CAPITOLO 8
Odio
(POV
Lina)
Un
raggio di sole colpì il mio volto e mi fece svegliare di soprassalto.
-Che
ore sono?- pensai.
Mi
girai e agguantai la nuova sveglia che avevo da poco comprato, dopo la solita
fine dell’ultima. Le 10.00?? No è impossibile! Ho perso le prime due ore di
scuole, e ovviamente fra poco anche la terza.
Mi
voltai e un figo attaccato alla parete mi fece ragionare. Il calendario segnava
che era sabato. Che stupida, al sabato non si va a scuola. Ero proprio fuori.
Mi
ributtai pesantemente sul letto. Sbuffai.
Chissà che avevo per la testa. E a riguardo mi tornò in mente il sogno
di quella notte. Wow. Se sapevo che ogni notte avrei incontrato un Alec così
nel mondo di Morfeo, mi sarei incatenata volentieri ad un letto, per poter
continuare a sognarlo per sempre.
Avevo
sognato che lui mi tendeva la mano, mentre ballavo come sempre all’Irish, e io
l’afferravo decisa. Dopo di che lui mi aveva portato in un posto romantico
presso le rovine di un teatro romano. Era davvero un sogno, perché io non avevo
mai visto un luogo simile a Volterra. E lì in quell’oscuro paradiso terrestre
avevo confessato a lui di amarlo, e la paura che da ciò ne derivava e lui aveva
fatto lo stesso. C’eravamo baciati, in un modo così passionale, che se anche
tutto intorno avesse preso fuoco, noi non ce ne saremmo accorti. Poi avevamo
parlato. Bè più che altro si era trattato di un interrogatorio. Lui continuava
a fare domande su di me e sulla mia vita. Altro punto che significava essere un
sogno, con Alec non si era mai riusciti a fare un dialogo così lungo, e serio
oltre tutto.
Lui
mi aveva chiesto della mia famiglia, se avevo sorelle o fratelli, della mia
amica Serena, che gliel’avevo nominata quando c’eravamo conosciuti. Quando mi
chiese del rapporto con i miei genitori, e a riguardo il tasto era stato
dolente, anzi dolentissimo, non potei non evitare che gli occhi luccicassero
dalle lacrime forzatamente trattenute. Ma lui le aveva notate lo stesso e
ovviamente mi aveva chiesto spiegazioni. Anche se era un sogno, confessare
tutto il dolore e la colpevolezza che mi davo, a causa proprio di quel rapporto
che non esisteva, fu molto difficile. Ma lui mi ascoltò in silenzio, e non
disse frasi del tipo “andrà tutto bene”, “vedrai che non è colpa tua” o moine
del genere, non le avrei sopportate. Erano frasi fatte, che venivano usate per
proforma. Io preferivo i silenzi, così carichi di parole, che non hanno un
suono nella realtà, ma che nel profondo valgono più di quelle mille
espressioni. E lui così fece. Mi aveva abbracciata, facendomi poi stendere con
la testa sulle sue gambe, e mi aveva accarezzato i capelli per un tempo
infinito. Era davvero il paradiso quello in cui credevo di essere e lui
ovviamente il mio angelo custode, almeno di questo potevo ringraziare Dio; me
ne aveva dato davvero uno figo.
Ero
felice, estasiata, ma un brivido di gelo mi era percorso lungo la schiena e lui
purtroppo aveva smesso quel fantastico accarezzare per poi allontanarmi da lui,
no non volevo che il mio sogno diventasse un incubo. Per fortuna ciò non
avvenne. Lui si era allontanato per sfilarsi la sua giacca e mettermela. Poi
ero ritornata nella posizione per me paradisiaca fino a quando questo maledetto
raggio di sole non mi aveva svegliata. Grrrr.
Altro
motivo da aggiungere alla mia lista sul perché odio il sole e il caldo. Già è
così. Sarò forse strana, ok togliamo il forse, sarò strana, ma io adoro il
tempo nuvoloso, la pioggia, la neve e tutto quello che ha a che fare con i
colori freddi.
Mi
detti una scrollata ai capelli. Uff, a quanto pare i capelli stamattina si
erano svegliati in modalità cespuglio selvaggio. Avrei fatto una doccia.
Mi
alzai barcollante e ancora assonnata dal letto. Gli occhi vedevano ancora un
po’ sfocati, fu per quello che dopo aver fatto il giro del letto e passando a
fianco alla scrivania dopo essermi violentemente bloccata, avevo cominciato ad
aprire e chiudere gli occhi strizzandoli, e poi con le mani a mo’ di pugni
avevo iniziato a strofinarli violentemente. Quando fui sicura che vedevo
davvero nitido, le ginocchia iniziarono a tremare facendomi accasciare a terra,
ed il cuore partì a mille, indomabile.
Delle
lacrime di gioia iniziarono a percorrere il mio viso.
Sulla
sedia della scrivania, dove la sottoscritta in teoria faceva i compiti,
accuratamente piegata c’era la giacca di Alec, quella del ‘sogno’.
Ma
non era stato un sogno, che sciocca. Era stato tutto così bello che era
sembrato davvero irreale. Mi sentivo davvero stupida, perché di sicuro nel mio
viso c’era un sorriso da ebete stampato sopra. Se qualcuno mi avesse visto in
quello stato di soave beatitudine, avrebbe come minimo chiamato ‘Chi l’ha
visto?’ perché di sicuro non era Lina quella.
La
mancanza di Alec al mio fianco si fece sentire presto, anzi troppo presto. E fu
in quel momento che mi accorsi che di lui, non sapevo davvero niente. Nulla
della sua famiglia. Nulla da dove venisse prima di arrivare nella mia scuola.
Nulla di dove abitasse. Niente di niente. Decisi che quando l’avrei rivisto,
l’interrogatorio sarebbe spettato a me, ma non ero molto convinta. Chissà
perché, ma sapevo che non avrei saputo niente. Però ero sicura che l’avrei
rivisto quella stessa sera all’Irish.
Lo
stomaco a tal pensiero iniziò ad accartocciarsi su se stesso. Non so se sarei
resistita fino a sera.
(POV
Alec)
Ero
felice e triste allo stesso modo e nello stesso momento. La notte passata con
Lina era questo che mi aveva lasciato.
Felice,
perché avevo scoperto finalmente cos’era l’amore. Felice, perché il mio amore
era ricambiato. Felice, perché quella sera l’avrei rivista.
Ma
ero anche triste, perché lei non sapeva cos’ero. Triste, perché se qualcuno
avesse saputo di noi, sarebbe successo una tragedia. Triste, perché per quanto
mi sforzassi, non riuscivo a trovare una soluzione.
Decisi
allora di non pensarci, non avrebbe portato a niente.
Lasciai
che solo le cose belle di Lina navigassero senza sosta nella mia immensa mente.
Avrei potuto pensare ad entrambe le cose assieme, ma erano così due sentimenti
contrastanti, che non li volevo a tutti i costi tenere vicino, perché uno dei
due avrebbe potuto influenzare l’altro, e forse proprio quello che non volevo.
Ripensai
così a quella notte. A quando si era addormentata ed io dopo averla presa tra
le mie braccia l’avevo riaccompagnata a casa. Ovviamente sapevo benissimo dove
abitava. L’avevo già scoperto la notte stessa al nostro primo incontro. Mi aveva
incuriosito fin da subito.
Entrata
nella sua stanza l’avevo messa a letto e piegato accuratamente la mia giacca su
una sedia lì accanto. Volevo che al suo risveglio avesse trovato qualcosa di
mio a farle compagnia, dato che io non potevo rimanere. Rimasi lì fino a quando
l’alba fu alle porte. Quel giorno il tempo avrebbe fatto una pausa e fatto
ricomparire il sole, il che non era affatto un bene per me.
Tornato
poi a palazzo, feci i compiti in tipo 15 minuti. Ehi, ero pur sempre uno
studente, no?
Il
giorno passò a dir poco a rallentatore. Una volta arrivata la sera, mi feci un
bagno. Quando uscii trovai Jane seduta sul mio letto.
“Jane,
come stai?” le chiesi. Mi guardava con occhi un po’ tristi.
“bene,
fratello.” Sorrise poi felicemente, come faceva in passato, ma ora per me quel
sorriso era solo falso.
“sei
molto strana ultimamente, lo sai?”
Restò
un po’ colpita dalle mie parole, ma si riprese subito.
“direi
che potrei dire lo stesso di te, fratello!”
Touché.
Ma meglio non affermare le sue ipotesi.
“secondo
me, no!” e cercai di cambiare subito argomento. “ perché sei qui?”
“dato
che è da un po’ che non stiamo più tutti assieme, avevamo pensato, io, Heidi,
Demetri e Felix, di andar fuori a far un giro stasera, è sempre sabato no?”
Mi
sarebbe piaciuto uscire con loro, era da tanto che non stavo un po’ con i miei
simili, ma volevo vedere lei.
“Mi
dispiace, sorella. Purtroppo sono costretto a declinare il tuo invito. Per
stasera avevo altri programmi!”
Fece
un faccia furba, che durò un millesimo di secondo, perciò forse mi chiesi se
avevo visto giusto. Lei iniziò a fare gli occhioni dolci, cosa che non le
riusciva bene, avendo lei sempre un sorriso perfido, stampato a fuoco, in viso.
“dai
Alec, ti prego!”
“mi
dispiace davvero, Jane.”
“uff,
volevamo andare in quella discoteca, l’Irish mi pare si chiamasse. Credevo ti
sarebbe piaciuto!”
Cosa?
Volevano andare nel locale di Lina. Perché diavolo avevano scelto proprio
quello. Non potevo permettere che loro andassero lì, ma come lo avrei spiegato?
Dovevo andarci, però presentarmi lì con loro, avrebbe significato ignorare
Lina, loro non dovevano conoscerla. Dovevo tenerli a debita distanza. E ora
però come avrei detto a Jane che avevo cambiato idea, senza insospettirla, più
di quanto già non fosse? Proviamo lo stesso.
“sorella
davvero andate lì?”
Fece
una faccia strana.
“hai
cambiato idea?” mi chiese.
“forse!
Credevo che sareste andati in qualche solito locale che piace tanto ad Heidi, e
che ovviamente fanno tanto schifo a me.”
Sorrise,
quasi sincera.
“hai
ragione. Ma l’ha scelto come sempre lei, forse i suoi gusti stanno migliorando.
Allora vieni?”
“allora
si, vengo.”
“bene.
A mezzanotte all’ingresso Alec.” Mi baciò su una guancia e se ne andò.
Sembrava
essersela bevuta. Speravo di si.
Cominciavo
ad essere davvero agitato. Il mio umore stava diventando sempre più negativo,
ogni secondo che passava.
Arrivati
in discoteca, ci sedemmo sullo stesso tavolo della volta scorsa. Continuavo a
guardarmi in giro. Non volevo che Lina mi vedesse. Sapevo che era già lì,
perché avevo sentito il suo odore all’ingresso.
“fratello
aspetti qualcuno?”
Jane,
sempre lì a studiarmi.
“no,
a dire il vero stavo… cercando di capire se c’era qualche turista.” Le sorrisi mostrandole
i denti. Sembrava avesse abboccato.
“credo
di si. In teoria c’è qualche tedesco nell’altra sala.”
“bene”
le sorrisi.
Erano
passate più di due ore è Lina non mi aveva ancora visto. Io si l’avevo vista.
Vedevo che continuava a girare per il locale, probabilmente per cercarmi. Era
bella, anzi bellissima. I suoi lunghi capelli neri, la accarezzavano come io
avevo fatto con lei la notte prima. Il suo succinto abito grigio le fasciava in
modo (troppo) perfetto il suo fantastico corpo, e purtroppo non era l’unico ad
essersene accorto. Circa altri 300
maschi la fissavano con occhi fuori dalle orbite. Li avrei ammazzati tutti
volentieri. Come si permettevano anche solo a guardarla? Solo io potevo.
Wow.
E questo cos’era? Gelosia? Sorrisi scuotendo la testa, Lina mi aveva proprio
cambiato.
“perché
sorridi, figliolo?” Felix. Non faceva altro che sfottermi ogni volta che ne
aveva l’occasione.
“Felix,
ricordati che ho una buona memoria.” Gli dissi ghignando.
“cos’era
una minaccia questa, ragazzo?”
“no
un consiglio!” gli dissi un po’ più serio.
Iniziammo
poi a fissarci ostili, 1 minuto, 2 minuti, al terzo scoppiammo a ridere. Io
però non scherzavo veramente, peggio per lui.
Quell’attimo
però fu per me il mio più grande sbaglio. Avevo perso il mio contatto visivo
con Lina, e prima che potessi guardarmi in giro per trovarla, l’aria parlò,
facendomi intuire che lei si stava avvicinando a me. Che diavolo avrei fatto
ora? Cercai di alzarmi per allontanarmi,
ma lei era troppo vicina. Finsi di non vederla e di incamminarmi verso
la parte opposta, ma lei era arrivata velocemente e fermandomi per un braccio
mi aveva costretto a girarmi verso di lei.
Mi
guardava sorridente, tranquilla e con occhi maledettamente felici.
“finalmente
sei arrivato! Ti ho cercato da per tutto. Per un secondo ho temuto che non saresti
venuto. Non sai quanto mi sei mancato oggi!”
Si
stava per avvicinare con il viso al mio, e contemporaneamente vidi gli sguardi
degli altri vampiri tutti fissi su di me, seri.
Iniziai
a odiarmi per quello che stavo per fare. Un odio profondo, che non avevo mai
provato in tutta la mia vita e nei confronti di nessuno. Un odio derivante dal
male che stavo per fare e che le avrei fatto e al quale sapevo non avrei mai
ricevuto perdono. Perché neanche io mi sarei mai perdonato.
“scusami
ma tu chi sei?” le dissi come avrebbe parlato il vecchio Alec.
“Alec
ma stai scherzando, vero? Perché se è così non è divertente!” si era bloccata e
stava diventando seria.
“carina,
guarda che se ti sei fatta qualche ideuccia mentale su di un possibile noi, non
è colpa mia sai!” la guardai ironico. Gli occhi pungevano, volevo piangere, ma
purtroppo quelle lacrime non sarebbero mai scese dal mio viso, però dal suo si.
“sei
veramente un fottutissimo stronzo!”
E
così dicendo se ne andò. In lacrime.
Stavo
per inseguirla, per fermarla, abbracciarla e dirle che era tutta una bugia. Ma
forse era meglio così. Lei sarebbe stata salva, non avrebbe rischiato pericoli,
come la morte, se fosse entrata a far parte del mio mondo.
Ripresi
un certo contegno sul mio volto e mi girai per guardare gli altri, di cui
sentivo ancora lo sguardo puntato su di me.
Li
guardai e con una smorfia dissi “umani”, come se quella parola fosse una
spiegazione ovvia. Ma purtroppo così era. Tutti si misero a ridere ed a
elogiare ironicamente il mio fascino da ruba cuori. Io finsi di ridere con
loro, mentre dentro, morivo per la seconda volta.
Mi
viene da piangere, povero il mio Alec.
Sono
stata troppo cattiva??
Ma
piccole mie.. non sarà così per sempre…
Ditemi
che ne pensate mie belle!!
Un
bacione