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Autore: Lacus Clyne    15/02/2011    4 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ANGOLO DELL'AUTRICE: Primo, vero capitolo! Aspetto qualche recensione se vi va!

 

 

La vita nella scuola che frequentavamo Evan e io proseguiva. Era una bella scuola privata, mi piaceva. Anche l’uniforme, per quanto fossi abituata a cambiare, mi sembrava la migliore tra tutte quelle che avevo indossato fino al nostro trasferimento. Era stato davvero strano, particolare, specchiarsi e vedere la figura riflessa così felice. Eppure lo ero, entusiasta come non mai, felice di essere in quel luogo, in quel momento, accanto alle due persone che amavo più al mondo. Non ne capivo a pieno il motivo, ma questo bastava a far passare ogni timore per il nostro primo giorno di scuola. Eravamo stati assegnati a due classi ad anno già cominciato, anche se questo era frequente, considerati i nostri spostamenti. Evan era capitato nella classe di Warren e io in quella di Violet. Come ho avuto modo di dire, Evan è mio fratello maggiore, ci togliamo circa due anni, lui ne ha diciotto e io quasi sedici, ma per certi versi, sembrerebbe che lui sia anche più vecchio. Non fisicamente, o almeno non in modo così evidente, ma più che altro mentalmente. Credo che sia il risultato della vita condotta fino a quel momento, che lo ha costretto a crescere troppo in fretta. A volte ero arrivata persino a chiedermi se non fosse umano.

Devo ammetterlo, era stato divertente fantasticare, assieme a Violet, nella pazzesca confusione di pupazzi della sua stanza, di un ipotetico fidanzamento tra lei e Evan. Saremmo diventate indiscutibilmente sorelle, inseparabili come lo eravamo state sin dall’inizio della nostra bella amicizia, complici e pronte a vagliare ogni ipotesi ideale su come realizzare il progetto. Eppure ogni ipotesi, anche la più rosea, si concludeva infelicemente. Evan era un muro, non sembrava minimamente interessato alla mia amica e non volevo che questo le causasse un dispiacere. Non so se Violet effettivamente provasse qualcosa per lui, ma di sicuro, mi aveva detto, lo trovava piuttosto carino. Definire mio fratello carino era qualcosa che non avevo mai sentito. In passato, avevo capito che le ragazze delle scuole che frequentavamo lo trovavano attraente. Aveva qualcosa di particolare, un fascino insito nei suoi modi, che per quanto potessero apparire distaccati, in realtà, sembravano agli occhi delle ochette che gli andavano dietro, irresistibili. Forse erano i suoi occhi, avevano uno strano magnetismo, tanto che spesso ad ogni sua occhiata, orde di ragazze impazzite sembravano cadergli ai piedi. Ma era in assoluto la prima volta che sentivo definirlo carino. Lo faceva davvero… umano.

- Ta-dan!

Alzai pigramente lo sguardo verso una locandina nelle mani di Violet. Mi ero addormentata, la notte prima, ma non avevo dormito a sufficienza. La mia conseguente risposta fu un enorme sbadiglio.

- Aurore! Insomma, è tutto qui il tuo entusiasmo?

Protestò, un guizzo felino nei suoi occhi color caramello.

- Scusami, è che… è che sono davvero assonnata, vorrei soltanto… dormire…

Bisbigliai, stendendo le braccia sul banco.

- Sveglia! C’è una festa sabato prossimo!

- Una festa?

Non è che amassi particolarmente le feste, in realtà.

- E’ per l’apertura di un nuovo locale!

L’occhiata complice si trasformò in un altrettanto complice occhiolino.

La osservai, lunghi capelli castani le ricadevano in boccoli morbidi sulle spalle, era davvero una gran bella ragazza. Ed Evan non era proprio umano. Mi sollevai, il suo entusiasmo traspariva visibile. Non era una festaiola, ma ai ragazzi il ritrovo piace, e per quanto le mie abitudini fossero differenti, l’idea di trascorrere una serata fuori casa, in un nuovo posto, mi solleticava. Dopotutto, avrei avuto Violet, pensavo.

- Un locale?

Violet annuì, mi stava convincendo, sembrava felice della sua riuscita. Accidenti, ci voleva così poco a circuirmi?

- E se saremo particolarmente fortunate ci sarà anche un karaoke!

- Non ho mai cantato al karaoke… è obbligatorio?

Domandai, in leggero imbarazzo.

- Dipende dalle canzoni, ovviamente!

Spiegò, prima di lasciarsi andare a un teatrale elogio dei suoi gusti musicali. Cercando di evitare improbabili contagi, domandai alla mia amica se la locandina fosse arrivata anche nelle altre classi, ottenendo che la sua espressione si volgesse verso un sincero “sicuramente”. La probabilità che ci fosse gente della scuola era alta, quindi l’idea di cantare davanti a un pubblico che in qualche modo ti conosceva era per me l’equivalente del camminare nuda in mezzo alla strada. Le rare volte in cui avevo canticchiato qualcosa avevo finito col suscitare gli apprezzamenti poco felici di Evan e sinceramente, c’era una cosa che preferivo fare, ascoltare la mamma, che conosceva canzoni molto belle, ma allo stesso tempo così incredibilmente antiche, tanto che se non fossi sicura di averle sentite in questo secolo, penserei fossero di qualche secolo fa. Mia madre adorava cantare, le si leggeva in viso, era felice, come se quelle canzoni la riportassero al periodo migliore della sua vita, ma allo stesso tempo, a volte, assumevano un tono malinconico.

- La pierre qui brille dans le noir…

Commentai, sovrappensiero.

- Francese?

Domandò, stupita.

- Sì, è… niente, mi è venuta in mente una cosa, nulla di particolare, non farci caso.

- Allora, ci vieni?

- Va bene, sia per l’uscita. Ma prima dovrò chiedere il permesso… i minorenni sono ammessi?

- Tranquilla, nonostante tutto sembra sarà davvero un posto sicuro, suppongo di sì!

Sorrise divertita.

- Non mi tranquillizzano affatto quei “sembra” e “suppongo”, Violet…

- Allora sperimenteremo!

- Adesso sono terrorizzata.

- Vedrai, sarà divertente!

- Lo spero… o domenica mi ritroverò in punizione e chissà per quanto tempo…

Confessai, sinceramente turbata dal pensiero. Violet sorrise e io le restituì il sorriso. Non importa quale sia il tuo stato d’animo, ma un sorriso è sempre la cura migliore ed è estremamente scortese non ricambiarlo. Prese posto nel banco di fronte al mio e mi raddrizzai, osservando svogliatamente i ragazzi della mia classe.

All’inizio, la presenza di una nuova studentessa, per di più non del luogo, aveva suscitato interesse e sincera curiosità. Devo ammetterlo, era la prima volta che mi capitava, non ero una straniera qualunque, ma una straniera che aveva viaggiato molto più di quanto ciascuno di loro avesse fatto nella sua vita. Mi piaceva raccontare brevi e particolari resoconti dei viaggi più interessanti, ed era altrettanto piacevole vedere l’entusiasmo dipinto su quei volti, desiderosi di conoscere i dettagli, soprattutto quelli che avevano componenti sovrannaturali. Il fascino immorale delle superstizioni... certo, non che mi fosse mai capitato di incrociare un fantasma, o chissà quale strana creatura, nemmeno in Scozia, che si dice sia la patria degli spiriti. L’argomento mi metteva un po’ a disagio, però, avevo già a che fare con gli spettri dei miei incubi, per cui cercavo di evitare di scendere nel merito di storie particolarmente scabrose, che per giunta, aggiungo per fortuna, non avevo mai vissuto. Nel corso del tempo, credo che questa mia attitudine abbia fatto scemare l’interesse verso di me, così, dalla nuova studentessa, ero diventata la compagna di classe, né più né meno. Evan del canto suo non se la cavava meglio di me. Da che ne sapevo, trascorreva parte delle sue mattine a sonnecchiare, nemmeno fosse una sorta di animale notturno, ma si era sempre giustificato dicendo che il banco era piuttosto comodo.

Le ore passarono veloci, ma fu durante la pausa pranzo che accadde un fatto piuttosto singolare. Evan si era letteralmente accampato nel banco vuoto dietro al mio, per sfuggire alle numerose e pressanti richieste di ragazze che desideravano conoscerlo. Solo un minuto, aveva detto, e concederglielo mi sembrava il minimo doveroso da fare. Senza contare l’incondizionato appoggio di Violet che aveva provvidenzialmente deviato le ragazze del terzo anno verso il cortile. Sfortunatamente, il cortile era uno dei regni di Warren, che, al pari di mio fratello, adorava trascorrere la pausa pranzo all’esterno della sua aula. Ci godemmo lo spettacolo dalla finestra, Evan osservava Warren che, apparentemente distolto dalla sua lettura sotto un pesco in fioritura, balzava in piedi per riportare tutto all’ordine. Devo confessare che ci sapeva fare, a quanto pare era portato per impartire ordini. Probabilmente l’avere un padre professore era l’equivalente del sentirsi responsabili a ogni costo, volenti o nolenti, cosa che in un certo senso, me lo fece compatire. Mai commento fu più vano. Lo vedemmo rivolgerci un veloce sguardo e tornare all’interno della scuola, Violet e io ci guardammo, poi rivolgemmo lo sguardo verso Evan, che sembrava il solo a non aver capito cosa fosse accaduto.

- Sei nei guai, Evan…

Disse Violet, a metà tra l’ammissione e il velato divertimento.

- Non potevi restare nella tua classe? Adesso se la prenderà anche con noi.

Protestai.

Mi guardò, per un attimo ebbi l’impressione che fosse sinceramente pentito della sua irresponsabilità, subito smorzata da un laconico commento.

- Sei stata tu ad accordarmi il permesso di rimanere qui.

Sorrise sadicamente divertito, mi posò una mano in fronte e si allontanò verso la porta.

- Dove stai andando?!

Domandai, percependo un misto di furia e curiosità fare capolino nel mio cuore.

- Parlaci tu, digli che mi fa male lo stomaco.

- Come?! Ti ha dato di volta il cervello?!

- No, mai stato più lucido.

- Evan!!

- Ci si vede.

Un ciao stentato con la mano, a cui Violet rispose stupita e la mia espressione shockata fecero da teatro alla sua uscita.

- Sono nei guai…

- Non credo, è assai probabile che si incrocino nei corridoi.

Spiegò Violet.

Mi voltai meccanicamente verso la mia amica che sorrideva serafica. Beata lei, avrei voluto essere al suo posto in quel momento. Evan e le sue trovate, odiavo quando mi lasciava gestire i suoi pasticci. Ma era troppo tardi.

- Kensington, Evan Kensington!

Tuonò minaccioso. Ingoiai e osservai quel ragazzo così… stranamente posato nella sua furia omicida. Devo ammettere che era davvero un bel ragazzo. Damien Warren aveva su per giù la stessa corporatura di Evan, e come se non bastasse possedeva un’eleganza innata nei movimenti e nelle parole. Non che questo bastasse a renderlo meno scortese, ma quantomeno lo faceva apparire autoritario quanto bastava per non replicare alle sue parole. I capelli erano di un castano molto scuro, ciuffi ricci ricadevano lungo la sua fronte, facendo da cornice a degli stupendi occhi verde smeraldo. Per quanto potessi odiarlo, Damien aveva qualcosa di fascinoso. La sua voce tuonò nuovamente, mentre si rivolgeva a me, persa in una quantomai fuori luogo contemplazione di quel ragazzo che si avvicinava sempre più.

- Per fortuna che doveva starci al largo…

Mormorai, sostenendo il suo sguardo. Bello per quanto fosse, era un gran bastardo e questo non cambiava. E poi… dalla volta in cui aveva sfidato Evan, mi ero ripromessa che mai avrei dato un’occasione di replica a quel bell’imbusto.

- Ho visto tuo fratello in questa classe.

- E allora?

Chiesi, accigliandomi.

- Dov’è andato?

- Aveva mal di stomaco, tu dove vai quando hai mal di stomaco?

Scorsi con la coda dell’occhio l’espressione di Violet, in quel momento, immagino dovesse essere la stessa che aveva il resto dei presenti. Stavo sfidando pubblicamente il Responsabile delle classi del terzo anno. Sapevo che lo chiamavano despota, ma non ci sarebbe stato despota in grado di fermarmi, se avessero toccato mio fratello. Non volevo essere la sola a essere protetta e sebbene non gliel’avessi mai chiesto, Evan lo faceva, sempre.

- Ho chiesto… dov’è andato tuo fratello. Non farmi ripetere le cose due volte, non mi piace.

- Scusa tanto, non è nelle mie abitudini fare la Caina della situazione.

Mi guardò, un’occhiata inintelligibile.

- Digli che il professor Warren lo aspetta dopo le lezioni.

- Come?

- Sei sorda, forse?

- Eh?!

Lo guardai sinceramente stupita. Che diavolo di gioco stava giocando?!

- Cosa vuole tuo pad--  il professor Warren da mio fratello?

- Consegna il messaggio, se è davvero in infermeria, allora va’ e portaglielo.

- In infermeria? Che cavolo dovrebbe farci in infermeria?

- Non ha mal di stomaco?

- Come? Ah… sì, certo… ovviamente… se hai mal di stomaco vai in infermeria, giusto…

Riflettei.

Ebbi la soddisfazione di vederlo osservarmi stupito. Era anche altamente probabile che mi considerasse svitata.

- Allora?

- E’ tutto qui?

- Perché?

- Rispondi alle domande con altre domande?

- Tu fai lo stesso.

- Sì, hai ragione.

Sbuffò apparentemente spazientito.

- Fa’ come ti ho detto.

- Non darmi ordini.

Aguzzò lo sguardo.

- Fallo.

Sentenziò, prima di girare i tacchi e andar via. Sospirai non appena scomparve dalla mia vista. Per qualche strana ragione, mi sentivo delusa. Non mi piaceva attaccare briga, ma rispondere così sfacciatamente a quel ragazzo mi veniva naturale, quasi fosse la cosa più facile e necessaria del mondo. Oltretutto, non si poteva certo dire che Damian Warren fosse accondiscendente. Eppure, credevo che mi avrebbe trattata male, come al nostro primo incontro, mentre invece, stavolta sembrava aver scelto una via molto meno aggressiva. Forse l’intimidazione di Evan era davvero servita a qualcosa, motivo per cui lui stesso non aveva ritenuto necessario il rimanere. E dopotutto, chi accidenti aveva bisogno di una balia? Ma ciò che urgeva in quel momento era consegnare il messaggio. Ci riflettei, che cosa poteva mai volere il professor Warren da Evan? Un richiamo disciplinare? Un sospetto balenò nella mia mente, tutto stava prendendo forma. E io che avevo persino creduto che non c’entrasse niente… era evidente tanto quanto il fatto che fosse giorno. Warren aveva deciso di rivolgersi a suo padre in modo che richiamasse concretamente all’ordine mio fratello, sicuramente avendo saputo dei suoi pisolini diurni. Era chiaro, tutto spiegato. Oltre che bastardo era incapace, davvero un bel colpo doppio, riferire al padre una situazione che non riusciva a risolvere da sé. Avrei dovuto capirlo prima. Guardai Violet, dovevo assolutamente ritrovare Evan, prima che la nota disciplinare lo colpisse.

- Vado a cercarlo, ti spiace coprirmi se tardo?

- Fa’ pure, ma cerca di non esagerare, abbiamo Biologia, oggi c’è in programma l’osservazione dell’impollinazione dei fiori di pesco.

Mi ricordò. La osservai confusa. I fiori di pesco… impollinazione… che Warren stesse studiando? No, impossibile, decisamente impossibile se consideravamo il fatto che Warren fosse dell’ultimo anno.

- Tornerò il prima possibile!

Conclusi, correndo a tutta velocità verso l’uscita.

Raggiunsi l’infermeria poco prima del suono della campanella, mi affacciai, ma di Evan nemmeno l’ombra. Davvero geniale, se proprio vuoi fingere, Evan, almeno fallo bene. E invece, a quanto pareva mio fratello era poco portato anche per il mentire. Sentii un fruscio alle mie spalle, che mi fece sobbalzare e mi voltai repentinamente, vedendo una mano ergersi minacciosa contro di me. Un istante, il ricordo del mio incubo e urlai terrorizzata, facendomi indietro e coprendomi il viso con le braccia.

- Ti prego, ti prego!!

Urlai.

- Ti ho spaventata?

Chiese un’apprensiva voce femminile. Per niente rassicurata, scostai poco poco il braccio e di fronte a me vidi una donna con indosso un camice, un tipo piuttosto ordinario, a prima vista, la responsabile dell’infermeria, con la mano a mezz’aria.

- E’ tutto a posto, signorina?

Chiese di nuovo, lasciando ricadere il braccio lungo il fianco.

- S-Sì, mi… mi scusi, credo di sì…

Confessai, nascondendo il viso rosso di vergogna per aver anche solo pensato di paragonare una mano gentile alla minacciosa entità oscura che popolava i miei incubi. Mi rialzai, sforzandomi di mantenere il contegno per non fare nell’occhio.

- Hai bisogno di qualcosa, cara?

Domandò, gentile, sorridendo.

- No, non io… sto cercando… ecco, Evan Kensington, della terza sezione, è stato qui, per caso?

- Kensington? Sì, certo, sei sua sorella?

- Sì, Aurore Kensington.

Confermai, ponendole il mio tesserino scolastico.

- Molto bene. Ha chiesto dove fosse la caffetteria, ma suppongo che a quest’ora sia già tornato in classe. Sarà il caso che anche tu faccia altrimenti, se non hai bisogno d’altro.

- Va bene, la ringrazio.

Sorrisi, facendo un cenno e uscendo. Mi guardai intorno, la faccenda si faceva misteriosa. I corridoi ormai si erano svuotati, le classi avevano ripreso l’attività, tutto sembrava così tranquillo. Mentre percorrevo gli androni deserti, riflettei sul fatto che da quando ci eravamo trasferiti a Darlington, Evan era sempre stanco, come se non dormisse abbastanza. Forse, la colpa era mia, i miei incubi si erano fatti più frequenti, le volte in cui Evan trascorreva le notti accanto a me erano tante e se già io ero stanca, chissà lui... che razza di peso ero… avrei dovuto parlarne con la mamma, sarebbe stata sicuramente la soluzione migliore, non volevo affatto diventare la causa dello scarso rendimento di Evan.

Mi appoggiai al davanzale di una finestra aperta, osservando il cortile interno della scuola. Il panorama era meraviglioso, mi ricordava tanto quelle scuole giapponesi che si vedono in tv, ed era strano pensarci in un tipico campus. L’istituto era rinomato per la sua classicità, sapevo che molti studenti iscritti entravano in università prestigiose, probabilmente anche Warren ci sarebbe entrato. Chissà, forse anche Violet, se si impegnava era in gamba.

Chiusi gli occhi, lasciando che la brezza mi accarezzasse il viso, dolcemente, era come una carezza gentile. Era davvero una bella giornata. Poi, un rumore molesto proveniente dall’esterno mi riportò alla realtà. Qualcuno stava sbadigliando. Riaprii gli occhi e cercai di focalizzare il colpevole e per poco non rimasi sconvolta. Evan era sdraiato sotto un pesco, riparato dalle folate meno gentili, timidi raggi di sole gli illuminavano il viso rilassato, sembrava dormire beatamente. Accanto a sé, un libro lasciato aperto, mentre la brezza sfogliava le pagine.

- Evan…

Sussurrai, perfettamente conscia che quel fiato era inutile se speravo di farmi sentire. Avrei dovuto svegliarlo? Se si era appisolato in un luogo come quello, sicuramente era sfinito, non sarebbe stato giusto, magari, stava anche facendo un bel sogno. Ma avrei dovuto avvisarlo o mi avrebbe rimproverata per non averlo fatto. Feci per chiamarlo, ma mi bloccai, voltandomi. Non mi ero accorta del rumore di passi nel corridoio fino a quando non era cessato e l’ombra era abbastanza vicina da incrociare la mia. Un uomo, ben vestito e con una cartellina sotto il braccio, mi guardava. Ricambiai lo sguardo, cercando di definirlo, i capelli scuri, ordinati, all’incirca sulla cinquantina, un’espressione curiosa dipinta negli occhi castano scuro.

- Ti sei persa?

Chiese. Era la giornata delle domande? Pensai, senza accorgermi che gesticolavo.

- No, no, affatto! Sto per tornare in classe!

Mentii, sorridendo come un’idiota. Che figura…

Sorrise cortese.

- Sei Aurore Kensington, vero?

Annuii, più imbarazzata che mai.

- Non ci conosciamo di persona, sono Leonard Warren.

- Il professor Warren?!

Esclamai stupita.

- Sì, proprio lui.

Confermò, mantenendo inalterato il sorriso.

Era davvero diverso dal figlio, non gli somigliava per niente. Forse aveva preso dalla madre, chissà… feci un inchino, non avevo il coraggio di andare oltre.

- Mi scusi, torno subito in classe!

Dissi, incamminandomi velocemente.

- Avete un bel rapporto.

Disse. Mi fermai, voltandomi subito dopo, ormai ero alle sue spalle.

- Prego?

- Tu e tuo fratello, siete molto legati.

- E’… un male?

Domandai, stupita da quell’osservazione.

- No, non lo è. Anzi, a volte è una forza.

- Non capisco cosa voglia dire.

Mi stava facendo insospettire. Si voltò, ebbi un’improvvisa esitazione. Per qualche motivo a me ignoto, quell’uomo mi stava mettendo in soggezione.

- Aurore… hai un bel nome, la luce del primo mattino, il chiarore soffuso che si diffonde tra le tenebre.

Non avevo mai riflettuto sull’origine del mio nome, ma sicuramente, sentito così, in virtù dei miei incubi, assumeva una strana valenza.

- Cosa vuole da me, professor Warren?

- Niente, desideravo soltanto conoscere la sorellina di Evan. So che non avete un padre.

Sobbalzai, il cuore prese a battermi forte. Era più che logico che lo sapesse, dal momento che aveva accesso ai nostri file personali, ma farlo notare, così, su due piedi, senza motivo era decisamente fuori luogo.

- E con questo?

- Vivete con vostra madre… Celia, non è così? Celia Kensington.

Lo scrutai, le sue domande avevano un tono che non mi piaceva. Storsi la bocca e aguzzai lo sguardo, decisa a smorzarlo.

- Sì, ma mi spiace, non è in cerca di marito.

- Mpf.

- “Mpf”?

Si mise a ridere, una risata divertita.

- Va bene, prendo atto.

Disse. Non capivo quell’uomo tanto quanto non capivo suo figlio.

- Bene, dato che abbiamo assodato, posso andare?

- Naturalmente. Scusami per averti fatto perdere tempo. Dì pure che è colpa mia, penserò io a confermare le tue parole.

- Non si scomodi, non ne ho bisogno.

Dissi.

- Come desideri.

Sorrise, facendo un cenno col capo, poi guardò dalla finestra.

- A giudicare da come dorme, sta davvero facendo un bel sogno. Ce n’è davvero necessità, di questi tempi.

Un altro cenno e si allontanò, fino a scomparire. Rimasi lì, ferma, come inchiodata al pavimento, completamente impotente davanti a quelle parole. Cosa voleva dire? Non appena potei, un’eternità più tardi, mi voltai verso la finestra, Evan non c’era più.

 

La sera stessa, era tutto stranamente silenzioso. Una strana cappa aleggiava sulla nostra sala da pranzo, dove ci eravamo riuniti per la cena. La mamma aveva preparato un piatto che ci piaceva molto, retaggio di uno dei nostri viaggi in Italia, lasagne. Era piuttosto brava, ma del resto, erano poche le cose che non sapeva fare, e tra queste figuravano il non saper cucire e poca familiarità con la tecnologia. Normalmente ci chiedeva com’era andata la giornata, ma questa volta non chiese niente, il che non era assolutamente normale. Rigirai nel piatto la forchetta col boccone e ruppi il silenzio, guardando mia madre, che ricambiò.

- Mamma?

- Sì?

Domandò.

Evan sollevò lo sguardo dal piatto volgendolo verso di noi. Avevo catturato l’attenzione di tutti.

- E’ tutto a posto? Sei così silenziosa… non vuoi sapere com’è andata la giorn--     

Un calcio assestato sulla mia caviglia mi interruppe.

- Ahi!!

Imprecai, sgranando gli occhi verso Evan, che mi guardava di sottecchi.

- Tu…

- Se non l’ha chiesto ci sarà un motivo, non credi?

Mi fece notare.

- E c’è bisogno di prendermi a calci per farmelo capire?!

- E’ colpa tua che non leggi tra le righe.

- Oh, scusa tanto, mente fine, non sono così sottile.

Replicai.

- Comunque è andata bene, mamma, se non fosse che Ev--    

Un pizzicotto sul braccio, stavolta.

- Evan, piantala, mi fai male!!

Sbottai, pizzicandogli la mano.

- Anche tu.

- Allora smettila.

- Dopo di te.

- Posso continuare.

- Anch’io e non ti conviene.

- Ti odio!!

Esclamai, lasciando la presa e guardando la mamma, che ci guardava a metà tra stupita e divertita.

- Voi due… è mai possibile che non riusciate proprio ad andare d’accordo?

Sospirò, posando la guancia sul palmo della mano. Era davvero bella quando assumeva quella posa.

- Scusaci… è colpa sua.

Lo indicai.

- Senti chi parla, quella che scappa durante le lez--   

Un calcio estremamente ben assestato sul piede di Evan e lo vidi contorcersi. Evvai! Uno a zero, fratellone!

- Non c’era bisogno di metterci tanta enfasi…

Protestò nello scostare il piede.

La mamma si mise a ridere, la guardammo. Era una cosa particolare, ma quando litigavamo, era sufficiente che lei ridesse per far sparire tutto, come per magia. Probabilmente doveva trovarci davvero buffi…

- E va bene… allora, ragazzi, com’è andata oggi a scuola?

Domandò allegra, sollevando la forchetta e mangiando il boccone.

- Sì!! Allora… è andata bene, tutto nella norma, se non fosse che Violet mi ha proposto di andare a una festa sabato prossimo… posso andarci?

Chiesi sforzandomi di mostrare una faccia responsabile. Evan mi guardò improvvisamente serio.

- Una… festa?

Annuii, raccontando loro della locandina e dell’opera di convincimento di Violet.

- Non siete mai andati a delle feste… ma in questo momento, non so se sia una buona idea, Aurore.

Commentò la mamma.

- Perché?

Chiesi, stupita.

- E’ soltanto che… sarà il caso che vi impegniate maggiormente negli studi, tutti e due, dato che tu, signorina, hai saltato una lezione, e tu, signorino, ti sei appisolato nel cortile.

Calò il gelo.

Un gelo fuori stagione che durò per un tempo imprecisato.

Un gelo che faceva da cornice a due facce impietrite e a una che sorrideva serafica.

- Mamma…

Esordii.

- Possiamo spiegarti, non… non è così, Evan? Evan?

Nel nanosecondo di ripresa, Evan si era alzato e procedeva spedito verso la sua stanza.

- Evan!!

- Devo finire un capitolo di storia, Warren è piuttosto… esigente. Buonanotte.

Si giustificò. Giustifica, giustifica!! Evan, maledetto fratello scaricabarili…

Mi voltai verso la mamma, che aveva posato la forchetta nel piatto.

- Mamma, ma l’hai sentito?!

- Sarà meglio che… mi aiuti a togliere le stoviglie, che ne dici?

- Togliere le stoviglie? Adesso? E lui?

- E’ giusto che recuperi, no?

- Ma…

Guardai Evan, ma di lui era rimasta soltanto la porta che si chiudeva alle sue spalle.

Sospirai, a quanto pare il mio destino era quello di immolarmi a causa di un fratello sconsiderato. Rassegnata alla mia sorte infausta aiutai a rassettare la cucina, ma la ricompensa che ne ottenni fu molto più gratificante di quanto immaginassi.

Presi posto sul divano, subito raggiunta dalla mamma e mi accoccolai sulle sue gambe, mentre mi accarezzava i capelli. Da piccola, a causa dei miei incubi, avevo preso l’abitudine di farmi coccolare in quel modo. Il tocco gentile delle sue mani era così piacevole…

- Mamma?

- Mh?

- Posso chiederti una cosa?

- Certamente, piccola mia.

- Perché… mi hai chiamata Aurore?

Percepii un’incertezza, che però scomparve quasi all’istante.

- Perché mi piaceva. Trovavo che rispecchiasse bene ciò che eri. Sai, Aurore… quel periodo della mia vita fu il più… instabile, in un certo senso. Tu ed Evan eravate le sole cose belle e certe che avessi e in particolare, tu, tesoro, nascesti nelle prime ore della mattina, così che la prima luce che si diffondeva mi dette la sensazione che forse anche le cose peggiori finivano. Eri così piccola, indifesa, non avevi nemmeno ancora aperto gli occhi. Ricordo come se fosse ieri, ti strinsi forte e tu mi accarezzasti il viso con la manina e apristi gli occhi, erano i più belli e puri che avessi mai visto in vita mia… erano della stessa tonalità ametista di quelli di tuo padre…

Si fermò, incerta. Quale dolore le stavo dando per quel ricordo?

- Mamma, non…

- Tuo padre, bambina, sarebbe stato felice di vederti. Ti avrebbe sicuramente amato molto.

Sussurrò, riprendendo ad accarezzarmi i capelli. Qualcosa era cambiato, era la prima volta che la mamma parlava di papà, così esplicitamente, ma quelle parole mi facevano male, percepivo la sua assenza forte come un pugno nello stomaco, lo desiderai, desiderai con tutte le mie forze di avere una persona di cui non avevo mai conosciuto nulla, ma che era sicuramente importante, tanto quanto lo erano la mamma ed Evan.

- Com’era, mamma? Com’era mio padre?

Domandai a denti stretti, cercando di soffocare le lacrime che mi pungevano gli occhi.

Silenzio, ci fu silenzio. Volevo davvero conoscere chi era davvero? E se la risposta non mi fosse piaciuta? Ma quale uomo capace di provare sicuramente amore sarebbe stato un mostro? Però ci aveva abbandonati, non c’era mai stato, forse non era nemmeno vivo, chi lo sa…

Ingoiò, poi mi prese la mano, stretta sul petto.

- Era tutto ciò che avessi mai potuto desiderare. Tuo padre e io ci siamo amati, molto, abbiamo vissuto un amore profondo al punto da diventare l’una l’anima dell’altro, è qualcosa che un giorno, chissà, proverai anche tu e quando accadrà lo capirai, Aurore.

Arrossii, in sedici anni, non avevo mai avuto un ragazzo. Non ne avevo il tempo, non ne avevo la possibilità. Non che non piacessi, certo. Se avevo qualche somiglianza con mio padre, devo dire che si esauriva a qualche particolare, per quanto ne sapessi, ma per il resto, ricordavo la mamma, avevamo una corporatura simile, esile, ma non troppo, laddove il confine tra armonia della forma e fragilità si confonde.

Strinse più forte la mia mano, mi voltai verso di lei, vedendo spuntare un sorriso su quel viso angelico dagli occhi lucidi.

- Mamma…

- Ti piace questa città, Aurore?

- Come? Ah… sì, mi… mi piace, è tranquilla.

Dichiarai.

- Tranquilla, eh?

- Sì, tranquilla.

Sorrisi e ricambiò.

- Ma c’è qualcosa… che vorrei dirti…

Confessai.

- Di che si tratta?

Ripensai alla bizzarra conversazione avuta in mattinata col professor Warren, quell’uomo strano che con le sue osservazioni mi metteva in soggezione. Era il caso di parlargliene? O forse in quel momento non lo era? Già, probabilmente era proprio così, almeno stavolta, avrei dovuto avere tempismo. Mi sollevai, guardandola.

- Mamma, ovunque, mi basta stare con te e con Evan per essere felice.

Mi guardò, poi mi strinse forte a sé. Ricambiai l’abbraccio, respirando a fondo il suo profumo, sapeva di fiori. Era così rilassante, mi piaceva.

- Ho una cosa per te, Aurore.

Disse, scostandosi e prese dalla tasca una catenina, alla cui estremità brillava un ciondolo a forma di goccia, della grandezza di un cerchietto.

- Per… me?

Lo sollevò e notai i particolari che a prima vista non avevo realizzato vi fossero. Apparentemente era d’argento, antico, come un vecchio cimelio di famiglia. Sulla superficie vi erano dei ghirigori incisi, di una tonalità più scura, mentre al centro faceva capolino un minuscolo brillante, che per quanto piccolo risplendeva quasi avesse luce propria.

- E questo… da dove viene?

Chiesi, raccogliendolo nelle mani.

- Se te lo dicessi perderebbe la sua aura di fascino, non credi?

Replicò sorridendo.

- Più che altro… direi aura di antico, sembra un cimelio… non sarà qualche vecchio oggetto di famiglia che si tramanda di generazione in generazione? A occhio e croce avrà quanto, duecento anni?

Mi guardò, sinceramente stupefatta per quell’osservazione.

- Non ci avevo mai fatto caso…

Confessò.

- Ma è bello… molto delicato…

Osservai, scrutando quel minuscolo oggettino tra le mie mani.

- Prendila così, come se si trattasse di un cimelio, allora.

- Stai dicendo che non è un cimelio, mamma?

- Qualcosa del genere.

- Un cimelio che è qualcosa del genere… non quadra.

Mi accarezzò i capelli, prendendolo dalle mie mani. Mentre fluttuava nell’aria, durante quello spostamento, mi tornò alla mente il verso che avevo canticchiato la mattina stessa in classe.

- La pierre qui brille dans le noir…

Farfugliai.

- Ricordi quella canzone, Aurore?

- No, soltanto… mi è tornata in mente, la cantavi quand’ero piccola…

- Quanto tempo è passato, una volta, era una gran compagnia.

- E’ una canzone molto vecchia, non è così?

- Solo il ricordo di un tempo, bimba.

- Mamma, non chiamarmi bimba, son grande!!

Sbuffai, mentre mi metteva al collo quel gioiello. Pesava.

- E’ pesante, c’è qualcosa dentro?

- Soltanto il mio amore, Aurore.

Spiegò, baciandomi sulla fronte.

- E’ tardi, va’ a dormire, mh?

- Va bene, mamma. Ti voglio bene!

- Sogni d’oro, Aurore, anch’io.

Mi alzai e sorprendentemente contenta del mio nuovo, particolare regalo, corsi in camera, nel cuore una rinnovata serenità. Quando mi sdraiai, sentii quel peso scivolare lungo la clavicola, e mi accoccolai tra le coperte, pensando a quella canzone.

La pierre qui brille dans le noir… suivez la route qui mène au lac des diamants… ici la Croix reste…

Ici la Croix reste… la Croix du Lac.

 

 

 

 

  
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