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Autore: silverwings    16/02/2011    23 recensioni
C’è almeno una persona al mondo con cui è risaputo che non si possa avere a che fare senza nutrire l’incontrollabile desiderio di sopprimerla: è la propria nemesi naturale. E’ come avere la stessa carica. Negativo o positivo non fa differenza. E’ scientificamente provato che ci si respinge. E’ attestato per il 100% dei casi.
Ma la vita è un po’ diversa dalla scienza…
Genere: Romantico, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Siccome sono passati più di due anni – e non “solo” un anno – dall’ultima volta, ho pensato di postare due capitoli (insieme)

Certo, un attesa così lunga non potrà essere mai del tutto ripagata, tuttavia chi scrive sa che è tutta una questione di ispirazione: per DHO ho avuto enormi problemi a capire come desideravo sul serio che andasse avanti la storia… in ogni caso non volevo interromperla perché la amo molto, e così non ho potuto che attendere di avere una qual sorta di epifania.

E in qualche modo l’ho avuta.

Volevo postarlo proprio a San Valentino, perché mi sembrava appropriato, ma sono rimasta bloccata a casa del mio ragazzo a discutere amabilmente (alias: lanciarci piatti, sedie e altri oggetti contundenti)

In ogni caso, questo capitolo è per voi.

Per tutti voi che rimanete a distanza di tempo e continuate ad appassionarvi a questa storia. Per quelli che non hanno perso la speranza di vedere che fine faranno i nostri eroi. Per quelli che si fidano del fatto che Draco ed Hermione si meritano un finale degno dello sforzo che hanno fatto per arrivare fin qui insieme.

E ve lo meritate anche voi, per lo sforzo che fate a seguirmi.

Per cui, con il cuore e il solito affetto, ecco un nuovo capitolo dalla vostra silverwings.

Un capitolo che non conclude questa storia, ma che ci mostra un altro piccolo passo verso quello che spero sarà un gran finale.

Coerente, divertente e felice.

Ps. E per chi si chiede quando sarà, non so dirlo in termini di tempo. Ma parlando di capitoli, non so se arriveremo ai 20.

The Draco and Hermione’s Opera

Capitolo 13. Il massacro di San Valentino

Venerdì 14 Gennaio. Ore 19.22
Hogwarts. Sala Grande

« Così, non sei mai stato al mare. »

Prese nota.

« E nemmeno ci vorrei andare! »

« Certo, certo… e in montagna? »

« A fare cosa? Assiderare?! »

Prese nota.

« Giusto, giusto… voi non sciate »

« Sci-cosa? »

« No, niente, uno sport. Dove andavi in vacanza, quindi? In campagna? »

« Vuoi scrivere la mia biografia, per caso? » Le rimbeccò infastidito Draco Malfoy, stravaccato su mezza panca e mezzo tavolo della biblioteca, a quell’ora ormai praticamente vuota.

« Non ci andavi? » Continuò serrata, staccando lo sguardo dal foglio e piantandoglielo direttamente in faccia, ignorando bellamente le sue ingiunzioni.

Il metodo migliore per farlo arrabbiare.

« Adesso basta! » Ringhiò lui, sbattendo una mano sul tavolo e aggrottando la fronte con così tanto disappunto che sembrava quasi che lo stesse insultando. Cosa che per altro si sarebbe meritato, considerando tutto! « Non ho alcuna intenzione di rispondere oltre a queste tue domande idiote! Chissene frega se non scivolo in montagna! »

Scio.

« O se mi piace giocare alle piglie in spiaggia! »

Biglie.

« O se la mia casa in campagna ha la terevisione! »

Ecco, appunto: il metodo migliore per farlo arrabbiare, e per farlo rispondere.

« Ah, ok ok… ti piace la campagna, dunque, bene… bene… » Commentò con tono distratto, mentre tornava a scrivere avidamente.

E comunque, si dice televisione.

Con la coda dell’occhio notò Draco andare in escandescenza, alzandosi e cominciando a gesticolare freneticamente, ma cercò di non badarci.

Se non altro perché, nel momento in cui si fosse messo a gettare all’aria dei libri, Madama Pince l’avrebbe fustigato a dovere in sua vece.

Ormai accadeva da giorni.

O almeno da quando Draco si era reso conto che lei si ritagliava sempre più momenti di solitudine, e non gli dedicava più tutta l’attenzione che lui riteneva di meritare, riversandola invece su chilometriche e misteriose pergamene.

Tutti quei sotterfugi e quell’improvvisa necessità di mantenere più spazi privati avrebbero immediatamente messo sul chi vive una persona intelligente. In poco tempo, una persona intelligente avrebbe potuto effettivamente scoprire che lei stava facendo qualcosa che lo riguardava e che doveva assolutamente tenergli nascosto…

Ma, fortunatamente, Draco Malfoy dimenticava veramente spesso di essere una persona intelligente.

Chiaramente il mentirgli e il tenerlo all’oscuro la facevano sentire in colpa ogni tanto. Ma il più delle volte, fondamentalmente, riteneva che fosse soltanto un emerito cretino, e che se solo lui avesse avuto un po’ più di pazienza e calma lei avrebbe potuto evitarsi l’ulcera che con ogni probabilità le stava scavando lo stomaco!

Naturalmente comprendeva – in qualche modo – la sua acidità. Non era proprio con investigativa accortezza che cercava di estorcergli informazioni sulla sua vita. Né con particolare tatto che talvolta gli diceva di sloggiare perché all’improvviso si rendeva conto di aver altro da fare.

D’altra parte, anche a costo di sentirsi rispondere di essere una deprivata mentale, qualunque cosa Draco credeva volesse dire – e dubitava che fosse il vero significato del termine – aveva e avrebbe continuato a restar vaga sui suoi affari, e ad impedirgli di ficcarci il naso adducendo scuse sceme come l’aumento improponibile di compiti, certa del fatto che per la semplice ragione che si trattava di compiti Draco se ne sarebbe tenuto alla larga.

Tattica fino a quel momento rivelatasi estremamente vincente.

Udì la voce acuta di Madama Pince frustare l’aria con una fattura.

Trasse un sospiro.

Come da copione, ecco la fustigazione.

 

*** *** ***

Domenica 16 Gennaio. Ore 19.22
Hogwarts. Sala Grande

 

Le vacanze erano finite, e Ginny Weasley era tornata a Hogwarts…

Benché ciò che la univa a quel luogo fosse anche un legame triste, fatto di banchi e letti ormai vuoti, appartenuti a persone importanti di cui non rimaneva altro se non un’assenza ingombrante. Benché la vita si fosse rivelata difficile entro quelle mura assai più che nella sua casa dell’infanzia, tana caotica ma sempre accogliente. Benché avesse compreso cos’era il dolore, e persino la morte, solo da quando Hogwarts l’aveva ospitata nelle sue alte torri… benché tutto questo fosse vero, ogni volta che se n’era andata, foss’anche per una breve giornata ad Hogsmean, l’idea di tornare le aveva sempre trasmesso un senso di sollievo.

Il punto era che a Hogwarts non c’era mai stato e mai ci sarebbe stato nulla di prevedibile, ma non l’aveva mai abbandonata la certezza che tutto fosse superabile.

Come se in qualche modo, qualunque cosa avesse dovuto affrontare, in quella scuola avrebbe trovato la forza e il coraggio per uscirne intera.

Per la prima volta, invece, varcando le alte arcate dell’ingresso di Hogwarts, e poi la stretta cornice del ritratto della Signora Grassa, aveva percepito un po’ di inquietudine dentro di lei…

E questo perché Draco Malfoy continuava a mettere in discussione, ogni volta di più, i piccoli frammenti di concessioni che gli accordava per amor di onestà… o semplicemente per amor di Hermione.

Chissà perché, infatti, leggendo della cattura di Narcissa Malfoy l’avevano colta, nello stesso momento e con la stessa intensità, un senso di paura e rivendicazione: aveva dato fiducia a quel Serpeverde per avere in cambio la certezza che una delle persone da cui traeva quel coraggio e quella forza potesse rimanere al suo fianco. Non aveva dato un out-out a Hermione per non rischiare di essere l’out scartato, e aveva pensato che quello sarebbe bastato a far sì che Hermione restasse anche con loro. Invece i disastri che continuavano a travolgerlo non facevano che rendere sempre più instabile l’equilibrio che si era sempre sforzata di creare intorno a loro.

E quei sentimenti ingarbugliati non l’avevano abbandonata nemmeno quando era venuta a sapere che era stata proprio Hermione Granger a riportare Draco Malfoy a Hogwarts…

Non l’aveva sorpresa che il litigio tra loro due fosse finito: ricordava che quando era iniziato aveva sperato che accadesse. Tuttavia, il fatto che Hermione si fosse precipitata da lui l’aveva un po’ turbata, come se si fosse resa conto solo in quel momento che, anche se aveva riportato Draco a Hogwarts, prima o poi non avrebbe più potuto farlo.

E a quel punto? Se si fosse piombata a salvarlo, e una volta lì avrebbe scoperto che non poteva riportarlo indietro? Cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornata indietro? Oppure non avrebbe saputo abbandonarlo al suo destino?

Queste domande le pesavano sullo stomaco al punto che il bel viso latteo aveva fatto un grande sforzo per apparire naturale di fronte alla sua migliore amica, la quale, accortasi che qualcuno era entrato nella stanza, aveva sollevato lo sguardo luminoso dalla pergamena ch stava scrivendo.

« Ciao Ginny! » Aveva esclamato, festosa, alzandosi per andarle incontro ed abbracciarla « Mi sei mancata! Andate bene le vacanze, si? »

« Si, bene, bene… » Aveva risposto sciogliendo lentamente l’abbraccio, e abbozzandole uno stentato sorriso. « E tu? »

Hermione allora le aveva rivolto uno sguardo lento, profondo, diretto.

« Hai sentito di Draco, vero? » Aveva domandato dopo qualche attimo, senza l’ombra di un cruccio a increspare quella fronte pensosa che abitualmente si indignava per tutte le ingiustizie della terra. Senza un fondo vibrante di stizza o di rabbia nella voce ferma e distinta.

Erano sole, eppure a Ginny era parso di udire un ronzio di voci insistenti nella sua testa.

Perché se Hermione Granger non si indignava, né provava rabbia, significava soltanto che aveva già pensato a qualcosa.

« Si… si l’ho sentito… » Aveva risposto, vagamente a disagio.

Non aveva potuto negare nemmeno a se stessa di aver sperato che Hermione lo lasciasse sprofondare solo, e non tentasse di salvarlo. Non per poi scoprire che forse avrebbe dovuto usare qualunque mezzo per riuscirci.

« Ginny » L’aveva richiamata l’amica, gli occhi lucenti che la guardavano senza sosta e che lei faceva di tutto per evitare.

« Starai dalla sua parte, lo so già » Si era ritrovata a rispondere, forse per chiudere quel discorso che era stato un po’ troppo veloce per il suo stato d’animo.

« Non ci sono parti, Ginny » L’aveva subito corretta Hermione. Calma, ed eppure incalzante. Specialmente quando aveva ripetuto, di nuovo: « Ginny, ascoltami »

I suoi occhi blu avevano cercato di girare dappertutto tranne che nel punto in cui avrebbero incontrato quelli dell’amica. Aveva avuto il presentimento pulsante che se vi si fosse soffermata sarebbe accaduto qualcosa di terribile.

O, semplicemente, qualcosa che avrebbe cambiato di nuovo molte, troppe cose.

Non fu così, invece.

« Ginny » Aveva ripetuto per l’ennesima volta Hermione, con forza, costringendola infine a guardarla « Ginny, avrei bisogno che tu mi faccia un favore… »

Ed era stato così che dopo tantissimo tempo, Hermione Jane Granger, senza un’ombra, senza un rimorso, senza un dubbio, solo con l’accenno di un breve sorriso, le aveva chiesto qualcosa.

Di fronte a questo, Ginny Weasley aveva forse pensato di piangere.

« Tutto bene, Gin? » La richiamò dai suoi pensieri Dean, seduto accanto a lei nella lunga tavolata dei Grifondoro, in quel momento intenti a pasteggiare.

Scosse meccanicamente il capo, annuendo un paio di volte senza però riuscire a trovare qualcosa da dire. Era passato qualche giorno dal suo ritorno, e le sue ansie si erano sciolte nella quotidianità delle lezioni, delle scaramucce tra compagni, nelle lotte tra Case… ma il senso più profondo della conversazione con Hermione, e soprattutto di come si era conclusa, avevano aperto un solco profondo nella sua testa.

Così, in attesa che qualcosa lo riempisse, non poteva far altro che rimuginarci sopra.

Le spiegazioni che il suo mite ma attento ragazzo avrebbe probabilmente richiesto a seguito del suo mutismo persistente vennero però nuovamente posticipate.

E questa volta, proprio dall’improvvisa comparsa di Draco Malfoy.

Pericolosamente vicino al tavolo dei Grifondoro.

Seamus, che stava raccontando con orgoglio della sua ultima esplosione, girandosi in direzione di molte paia di occhi allibiti si ammutolì all’istante nel vedere il Serpeverde fermo a un paio di metri di distanza, con aria profondamente scossa e la bocca storta in una smorfia devastata.

Sta male?

Con la fronte aggrottata, per un attimo fu incerta se gioirne o preoccuparsi.

«  … Mi sono avvicinato al tavolo di Grifondoro… » Lo sentì sussurrare, lo sguardo fisso davanti a sé mentre assentiva in modo ebete, come se stesse provando a convincersi del fatto che ciò che stava facendo non corrispondeva ad una condanna a morte. Ma non vi stesse riuscendo.

Nel silenzio spiazzato che si era venuto a creare a causa dell’apparente mongolismo del loro peggior nemico, quello stesso nemico, alzando lo sguardo come folgorato da una capitale rivelazione, esalò:

« Non posso avanzare più di così… non devo… potreste infettarmi con i vostri germi da Grifondoro…  »

L’improvviso desiderio di invertirgli l’angolo dei gomiti per un attimo colmò il solco che Ginny aveva in testa.

Altri Grifondoro, di pretese mentali assai meno alte delle sue, probabilmente pensarono che, benché meno raffinato di invertire l’angolatura naturale delle braccia, fosse ugualmente incisivo fargli notare:

« Se non volevi avvicinarti perché l’hai fatto?! »

« Già, sloggia Malfoy! »

« Se non le vuoi prendere, è meglio che ti allontani! »

Draco si voltò verso di loro, il viso pallido e gli occhi sbarrati.

E lei ebbe l’orrida impressione che stesse per dire qualcos’altro di immensamente idiota.

Difatti, con aria grave gemette:

« Il trauma me lo impedisce… »

Da encefalogramma piatto, praticamente,

Cosa, precisamente, Hermione trovava in quello squilibrato?

Ginny Weasley se lo chiese mentre con uno sguardo al limite della sopportazione e dell’incredulità osservava la connaturata spossatezza con cui il Serpeverde arrivava a tenersi la fronte con le mani, afflitto dalla sua stessa ammissione, dandole la netta impressione che non avrebbe dovuto minimizzare le voci di corridoio che lo volevo addirittura peggiorato nella sua deficienza.

Quando infatti le avevano detto che Hermione era diventata ossessionata – più del solito! – dalle sue pergamene, e che Draco Malfoy, a digiuno dalle sue attenzioni, era diventato un po’ più pazzo di quello che era prima di Natale, non ci aveva dato troppo peso. Non è che si potesse superare una certa soglia di pazzia, no?

Evidentemente si…

Nel chinarsi prostrato, lo sguardo di Draco dovette però incontrarsi con quello di Neville…

« Che vuoi Paciock? » Si trovò a domandare contrito lo stesso Malfoy, impreparato allo sguardo pieno di disagio e afflizione con cui il Grifondoro lo fissava.

Neville parve trasalire e impallidire allo stesso tempo.

Scosse il capo nervosamente un paio di volte.

« Tutto bene? » Gli domandò Dean, con il tono cauto di chi sa di parlare con qualcuno che da qualche giorno si comporta in modo decisamente strano.

« Ehi? » Tentò Seamus, più brusco, dandogli uno scrollone.

Neville continuava però a fissare Draco, dando l’impressione di non aver udito una sola parola. Provò forse a replicare, aprendo e chiudendo la bocca, come se boccheggiasse. Poi, semplicemente, serrò la mascella con aria scossa, e se ne andò via senza una parola, ondeggiando visibilmente.

« Ehi, Neville?! » Provò a richiamarlo Dean, allarmato.

Non ottenendo alcun risultato, lanciò un’occhiata d’intesa a Seamus, che gli corse dietro.

Lei per parte sua rimase zitta. E d’altra parte né Dean né Seamus le coinvolsero in quella faccenda. Non a fronte dello scarso trasporto con cui aveva cercato di capire lo stato distratto e iperteso in cui avevano trovato Neville al ritorno dalle vacanze.

Seamus se l’era un po’ presa a male per il suo apparente distacco verso le afflizioni dell’amico. O almeno, questo era quello che aveva potuto capire da certi suoi sguardi disapprovanti. Dean invece aveva rispettato il suo atteggiamento.

Forse, pur nella sua connaturata insensibilità maschile, il suo ragazzo era riuscito a capire, senza parlarne, che non era affatto questione di disinteressarsi del loro comune amico. Semplicemente, era estremamente cosciente che non c’era poi molto che lei potesse fare per Neville in quel momento.

Non tanto perché non lo capisse… anzi.

Forse, semplicemente, anche lui aveva un solco in testa.

Per questo si era convinta che l’unica cosa che avrebbe potuto aiutarlo era che qualcuno o qualcosa glielo riempisse, così come pensava che fosse necessario per lei…

« Non li hai sentiti? » Continuavano intanto altri Grifondoro sopraggiunti, incuriositi dalla presenza del Serpeverde in quell’ostile parte della Sala Grande.

« Te ne vai a o no? Senza mangiamorte stiamo benissimo! »

« Già, non tutti sono disposti a lasciar correre i tuoi sbagli, sai? »

« Vattene, non vogliamo futuri assassini al nostro tavolo! »

« Potrai esserti ingraziato la Granger, Malfoy, ma noi non-»

« Ingraziato? »

Malfoy uscì dal torpore inerme in cui era scivolato e con cui aveva stupito i presenti che lo conoscevano come il più irascibile dispensatore di insulti immotivati.

Con una nota di stridulo panico fece tirare un sospiro di sollievo proprio a quelli che avevano pensato che la terra avrebbe presto preso a girare al contrario se un Malfoy, e a maggior ragione quel Malfoy, aveva il buon senso di non rispondere a tono a simili oltraggi:

« Il mio trauma è già abbastanza esteso senza insinuare che abbia fatto qualcosa di così disgustoso come ingraziarmi quella stupida! »

« Ma come ti permetti?! » Strillò indignata lei, sbarrando gli occhi incredula. Ma che diavolo stava dicendo?!

« Non parlare in questo modo di Hermione! » La appoggiò Dean, accigliato.

Per tutta risposta Draco, si sedette al posto vuoto di Hermione e si mise a mangiare a caso quello che trovava.

… forse in segno di spregio alla legittima proprietaria?

Ginny Weasley non si prese la briga di rispondersi, e, sbattendo un mano sulla tavola e mandando lampi saettanti verso di lui, gli ordinò furiosa:

« E non mangiare la sua roba! »

Non venendo ascoltata, si alzò con l’intento di fermarlo, imbracciando per sicurezza anche la bacchetta. A questa azione il Serpeverde reagì infilzando con enfasi un pezzo di patata imburrata, e schioccando acido:

« Calma piattola, o ti si alza la pressione »

Dean allora si alzò al suo fianco, ad un tempo sicuro, ad un tempo tranquillo.

« Hermione non c’è, ok? Per cui vattene »

Draco sollevò il capo verso di lui, ingoiando l’ultimo boccone con incredulità.

Cosa per la quale lei si ritrasse in un misto di diffidenza e sorpresa.

Che Malfoy si fosse redento? Che avesse solo bisogno di qualcuno che gli parlasse senza insultarlo o imbracciare armi per massacrarlo? Che la presenza di Hermione avesse avuto una qualche positiva influenza su quell’essere demenziale senza apparente possibilità di appello fino al punto che persino i suoi amici, Grifondoro convinti, potevano avere la speranza di avere una conversazione civile e costruttiva con lui?

Che il suo encefalogramma non fosse poi così piatto?

« Dio, Thomas… » Farfugliò invece Draco, le sopracciglia arricciate sulla fronte e gli occhi deformati da una profonda angoscia « Il cappello parlante deve aver fatto una fatica immensa a non spedirti dai Tassorosso… »

A molti sfuggi il significato di quella frase, ma come per renderla più chiara, Draco prese a guardarsi attorno con orrore, continuando a balbettare agghiacciato:

« Al tavolo di Grifondoro… con uno che sembra Tassorosso! Devo andarmene il più presto possibile da qui! »

Con la coda dell’occhio lei osservò che Dean faceva molta fatica a contare fino a 10. Mantra che gli permetteva di stare calmo anche in situazioni come quella.

Lo ammirava per quello, ovviamente.

Per quel suo modo di affrontare con maturità la vita, i conflitti, i litigi. Per quella sua magnifica capacità di superare la propria rabbia e convivere con uno stato di pace imperitura degna di un eremita. Per la grazia innata con cui la notte prima del 21 dicembre 2012 avrebbe raggiunto la pace dei sensi in una grotta sperduta nei boschi del Canada, aspettando la fine senza rimpianti. Per la lealtà imprescindibile con cui aveva accolto, meglio di tutti gli altri, e persino di lei, che Hermione Granger tenesse, in qualche modo, a Draco Malfoy.

Si, lo ammirava.

Ma, certamente, se i gomiti di Draco Malfoy si fossero improvvisamente rivoltati e il suo ragazzo ne fosse stato responsabile l’avrebbe ammirato infinitamente di più.

Cosa MAI quella dannata testa da 1000 galeoni di Hermione poteva trovarci in quel deficiente patentato?

Cosa?!

C’erano confini oltre i quali anche lo spirito di sacrificio non poteva, non doveva arrivare!

E per l’attaccamento della sua più cara amica a quella creatura fuori da ogni logica non poteva esserci nessun’altra ragione oltre allo spasmodico desiderio di immolarsi!

Ma l’avrebbe persuasa.

Si, l’avrebbe persuasa che c’erano modi più nobili di sacrificare la sua vita per un idiota! O comunque che c’erano idioti più meritevoli di quel mentecatto irascibile e cretino che nemmeno la rispettava! Che nemmeno la conosceva! Che persino Ronald Weasley, per quanto impenitente, poteva essere recuperato al confronto con Malfoy!

Forse.

« Ci stai ignorando, Malfoy? » Continuava minacciosa un altro Grifondoro, ciondolando sui due piedi: « Non ti conviene, sai? Non c’è più nessuno qui disposto a pararti le spalle »

Al di là di ogni pensiero, Ginny Weasley percepì chiaramente una nota di cattiveria in quella voce… una nota che la urtò leggermente in qualche parte della pancia, e non avrebbe saputo davvero dire quale.

Ma non ebbe tempo di rifletterci, perché una voce conosciuta si intromise nella discussione:

« Che succede? »

Un libro sotto braccio. I capelli arruffati. Un’aria tranquilla. E negli occhi, nessuna sorpresa.

Il tono quasi incuriosito di una bambina che assiste ad un gioco a cui le piacerebbe tanto partecipare – se solo non avesse un sacco di compiti da finire, naturalmente.

Ecco Hermione Granger, che li guardava come se non ci fosse nulla di sbagliato.

Nemmeno nel trovare lei e Dean in piedi, visibilmente schierati contro Malfoy. Nemmeno trovarlo seduto al suo posto, uno scempio al posto della cena e una forchetta impugnata come un’arma da taglio molto pericolosa. Nemmeno nel trovare qualcuno che lo insultava.

Nulla di diverso dal fatto che non si può apprezzare tutti, ma non è nemmeno detto che un Serpeverde e un Grifondoro debbano detestarsi.

Per un attimo, Hermione le parve così inattaccabile che non fece fatica a capire come mai i due Grifondoro più infervorati se ne andarono, mentre gli altri si voltavano senza troppi complimenti.

Un’autorità che non aveva avuto nemmeno quando camminava insieme a Ron e Harry…

Ecco quello che aveva Hermione in quel momento.

« Ma che fai?! » Sibilò per tutta risposta Draco, isterico. « Se fai così penseranno che io ti abbia ingraziato! »

« Ingraziato? » Domandò Hermione con aria interrogativa, non capendo bene il punto della questione; solo per poi aggiungere stringente, con un grande bagliore negli occhi: « Andiamo a studiare, comunque? »

Il punto importante n° 1, appunto.

« Puoi scordartelo! » Soffiò tra i denti lui. Gli occhi asserragliati dietro le palpebre che la fissavano con collerico astio. « Mi hai fatto di nuovo aspettare! E per di più in mezzo ai tuoi amici deficienti! Io non mi muovo! »

Hermione lanciò uno sguardo e un’alzata di spalle verso lei e Dean, come per dire: “evitate di ascoltarlo, è un po’ nervoso”; dopodiché tornò a guardare Draco e con grande pazienza cercò di blandirlo:

« Si, ok. Ora però andiamo? »

« No! Io non me ne vado! » Ringhiò furibondo Draco, lanciandole uno sguardo dardeggiante e puntando la forchetta contro di lei come se potesse maledirla: « Tu vattene! »

E per sottolineare la questione, ingurgitò in un sol colpo, con aria di sfida fiammeggiante, tutte le aringhe che riuscì a infilzare con la forchetta brandita con ferocia, lanciandole un’ultima trionfante occhiata, mezzo ingozzato e mezzo agonizzante.

In un altro mondo, un valoroso guerriero alzava il capo e fiutava la presenza di un degno avversario.

Lei invece avvertì un grande senso di desolazione.

La stessa avvilente sensazione che doveva provare sua madre quando suo padre portava a casa palline anti-stress babbane pagate con il proprio stipendio.

Degli ultimi 6 mesi.

Dopo diversi attimi di raccapricciato silenzio, Draco Malfoy dovette rendersi conto, di fronte allo sguardo del tutto impassibile di Hermione Granger, che lei non aveva alcuna intenzione di andarsene. Che lui era ancora al tavolo dei Grifondoro. E, soprattutto, che era in atto una crisi respiratoria acuta che con molta probabilità lo avrebbe reso incosciente in pochi secondi se solo non avesse fatto qualcosa per impedirlo.

Ciò fu finalmente sufficiente a farlo alzare e arrancare via.

Lei e Dean si voltarono tombali verso Hermione, ma lei anticipò i loro dubbi scotendo il capo sconsolata, ma anche vagamente intenerita:

« E’ il suo modo di dire “andiamo”, capite? »

Capiva, certo.

Eccome se capiva.

Capiva che doveva essere dura per una madre aver concepito un ragazzo che a 17 anni aveva l’età mentale di un neonato!

Tutt’un tratto il fatto che Narcissa fosse una mangiamorte assunse un significato differente nella sua testa: avere un figlio simile doveva far uscire di testa…

Siccome continuava a guardare Hermione in un modo assolutamente attonito e Dean, che probabilmente non era nelle condizioni psicologiche per compatire la Signora Malfoy, viceversa aveva la faccia di uno che pensava intensamente a quale reparto del San Mungo chiamare per chiedere un tempestivo intervento a bonifica di tutti i germi di stupidità che l’avevano appena travolto, Hermione si strinse un po’ nelle spalle, con aria incoraggiante.

« E’ solo un po’ isterico in questi giorni, capite? Perché dice che non lo sto abbastanza a sentire » E aggiunse, in un sorriso un po’ abbacchiato, ma anche un po’ divertito. « Che ci si può fare? »

Dean evidentemente non poteva farci nulla, perché tacque.

Con l’aria di chi non ha intenzione di parlare più per parecchio tempo.

 

*** *** ***

Martedì 19 Gennaio. Ore 15.22
Hogwarts. Campo di Quidditch

Al campo di Quidditch c’era solo una certezza quel giorno.

Che Draco Malfoy sarebbe stato ancora più irascibile del solito.

Il motivo?

Frasi come questa, per esempio:

« Oh, Draco, quel tiro era proprio penoso, davvero… »

Questo era ciò che Hermione Granger, mortificata e un po’ avvilita, dispensava ad ogni tiro monco del più scorbutico cercatore della storia del Quidditch, mentre continuava a compilare una fitta pergamena – dando ai più l’impressione di non star facendo abbastanza compiti considerata la mole immensa di pagine scritte ogni giorno dalla Grifondoro.

« Ma vuoi stare zitta?! E smettila di chiamarmi Draco! » Replicava generalmente lui, spesso brandendo minacciosamente contro di lei le mazze dei battitori che intimoriti non potevano far altro che cedergliele. Salvo poi cercare di trattenerlo per evitare l’irreparabile.

Ovvero che Hermione Granger mettesse fuori gioco il loro unico cercatore con una fattura.

A circa metà allenamento, quando un saggio boccino d’oro decise di volare molto lontano dagli spalti, portando con sé anche Draco, i suoi insulti e i rammarichi di Hermione, a quest’ultima si avvicinò l’improbabile capitano della squadra Serpeverde di Quidditch, che dopo un tentennante saluto, si decise a chiederle cautamente:

« Sicura che Draco può allenarsi? Non deve studiare? »

Ecco il genere di domande a cui Hermione Granger avrebbe preferito non rispondere.

Perché l’ordine logico e d’importanza di “quidditch” e “studio” non era realmente invertibile nella sua volubile mente.

« Ma certo, siete in vista di una partita, no? » Rispose dunque con cordiale e infiocchettata dolcezza, e la più finta convinzione di ciò che stava dicendo.

Vedendo il capitano poco persuaso – poiché era impossibile esserlo di fronte all’evidente incomprensione del quidditch – ammise con più brutale semplicità, gli occhi che lanciavano un piatto sguardo di fronte a sé:

« E comunque studierà questa notte. »

Pucey Davis, in sella alla sua Nimbus, sgranò lo sguardo verso di lei.

« Sono sorpreso… Draco si è davvero molto responsabilizzato da quando siete amici »

Hermione Granger fece tanto di occhi.

« Davvero? »

Questa le era nuova.

Pucey raddrizzò un po’ le spalle, riassestandosi più comodamente sulla sua Nimbus e assentendo con incoraggiante solidarietà maschile.

« Io penso che sia da persone responsabili non voler mettere nei guai la propria squadra al prezzo di studiare la nottata »

Hermione Granger fece nuovamente tanto di occhi.

« Ma lui non lo sa, ovviamente » Rispose stupita. « Se lo sapesse tenterebbe di uccidermi… »

Con fatture che probabilmente non gli riuscirebbero…

Concordò con se stessa in uno sconsolato sospiro: perché doveva avere quel grado di incompetenza?

Eppure se si fosse applicato forse sarebbe anche riuscito a vincere in uno scontro magico con lei.

Forse.

Il sospiro di cui sopra, comunque, inesplicabilmente, fece mormorare a Pucey, ammirato:

« Sei un’ottima insegnante »

Hermione Granger fece per la terza volta tanto di occhi.

Anche questa le era nuova.

Ma un timido accenno di rosa le puntellò le guance nel replicare, in un farfuglio inspiegabilmente vergognoso:

« … ma dai, non è vero! »

D’altra parte Hermione Granger avrebbe dovuto convincersene davvero.

La dimostrazione arrivò dall’ultimo compito di pozioni, alla fine di gennaio, quando Draco Malfoy prese un’altra fiammeggiante O.

Naturalmente, la giovane reginetta di Grifondoro ebbe una sincope quando si ravvide che nemmeno con tutti i suoi sforzi il suo sconsiderato allievo era riuscito a raggiungere l’eccellenza, ma dovette arrendersi ed ammettere il “discreto risultato” ottenuto. Accettabile di fronte all’impegno profuso nella partita di Quidditch – persa per un soffio – che aveva immancabilmente guastato i suoi programmi di studio intensivo (18 ore su 24, 7 giorni su 7).

Fu con queste stesse parole che pochi giorni più tardi, nella gufiera, si espresse con Ginny Weasley.

La rossa più rossa di Hogwarts commentò con aria fiacca e vagamente piccata:

« … guarda che qui sei l’unica che crede che per Malfoy una O in pozioni sia un traguardo misero » E poi aggiunse, con un pizzico di rivendicazione e più fiero risentimento: « Non è certo il Quidditch quello che lo rovina »

E Hermione sapeva che Ginny avrebbe voluto finire quella frase con “è solo il suo cervello”.

Questo, inspiegabilmente, la rasserenò un pochino.

Puntò la bacchetta contro la pergamena che aveva in mano, che venne avvolta da una luce azzurro cielo.

« Sei sicura che quell’incantesimo sia sufficiente? » Sentì domandare l’amica.

Il tono dubbioso aveva qualcosa di troppo pressante per essere solo preoccupazione, o incertezza. Tuttavia non alzò nemmeno gli occhi dalla pergamena per rispondere, nonostante sentisse quelli penetranti di Ginny fissarla intensamente.

« E comunque sei sicura di quello che stai facendo? » Continuò dopo un momento l’altra, ancora una volta con un’insistenza poco dissimulata nella voce.

Si girò verso Ginny, che la guardava con l’espressione di una persona che non può smettere di chiederlo, anche se un po’ si sente in colpa nel farlo.

Le sorrise.

« Sei davvero la migliore amica che ho »

E questo, che fece sentire ancora più in colpa Ginny Weasley, la fece anche sospirare rassegnata, e la indusse a mettersi a cercare il gufo più prestante che la scuola potesse mettere a loro disposizione, per permettere alla chilometrica pergamena di raggiungere il lontano destinatario.

Tuttavia anche lei se l’era chiesto, all’inizio.

Se era sicura di quello che stava facendo, e del modo in cui lo stava facendo.

Ogni volta si era però risposta di esserlo.

E quando vide il gufo prendere il volo non c’era niente nel suo cuore se non la certezza assoluta che quello era davvero il minimo che potesse fare.

 

*** *** ***

Domenica 1 Febbraio. Ore 10.22
Hogwarts. Sala Grande

 

Era una calma giornata di febbraio quando Blaise Zabini si era alzato dal suo letto con la precisa sensazione che si sarebbe trascinato addosso, per tutta Hogwarts, un logorante senso di noia.

Da quando Draco Malfoy aveva smesso di andare fuori di testa semplicemente se qualcuno gli ricordava che Hermione Granger lo aiutava in pozioni. Da quando le – poche – capacità mentali del suddetto Serpeverde erano riservate alla suddetta Grifondoro e non potevano più essere convogliate seriamente nella campagna anti-Tassorosso – che Blaise aveva personalmente incoraggiato. Da quando Hogwarts era dunque tornata quasi tranquilla, un malumore nefasto era sceso nella sua vita, e lui aveva preso a trascinarsi per quella noiosa scuola con la sola speranza che qualcosa di orribile vivificasse le sue giornate.

Cosa poteva fare? Come poteva arginare quella sensazione deprimente di pace assoluta in cui tutti era troppo felici e troppo contenti per divertirlo discutendo, ferendosi, uccidendosi?

Rimpiangeva la presenza di Harry Potter: ecco quello che era arrivato a pensare. Con orrore, si era trovato a sperare che Harry Potter tornasse a Hogwarts a inscenare lotte di quartiere contro i proseliti di Salazar Serpeverde, riuscendo a vedere intrighi e cospirazioni ovunque. Lui, che riusciva a rischiare di morire e sovvertire l’ordine cosmico anche se nessuno cercava di accopparlo o di invertire il ciclo dei pleniluni.

Che tristezza…

Sospirò e scosse il capo, indolente: gli serviva qualche disastro da ingigantire, qualche guerra a cui fare da spettatore. Cosa bisognava fare per passare il tempo in quella placida, pacifica, nausente scuola…?

Arrivato in sala grande un volantino sembrò attirare la sua volubile attenzione.

Dalla sommità del foglio, una scritta sbarluccicante e tintinnante brillava a intermittenza citando:

La festa che fa per te! Non mancare!”

Mh.

Si avvicinò.

Alle feste, la gente si ubriacava, si picchiava. Alle feste, la gente lanciava bicchieri, e con un po’ di fortuna, qualcuno si faceva male.

Forse c’era del potenziale.

“La sera del 13 febbraio ti aspettiamo in Sala Grande per festeggiare San Valentino!”

Interessante.

San Valentino: il giorno degli innamorati e della pazzia più sfrenata.

L’ultima volta che era andato ad una festa di San Valentino, un ragazzo aveva quasi fatto una maledizione senza perdono ad un altro, scatenando una guerra tra bande nel nome di una ragazza che alla fine era scappata con un terzo.

Col suo pronto intervento, la guerra aveva continuato a prescindere da questo piccolo inconveniente.

Proseguì ancora nella lettura, fiducioso.

“Anche se non hai ancora incontrato la tua anima gemella, non preoccuparti: porta un amico! San Valentino si festeggia in coppia!”

Gli occhi scintillanti vennero attraversati da lampi nefasti.

Due nomi comparirono immediatamente nella sua mente, araldi del suo buon umore. Un sorriso si disegnò sul viso di Blaise Zabini mentre il suo machiavellico cervello cominciava già a sfornare macabre idee.

Una di quelle fu promossa a pieni voti e senza indugi.

Con candore prese il volantino e si diresse con passo festoso verso il dormitorio di Grifondoro, dove era quasi sicuro che casualmente avrebbe incontrato Hermione Granger.

« Ehilà Granger » La salutò allegramente, quando la vide provvidenzialmente uscire dal ritratto della Signora Grassa.

« Zabini? » Replicò la Grifondoro, stupita. « E’ una sorpresa vederti da queste parti… »

Si soffermò solo per un momento a osservare i calzini spuri che Hermione indossava, e ricacciò la smorfia esilarata che gli era balenata sulle labbra dietro la sua maschera di elegante educazione.

« Andato bene il compito di Draco? » Le chiese, con finta casualità.

La Grifondoro, probabilmente toccata nel vivo dell’incompetenza del suo allievo prediletto, lasciò cadere la questione della sua presenza lì, e ammise di malavoglia, storcendo il naso:

« E’ stato alquanto mediocre, in effetti. Ha preso di nuovo O »

Ecco quello che gli piaceva di quella ragazza.

Le sue priorità.

Oltre al suo gusto nel vestire, naturalmente.

« Ma ha avuto anche il Quidditch, giusto? » Infierì, sempre più candidamente, gli occhi verdi splendidamente puntati su di lei.

« Già, il Quidditch » Commentò freddamente Hermione Granger, la voce congelata e gli occhi induriti in un caustico rancore: « Malefico Gioco »

Già, malefico.

Ricacciò indietro anche le risa, e continuò a contemplare la latente ferocia che la Grifondoro aveva nel fondo della voce inveendo contro il Quidditch, cercando di dimostrare con molto raziocinio che era uno sport veramente infelice. Nel frattempo, seriamente addolorato per non poter ascoltare pienamente quella tirata, da cui uscivano perle del tipo “Dovrebbero abolirlo per il bene dell’istruzione”, lui cercò di capire quale fosse il momento migliore per convincerla che la McGranitt aveva espresso degli apprezzamenti sul fatto che lei partecipasse, insieme a lui, alla festa di San Valentino di sabato 13 febbraio.

Tuttavia, un commento inaspettato di lei lo indusse a frenare il suo intento.

« Ma Pucey Davis è un capitano molto assennato »

Assentendo con il capo ma non potendo che guardarla sospeso, ripeté anche lui con finta convinzione:

« Certo, Davis è un capitano molto assennato »

« Già » Proseguì Hermione, assentendo viceversa realmente convinta, il cipiglio da so-tutto-io interrotto da un moto di stima. « Ed è stato molto gentile con me l’altro giorno »

« … ah si? E’ stato molto gentile con te? » Ripeté ancora lui, lentamente, con il presentimento che i suoi piani nulla fossero al confronto di ciò che avrebbero potuto essere dopo quelle capitali scoperte.

Hermione Granger continuò ad assentire e tessere le lodi di un capitano di Quidditch che comprende le esigenze dello studio: Oliver Baston – disse – non aveva certo avuto quella incredibile integrità etica ai suoi tempi. Era stato disinteressato nei confronti delle necessità scolastiche di Harry Potter, e l’aveva probabilmente condannato da quel punto di vista. La Grifondoro, risentita e quasi rammaricata, definì persino crudele il fatto che Baston avesse troncato in questo modo i fasti scolastici del Bambino sopravvissuto.

Blaise si annotò che in caso di noia e in mancanza di feste sarebbe stato sufficiente parlare con quella ragazza per riscoprire quanto poco ci volesse a discendere negli abissi della più vera ed esilarante pazzia.

Ma il cielo l’aveva premiato, e quel giorno aveva avuto sia la festa, sia lo squilibrio mentale.

Di meglio non si poteva proprio chiedere.

Continuò ad assentire, con apparente maggior attenzione: in realtà, aveva sentito più che abbastanza. Colse l’occasione di sganciarsi quando lei, incuriosita, domandò cosa fosse il volantino che aveva in mano:

« Cosa c’è lì? »

« Oh nulla. Solo una festa »

« Davvero? »

« Già, già » Tagliò corto lui, solo per poi ripensarci, in un lampo di genio improvviso, e aggiungere: « Draco non te l’ha detto? Andrà con una lontana cugina che deve ancora ambientarsi »

« Carino da parte sua » Commentò genuinamente Hermione, con un pizzico di basita ammirazione nello sguardo bruno. Forse sorpresa che Draco Malfoy potesse avere una slancio di caritatevole generosità verso qualcuno come una lontana cugina.

E in effetti, anche lui dubitava che l’avrebbe avuto.

Se mai avesse avuto una cugina.

« Molto carino » Concordò con autentica dolcezza, prima di congedarsi allegramente: « Arrivederci Granger! »

E la lasciò.

Rifece al contrario il percorso dell’andata. Allegro al punto che non si negò dei piccoli balzelli di felicità. Ma, di fronte al portone che dava sul cortile esterno, una voce allarmata e alta almeno due ottave sopra la norma lo bloccò con un urlo felino:

« FERMATI! »

Se non si fosse trattato di Theodore non si sarebbe affatto fermato.

Ma trattandosi di lui, lo fece.

Lo vide avanzare verso di lui con grandi falcate e il fiato corto.

« Ti ha visto di sfuggita Eloise! Perché eri con la Granger? E ora dove stai andando? E perché saltellavi allegramente? Cosa vuoi fare? »

« Conosci Pucey Davis, Theodore? » Ribatté per tutta risposta lui.

Pucey Davis, la sua nuova musa.

« Il capitano della squadra di Quidditch? » Replicò perplesso l’altro, ancora affannato per la corsa e col viso trasfigurato dal sospetto.

« Proprio lui »

Pucey Davis, il suo terzo Serpeverde preferito.

« E cosa vuoi da Pucey? » Domandò sempre più circospetto Theodore, probabilmente sudando freddo.

Gli rivolse un sorriso a 32 bianchissimi denti.

« Voglio fare un esperimento per rivalutare la sua utilità »

Pucey Davis, la sua nuova cavia.

Vide Theodore impallidire, e Blaise Zabini confermò a se stesso che Pucey non avrebbe potuto guadagnarsi il primo posto nel suo volubile cuore.

Nessuno era come Theodore, dopotutto.

Rispetto a scavalcare Draco, invece, se quest’ultimo avesse mai messo la testa a posto, forse c’erano speranze per diventare il suo secondo Serpeverde Preferito.

Non aveva riserve in merito.

Proprio in quel momento un loro compagno di casa chiamò Theodore per qualche questione, e questo diede a Blaise l’occasione di proseguire nel suo percorso verso il campo da Quidditch. Era infatti certo che il suo più stretto amico non avrebbe potuto ignorare qualcuno che domandava il suo aiuto. Non prima di essersi accertato che non fosse grave, che non fosse assolutamente necessario il suo intervento, che nessuno sarebbe morto per il suo diniego.

Più o meno, non prima di un paio d’ore.

Ma a quell’ora il suo malefico piano e il suo probabile effetto valanga sarebbero stati già azionati da un pezzo, e con un po’ di fortuna, non avrebbero più potuto essere fermati da nessuno.

Volteggiò all’esterno della scuola, ispirando una buona dose d’inebriante aria invernale, e raggiunse il campo di Quidditch proprio quando vide Pucey Davis che avanzava verso di lui con la sua bella scopa in spalla.

Fece forza su se stesso per non ricominciare a saltellare felicemente.

Comparendo dinnanzi a Pucey con la grazia di un Dissennatore, gli fece scivolare una mano sulla spalla con aria falsamente bonaria. Lo sentì raggelarsi per un momento sotto quel tocco, mentre lo salutava con un tipico tono da confratello:

« Davis, amico mio »

Questo dovette però essere troppo persino per Pucey, che, vagamente a disagio – ma troppo Tassorosso nell’anima per scostargli la mano – domandò d’istinto:

« Zabini… hai bisogno di qualcosa? »

« Informarti della festa del 13 febbraio, naturalmente » Rispose candidamente lui, senza lasciarsi minimamente scoraggiare dal fragile muro della sua diffidenza.

Diffidenza che per altro cadde miseramente di fronte al prospettarsi del gaio evento.

« Festa? » Replicò infatti Pucey, sorpreso.

« Già: festa » Confermò sorridendo smaliziato. « Abito lungo » Aggiunse lanciandogli uno sguardo che doveva simulare una certa intesa. « Si va in coppia »

Il Serpeverde in realtà a questo punto parve un poco sconsolato nel comunicargli:

« Ma io… ehm, non ho nessuna da- »

Ignorando completamente Pucey e il suo avvilimento, come se fossero entrambi del tutto superflui in quella conversazione – e lo erano! – Blaise si guardò intorno con aria estremamente innocente e casuale.

« C’era qui Hermione Granger? »

« Come? » Domandò perplesso Pucey, al quale sfuggiva qualcosa.

Cosa non strana, né poco frequente.

Era anzi sicuro che spesso gli sfuggisse persino il suo nome.

« Dico, è qui? » Insistette, tacendo quei pensieri nel fondo della sua anima oscura. Allargando il sorriso, aggiunse poi in tono lusinghiero: « Non sarebbe così strano, del resto, non è vero? »

« Perché? »

Altro nesso che doveva sfuggire all’acuto capitano di Quidditch di Serpeverde.

« Sai, per quello che si dice in giro » Riprese con assoluta leggerezza, come se stessero parlando di qualcosa di talmente ovvio che era persino inutile continuare. E per rimarcare il concetto, finse di preoccuparsi di uno sbuffo di polvere che scacciò con dolcezza dalla spalla di Pucey, il quale domandò di rimando:

« Ah, di lei e Draco? »

Blaise Zabini percepì una nota di sconforto.

Una evidente nota di sconforto.

Le sue sonde maligne si impennarono all’impazzata nel decifrarla: sempre attente a carpire ogni cosa, recepirono quel commento con così tanta gioia che il suo desiderio di approfondire il possibile rapporto tra Hermione Granger e Pucey Davis auto-fomentò la sua impazienza di mettere in atto il suo piano. Che certo avrebbe avuto maggior effetto se non fosse stato lui a portare Hermione Granger al ballo, e invece l’avesse fatto proprio quell’ibrido di Serpeverde capitato tra le loro fila perché di fronte alle richieste del Cappello Parlante aveva detto che gli piaceva il verde.

Ottimo modo di scegliere la propria casa.

Ed era estremamente serio, nel pensarlo.

« Ma certo che no, Davis! » disse emulando una sorpresa infinita, di una frivolezza tale che Calì e Padma Patil sarebbero state orgogliose di lui, e l’avrebbe eletto loro capo e maestro: « Di te e lei »

Nessuna reazione.

L’ebetismo è una malattia comune in questa scuola.

Senza voler appurare se ci fosse o ci facesse, decise di essere più esplicito:

« State insieme, no? » Domandò con fermezza e, per sicurezza, accompagnò queste parole con una leggera gomitata al braccio più vicino di Pucey.

Fu quasi certo che quel colpetto fu determinante.

Una vampata di calore abbrustolì il viso di Davis.

Questa volta non riuscì davvero a mascherare un ghigno mellifluo mentre il compagno di casa cominciava a balbettare nervosamente, grattandosi la nuca così forte da farsela diventare tutta rossa:

« N-no, cioè… lei e Draco… io e lei… insomma, lei… IO? Ah ah ah! »

Il trionfo.

Mentre continuavano i risolini isterici, a Pucey cominciarono a venir fuori lentiggini così appariscenti che lui seppe che era il momento di buttare l’amo, insinuando con voce carezzevole:

« Eppure da come lei parla di te, sai… »

Hop.

Il pesciolino saltò freneticamente sull’acqua, e chiuse la bocca intorno all’esca come una preda che crede di essere il cacciatore. La velocità con cui Pucey Davis andò incontro alla sua fine gli sembrò veramente commovente, almeno quanto l’ottuso imbarazzo che aveva disegnato una smorfia felice sul suo viso asciutto e abbronzato.

« Beh, fa nulla! Fa nulla se mi sono sbagliato! » Esclamò allegramente Blaise Zabini, incapace di controllare la sua gioia e marcando le parole con un disinteresse così plateale che sarebbe parso evidente a chiunque che erano studiate.

Ma non a Pucey Davis, perso nei meandri delle sue speranze e sogni.

Nell’andarsene, Blaise Zabini fece solo molta attenzione a voltarsi e ricordandogli raggiante:

« Comunque, non scordare la festa! »

 

*** *** ***

 

Well they're packed pretty tight in here tonight
I'm looking for a dolly who'll see me right
I may use a little muscle to get what I need
I may sink a little drink and shout out "She's with me!" 

Bene, si è tutti ammassati qui questa sera,
Io sto cercando la ragazza che mi troverà giusto per lei
Potrei usare anche la forza per ottenere quello di cui ho bisogno
Potrei essere un po’ brillo, e gridare “Lei è con me!”
 

[Elton John - Saturday Night’s Alright to Fighting]

 

*** *** ***

Sabato 6 Febbraio. Ore 10.02
Hogwarts. Sala Grande

 

Chissà perché da qualche giorno Hogwarts era praticamente sottosopra.

Cercava di raccapezzarsi in quel mistero mentre camminava perplessa per i corridoi dove a riempire l’aria c’era ogni genere di sospiro e bisbiglio incantato. Ma, considerando che non c’era nessun compito importante all’orizzonte, non c’era proprio alcuna ragione per cui tutti quegli studenti – e, guarda il caso strano, specialmente le studentesse – dovessero avere quei moti emotivi.

A meno che io non lo sappia, e domani c’è un compito di Trasfigurazione.

La possibilità la fece per un attimo sudare freddo.

Era possibile che con tutte le cose a cui stava pensando avesse dimenticato un compito? Raccapricciata dall’ipotesi, fu solo con grande presenza di spirito che si disse che era impossibile, e che non sarebbe andata dalla professoressa McGranitt a supplicarla di perdonarle la dimenticanza e dirle su cosa era quel maledetto compito.

La verità era che se anche a Hermione Jane Granger avessero spiegato che tanti moti emotivi erano solo per una stupida festa di San Valentino, lei non ci avrebbe comunque creduto.

Fu dunque con un peso nel cuore, e una preoccupazione crescente che proseguì nel suo incedere verso la casa di Hagrid.

Qui incontrò il vecchio amico per cui aveva lasciato a Draco il giorno libero.

Per inciso: i compiti di Pozioni per cui era stata “ingaggiata” all’inizio erano finiti, tuttavia ne mancavano ancora molti in cui aveva messo in chiaro sin dall’inizio di gennaio che non avrebbe permesso al Serpeverde di sprofondare nell’abisso della sua ignoranza caprina. Considerando che gli aveva fatto questa tirata lontano dal resto della scuola, lui l’aveva solo mandata a quel paese augurandole di fondersi il cervello, e in questo modo acconsentendo nitidamente al fatto che i loro incontri proseguissero.

Le si dipinse un pigro sorriso sul viso.

Ormai decriptava i suoi insulti come se fossero la sua seconda lingua.

Faceva molta più fatica a capire il perché di certi sguardi risentiti. Come quello che le aveva rivolto solo il giorno prima, quando gli aveva annunciato che l’avrebbe lasciato libero dal suo torchio severo. Forse l’idea che lei andasse da Hagrid l’aveva indispettito al solo ricordo di quanto fosse stato cretino il terzo anno con Fierobecco.

Un giorno dovrò dirgli che l’ho liberato io…

Il pensiero le accarezzò il cervello insieme alla consapevolezza che avrebbe potuto usarlo come minaccia per farlo studiare di più: avrebbe potuto dirgli che l’Ippogrifo era sotto il suo controllo, e che spesso le faceva capire che desiderava mangiare furetti per cena.

Il che per altro era vero. Almeno per l’ultima parte.

In ogni modo, meglio che credesse che si vedeva con Hagrid.

Cosa anch’essa vera solo in parte.

La verità da rivelare sarebbe stata probabilmente intollerabile per Draco.

Passò nella sua casupola tutta la mattina, poi si diresse con passo incerto per sentieri più deserti che conosceva: c’erano molti pensieri, dopo quell’incontro, a riempire il gran cervello che ospitava la sua generosa scatola cranica.

Ed erano pensieri così complessi che non avrebbe potuto pensare lucidamente ad altro.

Forse per questo avvenne ciò che avvenne, e cioè ciò che Blaise Zabini aveva così fortemente desiderato.

Una voce infatti la chiamò, al limitare del lago nero, con un’insolita solennità balbettante:

« G-granger? »

Con sua somma sorpresa, mentre la sua mente vagava per decisamente altri massimi sistemi, un rossissimo Pucey Davis le comparve di fronte, con l’aria di un soldato che prima di andare ad affrontare una missione suicida ha una gran voglia di dire qualcosa a qualcuno.

Si sarebbe perciò aspettata che lui le chiedesse un’informazione. Tipo, dove fosse una qual tizia di cui difficilmente gli avrebbe saputo dire qualcosa.

Quello che le domandò fu invece di ben altra natura.

Hermione Jane Granger strabuzzò gli occhi diverse volte prima di comprendere appieno quello che lui, sfregandosi nervosamente le mani sudate sul proprio giaccone, cercò di domandarle con voce agitata:

« So che è una cosa improvvisa… sicuramente avrai ricevuto la proposta di Draco. Ma se non fosse così: il prossimo sabato c’è una festa di San Valentino. Si va in coppia… ma non è specificato se la coppia è… insomma… è di due che… beh, hai capito. Anzi! C’è proprio scritto che si può anche essere due amici… o conoscenti… o penso che voglia dire anche compagni di scuola! Comunque, beh… ecco: sarei felice di accompagnarti, perché ti trovo davvero una ragazza intelligente e carina, e mi farebbe piacere »

Hermione Jane Granger rimase a fissare Pucey Davis con gli occhi sgranati per diversi interminabili attimi.

Sotto quello sguardo del tutto inopportuno, il povero buon vecchio Pucey cominciò a sentirsi per la prima volta il perfetto idiota che tutti pensavano.

Sennonché, proprio quando ogni speranza sembrava perduta, Hermione ritenne di aver finalmente afferrato il nocciolo della questione, e smise di guardarlo come se non capisse bene se fosse un broccolo oppure uno studente.

Va detto, prima di rivelare la risposta della nostra giovane eroina, che al contrario di quanto tutti pensavano, alla nascita lei era diventata blu per un paio di minuti.

Cioè: nonostante tutti ritenessero che il suo cervello fosse in perfette condizioni, una parte di esso, e specialmente la parte di decodifica dei sentimenti romantici nei suoi confronti, non aveva ricevuto ossigeno per quei sacri e inestimabili attimi.

Così, anche quando Viktor Krum le aveva bruscamente domandato, con la sua baritonale voce e il suo gutturale accento bulgaro, se voleva andare con lui al Ballo del Ceppo, Hermione Granger aveva pensato anzitutto alla cooperazione dei maghi tra le scuole. Si era detta che non poteva far male che lei desse il buon esempio.

E, ugualmente, quel giorno di febbraio accettò l’offerta di Pucey nel nome della stima che provava per lui come capitano di Quidditch impegnato nel “comitato per la promozione dei diritti degli studenti giocatori”. E a pro dell’indecente speranza che potessero arrivare a concordare, in quella festa, un programma integrato per lo studio di Draco.

Se Blaise Zabini fosse stato presente, e le avesse letto nella mente, le avrebbe dato una medaglia.

E poi avrebbe abbracciato Pucey Davis, che era così imbecille e cavalleresco da pensare che prima di poter invitare ad un appuntamento una ragazza doveva invitarla come “compagna di scuola” – e poi come “conoscente” e infine come “amica” – cosa che certamente aveva reso molto più semplice ad Hermione Granger accettare il suo invito. Nonostante qualunque persona sulla faccia della terra avrebbe potuto farsi un’idea diversa della questione.

Comunque, Hermione aveva accettato. Pucey aveva rifulso di una luce accecante e pura. E il danno era fatto.

Il Serpeverde, volteggiando come una Veela, si era dileguato dandole appuntamento per la festa.

Lei si era stretta nelle spalle, ed era tornata al castello. Dove, di nuovo, si chiese perché diavolo tutti bisbigliassero in quel modo.

Forse dovrei andarci dalla McGranitt…

« Granger! » La chiamò in quel momento la voce aspra e già seccata di Draco Malfoy, con la solita inflessione volubile che ormai era diventata come il suo pane quotidiano.

Si voltò verso di lui con aria interrogativa.

« Il mio vestito è blu » Disse soltanto, lui, a bruciapelo, avanzando con una luce scintillante negli occhi. « Ti prego di sforzarti di comprendere cosa significa »

E la superò senza un’esitazione, impettito e gioioso.

Lo seguì con gli occhi spalancati.

Questa volta, al contrario della precedente, avvenuta solo pochi minuti prima, Hermione Jane Granger aveva davvero l’impressione di non aver afferrato il nocciolo della questione.

Ma siccome ormai era abituata alla follia dei Serpeverde, e in particolare a quella di Draco Malfoy, si strinse di nuovo nelle spalle e riprese a camminare senza l’ombra di un pensiero.

Pensò solo che la prossima volta che gli avesse dovuto fare un regalo, avrebbe preso qualcosa di blu.

Evidentemente gli piaceva.

*** *** ***

 

Sabato 6 Febbraio. Ore 11.22
Hogwarts. Sala Grande

 

Era da qualche tempo che ogni volta che Hermione Granger si girava, dandogli le spalle, un nodino gli si arrotolava nello stomaco.

Per la precisione: era da quando, un mesetto prima, era diventata così ossessionata dai compiti di scuola da non dedicare più tutte le sue energie nel colmare le sue immense lacune formative, quella sua schiena ossuta e ingobbita gli dava un fastidio tremendo.

Il fatto era che non trovava proprio giusto che lei si prendesse del tempo per se stessa. Per cui si era detto che quel maledetto nodino doveva essere indignazione profonda per la sua scarsa responsabilità nei suoi confronti.

Non aveva ancora saputo rispondersi, invece, sul perché quel tal nodino si srotolasse quando, ogni volta che la vedeva e la chiamava, lei si girava verso di lui.

Non sapeva proprio perché… ma così avvenne anche quella volta.

« Granger! »

Distratta dal suo continuo rimuginare, si volse verso di lui.

Mentre avvertiva chiaramente il nodino srotolarsi, e la bocca dello stomaco stringersi, Draco Malfoy avanzava verso di lei rendendosi conto che nonostante sembrasse più frastornata del solito, dietro le labbra le si fosse formata l’ombra di un sorriso nel riconoscerlo.

Nel notare quel sorriso, il suo viso divenne più luminoso.

« Il mio vestito è blu » Le disse soltanto. « Ti prego di sforzarti di comprendere cosa significa »

E senza aspettare di verificare che l’espressione ebete che si era disegnata sul viso di lei svanisse, a dimostrazione che almeno qualcosa l’avesse compreso, se ne andò impettito e gioioso.

Blaise era stato utile, per un volta: era andato da lui e gli aveva fatto vedere il volantino della festa. E lui subito ci aveva pensato: subito il pensiero meraviglioso di invitarla aveva invaso la sua mente.

Si.

Perché sarebbe stato estremamente divertente farla inciampare e ruzzolare giù dalle scale. O vederla camminare su dei tacchi a spillo con la grazia di un Troll. Poi forse avrebbero anche dovuto danzare, giusto per non essere proprio i soli a non farlo… ma sì, per farle giusto qualche sgambetto, o calpestarle i piedi, avrebbe anche potuto invitarla a ballare.

Magari avrebbero anche dovuto posare per le foto ricordo.

Certo, poteva anche rifiutarsi.

Ma poteva anche acconsentire, tutto sommato.

Certo, tutto sommato potrei.

Un vago senso di preoccupazione gli assalì lo stomaco.

Pregò che Hermione sapesse davvero che cosa significava che il suo vestito fosse blu: nella foto sarebbe venuta orrenda con lei vestita, per dire, di verde scuro.

Ma forse non avrebbero ballato, e nemmeno fatto foto…

Un pensiero lugubre gli corrucciò il viso.

Forse lei avrebbe continuato a fargli tutte quelle domande incomprensibili che ultimamente continuava a fargli. O forse sarebbe stata zitta a scrivere in un angolo quelle sue pergamene fittissime e incomprensibili che aveva sempre da fare.

Un altro pensiero gli illuminò nuovamente il viso.

Dopotutto era un mago. E quindi, anche se si fosse seduta su una sedia isolata ne avrebbe fatta comparire un’altra.

Vicina a lei.

Non troppo vicina, naturalmente.

Diciamo, abbastanza vicina…

Ma non troppo!

… ma abbastanza.

 

*** *** ***

Venerdì 12 Febbraio. Ore 15.29
Hogwarts. Sala Grande

 

Era una questione di karma, Ginny Weasley ne era convinta: lei adorava la sua migliore amica. Davvero. Ma nella sua vita passata doveva essere stata davvero un’idiota fotonica a giudicare da come attirava idioti di proporzioni galattiche.

Per la legge del Contrappasso, doveva per forza essere andata così.

Ma non c’era nessuna legge cosmica che potesse giustificare il presagio che Seamus le aveva profetizzato la sera prima.

E nonostante generalmente non desse alle sue supposizioni nemmeno il peso che dava a quelle di Ron, nelle ultime 24 ore ad attanagliargli lo stomaco erano state proprio le sue profetiche parole:

« Scommetto tutto quello che ho, più le mutande di Neville, che Malfoy alla festa ci andrà con Hermione »

Lei e Neville l’avevano guardato come se, se l’avesse ripetuto, l’avrebbero bruciato nel camino.

… d’accordo, forse solo lei aveva pensato questo.

O forse anche Neville, per via delle mutande.

Comunque Seamus aveva ipotizzato che Draco l’accusasse di essere stupida e che per questo le avrebbe fatto il dono di andare con lei alla festa, per salvarla dalla solitudine. Aveva anche aggiunto che Hermione, forse nella folle idea di farlo studiare anche alla festa, avrebbe potuto accettare.

O forse avrebbe potuto accettare e basta, siccome ormai era data per spacciata e impazzita anche da lui.

Questa ipotesi era così assurda che si era convinta che sarebbe andata esattamente così.

Era dunque da tutto il giorno che tentava di organizzare un piano alternativo. Neville sarebbe stato un candidato perfetto per farle da cavaliere se solo non gravitasse ancora in quel famoso stato comatoso. Per cui doveva solo cercare di convincere Seamus ad accompagnarla – anche se questi era sempre stato vagamente intimidito da Hermione.

Dentro di sé era pronta a cederle persino Dean: non le importava. Purché Hermione non andasse insieme a Draco ad una festa in cui fiumi di alcol, vestiti svolazzanti e atmosfere magiche potessero indurli a credere di poter essere più che amici.

Il pensiero la fece rabbrividire, ma quella sera dovette far fronte all’atroce verità.

Che era ben più terribile di quello che aveva profetizzato Seamus e di quello che aveva temuto lei.

«Ginny. » La chiamò Hermione, con aria meditabonda, sollevando all’improvviso lo sguardo dalla sua pergamena.

« Mh? »

« Secondo te, cosa vuol dire “il mio vestito è blu”? »

Strinse gli occhi sull’amica, inarcando un sopracciglio.

« Come? »

Hermione scrollò le spalle, come se non fosse altro che un pensiero sciocco, e poi le domandò, con un sorriso:

« Andrai con Dean alla festa, vero? »

Sbiancò all’improvviso, e un tick nervoso le fece mettere dietro l’orecchio per cinque volte una ciocca di capelli.

La stessa ciocca di capelli.

Hermione sapeva della festa? Hermione sapeva, e chiedeva del suo cavaliere? Hermione forse aveva già un cavaliere?

QUEL CAVALIERE ERA DRACO MALFOY?

2000 campanelli d’allarme le suonarono in testa.

Si avvicinò di più al tavolino dove l’amica stava facendo i compiti e col tono più finto e più casuale che riuscì a simulare mentre era divorata dall’ansia le domandò:

« Mh, si. E tu… con chi… beh, con chi andrai alla festa? »

Hermione ampliò il sorriso con naturalezza, come se quello che stava per dire fosse una piacevole novità. Tipo che avevano aumentato i compiti di due pergamene e mezzo ma che lei era già a buon punto.

Avvertì di nuovo l’orrido presentimento che sarebbe accaduto qualcosa di terribile, e che lei avrebbe avuto un attacco ischemico letale.

E di solito i suoi presentimenti non facevano cilecca due volte nello stesso mese.

« Con Pucey Daves. Lo trovo un ragazzo molto intelligente. »

Niente attacco ischemico.

Semplicemente, un aneurisma grosso come una noce le si formò all’istante nella parte destra della testa ed esplose.

Boom.

E i suoi neuroni cominciarono letteralmente a marcire.

« Con chi? » Strillò con voce strozzata. Incapace di dire altro. Incapace di pensare.

Qualcuno si girò verso di loro, ma lei lo fulminò con lo sguardo inducendolo a farsi gli affari suoi.

Si rigirò verso Hermione con il viso agghiacciato. Se fosse andata alla festa con uno di loro, forse Draco l’avrebbe risparmiata da tutte le sue colossali idiozie. Ma Pucey Davis… cosa avrebbe potuto fare, sapendolo?

« E’ il capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde. » Le stava intanto rispondendo con tono puntiglioso Hermione. « L’hai visto un sacco di volte, sai? »

Scosse furiosamente il capo.

« Si, so chi è! Intendevo: com’è possibile? »

« Me l’ha chiesto ieri. Sai… non me l’aveva ancora chiesto nessuno, quindi… »

«Malfoy non… non ti ha invitato? » Domandò, scrutandola avidamente con gli occhi sporgenti fuori dalle orbite e il viso trasfigurato in una smorfia.

« Perché anche tu pensi che avrei dovuto andare con Draco? » Domandò con autentico stupore Hermione. « Anche Pucey me l’ha detto. Che strano… »

Strano?

La parte del suo cervello che era ancora inspiegabilmente funzionante dopo l’aneurisma esploso, avrebbe voluto prenderla a pungi.

Che strano sto’ gran ca**o! Era colpa sua se tutto il settimo anno di Grifondoro scommetteva su quell’evento con orrore: era lei che aveva reso normale pensare che avrebbe potuto invitarla! E anzi! Che avrebbe preteso di andare con lei!

Ma si contenne, distese il pugno destro e si passò la mano sudata sulla gonna: quello non era un discorso che era pronta ad affrontare, e soprattutto, era fondamentale capire ben altro.

« E cosa pensi di fare con Malfoy? » Le chiese, con la voce che usciva arida perché in gola non aveva neanche una goccia di saliva.

Era assolutamente certa che lui non lo sapesse già, appunto. Perché il castello era ancora in piedi, e perché Hermione non aveva l’aria di un animale braccato da un idiota che non avrebbe mai avuto il cuore di mandare a quel paese.

D’altra parte, aveva forse intenzione di dirglielo?

Hermione si strinse nelle spalle.

Lei ebbe un tremito orribile: perché si stringeva nelle spalle mentre lei si faceva sanguinare il cervello per quella cosa?!

« Intendi se gliel’ho detto? Non ricordo, sono stata molto presa con lo studio… però lui va con un’altra »

Oh.

Si fermò.

Respirò.

La guardò.

Era tranquilla, e serena. E Draco Malfoy andava con un’altra… forse era stato tutto un sogno? Forse la sua migliore amica non aveva mai e poi mai fatto amicizia con il Serpeverde.

Incerta se aggrapparsi a quella speranza, o lasciarsi dominare da un improvviso, terzo presentimento di angoscia, Ginny Weasley fu decisamente sul punto di avere anche un infarto, quando Hermione, con aria saputa a intelligente, orribilmente ebete in quel momento, le spiegò:

« Zabini me l’ha detto. Draco va con sua cugina »

Fu il colpo di grazia.

« Zabini…? » Sussurrò in un filo di voce, come se dirlo a voce più alta potesse uccidere qualcuno.

E poteva, maledizione!

Se si trattava di Zabini, poteva!

« Ehi Ginny! Ho bisogno di una mano! » La chiamò Calì con voce cinguettante.

«Aspetta! » Strillò con angoscia.

Hermione inizialmente la guardò, e non capendo bene a cosa fosse dovuta la sua angoscia pensò di sorridere.

Di nuovo l’impulso di prenderla a pugni stava per prendere il sopravvento, quando la vide alzare gli occhi sull’orologio della Sala Comune, ed esclamare, in un terrificante perentorietà:

«Oh caspita com’è tardi! Devo proprio andare »

«No! Hermione aspetta! » Tentò di fermarla, disperata.

Venne però immobilizzata da un quarto, folgorante, raccapricciante presentimento…

« Cosa c’è? » Domandò Hermione un po’ impaziente, fermatasi dal raccattare i libri solo perché Ginny sembrava davvero più morta che viva.

Effettivamente cadaverica, Ginevra Weasley si sporse ancora di più sul tavolo, le guance incavate dal terrore e dallo sfinimento, gli occhi scintillanti per una rabbia ancestrale, le spalle scosse da tremori irreprimibili.

« … è stato Malfoy a dirti che il suo vestito è blu? » Soffiò tra i denti con voce tiratissima

Hermione la guardò.

Candidamente.

« Si, perché? »

« GIIIINNYYYY! » Cantilenò in un cinguettio grazioso Calì, alzato di due ottave e lanciato nell’aria con l’evidente intenzione di rompere diversi timpani. Tra cui certamente anche il suo.

« ASPETTA! » Ruggì, voltandosi solo per un secondo fatale in cui Hermione, richiamata dall’appello solenne dei compiti, se ne fuggì velocemente via, scusandosi per la fretta.

Rimasta sola, a Ginevra Weasley non restò che imprecare in modi che non verranno qui ripetuti.

Al posto di andare verso Calì, imboccò velocemente il foro del ritratto con l’intenzione di scovare Draco Malfoy.

Forse avrebbe fatto in tempo.

Forse, se avesse detto a Draco Malfoy che Hermione non aveva capito un emerito ca**o, avrebbe potuto scongiurare di far diventare quella festa di San Valentino un massacro!

Quando, dopo ben due ore, vide Blaise Zabini aggirarsi nei pressi della Sala Grande si avventò su di lui come un’arpia, con tutta l’intenzione di strappargli un braccio per farlo confessare su dove fosse quel beota cronico di cui era alla ricerca!

« ZABINI! FERMATI IMMEDIATAMENTE! »

« Weasley! » La sua faccia contorta dalla rabbia e dal terrore sembrarono essere come balsamo per le sue arrugginite giunture maligne. « Che bello vederti. Ho la sensazione che mi porti buone nuove. »

« Dov’è Malfoy? » Ruggì digrignando i denti.

Le parve di vedere un sorriso dietro la maschera di educazione che ostentava di fronte a lei, mentre le rispondeva, lento e flemmatico:

« Perché lo cerchi? »

Fu solo per miracolo che non gli azzanno la faccia deturpandolo per sempre.

« Devo parlargli! »

« E perché gli devi parlare? »

« Affari miei! » Berciò con poca grazia.

« Se non me lo dici, non te lo dico » Cantilenò Blaise Zabini allegro. Estremamente allegro.

« Sta zitto, idiota! E’ tutta colpa tua! E non giurerei nemmeno che non sia colpa tua anche il fatto che Malfoy abbia chiesto a Hermione di andare alla festa! »

Zabini sembrò perplesso.

Ginny Weasley non poteva sapere che Blaise Zabini era andato da Draco, informandolo della festa, e dicendogli espressamente che Hermione Granger gli aveva parlato dando per scontato che sarebbero andati insieme alla festa di San Valentino. Si era assicurato di blandirlo il più possibile, nel timore che la sua somma idiozia e soprattutto il suo fenomenale e abnorme imbarazzo potesse portarlo da lei e urlarle con mala grazia che poteva scordarselo che sarebbero andati insieme alla festa: gli aveva detto che lo trovava maturo, essendo loro amici. Che forse lei voleva farsi perdonare per il poco tempo che gli dedicava. Che avrebbe potuto farla inciampare e tutto il resto, e prenderla in giro per il colore del suo vestito, che sicuramente non sarebbe stato appropriato.

Così, Draco Malfoy, un po’ inebetito, un po’ stupidamente convinto di non aver dato a vedere la sua gioia per l’essere il cavaliere di Hermione, non avrebbe davvero avuto alcuna ragione né per andare da lei a urlarle che era deficiente, né per andare a invitarla.

Ma se Draco era andata ad invitarla e Pucey Davis non aveva ancora provveduto a farsi avanti, Hermione Granger sarebbe andata con il più sveglio dei due Serpeverde e avrebbe rifiutato il meno sveglio, rovinando tutto il suo malefico piano.

E questo era oltremodo ingiusto!

Mai Blaise Zabini mostrò un’espressione così frastornata a dispiaciuta.

« … allora gliel’ha chiesto… questo non l’avevo previsto… » Mormorò, affranto.

Ginny Weasley, intimamente stupita per quell’espressione, si riprese in tempo record e puntandogli un dito in piena faccia, tuonò:

« Beh, notizia dell’ultima ora! L’ha fatto! E lei non ha capito, anche perché tu le hai detto che lui va con una cugina! Così Draco non sa che lei ha già detto di sì a Davis! »

Mai Blaise Zabini mostrò un’espressione così felicemente stupita.

« Dici sul serio?! »

« Tu non hai idea di che cosa hai fatto. » Ringhiò tra i denti lei, stringendo i pugni lungo i fianchi e vibrando dalla rabbia.

« Credo sinceramente di non averla avuto fino in fondo, si »  Ammise lui, in preda ad un’ondata di felicità. « Ma se dici che è andato tutto così bene » Digrignò anche lui i denti, come una belva feroce. « Allora posso dirti senza dubbio che Draco a quest’ora è agli allenamenti » allargò il famelico sorriso. «  Con Pucey Davis, naturalmente. »

Un urlo terrificante, convulso e strozzato giunse in quel momento alle loro orecchie, qualcosa di molto simile a:

« TU HAI INVITATO CHI? E LEI HA DETTO COSA? »

Blaise Zabini esalò l’aria inebriato.

Ginny Weasley perse 10 anni di vita.

Il famoso aneurisma grosso come una noce, che le aveva fatto marcire tutti i neuroni della parte destra del cranio e che miracolosamente non l’aveva uccisa, esplose. Di nuovo.

Il fatto era che Ginny Weasley avrebbe davvero preferito che almeno quel secondo colpo apoplettico andasse a buon fine, siccome nei giorni seguenti visse col terrore di una preda braccata che Draco Malfoy sbucasse da ogni angolo per ucciderli tutti.

Accompagnò Hermione a comprare il suo vestito, a un giorno dalla festa, temendo che dietro ogni porta di Hogsmean si celasse il Serpeverde con una clava o chissà cosa in mano, pronto a trucidarle.

Non riusciva davvero a spiegarsi come Hermione potesse stare tranquilla, anche se non aveva avuto il cuore di spiegarle cosa le stava capitando.

Non aveva avuto il cuore nel senso che il suo cuore non avrebbe retto.

Chiaro è che quando Hermione mise gli occhi su un vestito blu il suo sguardo non era mai parso così luminoso e sereno, e in quel momento le augurò con tutto il cuore di avere la stessa gastrite che i suoi gusti in fatto di amici le stavano procurando!

In ogni modo, se anche Ginny Weasley aveva temuto fino all’ultimo che la scenata di Draco Malfoy si sarebbe consumata in pubblico, in un certo senso si sollevò quando scoprì, proprio la mattina dopo, che qualcuno aveva rubato il pacchetto accuratamente chiuso e curato in cui era stato riposto il vestito di Hermione – con un bel biglietto su cui lei aveva scritto a Calì e Lavanda di non metterci su le loro manacce.

Hermione per altro non sembrava così sconsolata, e si era persuasa a cercare qualcosa di adatto nel suo armadio. Inspiegabilmente, mentre aveva la sua testa ficcata all’interno, specificò in un brontolio scomposto che aveva certamente qualcosa di blu.

Considerando la tranquillità con cui Hermione aveva preso la cosa, Ginny fu quasi persuasa a sua volta di non andare da Draco Malfoy a dirgli che solo lui poteva essere così abissalmente cretino da fare una cosa simile. Poi però vide che cosa precisamente Hermione aveva deciso di mettersi in sostituzione del suo precedente vestito da sera, e, agghiacciata, Ginny Weasley si decise, pur con la sensazione che la sua gastrite stesse peggiorando, di andare a recuperare il vestito.

« Apri Malfoy. » Dettò dunque fuori dalla porta della sua camera, dopo aver schiantato un po’ di Serpeverde che ostacolavano la sua marcia.

Nessuna risposta.

« Subito. »

Nessuna risposta.

« Immediatamente. »

Draco Malfoy finalmente socchiuse l’uscio della sua porta e dallo spiraglio la osservò con astio.

Le parve che avesse gli occhi iniettati di sangue e l’aria di un folle che non dorme da giorni.

Per un attimo si dispiacque per lui.

« Che vuoi? » Ringhiò poi il Serpeverde, acido.

E così smise di dispiacersene.

« Sapevo che eri un cretino, ma non immaginavo così tanto » ribatté altrettanto acida. « Ridammi quel maledetto vestito! »

« Fatti gli affari tuoi! » Sputò lui, caustico, e un guizzo di febbrile, infantile orgoglio gli attraverso gli occhi azzurri iniettati di sangue.

« Senti chi parla! » Rimbeccò sarcastica lei, incapace di trattenersi. « Non sono nemmeno affari tuoi con chi va Hermione alla festa se non la inviti! »

« Ha detto a Blaise che era contenta di venire con me! » Strillò Draco, un poco più isterico di quanto probabilmente si rendeva conto. « E comunque era sottointeso che nessuno l’avrebbe invitata e che quindi le avrei fatto il piacere di accompagnarla! » E qui il guizzo d’orgoglio divenne quasi stoico « Ha approfittato indebitamente della mia bontà! »

La folla che si era riunita attorno a loro ebbe un attimo di straniamento di fronte a quello sproloquio. Ginny Weasley, però, era così provata dalla sua gastrite che non era più disposta a rimanere sorpresa di fronte alla sua demenza.

Però ci tenne a precisare:

« Tu sei malato! »

« E lei è senza vestito! » Rimbeccò lui trionfante, con un cipiglio folle.

« Stai delirando?! » Urlò a sua volta, dimenticando per un momento di dover sembrare alquanto ridicola a litigare con la fessura di una porta. « Sei arrabbiato perché ci va con un altro! Ecco la verità! »

« Sono disgustato perché ci va con l’essere più simile a Ronald Weasley che questa scuola abbia mai avuto! » Le rispose a tono la fessura « Il tappeto del mio bagno ha più dignità di quel beota di Davis! » La fessura sembrò estremamente provata e disgustata nell’ammettere: « E persino il tuo tappeto ce l’ha! Era deciso che saremmo andati insieme! »

« Nella tua testa bacata, forse! » Ruggì lei.

Evitò di ricordarsi che anche secondo il suo modestamente più saggio e sensato punto di vista era abbastanza scontato che ci sarebbero andati insieme. Decise di concentrarsi solo sul fatto che Malfoy fosse uno spocchioso imbecille con il cervello fatto a cubetti di paglia!

Un orgoglioso incredibile, e perfetto, insensato, colossale, RON.

« Non andrà alla festa! » Stridé solenne Draco, sollevando un po’ il mente ed ergendosi dietro la porta con tutta l’altezza che aveva.

Ma non aveva capito bene, evidentemente.

Non aveva capito che non si stava macerando l’intestino per non ottenere niente.

Si avvicinò di un passo verso di lui, gli occhi incollati alla sua faccia pallida. Una strana aura onnipotente che la attorniava. E qualcosa di inquietante e spettrale nella sua faccia deformata dal malfunzionamento di metà dei suoi apparati.

« Provo a dirtelo con le buone, e spero che tu capisca » ma le avrebbe anche fatto tanto piacere che non lo capisse, così avrebbe potuto farglielo capire con altre maniere. « Dopo mio fratello speravo che Hermione avesse la decenza di scegliersi gente meno idiota e invece pare che perseveri. Non importa. Resta solo un fatto, per quel che mi riguarda: se Hermione non vede il suo abito questa sera… tu non vedrai l’alba domani mattina. »

E siccome non era sicura che Draco avesse capito quanto era seria, diede uno spintone alla porta, ignorando i suoi lamenti inconsulti, individuò il pacchetto sul letto, lo afferrò, e tenendo Draco sotto tiro con la bacchetta tesa, per dissuaderlo a fare solo un passo verso di lei, fuggì via.

Ormai certa che quella festa sarebbe stata una monumentale tragedia.

 

*** *** ***

Sabato 13 Febbraio. Ore 21.00
Hogwarts. Sala Grande

 

Hermione Granger, vestita di tutto punto per la festa di San Valentino e puntuale come un orologio svizzero, sospirò ai piedi della scalinata.

Con sua somma sorpresa, Draco non si era più fatto vedere, ed era successa una cosa strana quella mattina in dormitorio: qualcuno aveva rubato il suo vestito per il ballo. E poi Ginny era ricomparsa con il pacco che lo conteneva, ma non aveva voluto dirle dove l’aveva trovato. E d’altra parte lei non aveva insistito, e si era messo l’abito.

Era un vestito molto bello: con maniche a tre quarti, uno scollo a V non troppo pronunciato, e un’elegante svasatura che partiva dai fianchi. Aveva delle decorazioni argentate sui bordi, ma per lo più era inderogabilmente e indubitabilmente blu.

Come i suoi fermagli. Come le sue scarpe. Come la sua borsa. Come i suoi orecchini.

Tutto blu.

Sorrise inconsciamente al nulla davanti a sé: chissà come sarebbe stato sorpreso Draco nel vederla.

« Davis non arriva… »

Si voltò verso Ginny, che aveva un bellissimo vestito rosso scuro ma l’aria di un’anima in pena. Continuava a sussurrare frasi incomprensibili. Gliene aveva anche chiesto il motivo, ma aveva avuto l’impressione che ce l’avesse un po’ con lei, e che non volesse proprio dirglielo.

« Spero per Malfoy che non abbia fatto scherzi… » la sentì di nuovo sussurrare, e con grande cautela e gentilezza le chiese:

« Cerchi Dean? »

Ginny scosse meccanicamente il capo.

« No. » rispose inquieta, senza smettere di guardarsi in giro.

La imitò anche lei, e all’improvviso vide Draco comparire dall’ingresso della Sala Grande.

« Oh, ecco Draco! » Esclamò, gioiosa. « Draco! » Lo chiamò sbracciandosi per farsi vedere.

Sentì un peso trascinarle giù il braccio, e si accorse che Ginny gli si era avventata addosso e la guardava scioccata.

« Abbassa quella mano! » Esclamò in un filo di voce, come se fosse terrorizzata da qualcosa.

Da cosa, però, lei non lo sapeva.

Stette per metterle una mano sulla spalla, e garantirle che l’avrebbe aiutata qualunque fosse la questione che l’angustiava. Ma non poté farlo, perché prima che potesse chiederle quale fosse il suo problema, Draco Malfoy le raggiunse e si parò loro davanti.

Hermione Jane Granger rimase per un momento senza molte parole.

Davanti a lei c’era un Draco diverso da quello che conosceva.

Fu strano rendersi conto che, anche se l’abito non fa il monaco, quell’abito da sera blu notte, fatto su misura ed estremamente elegante, metteva in luce qualcosa che forse era sempre rimasto nascosto dietro la divisa da quidditch e l’uniforme della scuola.

Si rese conto che presto Draco Malfoy sarebbe diventato un adulto.

Che la persona che gli stava davanti in quel momento era un ritratto fedele di chi sarebbe arrivato di lì a pochi anni.

I capelli così biondi e così lisci. Gli occhi di ghiaccio misteriosi ed affascinanti. Alto ed elegante al di là dell’abito che avrebbe indossato. Con quel mento sempre un po’ più su del dovuto. E quell’aria da schiaffi che, però, alle volte, avrebbe regalato piccoli, preziosi sorrisi a chi avesse avuto la pazienza di aspettare che lui si aprisse.

Si sentì invasa da un senso di aspettativa per il futuro senza precedenti.

Come se l’orgoglio di potergli stare al fianco e vederlo maturare nella mente come nell’aspetto, fosse tanto grande quanto la felicità di aver sfidato ogni convenzione per diventargli amica ed essersi guadagnata un posto speciale nel suo futuro, per poter vedere quei sorrisi.

E improvvisamente si accorse anche di un’altra cosa.

Che gli era mancato per tutti i giorni in cui non si erano visti.

E che se quel ballo fosse stato diverso, se avesse dovuto portarci un compagno scegliendolo tra tutti gli altri al di là di ogni criterio, quel compagno non avrebbe potuto essere altri che Draco.

Pensava a questo così intensamente che non si accorse che Draco la guardava con così tanta aperta irritazione che tutti i presenti si erano allontanati da loro, e Ginny, coraggiosamente, aveva fatto un passo avanti prendendo mano alla bacchetta nascosta nella manica del bel vestito che indossava, pronta a ingaggiare un duello con lui per difenderla.

Si accorse che qualcosa non andava solo quando Draco soffiò tra i denti, con astio:

« Questa me la pagherai davvero cara… »

Strabuzzò gli occhi.

« Ma cosa stai dicendo? »

Non aveva idea di cosa gli passasse per la testa, ma fu estremamente chiaro che qualunque cosa fosse non migliorò dopo quella risposta, perché le parve che le vene verdastre che si vedevano sulla pelle lattea del Serpeverde cominciarono a pompare sangue al cervello con un ritmo inquietante. Gli occhi sempre fissi su di lei che la scrutavano avidi ma disturbati, come se non volessero davvero guardarla ma non potessero farne a meno.

Fece un passo avanti, e con la stessa voce cauta e gentile che aveva usato con Ginny, tentò di indovinare il motivo del suo malumore:

« Tua cugina non c’è? E’ stata male? »

Le spalle di Ginny tremarono, come scosse da un brivido.

Da quello, Hermione Granger avrebbe dovuto dedurre che il suo tentativo non aveva fatto che peggiorare di nuovo la situazione.

Ci pensò Draco a sottolineare la cosa, ringhiando:

« Vuoi proprio litigare?! »

« Non è colpa sua, cretino! » la difese Ginny, avanzando di un altro passo.

Colpa sua per cosa? E perché Ginny sembrava saperlo e non gliel’aveva detto?

« Taci! » La gelò però Draco, schioccando le parole con ancora più rancore del solito « Fatti gli affari tuoi! E questa volta sul serio! »

« C’è qualcosa che non so? » domandò, un tono un po’ più freddo e contrariato di quello che si sarebbe aspettata.

Ginny si girò verso di lei, agghiacciata.

Gli occhi quasi fuori dalle orbite e tutta l’aria di volerla pietrificare.

Ma non ne ebbe il tempo.

« Qualcosa che non so? » Le fece il verso Draco, e non si capiva se era più indignato o più scioccato. Ancora una volta, il ragazzo le tolse ogni dubbio: « Sono disgustato! »

La musica cominciava ad alzarsi nella sala. Intorno a loro, alcune coppie cominciavano a muoversi. Altre si avvicinarono al buffé. Altre ancora osservavano un diverbio che si stava consumando tra il Serpeverde e la Grifondoro più discussi della scuola. Se si fossero soffermati a guardare con più attenzione, avrebbero visto Blaise che si era riservato un posto d’onore non molto lontano, e, mangiando con discrezione qualche tartina, aveva gli occhi bramosi fissi su di loro. Al suo fianco c’era Theodore, che osservava la scena visibilmente preoccupato.

Mentre comparivano all’ingresso Seamus, Neville e Dean, tutti scompigliati e tesi, ma soprattutto ignari di quanto stava succedendo, lei sbarrò gli occhi per l’ennesima volta, e domandò sconcertata:

« Da cosa? »

Ginny fu scossa dall’ennesimo tremito, mentre Draco, al culmine dello sdegno e dell’esasperazione, urlò:

« Da te! »

Senza parole, rimase risentita a guardarlo.

« Pucey Davis! » Continuò Draco avanzando di un passo, e gesticolando in modo scomposto e confuso, come se anche quello che si agitava dentro di lui fosse piuttosto scomposto e confuso. Una cosa però era estremamente chiara in lui: « Persino Paciock sarebbe stato meno umiliante! »

« Cosa?! » Ribatté, facendo a sua volta un passo in avanti allo steso modo, al punto che le loro facce erano a una spanna sola di distanza.

Si guardavano in cagnesco, come se fossero pronti a darsele da un momento all’altro. In quell’idillio, Colin Canon si intromise col suo sorriso ingenuo e sfavillante, e domandò con gioia:

« Una foto ricordo?! »

I due si girarono all’unisono, e ruggirono:

« Sloggia, Canon! »

E Colin Canon, tutto mogio, se ne andò a fotografare qualche altra idilliaca coppia.

 

*** *** ***

Sabato 13 Febbraio. Ore 23.23
Hogwarts. Aula di Trasfigurazione

 

Il fatto che Hermione fosse una cretina era dimostrata dal fatto che il cappello parlante, tra tutti i posti in cui avrebbe potuto mandarla, aveva scelto la Casa dei Grifondoro.

Detta anche, in gergo comune, la Casa dei Cretini.

Per cui era chiaro che non era proprio una persona a posto.

Ma accettando l’invito di Pucey Davis, aveva superato ogni limite consentito di cretineria, e lui, Draco Malfoy, era lì pronto a perdonarla e riprendere a parlarle.

E per perdonarla e lasciarsi quella spiacevole questione alle spalle, non chiedeva molto. No: chiedeva solo di udire dalla bocca di Hermione stessa che era stata così stupida che non osava nemmeno chiedergli di perdonarlo. Che Pucey Davis era stato un madornale sbaglio. Che anche Victor Krum lo era stato – meglio abbondare, intanto che sarebbe stata in vena di scuse. Che la sua vita era senza senso da quando aveva pensato di andare a quella festa con un altro. E che poteva anche non parlargli per anni, ma lei avrebbe continuato a sperare in una loro riconciliazione.

Solo questo, e poi l’avrebbe perdonata.

Draco il Misericordioso, l’avrebbero chiamato i romani. Altro che Commodo.

Quando però aveva visto Hermione in fondo alla sala, aveva dimenticato tutto… e l’unica cosa che aveva ardentemente desiderato era di vomitarle addosso tutta la cieca rabbia che gli era montata dentro.

E, possibilmente, rompere qualcosa.

Sarebbe stato Draco il Misericordioso solo dopo.

Prima avrebbe spaccato qualcosa.

Hermione doveva averlo capito, perché dopo essersi scambiata con lui altri insulti, l’aveva trascinato via dalla Sala Comune, in un’aula vuota, dove, ansimante, bellicosa e basita, lo osservava a un paio di metri di distanza.

Ad un tratto, gli domandò, sconvolta:

« Qual è il tuo problema? »

E lui lo sapeva… lo sapeva eccome qual era.

Ma in quel momento in cui erano soli preferiva spiegare al mondo e a lei qual’era il problema di Pucey Davis:

« E’ turpe! »

« Draco! »

« Non difenderlo! » Inveì, alterato. « Che è? Ti piace?! Quella sottospecie di arredo pulcioso da bagno!? »

Sconvolta e arrabbiata a sua volta, Hermione tentò di nuovo di fermarlo:

« Draco! Smettila! »

Smetterla?!

« Ma ti senti?! » Urlò al culmine del raccapriccio. «  E’ un tappeto! »

« E tu sei l’essere più abissalmente cretino che io abbia mai conosciuto! »

« Almeno non puzzo! »

« Neanche lui puzza! »

« Certo che puzza! » La contraddisse caustico, la faccia trasfigurata dalla rabbia « Tutti i tappeti puzzano! Perché ci si pesta sopra i piedi! »

« Pucey non- »

Draco sbarrò gli occhi, inorridito.

« Adesso ti metti pure a chiamarlo per nome?! »

« Io l’ho sempre chiamato per nome! » Gridò Hermione, e ansimando per lo sforzo di continuare a stargli dietro. « E non capisco perché fai così: mi ha invitato, e io ho detto di si! Sapevo che tu ci andavi con tua cugina! »

« Silenzio! » La zittì furibondo. « Non c’entra niente questo! C’entra il fatto che sono allibito che tu sia caduta così in basso da farti accompagnare da un fallito! Un monumentale fallito! »

« Sempre meglio che essere degli stupidi ignoranti che giudicano le persone in base ai loro soldi! » Strillò Hermione, quasi disperata.

« E chi ha parlato di soldi?! » Ribatté allucinato, anche lui con un fondo di disperazione nella voce « Aiuta i Tassorosso quello! »

Hermione batté le mani sui fianchi una volta. E poi un’altra volta.

Sul viso un’espressione sconvolta, attonita, quasi smarrita.

Provò a dire qualcosa prima di richiudere la bocca e guardarlo come se non trovasse parole per ribattere. Lui ne fu certo: non trovava parole perché si stava rendendo conto che non si poteva obiettare al fatto dei Tassorosso. Ciò significava che presto si sarebbe scusata. Che si stava rendendo conto di quanto era stata stupida, di quanto era stata una donnicciola sciocca a lasciarsi andare un uomo baldo, valoroso e Serpeverde quanto lui.

Si stava rendendo conto di tutta la sua cretineria.

L’accenno di un sorriso soddisfatto si stava dipingendo sul suo viso, al pensiero di quanto sarebbe stato misericordioso a concederle il tanto desiderato perdono, quando la udì esclamare con una qual sorta di esasperata rassegnazione:

« Ma sei un vero deficiente! »

Il sorriso si gelò sul suo viso prima di formarsi.

Assottigliò gli occhi in due fessure così sottile che non si vedevano più nemmeno le pupille.

« … sai che ti dico? »

Hermione lo guardò un po’ sconsolata, come se non ci fosse niente che potesse dirle per farle cambiare umore.

In realtà, c’era eccome.

« Che Davis lo è. » sibilò, e lampi d’orgoglio ferito e rivendicazione cocente scintillavano dalla fessura sottilissima dei suoi occhi « E che formate proprio una bella coppia! Di deficienti! »

E in effetti dopo queste parole Hermione non sembrava più molto sfiduciata.

« Ah si? » Vibrò anzi, come se stesse trattenendo in gola tutta la sua rabbia.

Un tic nervoso cominciò a gonfiarle la palpebra più bassa dell’occhio sinistro. Le narici si dilatarono al punto da renderle il naso molto simile a quello di un toro incazzato. E i pugni si strinsero in modo così serrato lungo i fianchi che le nocche cominciarono a scrocchiare. Deglutì inconsciamente, perché sapeva che non era un buon senso. Ma siccome non c’erano libri nei dintorni, osò confermare, spavaldo:

« Si! »

« Bene. » Disse, con la stessa, pericolosa calma trattenuta.

« Bene! »

« Bene. »

« Ben- »

« Stupeficium! »

« Protego! » Strillò stridulo, non sapendo bene dove trovò tutta quella prontezza.

E scattò di lato, col cuore in gola.

Udendo il suono di qualcosa che si sfracellava, si girò e sbiancò di fronte alla sedia maciullata che si era schiantata contro il muro al suo posto.

Così strillò di nuovo, ancora più stridulo:

« Ma che fai?! »

Hermione aveva una risposta molto ragionevole:

« Stupeficium! »

« Protego! » Urlò atterrito, puntando la bacchetta davanti a sé.

« Stupeficium! » Continuava a incalzarlo Hermione, l’aria da assatanata e i capelli ridotti ad uno scempio. Un’altra sedia prese il suo posto e venne distrutta nella furia assassina di quella pazza scatenata- « Stup- »

« Expelliarmus! »

E incredibilmente fu più veloce: la bacchetta di Hermione volò dall’altra parte della stanza, e lui, ancora la bacchetta puntata, accarezzò per un attimo l’idea di schiantarla. Quando lei lo sconsigliò molto vivamente, sibilando, verde di rabbia:

« Non oserai! »

« Tu l’hai appena fatto! » le fece notare allucinato, il braccio sempre teso e pronto.

« Te l’eri meritato! » lo zittì lei, gli occhi ridotti a due sottili e funeste fessure che lo fissavano con tanta irritazione e rabbia che sembrava stesse recitando un’oscura maledizione mentale.

E Draco Malfoy conosceva Hermione Granger abbastanza bene da sapere che averla privata della sua bacchetta non era sufficiente per mettersi al riparo dalla sua follia.

Decise infine che, per fugare ogni dubbio, era davvero meglio schiantarla.

Senonché dall’uscio, giunse loro una voce:

« Ma qui che succede? »

Ed ecco l’oggetto del contendere comparire nell’arena.

La donzella in difficoltà che il Drago voleva accoppare, e difesa da un cuore ardimentoso.

Nel solo guardare Pucey Davis che li fissava con un’ aria del tutto innocente ed ebete, provò l’insano desiderio di prenderlo a sprangate.

« Malfoy? » Domandò lo sveglissimo principesso. « Ma che fai? »

« Stanne fuori, stuoia! » ringhiò, minaccioso. E avrebbe volentieri puntato la bacchetta contro Pucey se solo Hermione non gli avesse ricordato la sua presenza, urlando ormai quasi sull’orlo delle lacrime:

« Smettila Draco! »

Ed era molto meglio continuare a tenere lei sotto tiro.

« Stuoia? » Ripeté invece Pucey, smarrito.

Abbassò la bacchetta e puntò un dito contro il nuovo arrivato, guardando però Hermione con l’aria di uno che le sta mostrando la dimostrazione assoluta della propria ragione.

« E poi sarei io l’imbecille?! » La accusò indignato. « E’ più lento di Weasley! »

Il principesso sembrò aver capito tutto e chiese, in tono perspicace:

« Lento…? Stiamo parlando di Quidditch, vero? »

Cercò di tendere ancora di più il braccio e il dito, già piuttosto tesi. E cercò di spalancare ancora di più le palpebre, come se volesse che Hermione notasse la devastazione nei suoi occhi, mentre ripeteva:

« Visto? »

E non era davvero possibile che non vedesse.

Per l’ennesima volta, Hermione tentò di aprire la bocca, ma non riuscì a dire nulla. Doveva vederlo anche lei che razza di idiota si era scelta! Doveva vedere come aveva messo in imbarazzo anche lui, esponendolo alla derisione di tutti quelli che in eterno gli avrebbe rinfacciato che qualcuno aveva preferito Pucey Davis a lui! Era una questione d’orgoglio, maledizione!

E a quel punto, nemmeno lei non poteva davvero ignorare il suo monumentale errore e chiedergli come una gnorri quale diavolo fosse il suo problema!

Perché ormai era davvero troppo evidente quale fosse!

« Forse… forse dovrei lasciarvi soli… » Buttò lì Pucey, vedendo che la situazione, non appena calava il silenzio, era tesa come una corda di violino. « Ti aspetto in Sala, ok, Hermione? Sai, la festa è appena iniziata, in realtà… »

Infatti, il suo problema era evidente…

Il suo più grande problema…

Le guance di Hermione.

Quelle guance rosse che risaltavano sulla pelle chiara. O i suoi capelli. Che dire dei suoi capelli? Di quelle ciocche scomposte che sfuggivano dalle forcine. E che dire degli occhi? Così scintillanti quando l’avevano salutato. E non poteva dimenticare il vestito. Non avrebbe mai potuto dimenticare quel vestito che le calzava troppo bene ed era troppo blu per non ricordargli che l’aveva messo per qualcun altro.

Ecco i suoi più grandi problemi.

Sin dal primo momento che l’aveva vista, dal fondo della sala, si era dimenticato l’orgoglio e la derisione degli altri: si era solo reso conto, anche lui come lei, che Hermione sarebbe cresciuta. Sarebbe diventata una pallida imitazione di donna, ma pur sempre una donna. E forse qualcuno sarebbe stato così pazzo da invitarla a uscire. E, come stava accadendo anche in quel momento, l’aveva assalito la sensazione contorcente, avvilente e insopportabile che lei potesse essere felice di fargli un po' di posto accanto a sé.

Potesse essere felice di far occupare a qualcun altro il posto più vicino a lei per sentirla straparlare, per farle gli sgambetti, per tirarle palline di carta per essere notato.

E quello era intollerabile per un milione almeno di motivi. 

Tutti superflui e tutti capitali nello stesso tempo, su cui nemmeno voleva discutere con se stesso.

L'unica cosa importante su cui riflettere era che sarebbe stato Draco il Misericordioso soltanto dopo.

In quel momento, voleva solo spaccare qualcosa e spiegare a Pucey Davis di di levarsi immediatamente da quel posto, perché se non si fosse levato, avrebbe spaccato lui.

« Avresti dovuto sin dall’inizio non intrometterti » Disse quindi, con un astio e una cattiveria tali da zittire la risposta di Hermione sulle sue stesse labbra, e indurre sia Hermione che il suo cavaliere per la serata a guardarlo basiti. « Solo perché ti ha detto che viene con te alla festa ti sei montato la testa » Continuò, velenoso e sapendo di esserlo. Che lo capisse. E lo capisse bene quell’idiota che cosa era stato: « Ma adesso che ci sono io non servi più. Per cui sciò, vattene! »

Che capisse che lui, Draco Malfoy, non l’avrebbe mai invitata ad un ballo. Avrebbe forse accondisceso ancora ad accompagnarla - ma questa volta avrebbe preteso che firmasse un contratto scritto in cui si impegnava a farlo - ma l'avrebbe fatto per bontà e per divertirsi alle sue spalle. In ogni caso non l'avrebbe mai invitata, ma poteva star certo che non avrebbe lasciato che qualche altro imbecille lo facesse.

Che Davis capisse di essere il terzo incomodo lì.

E non gli importava nemmeno molto come era capitato: se Blaise gli aveva detto una cavolata, se Hermione non aveva capito niente, o chissà cos’altro. Non stavano parlando di quello: per quello, semplicemente, Hermione l’avrebbe pagata cara per poter espiare tutte le sue colpe.

Ciò che era importante far capire, ciò di cui stava parlando, era che Pucey Davis era l'ultimo intruso che avrebbe tollerato. Perchè quel posto non era in vendita, e, per quel che gli riguardava, nemmeno Hermione poteva decidere di farlo occupare da qualcun altro. Non senza sapere che sarebbe stato immediatamente schiantato. E, a buona posa, che anche lei si sarebbe presa la sua dose di incantesimi. Ecchediamine!

E quei pensieri erano così veri e imperativi, nella sua testa, che la sua espressione era divenuta limpida e altera. Era così certo di quello che aveva detto che il suo tono di voce era calmo e fiero. Era così sicuro di sé che il suo mento era sparato in alto, con tutto l’orgoglio e la vanità possibili stampati sul viso.

Si voltò verso Hermione.

La certezza assoluta che lei, a quel punto, l’avrebbe adorato come un dio.

Se vi state chiedendo se Draco Malfoy aveva mai sentito parlare di emancipazione femminile, di lotta contro l’oggettivazione delle donne, di rivendicazione del diritto sacrosanto di scegliere se accettare o meno le avance di un uomo. Se insomma vi state chiedendo se Draco Malfoy sapeva che il patronus di Hermione era il simbolo per eccellenza di “potere femminile” e quei pensieri non erano altro che la letterale espressione del giogo paternalistico del maschilismo. E se infine vi state chiedendo se Draco Malfoy si era accorto che in tutto quel discorso Hermione ne usciva come una specie di donna scarlatta, frivola e sciocca che pur di avere un partner per una festa accettava di andarci con chiunque… vi posso dire che effettivamente no, Draco Malfoy era del tutto ignaro a questi fatti.

Per questo fu piuttosto scioccato quando si voltò verso di lei e la trovò con due pezzi di marmo al posto delle mascelle. L’espressione glaciale. E gli occhi penetranti che gli promettevano qualcosa di molto doloroso, lento e sanguinolento.

Avrebbe potuto essere la morte, ma se non poteva mettere la mano sul fuoco che fosse la cosa peggiore augurabile a qualcuno, non poteva essere certo che si trattasse proprio di quello.

« Accio Bacchetta » scandì Hermione, netta.

Fu strano rendersi conto che il riflesso condizionato di brandire la propria bacchetta per difendersi non si attivò. Ma fu ancora più strano vedere che Hermione gli diede semplicemente le spalle.

La calma prima della tempesta.

Questo era l’avvertimento della sua saggia voce interiore.

Voce che lui subito zittì, sprezzante.

« Vieni via » Disse Hermione a Pucey, afferrandolo per un braccio e così riscuotendolo dal torpore che l’aveva colto. Poi, sempre senza voltarsi, aggiunse serafica rivolta a Draco: « Ti consiglio di non seguirmi. »

« Altrimenti? » La provocò lui, altero. Pronto a ribattere ad ogni insulto con uno peggiore.

Che capisse bene anche lei che se voleva perseverare nella sua demenza, gliel’avrebbe fatta pagare molto cara. Che se prendeva le parti del Paladino dei Tassorosso avrebbe iniziato con lei una lotta senza quartiere che l’avrebbe indotta alla resa. Che se era così sciocca da non inchinarsi immediatamente al suo regale cospetto la sua ira sarebbe stata così grande che avrebbe scatenato tuoni e fulmini contro di lei. Che l’aver messo quel vestito blu per Pucey Davis e non per lui, non sarebbe mai e poi mai stato dimenticato.

Che capisse bene anche lei che non avrebbe ricavato altro che pane per la sua focaccia.

Con questo umore e questo proposito Draco Malfoy attese la furia di Hermione Jane Granger.

Lei però non disse una parola.

Si voltò soltanto verso di lui, e una lingua di fuoco le uscì dagli occhi, carbonizzando ogni cosa.

E addio al pane, alla focaccia, e alla sua faccia.

 

*** *** ***

E insomma, eccoci qua.

Di nuovo in guerra. Ma una guerra diversa, non vi pare?

Ne deve passare ancora un po' di acqua sotto i ponti perchè quei mille motivi superflui e capitali vengano rivelati a Draco dalla sua voce interiore. Ma c'è speranza.

Se le daranno di santa ragione, ma posso assicurarvi che anche questo servirà ad avvicinarli ancora di più.

Ps: potrei aver fatto qualche sbaglio con le date. In realtà le metto ancora perchè non voglio cambiare stile narrativo, ma vedetele più che altro come una traccia superflua.

Pss: mi sono resa conto che è passato un messaggio sbagliato, e ho modificato delle frasi sul finale: non vorrei mai che si pensasse che adesso Draco pensa di sposare Hermione. Lui pensa semplicemente a fare piazza pulita di quelli che le si avvicinano, ma è ancora nella fase in cui la maggior parte degli insulti che le fa in fondo un po' li pensa. Mi sembrava d'obbligo specificarlo.

Besos!

 

  
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