“Non mi era mai capitato di restare imbambolata davanti ad
un semplice, insignificante oggetto, che tra l’altro non era nemmeno incantato.
Eppure…mi ero fermata per un quarto d’ora buono a fissare quello che ai miei
occhi appariva come un meraviglioso, delicato e lucente specchio ovale da
donna, in quell’immenso negozio di oggettistica magica e babbana a Hogsmeade.
Il gelato che stavo mangiando mi si stava sciogliendo in
mano, sentivo il cioccolato scendere appiccicoso sulle mie dita e colarmi sulla
sciarpa dei Corvonero, ma non me ne curavo. Avrei dovuto sbrigarmi a trovare il
regalo per mia zia, sapevo quanto era difficile accontentare una veela, ma non
me ne importava una cioccorana secca. Sarei rimasta lì per ore, fino a quando
non mi convinsi a lasciar perdere tutto e comprare il magnifico oggetto. Mi
ricomposi, pulendomi la mano e usando un “gratta e netta” sulla sciarpa,
buttando poi in un cestino lì vicino il gelato, e chiamai la commessa, quella
stessa commessa che mi aveva più volte invitato a dedicare la mia attenzione su
altri oggetti, e io non riuscivo a capire il perché. Era un oggetto in vendita
e costava 20 galeoni, soldi che avevo, ed era adorabile. Bè, forse era questo
il problema. La commessa come minimo credeva che avessi esagerato con la burrobirra.
Come era possibile che una ragazzina volesse spendere tanti galeoni per quello
che lei definiva “un’orribile ombra dell’oggetto d’antiquariato che era stato
un tempo”? Si vedeva benissimo in che stato era l’antico manufatto: lo specchio
era incrinato e sporco, il manico un tempo elegante era scheggiato e
arrugginito, oltre che storto; la cornice dorata era diventata nera, e le
delicate lavorazioni erano irrimediabilmente rovinate. Il suo prezzo era dovuto
semplicemente al fatto che fosse un’opera lavorata dai goblin e dagli Alti elfi
e che era appartenuto ad una nobile e facoltosa famiglia di maghinò della metà
del 1700.
Io non riuscivo davvero a capire. Ai miei occhi appariva
come l’oggetto più nobile e puro del mondo…non mi sarei mai sognata di usare
questi termini per un oggetto, ma sono quelli che più si avvicinano al suo
aspetto. In un remoto angolo della mia mente ormai persa nella bellezza
dell’oggetto sorse una domanda spontanea: questo oggetto sarà incantato?
Mi sentivo ipnotizzata. Chiesi alla commessa se c’era un
qualche incantesimo di protezione o un incanto qualsiasi sullo specchio, ma lei
rispose con certezza che l’oggetto era stato classificato sotto la voce di
“oggetto babbano di magiche origini”.
Non dissi niente alla commessa di ciò che vedevo, e anzi,
mi arrabbiai molto quando mi chiese perché volevo comprare una tale schifezza:
miseria, le avevano sempre detto che i Corvonero erano intelligenti!
Sentii la rabbia montare in me. Come si permetteva ad
offendere la bellezza dello specchio? Del MIO specchio? E poi, a lei cosa
importava? Anzi, stavo liberando il suo negozio da quella schifezza, pagando
pure! Tuttavia riuscii a controllarmi. Mi dissi che lei mi stava solo
consigliando un acquisto più appropriato, ma non me ne curai, e dissi che ero
appassionata di antiquariato. Lei bevve la scusa e si decise a vendermi
l’oggetto, incartandolo con cura.
Uscita dal negozio mi sentivo strana, come se fossi
tornata lucida. Ora mi sembrava tutto una grossa sciocchezza. Avevo comprato
uno specchio che, per quanto ne dicessero, era incantato. Anche se ero una
studentessa del primo anno sapevo riconoscere quando c’era in giro un
incantesimo e quando no. Ma…io che me ne facevo di quello specchio? Lo avevo
già, e non avevo bisogno di altri oggetti. Con timore mi accorsi di essere
stata attratta dall’oggetto e ne ero rimasta affascinata contro la mia volontà,
ma non me ne ero fatta un problema. E mi resi conto che non me lo facevo
neanche adesso.
Non potete capire cosa provavo in quel momento. La mia
mente, la mia anima, si erano divise. C’erano due Maya Alexis dentro me. Una
aveva paura, ricordava bene la storia di Ginny Weasley al suo secondo anno ad
Hogwarts, e di come fosse rimasta incantata allo stesso modo da un diario
stregato dal Signore Oscuro; a questa Maya le si opponeva un’altra, che la
incoraggiava, e si arrendeva alla bellezza di quello specchio che, anche se
sapeva essere ormai rovinato, a lei appariva come meraviglioso e lo apprezzava
con ogni suo incantesimo.
Ma per quante parole io possa fare per descrivervi le mie sensazioni, non saprete mai che cosa provavo, che stavo per impazzire. Decisi di ragionarci a mente fredda, da buona Corvonero, una volta tornata ad Hogwarts. Dove diavolo era finita la mia abituale razionalità?
Ora dovevo riorganizzare il pomeriggio che avevo
mentalmente mandato al diavolo pochi minuti prima.
Forse è anche inutile dirvi che non riuscii a pensare a
nient’altro che al maledetto specchio. In condizioni normali sarei corsa in
gelateria a recuperare il gelato perduto, ma me ne fregai altamente. Dovevo
comprare quel benedetto regalo a mia zia, la veela esigente, adoravo fare
shopping e l’idea di dover girare tutti i negozi mi eccitava: invece entrai nel
primo negozio di abbigliamento e comprai una misera e orribile camicia marrone
che non avrebbe reso giustizia alla bellezza di mia zia, e che, ne ero sicura,
lei avrebbe buttato appena arrivata a casa.
Se mi aveste visto quel giorno non mi avreste
riconosciuto: ero l’ombra della ragazza solare e simpatica di sempre, anzi,
sono sicura che sembravo una snob con la puzza sotto il naso, perché tutto mi
dicono che ho modi eleganti e sono una bella ragazza (cosa che tra l’altro non
noto per niente), e quindi con l’aria concentrata e crucciata sono sicura che
sembravo la sorella di Malfoy.
Non so ancora come riuscii ad arrivare ad Hogwarts;
probabilmente mi ero fatta trasportare dalla folla di Corvonero e dai miei
compagni, che avevano notato il mio comportamento ed erano d’accordo
all’unanimità nel dire che sembravo sotto Imperius.
Riuscii a staccarmi dal mio stato di trance pensierosa per
rassicurare tutti i miei amici, preoccupati per me, e per inventare una piccola
balla sul fatto che avevo un leggero mal di testa e che avrei saltato la cena
quella sera. Loro ovviamente ci credettero e mi lasciarono in sala comune,
davanti al camino, mentre andavano a cena.
Solo una mia amica, Sarah, ritardò cinque minuti per stare
con me.
Sistemammo i nostri acquisti su una poltrona vicina e ci
sedemmo a chiacchierare su un divano a due posti, parlando di tutto e del
pomeriggio appena trascorso. Non che io stessi impazzendo dalla voglia di
parlare, ma non era educato verso Sarah che si preoccupava per me, e così ci
mostrammo a vicenda i nostri acquisti. Venne il momento del santissimo specchio.
Temevo la sua reazione, non volevo che anche lei mi dicesse che vedeva solo un
ferrovecchio.
Ma fu così. Rimase stupita quando le dissi che l’avevo
veramente comprato (credeva l’avessi raccolto da terra) e quando mi chiese il
motivo, le dissi che volevo esercitarmi per la trasfigurazione, volevo renderlo
nuovo e presentabile.
Lei sapeva che ero una studentessa volenterosa e
ingenuamente mi credette, anche perché dissi che l’avevo pagato solo 13 falci.
Infine si alzò e si congedò, perché “aveva una fame da ippogrifo”. Rimasi sul
divano a due posti.
Pace. Tranquillità.
L’ideale per riflettere e fare ordine nella mente di
quella Maya confusa.
Stentavo a riconoscermi. Di norma avrei lasciato perdere
lo specchio, sentendo puzza di magia oscura lontano un miglio, ma
quell’incredibile oggetto avvolto in carta dorata mi attraeva in modo pazzesco,
e non importava se adesso avevo la certezza che era realmente incantato.
Lentamente liberai l’oggetto dall’involucro e lo ammirai in tutta la sua
bellezza, bellezza che mostrava solo a me, tenendolo con la mano destra davanti
al mio viso. Mi vedevo riflessa in quel meraviglioso specchio lucente, che mi
dava l’impressione addirittura di esaltare i miei lineamenti perfetti, i miei
occhi verdi e profondi, i miei capelli lunghi e mossi, castani, che catturavano
i riflessi del fuoco. Mi sentivo bene e mi sentivo bella, per la prima volta.
Ero sempre stata modesta con me e con gli altri, ma quello specchio mi faceva
proprio capire che ero bella. BELLA. E che stavo decisamente diventando
vanitosa.
In un angolino della mia coscienza mi sentii molto
preoccupata, ma…ignorai me stessa per dedicarmi ad esaminare lo specchio. Era
grande…circa 35x20 cm, stimai ad occhio. Il manico e la cornice erano dorati,
un colore che dava pace all’anima, ed erano finemente intarsiati con foglie,
fiori bellissimi, rami con frutti e animali giocosi, come cervi, usignoli,
cigni, volpi. Il manico era leggermente più largo alla fine, dove poi si univa
all’impugnatura perfetta di un colore più scuro. La forma ovale dello splendido
oggetto faceva sì che gli animali sembravano rincorrersi in un meraviglioso
girotondo…li fissavo così intensamente che mi sembrò vederli muoversi davanti
ai miei occhi. Mi dedicai poi la retro dello specchio, di colore scuro, una
superficie di metallo liscio e piatto che aderiva perfettamente allo specchio
anteriore e si incastrava a meraviglia con la cornice. Istintivamente mossi la
mano sinistra per toccarlo, dietro. Con orrore la ritirai subito. Il metallo
era caldo, un calore interno, ne ero sicura. Stavo quasi per far cadere lo
specchio dallo spavento. Poi, in un lampo, mi convinsi che, essendo vicino al
fuoco, era logico che il metallo si fosse surriscaldato.
Si, era sicuramente così…ma perché non ne ero veramente
convinta?
Feci una smorfia preoccupata e tornai a guardami allo
specchio.
- Non sapevo fosse vanitosa fino a questo punto, signorina
Maya Alexis…anzi, credevo che non lo fosse proprio! –
Saltai sulla sedia per la paura. Mi voltai, avevo
riconosciuto la voce ironica.
Solo che non riuscivo a spiegarmi perché lo specchio non
avesse riflesso la persona dietro di me.
Riuscii a non apparire preoccupata e sorrisi al mio
compagno, Daniel Proud.
- E io non sapevo che lei si divertisse a spaventare le
damigelle indifese, mio caro signor Proud! –
Daniel sorrise a sua volta. Era carino, con quei luminosi
e ridenti occhi azzurri, i capelli castani, quasi del mio stesso colore,
ribelli e corti, e un fisico modellato da anni di Quidditch nella squadra jr di
Hosmeade. Tutti sapevano per certo che, per l’anno prossimo, sarebbe diventato
Cacciatore Corvonero. Era molto simpatico ed eravamo diventati subito amici.
- Non ti ho vista a cena, e Mary Jane mi ha detto che eri
qui perché non stavi bene…allora?-
- Allora che?- chiesi io, invitandolo a sedersi vicino a
me, dove poco fa c’era Sarah. Parlando, lui si accomodò vicino a me, e mi cinse
le spalle con un braccio.
- Non è carino farmi preoccupare dicendo che stai male e
invece sei qui a fare la civetta…- mi disse, guardandomi.
- Io non faccio la civetta e non sono vanitosa. Ho
semplicemente comprato questo specchio e…-
mi fermai un secondo, per pensare: lui come vedeva lo
specchio? Anche per lui era un rottame?
-…e lo stavo esaminando. Dimmi, come ti sembra?-
Gliel’avevo chiesto. Ora avevo paura della risposta. Lui lo osservò
attentamente dalla mia mano.
- E’ un bell’oggetto. Guarda che belle rifiniture…e che
bel colore! Chissà quanto ti è costato! Però si vede che è stregato...guarda,
riflette solo te! -
Trattenni il fiato. Lui vedeva riflesso ciò che vedevo io,
cioè NIENTE! Si, vedeva lo specchio nella sua bellezza, ma non si vedeva in
quel riflesso, c’ero solo io con la mia faccia sconvolta. Dovevo controllarmi,
per il momento, e dissi sorridendo:
- E…ehm…no, è un regalo, e si, è fatto in modo che possa
riflettere solo il proprietario. – Però!, mentivo con sempre più facilità.
Eppure a me non piacciono le bugie.
- Un ammiratore? – mi chiese, con voce fintamente
suadente. O forse no. Perché solo in quel momento mi resi conto che era vicino,
TROPPO vicino, e mi accorsi veramente del suo braccio dietro le mie spalle. Oh
cavolo. Mi sentii avvampare, ma sono sicura che non ero arrossita. Con tutta la
mia cretinaggine decisi di reggergli il gioco, e dissi in modo vago:
- Uhm…forse. Forse si, forse no. –
- Ah, ecco, - mi rispose lui, mantenendosi fermo: bene,
non si sarebbe avvicinato di più, si era fissato un limite, da persona
intelligente, - perché in tal caso…credo che potrei essere geloso. –
Aveva abbassato leggermente la voce, e ci volle qualche
secondo per farmi capire bene la situazione. Oh cavolo, mi aveva appena detto
che io gli piacevo???
Certo che sono proprio stupida. Io non so uscire da queste
situazioni. E infatti chiesi:
- E perché mai? –
Stavo pensando proprio in quel momento che Daniel avrebbe
potuto piacermi. Era intelligente e carino.
- Dai, Maya, lo hai capito. Tu mi piaci. E io…vorrei
sapere se…ti piaccio. –
Tutto sommato si era dichiarato con disinvoltura. Io
sorrisi dolcemente. Dentro di me pensai che era proprio bastardo. Non so dirvi
il motivo…L’aveva detto con il tono in cui chiedete a vostra madre se è pronta
la pasta. Avevo momentaneamente dimenticato il mio specchio. Ma in cuor mio
sapevo che non avrei trovato pace finché non avessi risolto quella questione, e
quindi non era il momento di dare false speranze a Daniel.
- Daniel…- lui sentendo il mio tono sembrò preoccupato,
come se avesse già capito che il mio era un no, - tu sei carino e sei simpatico, insomma, anche tu mi piaci. Ma in
questo momento mi trovo in un piccolo casino e finché non lo risolvo non posso
pensare a nient’altro…per il momento non mi va di darti false speranze. –
Lui mi fissò con aria più rilassata. Bene, stavolta me
l’ero cavata.
- Non mi stai dando un due di picche? Ho qualche
possibilità di…stare con te? –
Stavolta sono sicura di essere arrossita. Perché era stato
sincero, gli interessava la mia risposta.
- Si.-
- Bene. Allora in attesa che tu esca dai tuoi casini…-
Vi avevo già detto che era troppo vicino? Diciamo che
eliminò le distanze e mi baciò dolcemente. Allora ritornai dell’idea che era
proprio un dolce bastardo, faceva tutto quello che voleva, ma lo faceva bene.
Poi si alzò, dopo avermi abbracciata, e mi sorrise. Cavolo, a parte il fatto
che mi ero resa conto che mi piaceva ero rimasta sconvolta. E, per inciso,
riuscii a sorridergli. Poi lui uscì, lasciandomi “nei miei casini”.
Non ho mai capito con quale forza di volontà riuscii a non
pensare all’accaduto e a ritornare a ragionare su quello stramaledetto
specchio. Per colpa sua ero diventata vanitosa e bugiarda, due cose che avevo
sempre evitato e odiato. E poi c’era quel maledetto particolare: rifletteva
solo me, anche se Daniel lo vedeva intatto.
Rimasi dieci minuti buoni a fissare il mio volto nello
specchio, inutilmente, ma più cercavo di allontanarmi dall’oggetto, più mi
sentivo inesorabilmente calamitata dal meraviglioso manufatto.
Quella sera, nel dormitorio femminile, mi isolai
completamente tra le cortine del mio letto, sfuggendo agli sguardi preoccupati
delle mie compagne che mi consigliavano di andare in infermeria, per stare a
riflettere. Mi sedetti sulle soffici coperte con indosso il mio pigiama
arancione, a fissarmi per l’ennesima volta in quello specchio. Mi ero arresa:
quell’oggetto schiacciava la mia forza di volontà, e perciò io non avevo
capacità di controllarmi.
So per certo che ero salita in camera alle 21.00 e che mi
ero decisa a posare lo specchio sotto il cuscino alle 2.30. Ero preoccupante,
veramente, ma ormai ero persa negli intagli del bel manico o nella forma
perfetta dell’ovale…so che a questo punto sono diventata noiosa ma è necessario
per farvi capire in che condizioni mi fossi ridotta. Mi ero perfino pentita di
aver mostrato lo specchio a Sarah e a Daniel…no, anzi, ero furiosa perché altre
persone avevano osato guardare il mio meraviglioso specchio. In un accenno di
lucidità mi accorsi di essere ridicola: ero gelosa del mio specchio come
un’innamorata del suo fidanzato…come avrei potuto esserlo di Daniel. Una cosa
veramente ridicola: amavo e odiavo allo stesso tempo quel maledettissimo e
meraviglioso specchio.
Questo è quanto ricordo della mia ultima giornata prima che la mia mente venisse a conoscenza di oscure trame passate e prima che la mia vita e quella di altre persone cambiasse radicalmente.