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Autore: Geil_Flynn    20/02/2011    4 recensioni
Soprattutto per amanti della magica  Éire, l'Irlanda.
 
Due vite, quella di Emer, una ragazzina di quattordici anni rinchiusa nella prigione di Kilmainham Gaol per la sua voglia di libertà e la sua estrema intelligenza e quella di Eamon de Valera, famoso rivoluzionario irlandese, che cerca a tutti costi di salvare l'Irlanda dall'oppressione inglese.
Le loro vite così diverse, ma così incredibilmente uguali si incroncieranno, così come i loro destini e insieme, cambieranno la sorte della splendente Isola di Smeraldo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dia duit a tutti... Che dire... Questo è il primo capitolo, dopo il mio 'bellissimo' prologo... XD

Spero che vi piaccia.

Ringrazio Phoebe Estelle Evans e Il Saggio Trent per aver recensito lo scorso capitolo. Grazie mille, vi mando un sincero abbraccio!

Grazie ancora e Phoebe Estelle Evans per aver messo la storia tra le preferite. Non ti stanchi mai, eh, Phoeb?

Grazie a... (oddio) Niji_Shoku no Yume (Cla, ce l'ho fatta!! XD) per averla inserita trai preferiti.

Grazie, grazie, grazie!

Buona lettura...

 

Alex Jimenez

 

P.S. Per leggere le traduzioni delle frasi in lingua straniera evidenziate tutto il capoverso =)

 

 

 

 

First Chapter: Spirit Of An Irishman

 

 They have nothing in their whole imperial arsenal that can break the spirit of one Irishman who doesn't want to be broken. (Bobby Sands)

 

Loro non hanno nulla nel loro intero arsenale imperiale che può spezzare lo spirito di un Irlandese che non vuole essere spezzato.

 

 

 

19 gennaio 1916, ore 17.22

 

Oggi l’Inglese Capellone è venuto a prelevarmi per un interrogatorio.

L’Inglese Capellone è un soldato britannico, che lavora nella prigione di Kilmainham Gaol. Ha i capelli molto, molto folti (da qui il soprannome), biondi. Si chiama Simon Sinclair, se non erro. Ma io preferisco continuare a chiamarlo Inglese Capellone. Mi da un specie di puerile soddisfazione.

Pensate che io sia infantile? Non lo sono.

Sono solo una bambina (perché relativamente sono proprio questo) in prigione.

Mio padre è un psicologo.

O meglio lo era.

Sostiene che un’avversità affrontata da un bambino, o da un ragazzo relativamente giovane, centuplica la sua gravità, rispetto a quella di un normalissimo adulto.

Ora, vorrei aprire una piccola parentesi su questo.

I giovani sono coloro che sopportano meglio di tutti le disgrazie, però sono quelli che più ne rimangono traumatizzati.

Come il ragazzino che ho visto oggi, mentre l’Inglese Capellone mi portava nella stanza degli interrogatori.

Un donna in lacrime, urlava disperatamente stretta in una morsa letale di un britannico in divisa. Continuava a gridare frasi sconnesse in gaelico che non sono riuscita ad afferrare. Infondo al corridoio c’era un bambino. Un vero bambino, alto al massimo un metro e dieci, con capelli biondi e occhi azzurri. Un piccolo angelo, di una bellezza pura e infantile.

Non era bello però, mentre gridava con tutto il fiato che aveva in gola, con tutta la forza che la sua vocina sottile riusciva a trasmettere.

Mi ha spezzato il cuore.

Sua madre ovviamente stava per essere portata nel retro, per la fucilazione.

Sono rimasta immobile.

Quando la madre è sparita oltre la porta e quest’ultima è stata chiusa, il soldato britannico che teneva il bimbo lo ha lasciato. Lui si è buttato in ginocchio e ha continuato a singhiozzare. Mi ha fatto così tanta pena.

Mi sono avvicinata a lui e le ho fatto un’impacciata carezza sulla testa con le mani ammanettate. Lui ha alzato la testolina bionda e mi ha guardato a lungo con gli occhi pieni di lacrime.

Art thou láidir” gli ho detto. Ha annuito, mentre gli occhioni turchini si riempivano di lacrime. “Sii forte”

“Ragazza!” L’Inglese Capellone è venuto a disturbarci e allora mi sono avviata mestamente dietro di lui, lanciando un’occhiata nostalgica al bimbo.

Prima che la porta della stanza degli interrogatori si chiudesse mi ha gridato, con la sua vocina sottile:

“Mi chiamo Neal!”

Gli ho sorriso tristemente, e subito un soldato gli ha chiuso la bocca con la mano e l’uscio della sala si è chiuso.

La stanza degli interrogatori non è granché, ma in confronto a tutto il resto della prigione è la parte più agiata.

C’era un tavolo in legno, con un paio di soldati attorno. C’era una boccetta d’inchiostro e un mucchio di fogli. Quello che scriveva era seduto su una poltrona. Sembrava un maradja, ma in realtà era solo un idiota.

Mi hanno fatto sedere su una sediola di legno e il Maradja ha ordinato che mi legassero i piedi.

Bastardo.

Oltre ad ammanettarmi le mani mi ammanetti anche i piedi?

Bastardo.

“Nome”

“Emer McCabe”

Il Capellone che stava stendendo il verbale mi ha guardato perplesso.

“E-M-E-R-M-C-C-A-B-E” ho sillabato.

“Sappiamo come si scrive!” ha abbaiato il Maradja.

Ha lanciato uno sguardo al foglio del Capellone ed è arrossito.

“Correggi” ha mormorato poi, facendomi sorridere.

“Emer McCabe di?”

“Phineas e Niamh McCabe”

“Stato civile?”

“Nubile. Ovviamente” un’occhiata ostile a questa mia ultima presa in giro.

“Altri famigliari?”

“Tutti deceduti, tranne mia sorella Haley e i miei fratelli Finn e Killian”

“Sotto arresto per?”

“Mia sorella ha rubato una mela, una pagnotta e un pezzo di formaggio dal magazzino della città”

Uno sguardo furioso.

“Sicura, signorina?”

Imbecille, idiota, deficiente. Lui sapeva.

“Cosa vorrebbe dire?”

“è qui sotto arresto solo perché sua sorella ha rubato?”

“ E per che altro, signore?”

“Non lo so… per partecipazione a movimenti rivoluzionari, sette segrete…”

“Non risponderò a questa provocazione. E chi ha orecchi per intendere, intenda”

Tutte le guardie mi lanciano un’occhiata a metà tra l’ammirato e l’offeso.

“C’è chi è stato fucilato per molto meno, lo sa, signorina McCabe?”

“Me ne rendo perfettamente conto, signore. State per uccidere mio fratello”

Il Maradja sembra drizzarsi sulla sedia.

“Suo fratello è stato condannato?”

“Sissignore”

“Quando?”

Ha alzato un sopracciglio.

“Ieri”

“Come si chiama?”

“Killian McCabe”

È calato un silenzio, stupefatto. Motivo piuttosto evidente.

“Quindi lei ammette che la sua famiglia è un’attiva partecipante della famigerata e introvabile Donnybrook Company”

Sono rimasta in assoluto silenzio, senza parlare. Il Capellone ha fatto un mezzo ghigno provocatorio, mentre il Maradja sembrava spazientirsi.

“Killian McCabe è stato condannato per prove inconfutabili di partecipazione a movimenti rivoluzionari!”

Rimango in silenzio. Non c’è bisogno di ricordarmelo. Lo ricordo bene anche da sola, soprattutto di notte, quando ho i miei terribili incubi.

“Basta così, toglietemela dalla vista” ha sputato rabbiosamente il soldato. L’ho guardato, senza espressione. Il Capellone si è alzato e con delicatezza mi ha slegato i piedi e mi ha afferrato per un braccio.

Sono stata trascinata via, ma sull’uscio il Maradja ha sbottato:

“Signorina McCabe”

La sua voce era senza colore, stanca e devastata.

“Domani all’alba sarà il turno di suo fratello. Verrà anche il suo”

La porta si è chiusa, la serratura è scattata e io sono stata riportata indietro.

Il Capellone mi ha condotto verso la mia cella, ma prima di arrivare alla stanza mi afferra per i polsi, con violenza e si china leggermente sul mio viso.

“McCabe” ha sibilato a due centimetri dal mio viso “Devi smetterla, dannazione.”

Ammetto che forse (forse) per qualche istante ho avuto un’espressione perplessa in viso.

“Sto cercando di aiutarti, Emer. A te, ai tuoi genitori e ai tuoi fratelli. Perché non collabori?”

Come posso credergli? Eppure i suoi occhi erano così sinceri e puri. Come se sotto a quella zazzera bionda ci fosse un’altra persona. Mi ha chiamato per nome. Ha nominato la mia famiglia. Ha usato il verbo “aiutare”.

“Non ho bisogno del suo aiuto” l’ho visto sospirare, abbassare la testa, mentre il ciuffo di capelli chiari gli scivolava sul viso. “San Giorgio, aiutami tu”. È rimasto in quella posizione per qualche minuto, dopo di che ha rialzato il capo, si è frugato in tasca e ha tirato fuori le chiavi della mia cella. Mi ha spinto dentro, ma con un insolita delicatezza. Ha richiuso la porta dietro alle sue spalle, senza prima lanciarmi uno sguardo di rimprovero. L’ho guardato anche io, alzando un sopracciglio, scettica e lui si è dileguato.

Mam mi si è subito buttata addosso, abbracciandomi e baciandomi come un’assatanata.

“La mia bambina, la mia bambina, mo leanbh!” ha strillato.

Haley è scattata in piedi dietro di lei, con i capelli rossicci tutti scompigliati.

Ogni volta che vedo mia sorella qui dentro, mi sento orribilmente. La sua bellezza diafana e pura se n’è andata per sempre. Il viso, prima gioviale e sorridente, è sciupato e invecchiato tutto d’un colpo. Ha poco più di diciotto anni, eppure c’è qualche filo bianco tra la sua folta chioma.

Finn, mio fratello di sette anni, era seduto in un angolo, affianco a Daidì, con un ghigno sulle labbra. 

“Mam, va tutto bene!” ho gridato io. Finn si è messo in piedi e ha tirato via mia madre da me.

“Mam! Lo sai com’è fatta Emer. Gli avrà fatti a pezzi quelli!”

Mam lo ha guardato con un occhiata di rimprovero.

“Finn…” l’ha ammonito Haley. Gli occhi grigi vanno spegnendosi, giorno dopo giorno. Kilmainham Gaol la sta distruggendo lentamente, sia dentro che fuori.

“Che c’è, Haley?! Questo posto è un mortorio, se non ci sono io a rallegrare le cose…!”

“Questo posto è una prigione!” grida Mam.

Ignoro le grida. Sono sempre stata brava ad isolarmi dal mondo esterno, e ad estraniare le mie emozioni. Mi avvicino all’angolo della cella, di ventotto metri quadrati esatti. L’abbiamo misurata con un nastro io e Finn. Sapevo che il cordoncino del mio vestito misurava un metro esatto. Ci abbiamo impiegato una mezz’ oretta buona, ma ce l’abbiamo fatta. Una cosa inutile forse, ma tutto pur di rompere la noia. Forse ci ha dato una speranza, non lo so bene…

Mi siedo nel cantuccio più buio, ignorando lo sporco  il sudiciume. Guardo i due corpi inermi contro il muro.

“Emer” un rantolo proveniente da quello che un tempo era Killian McCabe. Penso che ora sia solo il suo spirito, la sua ombra, una sua traccia. “Li hai distrutti, eh?”

Ho fatto un mezzo sorriso e ho annuito.

“L’ho fatto per te.”

“Grazie” la sua voce si è spenta a metà di una parola così semplice. Killian e il suo smisurato orgoglio hanno sempre avuto difficoltà a dirla. E ora?

Dov’è mio fratello Killian?

Mi sono chinata su di lui e ho mormorato:

“Come sta Daidì?”

Killian ha fatto uno strano verso, a metà tra un grugnito e una risata.

“Male. Come vuoi che stia. È uno zombie”

“Parla?”

“Non molto. Dice sì, no…”

“Mangia?”

“Poco”

Ho sospirato. Killian McCabe se ne sta per andare. Phineas McCabe sta lentamente sparendo. Haley McCabe sfuma. Niamh McCabe sta diventando isterica. Finn McCabe è solo un bambino.

Ma Emer McCabe?

Di solito mi viene facile trattenere le lacrime, ma stavolta no.

 

 

Emer

 

 


Dublino, 19 gennaio 1916, ore 15.25

 

 

- Ti prego, Eamon, entra – Seamus Minogue sorrise al suo grande amico, mentre i suoi occhi azzurri luccicavano. I capelli chiari erano scompigliati dal vento entrato dalla porta.

- Buongiorno, Seamus – Eamon entrò, togliendosi il capello. Si rimise la pipa in bocca e aspirò avidamente il tabacco.  

- È una splendida giornata, non trovi anche tu? – cominciò il signor de Valera – Cielo terso, una dolce aria che da all’atmosfera un non so ché di… -

- C’è stato un attacco degli Inglesi – sbottò Seamus. Eamon si bloccò.

- Attacco?! Come?! – gridò. Cercò nello sguardo del suo amico un barlume di scherzo, di ilarità, ma non lo trovò. Camminò concitatamente nel corridoio. – Impossibile, impossibile! - Aprì la prima porta a destra. Un tavolo circolare stava in mezzo alla stanza, con intorno tutte le più importanti figure della Donnybrook Company.

- Che diamine significa?! Quando?! Io dov’ero? Chi, chi ci ha tradito?!

- Eamon, maledizione! – una voce femminile interruppe quel flusso di parole dettate dalla paura e dalla collera. Era stata Sinéad Flanagan, ormai signora de Valera da sei anni. – Calmati – aggiunse, più dolcemente.

Lui spense la pipa con un gesto secco, la buttò sul tavolo, sedendosi. Seamus fece lo stesso.

- È stato ieri. Tu eri appena andato via – cominciò Sinéad, lentamente – Io ero ancora qui, sono riuscita a fuggire appena in tempo con Seamus.

- È stato Alexander McAulay a tradirci – proseguì Seamus.

Il pugno chiuso di Eamon tremò dalla rabbia.

- Maledetto scozzese – asserì Thomas McDonagh, uno dei maggiori rivoluzionari – Sapevo che non potevamo fidarci di lui.

- Hanno preso i McCabe. – Eamon sobbalzò sulla sedia – Tutti. Killian, Phineas, Niamh, Haley. Perfino la piccola Emer e il minore, Finn.

- Sono a Kilmainham Gaol – aggiunse Sinéad, abbassando il capo – Rinchiusi.

- Condanne? – mormorò Eamon, flebilmente. L’unica donna della compagnia alzò improvvisamente lo sguardo, Seamus si mosse a disagio sulla sedia, gli altri cercarono di evitare gli occhi smeraldini di Eamon.

- Domani ci sarà l’esecuzione di Killian – sussurrò Sinéad, sempre con la testa bassa – Probabilmente fra pochi giorni ci sarà anche quella di Phineas. Per Niamh, Haley, Emer e Finn non hanno ancora schiaccianti prove.

Eamon puntellò i gomiti sul tavolo di legno.

- Non può essere…

Si sentì frustrato, inutile e impotente. Lui, Phineas e Seamus erano come fratelli da quando non erano che dei ragazzini. Phineas era il più accanito rivoluzionario che aveva mai conosciuto, il più legato a Erin, alla loro Erin. Si ricordò dei giochi, delle lunghe chiacchierate, delle pinte di Guinness che bevevano al sabato, il giorno del loro diploma… Ora dove stavano andando tutti quei ricordi? Forse se ne stavano andando con lui.

Eppure Phineas avrebbe detto che ne era valsa la pena per Erin.

E allora perché in quel momento gli sembrava di combattere per una causa senza uscita?

Il silenzio più assoluto era crollato nella stanza. Fu Sinéad a rompere la tensione, dopo qualche minuto:

- Eamon… riusciremo a liberarli.

Lui la ignorò.

- La riunione della Donnybrook Company è chiusa – annunciò in modo solenne, alzandosi. Riprese la sua pipa, la riaccese e uscì fuori dall’edificio, facendo sbattere la porta.

- Vado con lui – Seamus si mise in piedi, e prese la giacca che era appesa sull’attaccapanni.

- Minogue! – gridò Thomas, infervorandosi – Ha appena perso suo fratello, lascialo solo!

- Diabhal! Phineas era come un fratello anche per me, o forse se ne è dimenticato, Mr McDonagh?! – rispose Minogue, allacciandosi i bottoni del cappotto. “Maledizione!”

- Eamon è quello che soffre di più per ogni guaio che passiamo. – intervenne Sinéad, tristemente.

- Sono tempi duri per tutti, bhean uasail. – protestò Thomas. “Signora”

- Mio marito si sente in colpa, Mr. McDonagh. – replicò lei, con le iridi azzurrine brillanti di frustrazione.

- Mrs De Valera – esordì Seamus, dolcemente. – Lei sa meglio di tutti noi come sia forte, ma al contempo instabile il carattere di Eamon. Potrebbe combinare qualche stupidaggine, di cui dopo cinque minuti si pentirebbe. Mi lasci andare con lui.

Sinéad sospirò.

- Non combinare nemmeno tu qualche stupidaggine. – si alzò in piedi e riprese il suo cappotto. – Vado a casa. I figli, malgrado tutto, reclamano una donna in casa.

Seamus scappò fuori, e Sinéad sentì i tacchi delle sua scarpe battere sul selciato. Sapeva che Seamus sarebbe riuscito a far ragionare suo marito, ma non poteva fare a meno di essere inquieta.

- Mrs De Valera – si voltò e il viso indurito dalla paura si sciolse in un sorriso.

- Pádraig. – guardò il giovane uomo, il più geniale e brillante fra i componenti della Donnybrook. Il suo profilo deciso, con il naso sporgente, i capelli neri tirati indietro sulla testa, gli occhi grigi erano decisi e profondi. Pàdraig Pearse aveva a malapena un diploma, eppure faceva parte della Donnybrook, della Gaelige League. Inoltre era il fondatore degli Irish Volunteers.  

- Mrs De Valera – ripeté lui, con la voce calda e profonda.

- I tempi sono difficili, me ne rendo conto. Ma è solo di questo che ha bisogno la nostra Erin per maturare. Finiranno presto, e potremo essere finalmente la Repubblica D’Irlanda.

Sinéad lo guardò, con gratitudine.

 

Seamus correva il più velocemente possibile sul ciottolato. Dio solo sapeva cosa Eamon avrebbe potuto fare in preda alla frustrazione e alla tristezza. Andare al Parlamento inglese con una bomba, distruggere casa sua, o addirittura uccidere qualcuno.

Con la sua falcata regolare, ancora rapida fortunatamente, si avviò alla fine di Ferry Road, dove aveva lasciato il suo cavallo. Tirò giù le staffe e salì in un balzo. Accorciò le redini e con gli speroni diede un colpo ai fianchi di Spencer. Lui nitrì, e galoppò per le strade della fiorente Baile Átha Cliath. Si fermò al bivio tra Mercy Street e St. James’ Avenue, preso da un dubbio atroce.

“Se fossi Eamon, dove andresti?”

Rispose senza esitazione e svoltò in Mercy Street, alla volta di Kilmainham Gaol.

 

Eamon marciava con solennità, verso la famosa prigione, guardando le lastre di pietre che calpestava con gli stivali di pelle. Sentiva il cuore battergli all’impazzata. Il fumo della pipa lo stordì, in modo quasi piacevole, da permettergli di attutire il doloroso fuoco che ardeva nel suo petto.

“Hanno preso i McCabe”

“Eamon… riusciremo a liberarli”

“C’è stato un attacco degli Inglesi”

“Domani ci sarà l’esecuzione di Killian”

Chiuse gli occhi e si fermò. Era in prossimità del Phoenix Park, presto avrebbe raggiunto Kilmainham Gaol. Proseguì per Circular Road, a passo veloce. Tutti i quartieri erano vuoti, ormai era ora di pranzo, tutti erano nella propria casa a mangiare quel poco che era rimasto loro. Eppure per gli Irlandesi il pasto era un momento sacro, in cui tutta la famiglia si riuniva davanti ad un tavolo.

Svoltò all’angolo tra Circular Road e Lewis Avenue. Eccola, l’edificio più orribile e cruento d’Irlanda. Dove migliaia di migliaia di ribelli irlandesi venivano imprigionati, o deportati in Australia… Rabbrividì. Avrebbe potuto esserci anche lui tra quelli. Lui e la sua maledetta fortuna. Era sempre stato fortunato. Aveva avuto due genitori meravigliosi, Juan e Catherine erano stati così comprensivi con lui. Aveva una sorella meravigliosa, Paula, che lo aveva sempre sostenuto. Era il più intelligente a scuola, il ragazzo con i migliori voti di tutto il ginnasio. Aveva sposato la donna più bella di Dublino, che approvava le sue idee rivoluzionarie. Aveva quattro bellissimi bambini: Eamon di sei anni, Vivion di cinque, Mairin di tre e Brian di appena nove mesi. Aveva dall’infanzia due grandi uomini che lo accompagnavano in tutto per tutto, come fratelli.

Eppure, ora, avrebbe dato tutta la sua fortuna, i pochi soldi che aveva, o addirittura la sua vita purché Phineas e la sua famiglia uscissero da lì.

Sentì dei passi dietro di lui e, prima ancora di sentire la sua voce, seppe che era Seamus.

- Dimmi,Eamon – esordì, con la voce spezzata e il fiato corto – Da uno a dieci… quanto sei imbecille?

Eamon rimase in silenzio.

- Mi permetto di rispondere io. – una piccola pausa, il respiro sempre meno affannoso – Dieci!

Eamon seguì con lo sguardo lo svolazzare al vento della bandiera inglese su Kilminham Gaol. Sputò a terra.

- Senti, Eamon, dannazione! Non fare la vittima, a tutti dispiace per Phineas! Ma nessuno di noi vuol lasciare la missione Erin per questo!

Un sospiro e un rumore sordo. Probabilmente Seamus si era appoggiato al muro in pietra.

- Non ho mai detto di volere abbandonare Erin.

- Allora provacelo, diabhal! Fear thú nó coinín? “Dannazione! Sei un uomo o un coniglio?!

- A fear... – borbottò Eamon, mettendosi le mani nelle tasche. Seamus era sempre stato il più forte tra di loro e il più coraggioso. Adorava questi modi di dire, lo facevano sentire un leader. “Un uomo”

- E allora agisci come tale! – gridò Seamus, tirandogli una poderosa pacca sulla spalla - Erin go bràgh! Dillo, con me, dai! “Irlanda per sempre!”

- Erin go bràgh – biascicò Eamon, debolmente. Eppure apprezzò quel modo di fare. Sapeva che sotto sotto Seamus gli stava dicendo: “Amico mio, ce la faremo, tutti insieme supereremo anche questo ostacolo”. Sorrise, sapendo che Seam non avrebbe mai detto una cosa del genere.

- Ottimo! Allora, adesso, signor de Valera, si muova e venga con me! Sua moglie è già a casa, e scommetto che ha bisogno di lei!

Sentì i suoi passi decisi per Circular Road e, con uno scatto, Eamon si voltò e lo seguì.

Camminarono in silenzio per le vie, finché non arrivarono al posto in cui avevano legato i propri cavalli. Sempre in assoluto silenzio tirarono giù le staffe e montarono. Accorciarono le redini, e improvvisamente Eamon ruppe il silenzio:

- Ti ricordi che Daniel O’Connell ci aveva parlato di una rivolta?

Le sue iridi smeraldine si accesero di una luce nuova.

- Il piano dell’Easter Rising, intendi?

Eamon annuì.

- Che diavolo hai in mente?

Eamon non rispose, beffandosi del tono preoccupato di Seamus, e strinse le ginocchia, mentre gli zoccoli di Capall percorrevano la città.

   
 
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