2. Something Stupid
“Buongiorno usignolo!”
Eccolo, il saluto che gli scaldava il cuore. “Pronto per le prove?” Kurt fece fatica a rispondere in tempo, essendosi incantato, come accadeva spesso, a guardare i capelli perfetti di Blaine immaginando di poterci giocare con le dita. “Eh? Ah, si, certo!” “Uhm, hai fatto le ore piccole, vero?” disse Blaine tenendosi il mento con la mano e scrutandolo divertito. “Cavolo, le occhiaie!” pensò Kurt sconvolto. Evidentemente il suo choc era più palese di quanto pensasse, perché Blaine lo rassicurò dicendo: “Ehi, tranquillo! Anche a me succedeva di studiare fino a tardi all’inizio!” Un’amichevole pacca sulla spalla e poi un “Ci vediamo alle prove!” mentre si allontanava per il corridoio luminoso della Dalton con la valigetta sotto braccio. Kurt si toccò la spalla sorridendo. Se bastava così poco per farlo sentire felice, non era dannatamente egoista volere a tutti i costi qualcosa di più? Dopo aver lottato tutta la vita per essere sé stesso, aveva trovato qualcuno a cui andava bene davvero. Non era abbastanza questo?
Anche Blaine aveva lottato per essere sé stesso. Sapere di non doverlo più fare era un gran sollievo, ma spesso si ritrovava a domandarsi cosa sarebbe successo se invece avesse deciso di restare, e combattere. Per questo aveva voluto trovare un suo “riscatto”, aiutando Kurt a far convivere la sua identità con il suo ambiente scolastico… tuttavia, non era arrabbiato con lui per aver mollato. Al contrario, la sua paura ora era di sentirgli dire di voler tornare al McKinley, per riuscire dove lui aveva fallito. Ogni volta che lo vedeva a scuola, prima di avvicinarsi restava ad osservarlo per un po’, cercando di capire dalla sua espressione quanto fosse felice di stare lì. Se lo vedeva troppo stressato per lo studio, o con le sopracciglia leggermente aggrottate per chissà quale preoccupazione, interveniva con una delle sue frasi sarcastiche, sperando (forse un po’ egoisticamente) che in quel modo Kurt avrebbe realizzato che ne valeva la pena. A fine giornata, se per caso aveva avuto troppo da fare, gli mandava un messaggio con la buonanotte: le sue scuse per non averglielo ricordato ancora una volta. In realtà non sapeva con certezza se Kurt carpisse davvero le sue intenzioni dietro quei gesti così semplici, apparentemente privi di senso… eppure, sarebbe bastata una piccola, semplice frase per fare in modo che Kurt restasse alla Dalton senza provare il minimo rimpianto per quello che si era lasciato alle spalle.
Dopo una settimana di scuola abbastanza ordinaria per entrambi, arrivò il consueto sabato mattina, quello per cui Kurt si alzava molto presto, eccitato come un bambino che deve aprire i regali di Natale sotto l’albero. Puntualmente i vestiti che aveva scelto la sera prima mettendo a soqquadro i suoi armadi non andavano più bene, perciò dovette ricominciare tutto da capo. “Il vantaggio del non sapersi vestire” pensò tra sé e sé, immaginando quanto tempo si potesse risparmiare. Quando uscì dalla sua camera, indossando già la giacca e il cappello rosso e grigio abbinato alla sua sciarpona preferita, il resto della famiglia era riunito in cucina per la colazione: Finn ancora nel suo anonimo pigiama a rombi blu, la madre in tuta, nonostante i consigli di Kurt sull’essere curata anche in casa, e suo padre con la classica camicia di flanella a quadretti. Ma in quel momento dare lezioni di moda era l’ultimo dei suoi pensieri, così saluto tutti con entusiasmo e uscì velocemente. Era da un po’ di sabati che la cosa andava avanti, perciò tutti e tre, chi più chi meno, avevano capito di cosa si trattava. Sull’autobus per raggiungere il centro di Lima, dove per volere di qualche anima pia era sorto Starbucks, la testimonianza che la modernità del resto dell’America era riuscita ad infettare un minimo quella piccola città, Kurt si mise alle orecchie le cuffie del suo iPod per ripassare ancora una volta “Something Stupid”, la canzone della settimana al Glee Club degli Usignoli. La verità è che quel “qualcosa di stupido” era proprio quello che avrebbe voluto dire a Blaine, o meglio ancora sentirsi dire. Senza rendersene conto, ad un certo punto non la stava più semplicemente canticchiando; per fortuna l’autobus era semivuoto, ma i pochi presenti non poterono fare a meno di notare che Kurt si agitava come se avesse un microfono in mano, intonando con la sua voce angelica (ovviamente nei panni di Nicole Kidman):
[ http://www.youtube.com/watch?v=BoY432ga0wQ&playnext=1&list=PLE78852E34B5E2678 ]
I know I stand in line
Until you think you have the time
To spend an evening with me
And if we go someplace to dance
I know that there's a chance
You won't be leaving with me
Then afterwards we drop into a quiet little place
And have a drink or two
And then I go and spoil it all
By saying something stupid
Like I love you
Continuò anche sceso dall’autobus, e durante il breve tragitto per arrivare al bar. Improvvisamente una voce, calda e familiare, si unì alla sua.
I can see it in your eyes
That you despise the same old lines
You heard the night before
And though it's just a line to you
For me it's true
And never seemed so right before
I practice every day to find some clever
lines to say
To make the meaning come through
But then I think I'll wait until the evening
gets late
And I'm alone with you
Blaine camminava accanto a lui lungo il marciapiede, ondeggiando a ritmo di musica come se stesse ballando un walzer immaginario. Iniziò a fare giravolte intorno a Kurt, che intanto era sempre più rapito e ammaliato dai suoi movimenti, dalla sua voce, dai suoi occhi... Un enorme sorriso faceva presagire le parole che poco dopo sarebbero uscite dalla sua bocca, sussurrate ma allo stesso tempo ferme e decise.
The time is right
Your perfume fills my head
The stars get red
And oh the night's so blue
And then I go and spoil it all
By saying something stupid
Like I love you
I love you...
“I love you.”
La canzone era appena finita. Blaine si fermò, con un’espressione indecifrabile in viso, facendo desiderare a Kurt di essere fulminato all’istante (ovviamente dopo essersi tolto il maglione firmato). “Oddio, mi sa che ho perso il conto, lo dice almeno venti volte alla fine!” disse di scatto, cercando di essere credibile. La sua finta risata non convinse nemmeno lui, ma Blaine sembrò cascarci. “Eh si, hai ragione. Allora, cappuccino?”