognome.
Teresa alzò lo sguardo e sorrise a Patrick, raggiante.
-Libera e felice.- gli rispose, ben consapevole che lui già lo sapeva, e stampando un dolce bacio sulle sue labbra.
Patrick sorrise beffardo e un luccichio della sua natura giocosa brillò nei suoi profondi e limpidi occhi azzurro mare.
-E desiderosa.- affermò guardandola come se volesse leggerle l’anima e ci stesse pure riuscendo.
Sorrise anche Teresa, ormai avvezza a quei giochetti da mentalista.
-Sì, è vero.- rispose, e, non appena vide Jane gongolare continuò –Desidererei volentieri una sostanziosa colazione.-
Il sorriso di Jane si allargò ancora di più di quanto Lisbon ritenesse possibile.
-Uhm… sì, sei diventata brava a dissimulare, ma il tuo cervello complotta bisbigliando, mentre il tuo corpo…-
Lasciò la frase in sospeso e la lasciò davanti alla finestra, convinto di averla fatta cedere ad arrossire, sedendosi su un divanetto con le mani dietro la testa, coperta da una cascata di boccoli neri.
Lisbon era rimasta lì, con le braccia incrociate sul petto e le labbra increspate in un sorriso di palese sfida, ed aveva alzato un sopracciglio squadrando l’uomo come se fosse un gattino un po’ capriccioso e piccolo, da coccolare e di cui ridere.
-Non ce la fai a farmi arrossire, ormai ci sono abituata a te.- disse poi, andando a sedersi di fronte a lui accavallando i piedi sul tavolino.
Lui la guardò sempre più divertito e si mise a sghignazzare, ma Lisbon non si scompose, sbatté le palpebre dei suoi grandi occhi verde smeraldo e lo guardò come si guarda un bambino piccolo e buffo.
-Le vostre indissolubili convinzioni saranno abbattute prontamente, mia splendente signora.- disse, ma parve vacillare quando Lisbon piegò leggermente la testa di lato e sorrise come compassionevole.
Negli occhi di verdazzurri di Jane, però, apparve un nuovo luccichio, carico di malizia, si alzò e si avvicinò alla donna con uno scatto talmente improvviso che la povera Lisbon rischiò di cadere dal divanetto.
-Che fai?- chiese, con una punta di nervosismo per essere stata presa alla sprovvista.
-Sai, c’è una cosa che ho sempre adorato di te…-
Un tiepido e prontamente sopito rossore si diffuse sul viso di Teresa.
-... sono così ben disegnati, precisi, grandi.- conoscendo Jane era possibile e più che probabile che la stesse prendendo in giro, ma aveva gli occhi puntati sul suo petto e Lisbon non poté fare a meno di arrossire così violentemente che si causò quasi un capogiro a causa della vampata di calore e sangue riversata nei capillari delle guance.
Jane la guardò in viso con un sogghigno maligno e malizioso a illuminargli lo sguardo birichino.
-Non intendevo il tuo seno! Piccola pervertita… intendevo i tuoi bellissimi occhi. Sono simili a quelli di un cerbiatto, meravigliosi.- disse, sorridendo felice, stavolta.
E se Lisbon pensava di non poter arrossire oltre si sbagliava, e un’altra vampata rossastra e calda si mischiò a quella di prima, facendola somigliare molto ad un pomodorino maturo.
-Ho vinto, sei arrossita… e, caspita quanto adoro quando arrossisci.- disse
Solo un leggero rossore rimase a colorire le guance della piccola Lisbon, l’arrabbiatura scomparve e sorrise divertita.
-E’ vero. Hai vinto, ma meriti una gran punizione!-
Disse, alzandosi a sua volta e sovrastando il busto di Jane, che era piegato in ginocchio
-Puniscimi allora...- Disse alzandosi a sua volta e sovrastandola con i suoi ben tredici centimetri in più.
Teresa rise e si rifugiò in un angoletto del cubicolo, esclamando un “Oh oh!” e trattenendo una risata.
Quella che iniziò fu una gara di solletico all’ultima risata.
Nel mentre si stavano distorcendo tra risa rincorrendosi nella stanzetta un  povero Stuart ebbe la sfortuna di dover avvertire i passeggeri della colazione e, imbarazzatissimo, si schiarì la gola e annunciò la notizia, andandosene rosso in volto seguito dalle risate dei due che si stavano comportando come bambini.
 
Passarono le successive due ore a sonnecchiare, Teresa con la testa sulle gambe di Patrick e lui con la testa sul cuscino e una mano sulla schiena della sua bellissima donna.
Ogni tanto si scambiavano qualche bacio e una carezza, accompagnati da quelle due parole che piano piano si facevano strada nei loro cuori e nelle loro menti, inebriando le loro membra stanche di combattere e celarsi dietro maschere dolorose e pesanti.
Maschere, le loro,  che erano cadute non appena si erano resi conto di quanto fossero ormai inutili e friabili.
 
Solo quando il bisogno fisiologico di cibo di fece sentire si alzarono per andare a colazione, scoprendo, però, che era già ora di pranzo.
Sedettero uno di fronte all’altra a un tavolo in disparte, guardandosi.
-Allora, Signorina McKenzey e Signor Simmons della cabina 45, vero?- Un cameriere si era avvicinato sorridendo al tavolo e aveva in mano un piccolo blocchetto, sul petto, invece, svettava il cartellino con il nome, Jose Manito.
-Sì.- Risposero in coro
-Benissimo,- disse, sorridendo di nuovo –Cosa ordinate?- chiese
-Io prendo un Hamburger con senape e maionese, contorno di patate fritte e un insalatina.- Disse Teresa e il cameriere appuntò.
-Io lo stesso.- si affrettò a dire Jane prima ancora che il cameriere glielo chiedesse –E prendiamo una dell’acqua naturale e un Cabernet Sauvignon.-
-Litro o bicchiere?-
-Litro.- Rispose prontamente Patrick, prima che Teresa potesse dire “Bicchiere”
Mentre il cameriere si allontanava Lisbon lo fulminò con lo sguardo, ma con un sorriso sereno steso sulle labbra.
-Suvvia Lisbon, non ti preoccuperai del mio portafoglio vero?- Lisbon arrossì appena
Lui continuò a studiarla, strizzando gli occhi celesti come se volesse scovare ogni minimo dettaglio che l’anima della donna gli stesse nascondendo.
Ogni tanto sorrideva e poi scuoteva la testa.
-Ti mancano?- chiese Lisbon, non riuscendo a contenersi, dopo aver notato per la prima volta che Jane portava ancora l’anello al dito.
-Chi?-
-Non fare domande idiote Ja… Axel!- Stava per dire Jane, doveva allenarsi di più. –E’ ovvio che sai a chi mi riferisco.-
Lui sorrise tranquillo e si guardò la mano con la fede, stendendo e flettendo le dita per farlo brillare alla luce del sole proveniente dal finestrino, fuori il cielo era limpido e pulito e una steppa si continuava ad estendere, mentre la temperatura faceva sembrare il terreno in movimento.
Passarono diversi minuti prima che rispondesse, tanto che Teresa pensò che non volesse rispondere.
-Sai... Dakota... fino a poco tempo fa pensavo che non sarei mai stato capace di amare di nuovo. Che avrei sempre sentito il mio cuore lontano, al di fuori del mio corpo e di ogni sentimento umano... non perché non potessi avere occasione di rinnamorarmi, ma perché pensavo che nessuno avrebbe mai potuto prendere il posto di Angela e Charlotte nel mio cuore. Però ho scoperto che non c’era bisogno che loro venissero dimenticate per provare di nuovo amore, il mio cuore era cresciuto, maturato, e poteva contenere più persone. Ci  sei entrata te, Kimball, Grace, Wayne, Minelli… poi ho scoperto che non solo potevo provare un amore fraterno, ma anche un amore infiammante come quello che provo per te. Ho scoperto che Angela e Charlotte potevano rimanere nella loro parte del mio cuore, mentre io potevo far spazio a te, che sei andata al centro. Mi mancano, ma non sono un blocco, sono una parte della mia vita. Una parte passata.
E invece c’eri te, che sei il mio futuro, e non ho sentito senso di colpa o niente del genere quando ho capito di amarti. Sono umano, non le dimenticherò mai, ma adesso il primo posto nel mio cuore è tuo.-
Teresa annuì, libera da un enorme peso e prese la mano di Patrick con la fede nelle sue, le rigirò e la osservò, con il sorriso.
-Cosa hai…- iniziò Lisbon, esitante e ben felice di essere interrotta dalla risposta di Jane.
-Rabbia. Rabbia, dolore e desiderio di vendetta.- rispose, sincero –Ho sparato... e dopo il primo colpo sono scoppiato a piangere, era morto di già. Ma mi sono reso conto che non è stato per niente utile. Un colpo, ed è morto. Non ha sofferto come ho sofferto io e come hanno sofferto moltissime persone a causa sua. Avevo liberato me stesso dal senso di colpa, avevo liberato il mondo da  un mostro... che non avrebbe mai sofferto per essere stato tale. Quindi ho pianto, ancora più arrabbiato, e ho gridato e ho continuato a sparare. E poi siete arrivati voi, tu mi hai preso a schiaffi e... il resto lo sai.-
I suoi occhi si erano offuscati di nuovo e un ultimo barlume del fantasma del sensitivo si fece breccia nello sguardo felice di poco prima.
-Scusa.- si affrettò a dire Teresa, ma lui le sorrise, radioso e le baciò una mano.
-Non hai niente di cui scusarti, sono stato io lo stupido… non ti ho mai ascoltato. Ero cieco, e tu lo sapevi. Ho razionalizzato troppo tardi che forse avevi ragione tu, che non sarebbe stata certo la vendetta a darmi pace. Ma quel che è fatto è fatto, no? Inutile piangere sul latte versato… e non mi pento di aver ucciso un uomo, perché quello di certo non era considerabile un uomo. Uff... questi discorsi seri mi sfiancano. – Il biondo bevve un po’ di vino e la guardò con gli occhi di nuovo colmi di gioco e scherno.
Teresa sbuffò, ma non poté che rendersi conto di come fosse facile per entrambi passare dal serio al giocoso senza problemi, quando erano insieme e parlavano liberamente.
-Allora...- riprese lui, con lo stesso barlume divertito e il riflesso del sole allo zenit sul viso abbronzato -... cosa pensi di fare a New Orleans?- chiese
-Bé, da adesso in poi ne so quanto te.- rispose con sincerità, prima di buttare giù un altro sorso di vino rosso lasciando che la luce le illuminasse le piccole goccioline scarlatte rimaste sulle labbra –Insomma, immagino che dovremmo inventare, dovremmo...-
-... creare.- convenne Patrick, con un sorriso.
Con la testa china di lato e gli occhi puntati su di lui, Teresa lo scrutò a fondo, tentando di capire cosa pensasse realmente quell’uomo che nonostante tutto rimaneva un enigma irrisolvibile.
-Suvvia Ter... Dakota, non sono così enigmatico, sono un uomo infondo, no? Ma concordo sul fatto che tu non mi potresti risolvere… tu sei il mio libro, io il tuo lettore… sarebbe difficile fare il contrario, perché io, come lettore sono in grado di mascherare, imparando dagli altri…-
-Mi stai dicendo che in questo momento stai portando una maschera?- le chiese lei, divertita
-No.- era quasi compassionevole il suo tono di voce –Ma per te è come se lo facessi, perché non sei abituata a badare a ogni minimo particolare di una persona... insomma, tu estorci confessioni con la forza dell’interrogatorio, non è compito tuo sapere cosa passa per la testa a un assassino o un presunto assassino o chicchessia…-
Teresa rise
-Che c’è?- il sopracciglio alzato e il sorriso storto
-Niente... è buffo vedere come credi di essere onnisciente.-
-Io non lo credo, lo sono.- disse, sorridendo e facendo alzare gli occhi al cielo alla bella Teresa.
Pranzarono tranquillamente, parlando del più e del meno e scambiandosi intensi giochi di sguardi, le persone intorno li guardavano, estasiati, pensando che raramente si trova una coppia di sposi ancora così innamorata.
E ancora prima di rendersene conto, erano arrivati a New Orleans.
Fu la voce metallica dell’altoparlante ad avvertire i passeggeri che il treno si sarebbe fermato per un ora alla stazione ferroviaria della città da lì a cinque minuti.
-Di già?- chiese una sorridente Teresa
-Così pare.- Jane le sorrise di rimando
Si presero per mano e tornarono nel loro scompartimento a raccogliere i loro pochi bagagli, sempre sorridenti.
L’aria calda e umida della città li accolse benevola, costringendo Patrick a togliersi il maglioncino e legarselo in vita e la piccola Teresa a tirarsi su le maniche della camicetta, mentre trascinavano le loro valige tra le persone, con le dita intrecciate.
Molti luoghi comuni ritraggono New Orleans come una città di porto sovreccitata e musicale, che sprizza voglia di vita da tutti gli angoli... Bé, a dispetto della maggior parte delle dicerie, queste sembrarono proprio fondate.
Una piccola banda di suonatori faceva un caloroso spettacolo di musica Jazz e una giovanissima ragazza cantava sulle note di quelle musiche magiche, venditori ambulanti sorridenti offrivano amuleti contro la magia nera e passate di cotone leggero, i palazzi colorati sembravano urlare vitalità e le persone sorridevano.
Famiglie unite, persone ammiccanti, bambini che giocano e ragazze colme di buste di negozi giravano intorno a Patrick e Teresa totalmente a loro agio.
-Affascinante...- sospirò una rapita Teresa, osservando una giovane donna danzare leggera con una cesta di oggetti in vendita fermata sulla testa.
-Molto, sì.-
Jane guardava una piccola bimba bionda correre intorno ai genitori, sorridenti e felici, prendere per mano la madre e mettersi a saltellare in circolo a ritmo di musica e la donna saltellare con lei in una specie di balletto tribale e ridere allegra, e pensò contento che vedendo quella scena non provava altro che una calda felicità, con una sola, piccola punta di nostalgia, ma non quella triste morsa dolorosa che lo avrebbe attanagliato meno di una settimana prima.
Rise e imitò molte coppie intorno a loro, prese all’improvviso Teresa per un fianco e strinse le mano nella sua, in alto iniziando a volteggiare in un valzer movimentato.
-Penso di aver fatto male a portarti qui!- disse in un sorriso quasi doloroso la bella Lisbon
-Lo penso anche io!- rispose Jane, passandosi una mano tra i capelli e scompigliandoli, mentre continuavano a ballare intorno alla giovane venditrice insieme a un'altra decina di coppie giovani e allegre.
La baciò sulle labbra e le strofinò il naso sul suo, fermandosi in quella danza e incatenando gli occhi di un azzurro limpido a quelli verdi e accesi della sua donna.
-Ti amo.- lo disse deciso, senza esitazione e totalmente convinto della sua affermazione, ad alta voce e molti si girarono a guardarli, mentre Patrick le prendeva il volto tra le mani, le sussurrava un “ti amo tantissimo” sulle labbra, facendo chiudere i grandi occhi a Teresa e baciandola dolcemente, in un bacio carico di promesse che, stavolta, sarebbero stata mantenute.
Neppure si resero conto delle persone che avevano iniziato a battere le mani e a fischiettare, e quando si staccarono, sorridendo come due ragazzini alla prima cotta la musica era finita e le persone continuavano a sorridergli mentre si allontanavano.
E loro si incamminarono tra la folla, verso una via altrettanto vivace, ma meno trafficata da macchine e da persone.
-E ora?- chiese Patrick, guardando di nuovo Teresa, come se gli fosse impassibile non guardare quelle meravigliose iridi color verde mare.
-Non ne ho la più pallida idea... immagino che dovremmo cercarci un albergo, ma non rimarremo qui a lungo, penso, siamo comunque troppo vicini a Sacramento, e se dovesse succedere qualcosa per cui il piano dovesse saltare ci troverebbero subito.- Teresa era di nuovo pensierosa
-E dove pensavi di andare, dopo?- le chiese dopo qualche secondo silenzio Jane, riportandola alla realtà.
-Non saprei, pensavo a posti come il Brasile o l’Argentina, dove spesso danno asilo politico...- rispose
Patrick annuì, poi la guardò.
-Non penso di voler andare in Brasile.- asserì poi, con un mezzo sorriso
Teresa corrucciò la fronte
-E perché mai?- chiese, severa
-Non sono un reietto, non mi voglio nascondere in un posto dove regalano asili politici. Per non contare dei rischi, se danno asilo politico a tutti non posso che immaginare quanti criminali girino.-
Teresa sbuffò.
-I tuoi sono solo degli stupidi pregiudizi!-
-E tu sei troppo preoccupata per niente...- sorrise Patrick
-La nostra incolumità penale non mi pare niente..- 
-Il Sud America no. Troppo pericoloso. Non voglio rischiare di perderti solo perché esci a fare la spesa!- disse fingendo un brivido
-Pregiudizi!- sibilò con astio la piccola leonessa.
-Che ne pensi della Svizzera?- propose sicuro Jane
-In Svizzera accettano solo persone con un censo alto e...- Si bloccò, lo guardò e scosse il capo
-Lo so cosa pensi e non sono d’accordo.- disse
-Illuminami, Grande Mago.- Schernì Teresa incrociando le braccia al petto
-Pensavi che anche se io HO la possibilità di portarci entrambi in Svizzera, lì la vita è troppo costosa e non hai la minima intenzione di lasciarmi spendere un capitale solo per vivere in comodità in Europa. Ah, e che lì parlano Tedesco e impararlo non è un gioco da ragazzi, mentre tu conosci lo spagnolo perché lo hai studiato a scuola!- disse, gongolando.
-Come hai... Ah, ma che te lo chiedo a fare. Va bene, allora, Tu non vuoi andare in Sud America, io non voglio andare in Svizzera.-
-Montecarlo.-
-Stessa zolfa, anzi peggio, a meno che tu non discenda per linea diretta da un cittadino di Montecarlo... tu non discendi da un cittadino di Montecarlo, vero?-
-Non ho questa fortuna, ma tu potevi anche fare le cose per bene in quei documenti falsi!- le rispose lui, storcendo le labbra in una pallida imitazione di una smorfia accigliata.
-Non rompere le palle, per favore. Potremmo andare...-
-A Cuba? No, non mi va che mi scambino per uno in bancarotta che cerca un paradiso fiscale.-
-Stavo per dire Canada, stupido idiota.- le inveì contro lei
-Così mi offendi.-
-Smetti di fare il bambino.- disse –Non ho voglia di...-
-Litigare? Non stiamo litigando, caspita se stessimo già litigando sarebbe grave. Questa è una delle nostre solite scaramucce, insomma, stiamo soltanto facendo un confronto di idee.-
Teresa sbuffò e gli tirò un debole schiaffo sul braccio.
-Va bene, dicevi?- furono le semiscuse di Patrick
-Non ho voglia di passare una giornata a cercare la nostra prossima, e spero definitiva, meta.-
-Oh... pensavi a questo, sì, giusto, la meta, ok...-
-E se...- Tentò di iniziare Teresa
-Ci sono!- la interruppe lui –Italia.-
-Italia?- Chiese lei
-Sì, hai presente, quel paese molto interessante a forma di Stivale con tutte quelle belle città d’arte e di storia...-
-Patrick?- lo interruppe lei, senza pensare di dire il nuovo nome.
-Sì?-
-So cos’è l’Italia.-
-Ne sono contento, sarebbe una gravissima lacuna se tu non lo sapessi...-
-Jan... cazzo! Axel?- disse
-Dimmi, raggio di sole.-
-Mi chiedevo, sei sicuro di voler andare in Italia?- chiese
-Perché non dovrei?- chiese lui, ben conoscendo la risposta.
-Sì, bé, insomma... Tu e Angela… la vostra luna di miele l’avete fatta a Venezia e...-
-Nove mesi dopo è nata Charlotte. Lo so, c’ero.- sorrise –Non c’è nessun problema, anzi! Mi piacciono gli Italiani! E ti ho detto che non...-
Per parlarle si era girato a guardarla senza guardare dove metteva i piedi, con il risultato di atterrare una povera ragazza.
-Oh, scusi...- Ma si fermò vedendo il cipiglio un po’ incazzato, un po’ divertito della giovane.
La aiutò a rialzarsi, vedendo mutare l’espressione da irritata a interessata ai nuovi incontrati
-Niente, ma stia più attento la prossima volta.-
La ragazza sorrise, doveva essere all’incirca sui 25 anni, con lunghi e setosi capelli castani, sguardo vispo e ossatura robusta.
-Prima volta a New Orleans?- chiese, poi
Jane e Lisbon annuirono.
-Ero persa anche io il mio primo giorno, tre anni, fa...- disse –Vi va un caffè? Stavo andando a prendere una mia amica a lavoro.-
-Con piacere.- Rispose Jane, mentre Lisbon lo guardava di traverso
-Sì...- sospirò poi -... Ci fa piacere, però abbiamo tantissime cose da fare, trovare un alloggio scegliere...-
-Oh! Per l’alloggio vi posso aiutare, o meglio, Alice vi può aiutare, allora, venite a prendere questo caffè o no?-
-Molto volentieri!- Stavolta a sorridere erano entrambi. –Italiana?- chiese poi Jane, con estremo interesse.
-Bé, sì, Ligure, per l’esattezza. Come lo sa? No, mi lasci indovinare, l’accento?-  rispose la giovane pimpante
-In realtà parli un ottimo inglese, più che altro direi che l’ho capito dal tuo modo di fare, gli italiani sono molto estroversi.- disse, gioioso
-Sì, certo, è vero.- sorrise di nuovo –Vi chiamate?-chiese poi, rivolta a Lisbon.
-Dakota McKenzey e Axel Simmons.- Rispose Lisbon, radiosa –E lei?-
-Oh, diamoci del tu! Io Sono Serena, Serena Poletti, e la mia amica si chiama Alice Romandi. E siamo entrambe italiane.-
E sorridendo, si avviarono verso un locale poco lontano, dove la musica sembrava uscire dalle pareti, e i cocktail e la birra scorrevano a fiumi.





Dice l'autrice:
Ammetto che sono in ritardo e che non ho rispettato quello che avevo detto, ovvero che avrei aggiornato Turning Time.
Ma ho un blocco, come avete visto anche dal ritardo con cui ho postato questo capitolo. E me ne dispiaccio.
Comunque, adesso, passiamo alla storia.
Come avrete notato ho inserito due nomi, alla fine, che sono reali, ora, chiaramente non ho messo i cognomi veri, perche penso che sia meglio così, comunque questa è una specie di Meta-fic, ovviamente in un mondo dove non c'è The Mentalist, ma ci sono gli attori che lo interpretano.
Quindi dedico questo capitolo a Ser e Ali, due delle mie amiche del web. E alle altri suggerisco di prepararsi, perché saranno citate e faranno parte della storia.
Un bacio a tutte voi, mie care fanwriter e fanreader, spero di leggere tante belle recensioni!
Ci si legge,

Sasy
   
 
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