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Autore: _Lethe    15/02/2011    2 recensioni
Si rincorrono leggere. Ignare del correre del tempo, le lucciole volano nel fuoco, cosa che lei non potrà mai fare, rinchiusa com’è nella grande casa gialla, prigioniera di quattro mura e di due gambe morte.
Sola, non sa far altro che guardare e scrivere.
Dopo la morte di suo padre ha smesso anche di parlare. Che senso ha? È sempre sola in quella casa vuota.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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lucciole2 MARINA
Lucciole.
Bruciano nel cielo nero della notte morente, vivendo un’estate che è finita già.
Sono fatte di fuoco, piccole anime del buio,volano tra le stelle, sempre più su.
Le osserva dalla finestra, le osserva giocare nel giardino, illuminando i fiori su cui si posano, illuminando il nero che vige sovrano.
Si rincorrono leggere. Ignare del correre del tempo, le lucciole volano nel fuoco, cosa che lei non potrà mai fare, rinchiusa com’è nella grande casa gialla, prigioniera di quattro mura e di due gambe morte.
Sola, non sa far altro che guardare e scrivere.
Dopo la morte di suo padre ha smesso anche di parlare. Che senso ha? È sempre sola in quella casa vuota.
Affida poi i suoi ricordi al vento, unico compagno che, sottile e leggiadro, diventa messaggero delle sue grida.
Vorrebbe vedere il mare, Marina.
Ne porta il nome, ma non ha mai sentito il sapore del sale in bocca. Solo il vento, qualche volta ne porta l’odore nella stanza sud, che guarda il porto, senza realmente vederlo.
Alla mattina si sentono i rumori delle barche che tornano dalla pesca e l’aria assume l’odore dei pesci appena presi, che vengono venduti a suon di urla dalle mogli dei pesci di terra.
Così suo padre chiamava i pescatori, che non riuscivano a rimanere troppo tempo senza una barca traballante sotto i piedi.
D’estate poi, il vento portava i gridolini dei bambini della colonia, accompagnati sulla spiaggia dalle maestre, che parlottavano, tutto il giorno, abbandonando i piccoli alla balia della marea.
I figli dei vicini la venivano a trovare a volte. Dopo tutti quegli anni,però, non si ricorda più il loro viso.
Non erano mai più tornati dopo l’incidente.
La luce del faro illumina il giardino, mostrando agli occhi stanchi di Marina, la fontanella di marmo, mangiata dall’edera e dai fiori.
Non ha mai sgorgato acqua. È morta anche lei, come tutti, tranne la vecchia domestica che l’accudisce ancora.
Ma che l’ignora. Non le ha mai perdonato la morte di suo padre Pietro, che, cadendo dalle scale con la figlia in braccio, aveva sbattuto la testa.
Il suo grande amore.
Perduto per colpa di una ragazzina storpia.
Si prendeva cura di lei comunque, veniva pagata ogni mese dalla madre, che non sopportava più la sua vista e viveva in città, appena dopo il conseguimento della maggiore età della figlia. La vita è crudele per Marina, mai un sorriso, mai una parola dolce.
È fresca l'erba? Non se lo ricorda più, sono almeno dieci anni che non scende in giardino. La pioggia bagna ancora la pelle in modo sottile sottile, come se al posto dell'acqua cadessero dal cielo mille aghi che lasciano nell'aria la loro scia di cotone bianco?
Non se lo ricorda più. L'ultimo acquazzone l'aveva guardato da dietro le finestre della sala, cercando di vedere Dio scrutarla dalle stelle. Ma ha smesso di credere anche a Dio, da quando l'abbandono ha portato altro peso sulle sue gambe morte. Sola, Marina, si trascina  in questa strada tortuosa che è il vivere, sospesa ogni giorno tra il desiderio e la realtà.
Ma questa notte no, Marina è stanca. Appoggiandosi alle ruote della carrozzella, si spinge nel corridoio illuminato da un debole raggio di luna, che colpisce l'argento dei portafoto che sorridono nel buio del passato. Dopo dieci anni, Marina si decide ad aprire la grande porta di mogano, che aspetta di danzare coi cardini di bronzo reso grigio dal tempo.
Con un cigolio sempre più forte, la porta lascia entrare l'alito caldo della notte che a metà settembre, è ancora impregnata dei bollori del giorno. Respirando profondamente gli umori del rigoglioso giardino, Marina si sporge sul terrazzo pieno di fiori, che sembrano aprirsi solo per lei, salutandola come un amico ritrovato.
Il profumo della notte le entra velocemente nei polmoni, riempiendola di dolce miele. Sorride, come una bambina, chiude gli occhi e ride.
Da quanto tempo la sua risata squillante non si rincorreva tra i prati della cittadina? Troppo tempo.
Dopo qualche ora, al ritorno del marito, lasciato tornare sulla terra dalle profonde acque del mar Tirreno, vedendo la luce spenta e la porta aperta della casa affianco, la vicina accorre, temendo che i ladri che sicuramente, erano entrati da Marina, sarebbero giunti nella sua villa scavalcando il muretto. La vede arrivare, correre con la vestaglia bianca al vento, con i capelli che scivolano come seta nell'aria della notte che si trasforma sempre più rapidamente in alba. Il cielo sta già diventando rosato, qualche tocco d'oro e un pizzico di dolce azzurro, la notte non è più scura.
La vede arrivare e cade tra le lucciole.
Le piccole gocce del sole la accolgono di nuovo nella loro casa, sotto il terrazzino che l'aveva resa quel che era. Sorride Marina, è uscita dalla sua crisalide, ha stelle per ali, finalmente potrà vedere il mare, accompagnando nella traversata dell'acqua viola i pescatori che, con il loro sorriso sghembo, la salutavano al mercato quando si arrampicava sui banchi per rubare un gamberetto fritto.
Vola Marina, tra le onde del cielo, spinta da una marea perpetua, spinta dalle lucciole. Vive Marina, abbandonandosi alla brezza della sera, lasciando andare la carrozzella, spingendosi in avanti, verso le rose.
Verso il rosso, il giallo e il bianco.
Verso il nero, ultima cosa che vede.
Verso il mare, ultimo desiderio, ultimo grido.
  
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