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Autore: Leslie and Lalla    14/02/2011    1 recensioni
[Seguito di Drawing a SongAttenzione: può essere letta senza alcun problema anche da chi non ha letto il primo]
Sono passati sedici anni dall'incontro di Lori e Cleo, e ora tocca alle loro figlie fare i conti con il primo amore e le complicazioni che ne derivano.
Madelyn e Michelle sono due cugine adolescenti inseparabili eppure, alle volte, diverse: la prima è la fotocopia del padre, capelli castani, occhi verdi, terribilmente protettiva nei confronti della sorella più piccola e senza i libri, i quali le permettono di viaggiare di fantasia e quindi staccarsi per un po' da un mondo che sembra avercela con lei, non vivrebbe; la seconda il padre lo ha a malapena conosciuto, ha viaggiato in giro per il mondo armata di macchina fotografica e ora si sente un po' stretta nella piccola città di montagna dove l'hanno relegata.
A confronto di Michelle, Mad reputa indispensabili i ragazzi: le volte in cui ha preso una cotta per uno stronzo che aveva fretta di buttarla via senza curarsi dei suoi sentimenti sono incontabili, tanto che ora ha perso ogni speranza di trovare uno con la testa a posto ed è convinta che siano tutti come i suoi ex, cioè dei luridi vermi senza uno straccio di cuore. La cugina, invece, non ha mai pensato ai ragazzi come più che amici, non si è mai innamorata e dopo aver sentito le storie di sua madre, sua cugina e della sua migliore amica, ha paura che accada anche a lei.
Tuttavia le due ragazze, nonostante tutto, nel loro più profondo continuano a sognare la propria anima gemella, che sembra non essere poi così irraggiungibile...
[Scritta a quattro mani, con due punti di vista diversi: quello di Madelyn e quello di Michelle]
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'All of Drawing a Song and Sequels'
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20. Forgiveness and stuff




Giovedì 25 aprile

Michelle's Pov.

Non so perché mi sveglio, nella stanza entra a malapena un filo di luce dalla finestra rasoterra e non mi sembra di sentire alcun rumore. Mi rendo subito conto che la crisi di ieri sera sembra passata e faccio un sorriso tirato, passandomi una mano tra i capelli. Mi sporgo verso il letto di Daniel, naturalmente vuoto, poi scendo dalla scaletta e soffoco uno sbadiglio contro la mano. Non dovrebbe essere troppo presto, perciò probabilmente la mamma è sveglia, dato che ha appuntamento per la seduta di chemioterapia alle dieci. Magari oggi la accompagno, non credo di avere niente di meglio da fare... forse farmi passare qualche compito, dato che domani vado a scuola.
Esco dalla mia camera e vado direttamente in cucina, forse troppo insonnolita per dare importanza all'uomo che sta bevendo un caffè appoggiato al banco di granito. Apro il frigorifero e prendo il cartone del latte, per poi rendermi conto di quello che ho effettivamente visto. Resto immobile per un minuto, poi chiudo con lentezza esasperante lo sportello del frigo e guardo l'uomo.
«Papà!» esclamò, scioccata.
Lui mi fa un sorriso teso, mentre le ultime parole che gli ho detto riecheggiano nella mia testa.
«Ciao, Michelle» mormora, con voce roca.
Cerco di deglutire ma non ci riesco e resto a guardarlo imbambolata come una scema con il cartone del latte in mano.
«C-cosa...?» faccio per chiedere, ma lui mi batte sul tempo.
«Sono tornato» dice, velocemente, puntando gli occhi dritti nei miei. «E sono deciso a non andarmene, questa volta.»
Okay, e adesso? Cosa dovrei dire? “Bentornato a casa”? “Mi sei mancato”? “Sono contenta che dopo tante cazzate tu abbia deciso di fare la cosa giusta”? Mi sembrano tutte fuori luogo, idiote, come se lo avessi davvero perdonato per averci lasciate da sole.
Mi mordo forte il labbro e distolgo lo sguardo. Dove sono finiti tutti? Com'è che sono l'ultima a saperlo?
Mi volto ed esco dalla cucina con la sensazione che qualcosa di molto pesante sia appena stato scaricato sul mio petto. Cammino avanti e indietro rendendomi conto di non riuscire a stare ferma, almeno finché non sento la nausea afferrarmi lo stomaco. Con respiro mozzato corro nella camera della mamma, trovandola seduta sul pavimento, una scatola aperta accanto a lei e un centinaio di foto sparse sul pavimento. Non riesco a fare a meno di guardarle mentre percorro la stanza per raggiungerla. Quasi tutte rappresentano i miei genitori, in piedi o seduti davanti a sfondi meravigliosi. Sono foto magnifiche, come io non mi sono mai sognata di farne, la luce è perfetta, i colori fantastici. In alcune ci sono anche io, nella maggior parte ho poco più di un anno. Dopo il mio secondo compleanno i miei hanno smesso di girare il mondo e si sono stabiliti a Parigi, in modo da darmi una casa e degli amici, un'infanzia normale. Mi viene da piangere, quando vedo la mamma rannicchiata al centro di tutte quelle foto, un vecchio album ingiallito ai suoi piedi. Riconosco il suo stile nel disegno non appena sono abbastanza vicina da vedere la pagina. È un ritratto sbiadito, e in basso a destra l'acqua ha sciolto il disegno, ma è facile riconoscere l'uomo che sorride sulla carta. Sembra così diverso da quello che ho appena visto in cucina... riesco a leggere un milione di emozioni nella sua espressione, mi fa quasi inquietudine. L'uomo che ho rivisto pochi giorni fa mi ha trasmesso solo rimpianto e amarezza. Raccolgo una delle foto e guardo l'uomo e la donna che si sorridono teneramente, più innamorati che mai. Cos'è riuscito a distruggere quell'amore? Come sono riusciti a cancellare tutte le emozioni che si leggevano sui loro volti e sostituirle con tristezza e rancore?
La mamma accarezza il disegno con occhi lucidi e un sorriso imperscrutabile che ha qualcosa di malinconico. So cosa sta pensando, intuisco quello che dev'essere stato per lei essere costretta a rivivere il momento in cui papà se n'era andato, in cui si era ritrovata da sola dopo tanti anni, in cui aveva dovuto mettere da parte la disperazione e cercare di continuare a darmi una vita serena, un'infanzia tranquilla.
«Perché non me lo hai detto?» sussurra all'improvviso, facendomi sussultare.
Resto in silenzio a lungo, fissando i miei genitori sorridenti nelle foto e cercando di dare una risposta alla domanda. In realtà è facile, non gliel'ho detto perché non volevo farla soffrire, perché non volevo vederla rattristarsi all'improvviso come fa sempre quando si parla di mio padre.
«Ero preoccupata per te» mormoro infine, poco convinta.
Lei fa un respiro profondo e si asciuga gli occhi con il dorso della mano, poi getta indietro la testa con un sospiro.
«Mamma?» la chiamo, esitante.
Lei si volta a guardarmi, cercando di sorridere.
«Perché papà è andato via?»
So che non è così, ma mi sento come se fosse la prima volta che lo chiedo. Le ho fatto questa domanda migliaia di volte, soprattutto quando ero piccola, ma ho smesso di aspettarmi una risposta tanto tempo fa.
«Michelle» tenta, con poca convinzione.
Sento le prime lacrime sfuggire al mio autocontrollo. «Ti prego...» imploro.
Si scosta i capelli dal viso e si sdraia sul pavimento, sopra le foto, lo sguardo fisso su qualcosa che non riesco a vedere. È una cosa che fa spesso quando deve raccontarmi qualcosa. Mi ha confidato che spesso riesce a rivedere le immagini sul soffitto, come in un film.
«Le cose andavano male da un po'» comincia, esitante, «litigavamo sempre più spesso e per ragioni sempre più stupide, e ogni volta ci allontanavamo di più.»
«Perché?» chiedo, serrando automaticamente le dita sulla foto che tengo ancora in mano.
Ci mette un po' a rispondere, e capisco che ha paura che quello che sta per dire possa ferirmi.
«Tuo padre è uno spirito libero, Michelle. Ha viaggiato, visto il mondo per tutta la sua vita da quando ha compiuto sedici anni. È un artista, vive per fotografare, costantemente alla ricerca della perfezione che non ha mai trovato. Dopo pochi mesi ha cominciato a sentire Parigi come una prigione, continuava ad insistere che la cosa migliore era fare le valigie e partire di nuovo, alla ricerca di quel pezzetto di mondo che non avevamo ancora visitato. Diceva che eravamo artisti e che non eravamo fatti per vivere come tutti gli altri. Odiava il suo lavoro...» le parole le muoiono in gola, mentre io mi rendo conto di aver smesso di respirare.
«Sono stato un idiota» continua una voce alle mie spalle.
Sussulto e mi volto verso mio padre, in piedi a pochi passi da me. Non l'ho nemmeno sentito entrare. Si siede con la schiena contro l'anta dell'armadio, accanto ai piedi della mamma.
«Pensavo che viaggiare, vedere i mondo fosse più importante di voi. Ragionavo ancora un ragazzino e non mi rendevo conto che ora ero responsabile anche della vostra vita, oltre che della mia...»
Smisi di ascoltare. Buffo, avevo passato la mia vita aspettando quella storia e ora non riuscivo a sentirla. Mi veniva la nausea e chiusi gli occhi, mentre immagini ed echi lontani si affollavano nella mia mente.

«E cosa mi dici di Michelle? Come puoi pretendere di farla crescere un po' qui e un po' là come se nulla fosse? Ha bisogno di una casa, di amici della sua età! Ha bisogno di andare a scuola... non puoi pretendere di toglierle tutto questo solo perché odi stare qui!»

«Non vedi come ci siamo ridotti, Cleo?! Da quanto tempo non prendi in mano un pennello? Mesi! Non è la vita che fa per noi!»

«Non gridare, ti prego...»

«Se non grido non mi ascolti!»

«Sta' zitto! Questa è la nostra vita adesso, fattene una ragione!»

«No, non piangere! Non metterti a piangere di nuovo, lo sai che lo detesto!»

«Smetterò di piangere quando tu smetterai di comportarti da idiota!»

«Ah, quindi sono un idiota adesso? Bene, buono a sapersi!»

«...finiva sempre così. Ogni litigio era uguale, finché non ce l'ho più fatta. Mi sono reso conto che vi stavo facendo soffrire, tua madre si era spenta e mi uccideva vederla così» si blocca e si passa una mano sulla fronte. Anche lui ha gli occhi lucidi adesso.
«Così se n'è andato» concluse la mamma, «io stavo piangendo, lui mi ha guardato per qualche secondo, poi ha mormorato una scusa ed è uscito. Sapevo che non sarebbe tornato...»
C'è qualcosa di freddo, nella sua voce.
«Cleo» chiama mio padre, mettendosi a carponi in modo da poterla guardare in faccia. Lei continua a guardare il soffitto, impassibile.
«Cleo, ti prego» sussurra, con voce rotta «mi dispiace...»
La sua voce è così bassa che la sento a malapena.
«Sono stato un idiota... perdonami, ti prego» continua, rosso in viso e con gli occhi lucidi.
Lei, lentamente, sposta lo sguardo su di lui, e questo sembra in qualche modo sollevarlo. Continua a non dire nulla, però.
«Ho commesso l'errore più grande della mia vita lasciandoti, e non c'è stato un momento in cui l'ho rimpianto. Ho continuato a girare il mondo, ne ho visto ogni angolo, ma da nessuna parte ho ritrovato quello che avevo con te, e ora che ho la possibilità di riaverlo non me lo lascerò sfuggire, hai capito?»
Mi sfugge un singhiozzo, ma nessuno dei due sembra sentirmi.
«E tu puoi cercare di mandarmi via, respingermi, odiarmi... ne hai tutto il diritto, ma nessuna di queste cose riuscirà a mandarmi via. Voglio stare con voi... starò con voi. Che tu lo voglia o no.»
«Smettila» mormora mia madre, con un tono che non comprendo.
«No» ribatte lui, con l'espressione che avrebbe se qualcuno gli avesse appena chiesto di smettere di respirare, o di fermare il battito del suo cuore.
Lei sembra sorpresa. Allunga una mano per sfiorargli la guancia, le labbra, poi la immerge nei suoi capelli. Sorride appena e lo attira a sé. Lui la lascia fare, senza muoversi. Capisco che non osa annullare la distanza tra di loro perché ha paura di essere rifiutato e sembra sorpreso di trovarsi dopo tanto tempo così vicino al suo viso. Trattengo il fiato mentre i secondi passano lentamente senza che nessuno dei due muova un muscolo. È mia madre a parlare, l'accenno di un sorriso divertito sulle labbra.
«Che aspetti a baciarmi, scemo?»


So che non si sistemerà tutto subito, ma non è questo il motivo per cui sono turbata. Mi siedo sul gradino davanti al portone, le lacrime che mi rigano le guance, il senso di colpa al quale ormai mi sono abituata.
«Ellie!» esclama Fabio, e con la coda dell'occhio vedo i suoi jeans e un paio di scarpe da ginnastica. «Dio, cos'è successo?»
Non rispondo, aspetto che si sieda accanto a me, poi poso la testa sulla sua spalla, lo sguardo fisso su un cespuglio di rose nel suo giardino.
«È tornato a casa» mormoro, con voce rotta «mamma ha accettato di perdonarlo e lui l'ha accompagnata alla seduta di chemioterapia... è tornato a casa... è tutto a posto ora...»
«Stai piangendo» osserva lui, indicando le mie guance bagnate.
Chiudo gli occhi con una smorfia. Dovrei sentirmi meglio, perché non ci riesco?
«Michelle» mi chiama lui, con voce ferma, per poi afferrarmi la mano.
«Cosa?» mormoro di rimando, cercando di controllare il tremore nella voce.
«Vuoi dirmi cos'è successo?» chiede.
Riapro gli occhi e mi alzo in piedi, stringendomi tra le braccia. «È per colpa mia» riesco ad ammettere infine, senza guardarlo.
«Cosa?» fa lui, profondamente scettico.
Mi lascio sfuggire un singhiozzo. «Mio padre se n'è andato per colpa mia!» esclamo, poi premo una mano sulla bocca cercando di reprimere la voglia di vomitare.
La cosa peggiore è che credo di averlo sempre saputo, infondo. Non è difficile da immaginare, le cose tra loro sono cominciate ad andare male dopo la mia nascita, in più è per me che la mamma ha deciso che era meglio condurre una vita sedentaria, è per mantenere me che papà ha dovuto prendere un lavoro che detestava. Colpa mia. Dio.
Senza quasi rendermene conto comincio a spiegare a Fabio tutto quello che è successo questa mattina. Non riesco a fermarmi, è più forte di me, probabilmente sembro una pazza. Lui mi guarda serio e leggermente preoccupato, ma non si perde una parola.
«Il succo del discorso sarebbe che il rapporto dei tuoi genitori si è incrinato solo perché sei nata tu?» mi interrompe ad un certo punto.
Mi volto a guardarlo con aria esasperata. Credo che qualsiasi spettatore esterno mi troverebbe piuttosto comica in questo momento.
Preferisco non rispondere e mi prendo la testa tra le mani. Dio, non riesco a stare ferma, di nuovo, e non riesco a smettere di piangere. Sono così concentrata a cercare di calmarmi che quando Fabio mi afferra le braccia per poco non tiro un urlo dallo spavento. Ha un'aria severa, dura, e la sua presa è salda. Mi irrigidisco.
«Michelle, calmati» ordina.
Lo guardo smarrita per una decina di secondi, poi scoppio a singhiozzi contro la sua spalla. Dopo un attimo di esitazione mi abbraccia e ho come l'impressione che un po' del peso che sento gravarmi sul petto se ne vada. Sospiro di sollievo e lo stringo più forte.
«Shh, va tutto bene» mormora, mentre mi aggrappo alla sua felpa nel tentativo di smettere di tremare.
«È colpa mia» continuo a ripetere, tra un singhiozzo e l'altro.
Potrei dire che mi sento come se la mia vita fosse appena crollata miseramente, ma non è così. La mia vita è crollata anni fa e sono riuscita a costruirla, a renderla anche migliore di prima, ma ora ne ho scoperto la ragione, e se fino a due ore fa riuscivo a sentirmi meglio pensando che la colpa era di tutti meno che mia, ora voglio solo morire. Tutti questi anni a farmi sempre le stesse domande, a distruggermi alla ricerca di una risposta, quando quello che cercavo era così ovvio!
«Michelle, smettila» mi sussurra lui ad un certo punto, con dolcezza.
«Ma...»
«Non è affatto colpa tua, stai rendendo questa faccenda dieci volte più grande di quello che è.»
Sento l'irritazione salire e mi stacco da lui. Che cazzo ne vuole sapere più di me?
«So quello che provi, credimi, ci sono passato anche io!» esclama, quasi leggendomi nel pensiero «ho passato anni arrabbiato con me stesso per quello che era successo tra i miei genitori, quando la verità è che non centravo nulla! Non ho scelto io che mio padre si comportasse in quel modo, non ho voluto io che tutto questo fosse accaduto!»
Lo guardo smarrita. Non credo di capire quello che sta cercando di dirmi.
«Non è la stessa cosa» tento, poco convinta.
«Sì invece, è la stessa. Se anche avessi ragione e tuo padre se ne fosse andato per te, questo non farebbe altro che incolpare lui ancora di più! Insomma, cosa avresti fatto tu di sbagliato? Essere venuta al mondo? Ma per piacere! Non hai mai voluto niente di quello che è accaduto, Michelle, e questo ti solleva da ogni responsabilità, per quello che mi riguarda.»
Mentre le sue parole assumono significato nella mia testa, il mattone che avevo nel petto si dissolve. È come se riuscissi a respirare per la prima volta dopo giorni e ho voglia di piangere dal sollievo. Forse il senso di colpa non se ne andrà mai via del tutto, ma non mi sento più morire, non ho più voglia di urlare, di gettarmi a terra e piangere. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, poi mi avvicino di nuovo a Fabio e lo abbraccio stretto. Non sorrido, non ci riesco ancora, ma so che lui lo sta facendo.


Mi offre di andare a prenderci un gelato per tirarmi su il morale. Sto già meglio, ma accetto, sempre un po' titubante. È una buona occasione per parlargli di Daniel una volta per tutte, ma ho paura che il nostro livello di intimità si sia spinto troppo oltre dopo quell'ultimo abbraccio e probabilmente gli sto dando il messaggio sbagliato. Aspetta, ma quale messaggio? Lui sta con Sara, non prova più niente per me... di cosa diavolo ho paura?
«Un cono con yogurt e bacio... tu cosa prendi, Ellie?»
Sussulto, colta alla sprovvista. «Eh?»
«Di gelato...» spiega lui, indicando le vaschette al di là del vetro.
«Giusto, uhm... mango e pesca» dico i primi due gusti che vedo sulla lista e faccio a Fabio un sorriso leggermente forzato.
«Tre e sessanta» comunica il gelataio, burbero, dopo avermi consegnato il mio cono.
«Faccio io» mi assicura Fabio, tirando fuori cinque euro dalla tasca dei jeans.
Io lo ringrazio e mi allontano appena per permettere alla signora in fila dietro di noi di guardare i gusti di gelato.
«Ecco, avevi in mente di andare da qualche parte in particolare?» mi chiede, intascando i soldi del resto.
Mi stringo nelle spalle. «No, decidi tu.»
Mi prende per mano e sussulto di nuovo, ma non se ne accorge. Dio, devo smetterla: siamo amici, credo che sia normale che mi prenda la mano... o forse no? Cavoli, ho sempre pensato di sì, ma adesso so che per praticamente tutto il tempo che siamo stati amici lui voleva qualcosa di più... ho voglia di scomparire, seriamente. Perché non può tornare tutto come prima e basta? Perché i sentimenti devono rovinare sempre tutto?
Nessuno dei due dice nulla per un pezzo, mangiamo i nostri gelati in silenzio, senza lasciarci la mano. Ho come l'impressione che anche lui debba dirmi qualcosa e che non ne abbia il coraggio, nonostante continui a sperare che il silenzio sia dovuto al fatto che io non abbia molta voglia di parlare e che lui si stia solamente gustando parecchio il suo gelato.
Finisco di mangiare il mio cono e inspiro, pronta a rompere il silenzio e sganciare la bomba, ma la suoneria del mio cellulare mi interrompe. Sussulto e colgo l'occasione per lasciargli la mano, per poi prendere in mano il cellulare e guardare il nome sul display.
«È mia cugina» annuncio, senza distogliere lo sguardo, «devo rispondere» aggiungo subito dopo, sorridendo a mo' di scusa.
Accetto la chiamata e porto il telefono all'orecchio.
«Ciao Mad» saluto, leggermente a disagio.
«Hey! Come stai?» esclama lei, poi si blocca. «Aspetta, ti disturbo?»
«No, figurati» le assicuro, sorridendo «sto facendo due passi con un mio amico» aggiungo, lanciando un'occhiata a Fabio.
«Uh, è andato bene il viaggio, ieri?»
«Sì, certo, tutto regolare» le assicuro «il caldo è stata la cosa peggiore, ma naturalmente qui era brutto tempo, perciò è stato facile da dimenticare» aggiungo, sospirando. «Tu come hai passato la tua giornata?»
«Beh, stamattina sono andata a scuola e nel pomeriggio non ho fatto nulla di speciale» racconta, poi fa una piccola pausa. «Comunque ieri ho parlato con Nicola, e sembra che sia tutto sistemato. Insomma, stiamo insieme.»
«Davvero?» mi sfugge, «cioè, sono felice per te se tu sei felice» mi correggo subito dopo, rendendomi conto però solo dopo averlo detto di quanto suoni una farse di circostanza. Inspiro, cercando di trovare le parole giuste. «Okay, ignora quello che ho appena detto... cioè, sono felice se tu sei felice, è ovvio, ma non lo intendevo come frase copertura di “oh mio Dio credo che tu abbia fatto il più grosso errore della tua vita”, assolutamente no. In realtà non penso nemmeno che sia un errore... Dio. Okay, ricominciamo da capo. Com'è successo?»
Con la coda dell'occhio vedo Fabio lanciarmi un'occhiata decisamente divertita. Gli faccio la lingua.
«Diciamo che si è scusato per come mi ha trattata, e dice di essersi pentito. Chiaramente vuole ricominciare, con la promessa che non lo rifarà più» spiega lei.
«Ah» annuisco, «beh, sono felice per voi...» aggiungo dopo, con una voce allegra che per un momento non riconosco nemmeno.
In realtà non so se essere al cento per cento felice della cosa. Sì, sono felice per Mad eccetera, ma Nicola non mi convince più più di tanto. Sarà che ho problemi a fidarmi di chi ha fatto stare male le persone a cui voglio bene.
«Mich? sicura di stare bene? Ti sento strana...» mi fa notare lei
Sospiro. «Okay, senti, sei davvero del tutto sicura che non ti farà soffrire di nuovo? Insomma, mi ricordo come ci sei stata male, non voglio rivederti più in quello stato, ecco tutto» ammetto.
«Sì, credo di comprendere quello che intendi. Comunque voglio fidarmi di lui, anche perché quello che provo per lui è un sentimento forte, non riuscirei a cambiare pagina tanto facilmente, se mai decidessi di non credergli. Non so se mi spiego.»
«Sì, capisco...» sospiro, lanciando un'occhiata a Fabio. Capisco davvero. «Solo, promettimi di stare attenta... promettimi di non lasciarlo spezzarti il cuore un'altra volta» mormoro.
«Te lo prometto» dice lei, con voce rotta. «Ti voglio bene, Mich. Davvero» aggiunge, dopo una breve pausa.
«Ti voglio bene anche io, Mad» sorrido.
Un'altra pausa. «Ehm, ci sentiamo allora, okay?»
Annuisco, prima di rendermi conto che non può vedermi. «Certo, al più presto.»
«Perfetto, ciao cuginetta, ti abbraccio forte forte!»
Mi viene istintivamente da ridere. «Ciao!» esclamo allegra, per poi chiudere la conversazione.
«Uh, problemi di cuore?» chiede Fabio, mentre infilo il cellulare in tasca.
Sorrido malinconica. «Sì, a quanto pare nessuno è al sicuro...» scherzo, con un tono spaventosamente amaro.
«Michelle,» esordisce lui, dopo un attimo di silenzio, «io ti devo delle scuse»
«Uh?» lo guardo, colta alla sprovvista.
Lui fa un sorriso imbarazzato, mi lascia la mano e si siede su una panchina, invitandomi a fare lo stesso. Incrocio le gambe, cercando di non abbassare lo sguardo. So che sta per succedere qualcosa che non dovrebbe succedere. È strano, ma lo so e basta, lo leggo nel suo sguardo. O forse sono ancora sotto shock e mi immagino le cose.
«Per come mi sono comportato con te» spiega lui, serio. «Non avrei mai dovuto baciarti, confessarti quelle cose... è stato stupido, mi sono lasciato trascinare dalle cose... non ci sono giustificazioni, ti ho fatta soffrire ed è imperd...»
«Non sono arrabbiata con te» lo interrompo, seria a mia volta, «non più almeno. E non solo perché sono stata distratta dal ritorno di mio padre e il resto... credo di non essere mai stata davvero così arrabbiata, dopotutto. Sapevo che non sarebbe mai potuto succedere nulla tra di noi, per Sara e tutto il resto.»
Oh, non mi ero accorta che fosse così vicino. Abbasso lo sguardo, arrossendo appena quando la sua mano sfiora le mie, strette l'una nell'altra nel tentativo di sfogare la tensione.
«Io e Sara ci siamo lasciati» ammette lui, in un sussurro, se possibile ancora più vicino, «quello che provavo per lei non è mai stato nulla in confronto a quello che provo per te.»
Sento le lacrime salire agli occhi mentre le sue parole assumono un significato nella mia mente. Si avvicina ancora e non riesco a trovare la forza di spostarmi. Riesco appena a balbettare un “no” senza senso prima che le sue labbra sfiorino le mie. È tutto maledettamente confuso, vorrei scostarmi ma chiudo gli occhi e mi abbandono al calore del suo respiro, al suo profumo tanto familiare da farmi star male. Una lacrima mi solletica la guancia mentre la sua lingua sfiora la mia, e mi rendo conto che sto rispondendo al bacio. È bello, innocente, vorrei dire perfetto, ma non posso. Una parte di me continua a sbraitare su quanto tutto questo sia sbagliato, che farà solo soffrire me e chi mi sta intorno, un'altra mi ricorda quanto mi abbia fatto male il suo rifiuto, un'altra ancora si chiede a cosa potrà portare tutto questo... l'ultima è quella che mi sta facendo rispondere al bacio, che infondo gioisce per la sua rottura con Sara. So che è sbagliato, ma al momento è l'unica delle parti che riesco ad ascoltare, probabilmente perché è la più facile, probabilmente perché sono una codarda, o forse perché non voglio fare a lui quello che lui ha fatto a me.
Sembra sia passato un secolo prima che mi renda conto della quinta parte, della parte più importante, la parte che mi ricorda di tutti i momenti passati assieme a Daniel, che mi suggerisce che per quanto questo bacio possa essere bello, non è niente in confronto a quello nel roseto. Forse provavo qualcosa per Fabio, forse provo qualcosa per lui ancora adesso, ma non è lui che voglio, non più.
Mi stacco da lui con un sussulto dopo qualche secondo durato un'eternità.
«Non posso» balbetto, con un filo di voce.
Aggrotta la fronte, sorpreso e leggermente deluso. «Perché?»
«Non...» mi blocco e inspiro, cercando di trovare le parole. «Abbiamo avuto la nostra chance, Fabio, l'abbiamo avuta, ma non ha funzionato.»
«È assurdo! Cosa vorrebbe dire? Che visto che sono stato così stupido da non dichiararmi prima o da rifiutarti quando mi volevi, adesso non ci potrà essere più niente tra no?» ribatte, irritato.
«Sei il mio migliore amico, Fabio!» esclamo, esasperata, «e forse ho voluto che fossi qualcosa di più, prima, ma non è più così...»
«Perché? Perché sono stato così stupido da non capire subito che sei tu la persona più importante nella mia vita?»
Scuoto la testa. Non deve dire così, rende solo tutto più difficile.
«Sono qui, adesso, non è questo l'importante?» sorride con dolcezza, come a volermi rassicurare, promettere che non mi lascerà mai più andare via. Chiudo gli occhi, mi sento un verme... non ho nemmeno il coraggio di guardarlo il faccia.
«Fabio» comincio, con voce tremante.
«Michelle...» mi interrompe lui, sfiorandomi il braccio.
Una lacrima mi scivola lungo la guancia, mentre apro gli occhi. Stringo forte il bordo della panchina.
«Sto con un altro.»
Sembra passare un'eternità prima che quelle parole lo raggiungano. Vedo il suo sorriso svanire lentamente e ho solo voglia di rannicchiarmi su me stessa e piangere forte. Non è giusto, non sono io quella che è appena stata rifiutata. Altre due lacrime scivolano dai miei occhi mentre mi sforzo di mantenere lo sguardo su di lui. Aspetto che dica qualcosa, qualsiasi cosa, ma non dice niente. Si alza e capisco che se ne sta per andare appena in tempo per fermarlo afferrandogli un polso. Lentamente, si volta.
«Mi dispiace...» singhiozzo. «Mi piacevi davvero... quando ci siamo baciati, sotto casa mia, speravo davvero che potesse esserci qualcosa tra noi... ma poi è arrivato Daniel. Lui mi ama, Fabio, e io amo lui, e non per ripicca verso di te, non perché tu stavi con un'altra. Lo amo sul serio, probabilmente l'ho sempre amato» è confuso, non capisco nemmeno io quello che sto dicendo. Non voglio che se ne vada via così. «Sei il mio migliore amico, Fabio» ammetto, tirando su col naso, «e lo sarai sempre, sempre. Ti prego, dimmi che per te è lo stesso, che riuscirai a perdonarmi» imploro, la voce rotta dal pianto.
Con dolcezza si libera dalla mia stretta, e per un attimo spero in uno dei suoi sorrisi affettuosi, che mi abbracci e che mi dica che forse gli servirà del tempo, ma che tornerà tutto come prima. Quando riesco a trovare la forza di muovermi di nuovo, però, lui se n'è andato.
Scoppio in singhiozzi e raccolgo le gambe contro il petto, appoggiando la fronte sulle ginocchia. Non voglio smettere, voglio solo rivedere il suo sorriso.




















*** Spazio Autrici ***

Hey pretty people ;D
sono Leslie, quanto tempo eh? Beh, tagliamo i convenevoli e passiamo subito alle cose importanti...

Quanto siete scioccati? xP So che molti di voi erano proFabio e vi chiedo di non mettere un giudizio finale subito, questa storia non è finita fino all'epilogo (che sarà esattamente non il prossimo capitolo, non quello dopo ma quello dopo ancora)... perciò tenete le vostre testoline aperte fino all'ultima riga e poi fate un giudizio imparziale :) non che abbia da dirvelo in realtà, so che siete persone intelligenti e aperte ;PP

Come Lalla aveva anticipato, anche io darò un'anteprima del mio primo capitolo (ovvero il secondo) di Drawing a Song 3, e nemmeno io spiegherò niente :D:D solo... introdurrò una linea della storia diversa rispetto a quella che ha anticipato la mia collega ^^

Mi sveglio con un sapore orribile in bocca e la sensazione di aver fatto qualcosa di molto stupido. Cazzo, non mi ricordo praticamente niente di ieri sera. No, aspetta... mi ricordo un Martini o due di troppo, e una canzone. Non ho idea di quale sia, lenta, non riesco a togliermela dalla testa. Oh, e poi un ragazzo... deve avermelo presentato Maria, o forse era Dalila. Era carino, peccato che non mi ricordi il nome. Stupidi drink, al lavoro sarò uno straccio.
Okay, meglio muoversi. Con una smorfia allungo le gambe per stirare i muscoli e il mio piede sfiora qualcosa di caldo. Tiro uno strillo e cerco di alzarmi dal letto, ma riesco solo a rotolare oltre il bordo e a cadere sul pavimento, sbattendo la testa contro il comodino. Gemo e mi rimetto seduta massaggiandomi la nuca. Quando alzo lo sguardo mi ritrovo davanti il viso di un uomo.

TAH-DAH!
Bene, visto che non ci sono state recensioni nel capitolo precedente direi che posso anche chiudere qui... :):) restate collegati però, perché il prossimo capitolo arriverà prossimamente (forse ritarderemo un pochino sulla tabella di marcia di nuovo perché Lalla deve ancora scriverlo... ma voi continuerete a seguirci giusto? :D) (ovviamente! E poi, se vedo che c'è ancora qualche buon'anima viva mi do una mossa e scrivo più volentieri :D NdLalla)

So, see you soon ;)
xo, Leslie & Lalla
   
 
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