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Autore: rosemortelle    18/02/2011    1 recensioni
Il cuore di Megan si fermò. Sì, doveva essersi fermato. Doveva. Un dolore così lancinante non poteva far continuare a batter il cuore. Un ultimo colpo sordo e poi si sarebbe fermato per sempre.
Era una cosa con la quale doveva fare i conti. Quella parte di lei che era nata improvvisamente. Bugiarda! Bugiarda! C'era sempre stata, Era sempre stata presente. Solo che l'aveva rifiutata, umiliata e adesso non poteva più chiudere gli occhi. Era lì e stava diventando sempre più forte. Presto o tardi non avrebbe più potuto far finta che non esistesse...
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I can't escape the twisted way you think of me.
I feel you in my dreams and I don't sleep.

 
I'm losing my mind and you just stand there and stare as my world divides.

 
 
Megan la guardò per un attimo con gli occhi sbarrati. Ci mancava solo lei per coronare quella magnifica giornata di merda! Lei, che da tre anni cercava di distruggerla. Lei, che popolava i suoi peggiori incubi. Lei, carnefice ed aguzzina, unico ostacolo alla sua promozione. Lei, priva di qualsivoglia sentimento umano, priva di comprensione, di pietà. Lei, giudice freddo, sarcastico e spietato. Lei: Laurène Colin, la responsabile del personale.
La donna, francese di nascita, aveva la perfetta abitudine di arrivare sempre nei momenti più critici. Passava dal negozio una volta ogni due settimane circa, preferibilmente quando Anna, la direttrice, era assente e quando in negozio c’era una sola commessa: per poterla valutare, ovvio!
E le sue valutazioni non tenevano conto di niente se non della sua profonda cattiveria, della sua arroganza e del suo ego illimitato. Lei era perfetta, gli altri erano sempre in errore, qualsiasi cosa facessero. Il problema essenziale era che quella donna aveva nelle mani le loro carriere, i loro contratti ed in pratica le loro stesse vite. Poteva apportare modifiche agli orari all’ultimo momento e sembrava provare un particolare gusto per gli straordinari non retribuiti, soprattutto verso lo scadere del contratto. Piacevole di aspetto, ma non certamente bella, aveva nelle movenze un’eleganza artificiale, studiata e pomposa. I suoi occhi piccoli e scuri contribuivano a dare di lei l’idea di un’assassina pronta a colpire. La sua bocca dalle labbra fini era spesso inarcata in un sorriso falso almeno quanto la sua eleganza e la sua gentilezza.
E in quel momento aveva Megan tra le mani. Aveva la sua vita, il suo contratto, la sua promozione a vice-direttrice. Tutto quello per cui aveva lottato strenuamente negli ultimi mesi. Tutto quello per cui aveva perso ogni ritmo accettabile di vita, il sonno e forse la sanità mentale.
La voce di Megan suonò insicura:
“Salve Laurène.”
Accennò un sorriso tirato. Le girava la testa e aveva voglia di vomitare.
“Salve Megan.”
La guardava sorridendole, ma negli occhi aveva quella luce terribile, quel senso di vittoria. L’aveva colta in fallo e niente le dava una soddisfazione maggiore.
“Ho forse interrotto i suoi pensieri? Mi sembrava molto assorta.”
Megan titubò.
“Oh, no...io...sì ero effettivamente un po’ assorta.”
Laurène la squadrò attentamente soffermandosi sull’aspetto sciupato del suo viso. Un lampo le illuminò gli occhi. Megan era immobile ed impassibile. Sentiva le lacrime salirle agli occhi, ma non le avrebbe certamente dato questa soddisfazione. Le ricacciò nel profondo della gola, dove cominciarono a bruciare come fuoco.
“Sembra molto stanca Megan. Forse questo lavoro è troppo stressante per lei.”
Ancora quel sorrisetto sardonico. Oh signore! Chi l’avesse vista da fuori avrebbe pensato ad un bravo capo seriamente preoccupato per un dipendente, ma Megan sapeva fin  troppo bene cosa si nascondeva sotto quelle parole. “Forse questo lavoro è troppo stressante per lei.” Le parole le rimbombarono in testa... Sotto quella frase apparentemente gentile si nascondeva una nemmeno troppo velata minaccia. La rabbia cominciò a salire in Megan. Tutti quei sentimenti che stava reprimendo da troppo, troppo tempo cercavano prepotentemente di venire a galla. I suoi occhi si illuminarono di una luce folle.
“No, non sono stanca. Come potrei esserlo? Sono due settimane che faccio turni di 12 ore e mangio a malapena e poi sa com’è? L’uomo che amo mi ha appena comunicato che sta per sposarsi e che vuole che io gli faccia da testimone. Ma va tutto bene, non si preoccupi. Cosa c’è che non va? Non vede come sono in forma? Perché dovrei preoccuparmi, sentirmi stanca o dilaniata dal dolore? Perché dovrebbe turbarmi anche solo minimamente il buco nero che sento dentro? No, figurarsi! Io vivo per il lavoro, solo ed esclusivamente per il lavoro!! Cos’altro deve esserci nella mia vita?”
Avrebbe voluto urlarglielo in faccia, sì, avrebbe voluto. Le avrebbe dato una soddisfazione immensa, un senso di vittoria, di completezza, di potere e...avrebbe perso il lavoro e tutto quello per cui aveva lottato. Si morse le labbra e strinse i pugni fino a ficcarsi le unghie nella carne. Si costrinse a sorridere e a guardare quell’essere spietato negli occhi. La voce di Megan uscì ferma. A volte si meravigliava lei stessa del suo autocontrollo.
“Penso di essere solo vagamente influenzata, non si preoccupi.”
Laurène sembrò soddisfatta della risposta, ma il ghigno non scomparve dalla sua faccia.
Cominciò a camminare per il negozio, unendo le mani dietro la schiena mentre Megan ricominciava a piegare le maglie senza perderla d’occhio. Sul volto di Laurène comparve una teatrale espressione di sofferenza.
“Ah Megan...”
Sospirò scuotendo la testa. Si avvicinò lievemente al bancone dove la ragazza stava lavorando. La guardò accennando una falsissima espressione preoccupata e poi ricominciò a camminare per il negozio sfiorando i vestiti appesi con una mano, sistemando qualche spallina scivolata, ravvivando le pieghe delle gonne.
“Lei sta rendendo un pessimo servizio all’azienda.”
La voce era fredda e vittoriosa. Megan sentì come se un vortice cercasse di risucchiarle testa e stomaco. Non riusciva a reagire, non riusciva nemmeno più a muovere le braccia.
“Se le cose non cambiano, non arriverà mai ad un contratto a tempo indeterminato.”
La voce era dolce e smielata, falsamente comprensiva. Il sorriso con cui la guardava la raggelò, ma bastò a farla riprendere.
Megan le lanciò un’occhiata vuota. La sua voce si fece atona e fredda.
“Non si preoccupi, cambieranno.”
Riprese a lavorare senza più degnarla di uno sguardo. Laurène si avvicinò al bancone e cominciò a scrivere la sua relazione sul controllo del giorno, poi le porse il foglio.
“Ecco, dovrebbe firmare qua sotto. E’ una nota negativa per mancanza di servizio al cliente.”
Megan sbarrò gli occhi! ‘Mancanza di servizio al cliente?’ Ma Cristo Santo, non c’era nessuno in negozio!! Avrebbe quindi dovuto firmare una nota negativa che la accusava di non fare servizio a clienti che nemmeno c’erano? Esitò un attimo con la penna in mano.
Come se le avesse letto nel pensiero Laurène le sorrise come si fa ad una bambina che non capisce.
“Vede Megan, lei era talmente assorta che se fosse entrato un cliente non lo avrebbe nemmeno visto.”
La voce era paragonabile a quella che si usa per parlare ad una idiota. Megan fu percorsa da brividi di rabbia. Firmò con tratto veloce la relazione e la riconsegnò a Laurène con occhi fiammeggianti. Almeno se ne sarebbe andata.
“Bene Megan, io vado. Ma si ricordi che la tengo d’occhio, e non solo io. Ci sono altre persone che vengono a controllarla a sua insaputa e mi riportano puntualmente il suo comportamento. Mi raccomando, se si impegna un po’ migliorerà sicuramente.”
Ancora quella voce mielosa e nauseante.
“Non ne dubiti.”
Il tono di Megan era asciutto e sbrigativo. La responsabile si sistemò la borsa in spalla e come era arrivata se ne andò.
Megan la guardò allontanarsi. I suoi occhi fiammeggiavano. L’odio che provava per quella donna era senza limiti. Avrebbe voluto rincorrerla nel corridoio e spezzarle il collo con un gesto secco. Oh sì... vederla morta sarebbe stata l’unica cosa che avrebbe potuto risollevarle la giornata... Già se la immaginava stesa a terra con i piccoli occhietti sbarrati, il corpo esanime, la carne che impallidiva...
   
 
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