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Autore: Inessa    06/01/2006    23 recensioni
Si racconta una leggenda, su questa spiaggia…
Una storia inquietante, che narra di solitudini e di passioni…
…di sogni e di incubi…
…di vita…e di morte. Di anime che ritornano…
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maria Marea

Le onde scure si infrangevano sugli scogli in quella calda notte d’Agosto, lasciando una scia di schiuma bianca al ritirarsi, che costellava per alcuni secondi la piccola spiaggia racchiusa tra le rocce.

Quattro ragazzi incedevano lentamente sulla riva, godendosi la tranquillità dell’aria deserta, cullando l’atmosfera con le loro voci divertite, irrompendo di tanto in tanto con delle allegre risate.

Amici, fratelli, innamorati.

Stavano godendosi le ultime settimane di una calda e piacevole estate: un’oasi privata ritagliata tra le rocce, tra gli orrori di una guerra imperversante, tra timori e paure troppo grandi per le loro coscienze di adolescenti non più innocenti.

Sorridendo compiaciuta ed anche un po’ complice, una ragazza dai capelli ramati, richiamò a se uno degli amici, lasciando in disparte gli altri due, troppo intenti a guardarsi negli occhi per accorgersi di quella piccola congiura alle loro spalle.

Sollevando l’orlo dei jeans smessi, immerse i piedi nell’acqua tiepida della notte, lasciando che le onde la lambissero, scivolando tra i ciottoli.

Sollevò lo sguardo, beandosi della miriade di puntini luminosi che si offriva al suo sguardo, superando le barriere dell’oscurità notturna. La Luna piena era ancora bassa all’orizzonte.

Raccolse i capelli sulla nuca, lasciandosi cullare dalla brezza fresca, dallo sciabordio dell’acqua, dal buio, dalla rara sensazione di precario benessere che la pervadeva in quelle tarde serate.

Lasciò vagare la mente per un po’, oltre l’orizzonte, chiudendo gli occhi.

-Ehi, Gin…ti sei addormentata?-

Chiese il ragazzo dietro di lei, i capelli corvini spettinati, il flebile riflesso delle luci lontane sulle lenti degli occhiali.

Lei sorrise, lasciandosi andare ad una breve risata cristallina, perdonandolo per quell’involontaria irruzione nel suo universo personale. Allungò una mano nella sua direzione, trascinandolo insieme a lei ad irrorarsi.

Pervasi da una lieve euforia, presero a schizzare i due ragazzi rimasti indietro, interrompendo un bacio e causando l’ilarità della ragazza.

Si rincorsero sulla spiaggia per qualche metro, in una giocosa battaglia, per poi lasciarsi andare sfiniti sui sassi, tra risate argentine.

-Siete noiosi.-

Sbuffò la ragazza rossa, osservando affettuosa il fratello e la migliore amica, attratti di nuovo l’uno dall’altra, abbandonarsi in un abbraccio senza degnarla di una replica. Un’ombra di tristezza le attraversò gli occhi castani, per andare subito a rintanarsi tra le onde, silenziosa, ed attenta a non lasciarsi scorgere.

-Chi racconta una storia stasera?-

Chiese ansiosa, con l’aria di una bimba compiaciuta, balzando su a sedere subito seguita dagli altri.

Si guardarono tra loro, posti in semicerchio, alla ricerca di un volontario. Quello che era iniziato come un gioco, all’inizio di quella fuga estiva dal mondo, si era ormai trasformato in un rito.

Ogni sera qualcuno narrava una storia, intrattenendo gli altri. Non importava che fosse vera o inventata, originale o altrui. Doveva attirare l’attenzione. Tenere col fiato sospeso. Divertire, commuovere, impaurire.

Il primo era stato Ron, l’ideatore di tutto. Intenzionato ad intimorire Ginny ed Hermione e, magari, anche Harry.

Tutti gli altri lo avevano seguito, inventando di tutto, fino a quella sera.

-Ron?- domandò ancora Ginny, dopo qualche attimo di silenzio.

-Io ne ho raccontate tante, adesso tocca a voi.- ribattè lanciando alcuni ciottoli chiari.

-Hermione?-

-Niente.- sussurrò abbassando lo sguardo color caffé, spiaciuta per l’impreparazione.

Guardò speranzosa il ragazzo con gli occhiali seduto alla sua destra. -Harry?-

Lui la guardò scoraggiato, scuotendo la testa e lasciando così sparire le sue ultime speranze.

-Sembra proprio che stasera dovremmo arrangiarci.- sussurrò sospirando, pronta a lasciarsi cadere indietro sulla spiaggia, per ammirare ancora quelle stelle, ritirar fuori le sue vecchie ombre e crogiolarsi nella sua tristezza ormai patologica.

-Racconto io stasera, se permettete.-

Una voce esordì improvvisa alle loro spalle, subito accompagnata da una figura alta, vestita di scuro. Tutti sussultarono, prima di riconoscere quel volto che tante volte avevano intravisto sulla spiaggia o tra gli scogli, che aveva spezzato un po’ quel prezioso equilibrio ed impregnato l’atmosfera di tensione.

Senza attendere un invito, prese posto di fronte a Ginny, tra Ron ed Harry, sorridendo compiaciuto ed anche un po’ presuntuoso.

-Allora, mi concedete quest’onore?- chiese con una palese nota di scherno nella voce, consapevole di aver catturato, al suo arrivo, l’attenzione del quartetto.

Lo osservarono diffidenti, pronti a negargli quel ruolo.

Lo avevano incontrato, in quella solitaria zona marittima, qualche tempo dopo il loro arrivo, accettandone loro malgrado la presenza. Sembrava anche lui volersi riparare dagli orrori al di fuori di quell’oasi pacifica e non aveva, fino ad allora, recato fastidi.

-Malfoy…-

-Lascialo raccontare, Ron!- lo interruppe sul nascere la sorella, l’unica a non aver ancora guardato dritto negli occhi il nuovo arrivato. -Non abbiamo alternative, stasera.-

La sua voce, flebile, si confondeva con lo sciabordare delle onde alle spalle, rendendola appena udibile. Nessuno osò ribattere a quello sguardo strano. Calò il silenzio.

-Grazie, piccola Weasley.-

Rispose ancora tagliente il ragazzo biondo, puntando, per il primo di lunghi momenti, i suoi fieri occhi argentei in quelli timidi di lei. Intenzionato a ricevere quello sguardo in cambio.

Attese per qualche secondo che l’attenzione generale gli fosse totalmente dedicata, prima di iniziare, certo del proprio magnetismo, la sua storia.

-Si racconta una leggenda, su questa spiaggia…- esordì, lasciando scorrere lo sguardo bollente sui suoi spettatori, testandone con soddisfazione le reazioni, le variazioni di attenzione, le emozioni.

-Una storia inquietante, che narra di solitudini e di passioni…-

Rese la voce più profonda, più calda, inquinata dal vento tra i ciottoli. Scrutò Ginny.

-…di sogni e di incubi…-

Ricercò il proprio tono schernitore, lo sguardo insolente. Occhi su Ron ed Hermione.

-…di vita…e di morte. Di anime che ritornano…-

Abbassò la voce, fino a farla divenire un sussurro. Con scintillio divertito, squadrò Harry.

-Paura, Potter?-

Un sussurro separò quella battaglia intrisa di vecchie tensioni, un bisogno strano, una necessità dagli occhi castani intensi, dai capelli vermigli e dal volto arrossato.

-Continua…-

E Maria guardava fuori e spariva con la mente
sulla scia dei marinai al di là dell'orizzonte.


Sospirò poggiando la fronte alla finestra. Seguiva con gli occhi le scie bianche, lasciate dai pescherecci in partenza dal porticciolo di paese, intaccare l’azzurro splendente di quel mare mattutino.

Le voci dei pescatori, impegnati già a ritirare i prodotti non venduti al mercato del pesce, riempivano l’aria soffocando qualsiasi altro suono.

Una nave da carico straniera, ancorata al molo, si preparava a salpare, per raggiungere quei mari sconfinati oltre l’orizzonte. Un uomo in divisa scura uscì dall’imbarcazione, controllando le condizioni del tempo con occhio da vecchio marinaio esperto.

Sollevò gli occhi scuri, in direzione di quella bella casa sul mare, riparandosi con una mano dal sole accecante che si rifletteva sulle pareti chiare delle abitazioni. Effettuò un breve cenno di saluto alla donna affacciata al davanzale, ancora in abiti da camera. Un sorriso complice a rivelare che i ricordi della notte precedente non erano stati cancellati, ancora.

Poi abbassò di nuovo lo sguardo per occuparsi della partenza, lasciandole solo la visuale di una testa brizzolata, e di una corporatura non più giovanissima.

Lei si voltò a guardare il letto sfatto, le lenzuola sgualcite da quella notte di fredda passione. Un'altra goccia nel mare delle sue conquiste. Un’altra nuvola nel cielo della sua felicità.

Come guarire un’anima sofferente di solitudine?

Impossibile…

Pensò chiudendo una tenda ed accingendosi a ricomporre il letto.

Innumerevoli tentativi di riempire quel vuoto interiore avevano costellato la sua vita in un solo anno, senza successo. Pensare che aveva abbandonato la sua precedente esistenza perché troppo opprimente.

Almeno, tra quei mille avvenimenti, quegli innumerevoli impegni, avrebbe ridotto al minimo il tempo per pensare. Per scoprire di essere solo un’anima incompleta.

Ed invece era ancora lì, infelice come sempre, e più insofferente nei confronti della vita. Meno disposta a sopportare.

Si spogliò completamente, entrando nella doccia, col desiderio di lavar via presenze ed odori dal suo corpo, troppo ingombranti per farle compagnia. Lasciò l’acqua scorrerle addosso per diversi minuti, quasi a coccolarla. Poi uscì, lasciando la pelle asciugarsi naturalmente.

Le mattonelle fredde si offrirono ai suoi piedi per tutto il percorso fino in camera da letto. Si spazzolò i lunghi capelli vermigli, lisciando i riccioli ed eliminando l’acqua in eccesso. Lasciò che lo specchio vedesse i mutamenti della sua immagine mentre si truccava con precisione.

Si vestì velocemente, lasciando che i capelli umidi si asciugassero alla brezza calda del sud. Scese in strada, salutando con un sorriso i conoscenti, concedendo qualche battuta al proprietario della bottega all’angolo della strada.

Giunta ai piedi di un palazzo dalla facciata bianca, dopo il porto, in un’area non contaminata dall’odore pungente del petrolio, salì le scale fino all’ultimo piano, ritrovandosi in un locale.

Sulla terrazza stavano disposti i tavoli, con sopra le sedie rovesciate. Salutò con garbo il barman del turno mattutino già all’opera e raggiunse la ringhiera, in attesa che iniziasse il suo turno di lavoro.

C’era, lassù, odore di caffè, profumo di brioche appena sfornate. E, in fondo, anche l’odore del mare.

E Maria guardava dentro nelle tasche ai forestieri
e sognava ad ogni incontro di attaccarsi al vento
al vento per andare via.

La vista del cielo che si specchiava nel mare, delle distese oltre l’orizzonte, lì, dove la vista non arrivava, sapevano di avventura, di libertà, di scoperte, di sogni.

Uno yacht bianco che le sembrò immenso, tagliato a metà dai vetri scuri, si dirigeva verso il porto.

Ares III era inciso a caratteri eleganti sulla fiancata.

Un nuovo rampollo dell’alta società forse, che andava a godersi le vacanze il quella piccola oasi pacifica.

In tanti le avevano scaldato le notti, in passato. Nel suo disperato tentativo di trovare la vita, tramite la condizione agiata di un uomo approdato al suo porto personale. Come se le dimensioni delle imbarcazioni di quei pionieri di vita, corrispondessero a maggiori possibilità di attaccarsi al vento e volare via.

In terre lontane. Oltre l’orizzonte.

-Maria?-

Richiamata dal suo datore di lavoro, lasciò spezzare i fili di quei viaggi fantastici, pronta a dedicarsi alle sue attività.

-Sembra che tu conosca molto bene questa ragazza, Malfoy. Sicuro che sia solo una favola?-

Scoccò un’occhiata furiosa al ragazzo dai capelli rossi, tentando di coglierne l’espressione alla luce della Luna.

Detestava essere interrotto.

-Nessuno resterà offeso, Weasley se terrai per te le tue manifestazioni di stupidità.- ringhiò tentando di ritrovare la concentrazione adatta a proseguire. Prese nota degli occhi della ragazza di fronte a sé, diventati improvvisamente lucidi.

E tanto bastò per incitarlo ad andare avanti.

La sera, tra le luci soffuse che illuminavano la spiaggia, i profumi delle trattorie e la musica in sottofondo, quel vecchio paese di mare, che al mattino appariva dimenticato dal mondo, prendeva una forma propria, diventando il ritrovo di molti turisti, alla ricerca di atmosfere magnetiche.

Della brezza che tirava quella mattina era rimasto solo un flebile ricordo, e l’aria appariva immobile, quasi afosa.

Il pianista, su un angolo della terrazza, lasciava che le note si rincorressero sui tasti, tra i tavoli, tra le orecchie della gente, fino a disperdersi nella calma piatta del mare, tra un leggero tintinnio di posate.

Scrisse velocemente sul block notes l’ordinazione della coppia al tavolo ventidue, per poi dirigersi in fretta all’interno, dove già la attendevano le pietanze da portare al tredici. Serata piena, poco tempo per pensare, finalmente.

Servì in fretta, rischiando persino di inciampare, i piatti pieni, elargendo qualche sorriso più o meno spontaneo ai volti più affabili o tristi. Intanto un nuovo cliente, uno straniero forse, dai capelli chiari, aveva preso posto in un tavolo riparato, all’angolo del terrazzo, nel punto in cui il profumo del mare era più intenso.

Decise di raggiungerlo, notando di essere l’unica del personale momentaneamente libera. Prese carta e penna dal taschino del grembiule, pronta ad esordire con voce squillante il suo benvenuto, mentre si avvicinava al nuovo arrivato, apparentemente privo di compagnia.

-Buon…-

Le parole le morirono in gola mentre lui si voltava, piantandole due occhi grigi terribilmente penetranti sul viso.

Lineamenti affilati, capelli chiari, occhi di ghiaccio.

Non si sentiva ancora pronta a quel confronto. Il suo passato, seppur rimpianto, avrebbe dovuto restare rinchiuso tra i ricordi, e quell’improvvisa irruzione nel suo presente la stava spiazzando.

-Signorina, vorrei ordinare…-

La solita voce conosciuta, resa calda e matura dal tempo, la riscosse, lievemente impaziente, dal turbinio di pensieri che avevano preso ad affollarle la mente, estraniandola da quell’universo.

Non l’aveva riconosciuta.

Era stata, in passato, troppo poco degna di nota, poiché qualcuno si ricordasse della sua presenza. E il pensiero che coloro da cui era fuggita non pensassero più a lei, le apparve più insopportabile di quanto avrebbe mai sospettato.

Farfugliò qualcosa, ricordando improvvisamente di trovarsi al locale. Si chinò per raccogliere il block notes che le era scivolato dalle mani, riacquistando la padronanza di sé.

-Prego…-

E Maria imparò di tutto, anche come avvelenare
con la bocca, con il petto, a graffiare come un gatto.

Proseguiva lentamente verso casa, accompagnata dal ticchettare dei tacchi sull’asfalto della banchina. La Luna piena regnava nel manto notturno, illuminando le imbarcazioni.

Il mare era leggermente mosso e il pigro sciabordare dell’acqua sul molo, aveva un effetto rilassante sui suoi nervi tesi e sul suo mal di testa provocato dalla dura giornata di lavoro. Le strade erano deserte, essendo troppo tardi per passeggiare e troppo presto per il mercato.

Una nuova presenza attirò la sua attenzione. Proprio di fronte l’emporio in cui quella mattina si era fermata a chiacchierare, era ormeggiato un grande yacht bianco.

Ares III

Gli stessi caratteri scuri ed eleganti che aveva intravisto sulla terrazza stavano adesso immobili davanti a lei. Le sarebbe piaciuto salirvi a bordo e salpare finalmente facendo rotta verso il suo orizzonte. Ma per quella sera si sarebbe accontentata di quella solitaria casa che si affacciava sul porto. Non aveva rimediato nemmeno una fredda compagnia.

Vide scendere dal ponte di attracco una figura in camicia grigia.

Le puntò gli occhi addosso, fissandola con intensità. Avrebbe dovuto supporre che quella manifestazione aperta di lusso avesse qualcosa a che fare con lui.

-Sei talmente abbagliata dal mio fascino da restare immobile ogni qualvolta mi vedi?-

Era ormai a terra, immobile, con le braccia incrociate al petto. Dalla camicia semi sbottonata, si intravedeva un medaglione con l’emblema di famiglia.

Era lui. Era un ponte col passato che non ricordava nemmeno della sua esistenza. Qualcosa che avrebbe unito passato e presente.

Affondò gli occhi nei suoi, restituendogli uno sguardo bruciante che aveva ormai utilizzato tante volte, fino alla notte precedente. Avanzò lentamente verso di lui, con movimenti felini, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso.

Gli passò provocatoriamente un dito sulla camicia, salendo fino al primo bottone sciolto, percorrendo la sua pelle con le dita gelate.

-Dimostrami di non aver preso solo un abbaglio…-

Si lasciò baciare, mentre lo trascinava, tentoni, fino al portone di casa sua. Lo lasciò andare solo per qualche secondo, mentre apriva, poi si aggrappò di nuovo a lui, salendo nel suo appartamento, incespicando su per le scale.

Entrarono nella sua camera.

Lui la fece cadere sul letto, chinandosi subito su di lei, catturandole le labbra, ricercando la sua pelle sotto la stoffa dei vestiti. Le lambì la gola, la clavicola, il torace.

-Sei meglio di quanto ricordassi.-

Lo scrutò stupita, tentando di farsi spazio tra le sue iridi, mentre una mano di lui sulla gamba le rendeva meno lucido il pensiero.

-Credevi non mi ricordassi di te?- chiese beffardo, continuando a lasciar correre i polpastrelli sulla sua pelle. L’altra mano stretta sulla nuca, tra la cascata di capelli rossi.

-E’ quello che hai dimostrato.- rispose lei flebilmente mordendosi le labbra per soffocare un gemito.

-Credevo fosse quello che volevi.-

Gli scoccò un’altra occhiata, portandogli le mani dietro il collo ed attirandolo a sé.

E Maria lasciò ben poco a quell'uomo che dormiva
una scia di buon profumo in riva al mare e via.

Era sdraiato prono sul letto, dormiva respirando silenziosamente. I capelli biondi erano sparsi sul cuscino ed un braccio le avvolgeva la vita. C’era un tatuaggio scuro su quell’avambraccio pallido, che era a contatto in quel momento con la sua stessa pelle.

Raffigurava un serpente nero. Le faceva uno strano effetto.

Distolse lo sguardo posandolo su quei tratti apparentemente angelici, rilassati nel sonno.

Le lenzuola lo coprivano fino alla base della schiena levigata.

Aveva un profumo pungente, che impregnava la stoffa, l’aria. Se lo sentiva perennemente addosso. Aveva immediatamente cancellato qualsiasi profumo degli uomini che avevano occupato quel letto tempo prima.

Gli accarezzò la schiena con le punte delle dita, piacevolmente attratta da quella consistenza.

Era la prima volta che andasse a letto con un uomo conosciuto.

Era la prima volta che andasse a letto con lo stesso uomo per tanto tempo.

Non era la prima però che andasse a letto con un individuo poco affidabile. Aveva chiamato Ares la sua barca. Le aveva dato il nome del dio della guerra.

Seducente, inebriante, passionale, ma pericoloso.

Lei, navigata ammaliatrice, gli era invece caduta tra le braccia come una giovane inesperta. Gli aveva concesso il corpo, ed anche l’anima. Si era lasciata incatenare, senza possibilità di tornare indietro.

Lo sentì muoversi sopra di lei, disturbato forse dalle solite voci del mattino inoltrato. Scostò lentamente quel braccio che la teneva per la vita, sollevò adagio le lenzuola e scese dal letto.

Non si curò del pavimento gelido, né della finestra aperta. Raccolse velocemente i suoi vestiti sparsi per terra, scovò la biancheria, tentando di salvare quella dignità ormai usurpata, e corse ad indossare degli abiti puliti.

Attenta a non fare il minimo rumore aprì la porta dell’appartamento, pronta a lasciarlo prima pentirsi di quel gesto. Poi, come colta da un lampo, si abbassò a raccogliere i pantaloni di lui per terra, frugò nelle tasche, ed andò via definitivamente, con addosso ciò che era riuscita a rubargli.

Scese in strada, accecata dal sole del mezzogiorno, alla ricerca di una via di fuga. La seconda, nella sua vita. Si voltò solo per un momento verso quella finestra che l’aveva vista tante volte sognare l’orizzonte, prima di sparire per le vie del paese.

Aveva usato del profumo forte quella mattina, sperando che fosse lui, per una volta, ad essere ossessionato dal ricordo del suo odore.

E cosi se ne andò senza idea di dove andare,
prese terra in mille porti, porti da dimenticare.

Si concesse una pausa ad effetto, per accrescere la curiosità del quartetto.

Harry e Ron stavano in silenzio, tentando di dimostrare scarso interesse per tutta quella storia, mentre persino Hermione appariva totalmente estraniata dalla realtà, con gli occhi fissi sul mucchio di ciottoli davanti a lei.

Ginevra sembrava invece incapace di staccare gli occhi da quelli del Serpeverde che le sedeva di fronte. Incatenati da fili invisibili, sguardi che scottavano.

La voglia di fuggire da lui, quando aveva riconosciuto se stessa in quella storia, si era improvvisamente affievolita, vinta dalla forza magnetica che la imprigionava lì, ad affogare in quello sguardo.

Arrossì, voltando il capo.

-Vagò per mesi, nella sua ennesima fuga dalla vita. Disprezzandosi persino, per aver trovato il modo di riempire la propria esistenza abbandonandosi all’incarnazione del male.-

Il fischio del vento riempì il silenzio.

-Poi, accompagnata dalla disperazione, troppo indegna per tornare dai remoti affetti, ancora violata da esperienze da dimenticare, approdò alla sua ultima spiaggia…-

Maria marea oltremare c'è sempre altro mare
e di più.
Maria marea con le ombre più amare nel cuore
e di più, e di più.

Osservava da ore quella figura sulla spiaggia che avanzava lentamente, apparentemente senza meta. Aveva varcato i suoi orizzonti, ma evidentemente non aveva trovato ciò che sperava. Tutte le sue speranze si erano rivelate mere utopie, vero Maria?

Trangugiò l’ennesima tequila, chiudendo gli occhi.

Era a bordo dell’Ares III, come quotidianamente ormai da molti mesi, invischiato in loschi affari. E beveva.

La barba bionda incolta, i capelli scarmigliati. Quando quella piccola sirena l’aveva abbandonato l’aveva stravolto più di quanto avrebbe mai voluto dare a vedere. Aveva desiderato non incontrarla mai più…eppure il suo desiderio non era stato esaudito.

Il pessimo senso dell’umorismo del destino, l’aveva portato ad attraccare in quella spiaggia. E adesso la stava osservando attraverso i vetri scuri del suo yacht, curioso di scoprire dove l’avrebbe condotta quella passeggiata solitaria.

E Maria non incontrò mai cuori buoni e intelligenti,
solo il petto dei cattivi, tatuato coi serpenti.

Si fermò ad osservare il serpente sul suo avambraccio sinistro, ed abbassò istintivamente la manica. Iniziava a rinnegare la sua essenza, forse?

Aveva visto tante volte gli occhi di lei soffermarsi su quello sfregio, con un singolare sguardo, a metà tra l’affascinato e l’impaurito. Chissà, magari anche la mattina in cui era scappato via l’aveva visto. E magari sfiorato.

Mandò giù un altro bicchiere, mentre quella donna, lì fuori, si avvicinava pericolosamente all’acqua. Spense le luci, intenzionato a vederla meglio, sotto il solo riflesso lunare.

E Maria, la principessa era rosa troppo rossa
per potersi far toccare da amori senza amore.


L’acqua era tiepida, nonostante la temperatura esterna fosse piuttosto bassa. Incurante del vestito zuppo, si immerse fino al ginocchio. La stoffa galleggiava nell’acqua, creando uno strano gioco di forme.

Effettuò qualche altro passo, sentendo il fondale sempre meno consistente.

Si leccò le labbra. Erano salate.

Anche lui, alcune notti, quando si incontravano, aveva un sapore salmastro. Forse a causa dell’acqua del mare, o magari solo dell’aria circostante. Non gliel’aveva mai chiesto.

Non gli aveva mai chiesto nulla. L’aveva amato, a modo suo, e basta.

Poi era scappata via, ormai esperta fuggitiva, quando si era resa conto di esserne troppo succuba. Quando il peso di essersi lasciata usurpare da amori senza amore, si era fatto schiacciante.

Troppo tardi per i moralismi, Maria.

Adesso si ritrovava su una spiaggia, ancora con la sensazione di avere lo sguardo bruciante di lui marchiato a fuoco sulla pelle. Una presenza assente divenuta insostenibile. Quell’acqua calda invece, sembrava alleviare il dolore.

Sembrava rendere tutto più leggero.

Fuori era freddo.

E cosi se ne andò con l'idea di dove andare
camminò sulla marea, prese l'onda e l'abbracciò.

Si lasciò sommergere.

Le orecchie diventate insensibili. I capelli che fluttuavano nel mare, ed anche la stoffa del vestito.

Maria marea sotto il mare c'è sempre più mare
e di più. Maria marea affondare è un po' come volare
e di più, e di più.

Divenne leggera, non sentì più nulla.

Nelle notti di troppa luna
quando il passato balla col presente
sull'isola nella corrente
c'è chi vede Maria ritornare alla sua prima spiaggia.
Maria, la sirena regina selvaggia,
pioggia dolce e pungente sul cuore,
allegra sfortunata e veloce come un pesce volante,
stella che sbaglia cielo e cade,
imbrogliona innocente.

Ron rabbrividì, mentre Hermione tentava di evitare che le lacrime di commozione che le inumidivano gli occhi scivolassero giù.

Harry manteneva gli occhi fissi sul mare, un po’ inquieto.

-La sua anima ritorna! E questa…- disse Draco sottovoce, indicando con una mano l’ambiente circostante -…è la sua prima spiaggia…-

Nonostante tutto, Malfoy aveva raccontato una bella storia.

Maria che sognava tutto e niente…

Camminò a lungo sulla riva, tra le onde divenute ormai alte. Incedeva lentamente, intervallando con mille pensieri ogni passo, lasciandoli danzare alla luce della Luna piena.

Lo sciabordio era più forte, le entrava nella testa, rilassandola nonostante tutto. Si sentiva leggera, o forse vuota, un’anima libera. I capelli ondeggiavano al vento meridionale che si era alzato in quelle poche ore, i raggi lunari la illuminavano donandole un aspetto etereo.

Le mani aperte dondolavano accanto ai fianchi, seguendo la sua lenta marcia.

Giunse al limitare della spiaggia, dove iniziava la scogliera. Salì più in alto, si arrampicò fino in cima ad una roccia, tagliandosi i piedi e assaporando il profumo del mare trasportato dalla corrente. Lasciò che gli spruzzi provocati dall’infrangersi delle onde sugli scogli le bagnassero il viso e l’ampia casacca che indossava, gonfiatasi per via del vento.

Era in alto. Molto in alto.

Le luci delle spiagge lontane si specchiavano sul mare, il suono lontano di una chitarra acustica si confondeva con lo sciabordio sotto di lei. Chiuse gli occhi, rallentando i battiti ed assaporando con tutti i sensi l’atmosfera.

Finalmente guardò giù mentre, per via dell’acqua salata, sentiva i piedi bruciare laddove la superficie irregolare delle rocce l’aveva ferita.

Il moto delle onde la ipnotizzò. Avanti, indietro.

Avanti.

Indietro.

Come un valzer.

La schiuma candida risaltava sull’acqua scura, riflesso della notte.

E la attraeva. La affascinava.

La richiamava a sé, come un gioco proibito.

-Basterebbe un passo per farla finita…-

Non si stupì nel sentire quella voce. L’aveva quasi attesa. Quel timbro caldo e avvolgente, quel tono profondo. Accompagnato dall’acqua e dalla musica.

Mantenne fisso lo sguardo sul fondale scuro, pur di non affrontare quegli occhi grigi.

Percepì i suoi movimenti felini dietro di sé, mentre si sedeva su uno sperone di roccia.

-Che fai?- chiese senza voltarsi, sentendo adesso il vento nelle orecchie.

-Sono curioso di scoprire se lo farai davvero…-

Percepiva il sorriso nelle sue parole, privo di scherno. Strinse i pugni sui fianchi, vacillando. Era una fantasia. Una via di fuga che spesso l’aveva tentata. Che, come aveva dimostrato lui quella sera, narrando quella storia, avrebbe costituito il perfetto finale della sua vita.

-La storia che hai raccontato stanotte…-

Occhi fissi in basso, pausa…

-…è vera?-

Chiese con voce flebile, mentre la voglia di spostarsi di lì la coglieva. Avrebbe voluto sedere anche lei su quelle rocce, e smettere finalmente di credere di trovarsi in bilico tra la vita e la morte.

-Forse…- rispose lui laconico. -Io non vedo ancora alcun fantasma, però. Vedo solo una rosa troppo rossa.-

Ancora quel timbro. Quella profondità. Quella voce che aveva riempito le sue notti di troppa Luna, in una vita solitaria, sussurrandole tra i capelli, come il vento.

-Un stella che ha sbagliato cielo ed è caduta giù…-

Un bisbiglio. Un movimento alle spalle.

Due mani le si poggiarono in vita. Non era solo il vento adesso a sussurrarle tra i capelli. Sul collo, sfiorandola con le labbra.

-Voglio sapere da te se quella storia è vera.-

Lasciò ancora le proprie mani a dondolare nel vuoto, troppo incerte per fidarsi e lei troppo stordita per lasciarle andare.

Deglutì, tentando di mandar giù quel peso che le impediva il respiro.

-Lui, l’uomo tatuato…- chiese finalmente, sudando freddo, mentre i ricordi la sommergevano, incitati dalla pelle di lui sulla gola. -…la amava?-

Una mano gelata le strinse con forza il polso, costringendola senza delicatezza a voltarsi. Sentiva il suo fiato sulle guance adesso, il suo respiro accelerato, l’aria e l’acqua intorno a loro. E quella chitarra acustica ancora lontana.

La attirò possessivamente contro di sé, mentre il contatto li lasciava fremere.

Una mano alla base della schiena, lo sguardo imperscrutabile.

-No, lui no…perché non le impedì di abbracciare l’onda.-

Due sorrisi spontanei balenarono sui loro visi. Poi si fusero in un contatto di labbra.

In un bacio, che raccontava…

…di passioni senza solitudini…

…di sogni senza incubi…

…di vita…senza morte. Di anime che si ritrovano…

…ma è sempre meglio sognare troppo che non sognare
ed è meglio vivere un'ora che non esser mai nati
ed è meglio essere indimenticabili
…che dimenticati.

Fine…?

Che ne dite? Io, ad essere sincera, non ne sono pienamente soddisfatta…come sempre del resto!^^ Faccio parte del club degli eterni scontenti!!

Vi sarò grata se mi farete sapere che ne pensate!^^

P.S.: naturalmente i versi che compaiono non appartengono a me, ma agli zietti Pooh^^ e ciò che io ho trasformato in leggenda è in realtà una delle loro canzoni (Maria Marea, appunto). Due delle scene che ho utilizzato sono tratte dal videoclip.

   
 
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