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Autore: crazyfred    20/02/2011    17 recensioni
Il destino può cambiare in un momento. Due anime scontrarsi e fondersi in un solo istante, senza preavviso, legate per non staccarsi mai. Non era lei quella che immaginava e quello non era il luogo che aveva in mente. Ma lui la guarderà negli occhi ... e saprà di non essere solo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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When you crash in the clouds - capitolo 01

When you crash in the clouds










Capitolo 1 

Do not stand at my grave and weep


"Tyler ..." la voce di Aidan continuava a blaterare informazioni senza senso che avrei fatto bene a tenere in mente, ma non era proprio giornata. A dirla tutta, non era giornata da un anno.

Micheal era morto da un anno e la mia famiglia aveva organizzato una cerimonia di commemorazione davanti alla sua tomba. Ci sarebbero stati tutti ma proprio tutti, per quel figlio tanto amato. Mia madre e il suo nuovo marito, di cui facevo sempre fatica a ricordare il nome da un anno a questa parte, da quando cioè i miei migliori amici erano diventati Tequila e Camel. Ci sarebbe stata la mia adorabile e adorata sorellina Caroline, la nostra piccola artista, un talento immenso racchiuso in un corpo così piccolo. E ci sarebbe stato anche lui, Charles, l'unico uomo sulla faccia della terra a portare degnamente il nome degli Hawkins, secondo un suo medesimo parere. Era dal giorno seguente il funerale di mio fratello che non lo vedevo, quando ero andato a prendermi quelle due o tre cose che Micheal aveva deciso di lasciarmi: i suoi libri, la sua chitarra, tutto quello che nostro padre gli aveva negato in nome di un successo e di un futuro solido e sicuro, ma che a Mike andava troppo stretto.
"Tyler" continuava imperterrito il mio coinquilino "ricordati che questa settimana tocca a te occuparti delle pulizie di casa, non ho intenzione di vivere in un porcile". Diceva così ogni settimana, ma il suo turno non arrivava mai ed io non avevo certo intenzione di fare il lavoro anche per i suoi porci comodi. Certo, in quelle condizioni l'unica compagnia che potevamo permetterci sarebbero rimasti dei topi di fogna, ma l'importante era che la mia camera da letto fosse rimasta pulita ed il bagno fosse decente per le notti brave. Generalmente si accontentava di uno sgabuzzino con un letto a castello, ma in certe occasioni, anche se brilli, ci si tiene a fare buona figura. Il mattino se ne andavano tutte prima ancora che preparassi il caffè, dunque non era necessario che la cucina fosse poi così pulita ... lungi da me soffermare il mio sguardo su un paio di calzini sporchi e bucati che misteriosamente erano finiti sul tavolo insieme ai rimasugli dell'ultimo Mexican Party di Aidan.
"Tyler" qualche giorno quella bocca gliel'avrei chiusa per sempre "in libreria ti hanno spostato il turno a questo pomeriggio" "va bene" risposi, sperando che la smettesse.
"Ah, e butta la spazzatura prima che esci" "Va bene" era diventato assillante peggio della vecchia zia Gertrude da cui passavo le vacanze da bambino. "Tyler" ancora "e stasera si va fuori" ... come se non uscissimo mai "ho scoperto un nuovo localino che devi assolutamente vedere...ci sono andato con Samantha l'altra sera: è una ficata! Cioè...a dir la verità sono andato con Joe della classe di letteratura, ti ricordi quel pazzo che non la smetteva di limonare con quella cessa di Annie alla festa di compleanno di Bree...Dio che schifo, non ci posso pensare che mi viene ancora il voltastomaco!!! Comunque siamo andati con Joe e ho visto che Samantha lavora come barista lì allora ho attaccato bottone e ho passato il resto della serata al bancone con lei. In realtà c'era mooolto altro da vedere ma, amico, capisci che non potevo fare niente davanti Samantha, è troppo che me la lavoro ... allora ci andiamo stasera vero?" "Va bene" risposi molto passivamente, sicuro di non sbagliare, mentre inzuppavo fiaccamente un biscotto nel latte.
"Tyler, me lo fai un ultimo favore?" sentiamo, basta che ti levi dalle scatole il prima possibile "te ne vai a fanculo?" "Va bene" risposi; mi accorsi dell'immane figura di merda che avevo fatto solo quando il biscotto che avevo in mano si disintegrò e si tuffò nella tazza, imbrattando la mia unica camicia bianca. Imprecai verso tutti i santi del paradiso. L'unica camicia bianca pulita con cui dovevo andare alla commemorazione di mio fratello...fantastico!
"Tyler la devi smettere!" imprecò Aidan, tornando sui suoi passi "non puoi vivere il resto della tua esistenza in questi stato di catatonia pura. Cazzo hai 22 anni! Svegliati, esci, c'è un mondo là fuori!"
Ecco come far incazzare Tyler Hawkins.
Presi la tazza di latte e la rovesciai ancora piena nel lavandino, con i biscotti spappolati che andavano a depositarsi attorno allo scarico. Presi una birra dal frigo e iniziai a berla praticamente a stomaco vuoto, senza curarmi nemmeno di dove fosse finito il tappo. "Ti sembra che io non faccia esattamente il tuo stesso genere di vita? Non perdiamo una festa, bevo e vomito l'anima una sera sì e l'altra pure e nel mio letto ogni mattina c'è una ragazza diversa. Cazzo vuoi da me?"
"Voglio che la smetta di vivere nel rimorso, nel dolore, che ti lasci alle spalle il passato, perché non torna indietro Tyler e lo sai meglio di me ..." probabilmente si rendeva conto che insistere con me sulla questione era una battaglia persa, ma lui era l'unico ad essermi stato davvero vicino quando avevo iniziato a dare segni di cedimento dopo la morte di mio fratello e gli avevo chiesto di stimolarmi, sempre, senza arrendersi. Mi aveva detto tante volte che prima o poi probabilmente avrebbe perso le speranze, mi avrebbe lasciato per strada, a leccarmi le ferite come un cane abbandonato; speravo che non sarebbe mai arrivato quel giorno, anche se sapevo di meritarmelo.
Mi seguì verso la scalinata anti incendio su cui la mia camera da letto si affacciava e dove puntualmente mi mettevo a riflettere in quei momenti di oblio totale. Mi accesi una sigaretta e aspirai come se fosse aria pulita di montagna, come se mi purificasse fin dentro l'anima. Ed invece mi uccidevo ogni volta, con le mie stesse mani; ma era una droga, non ne potevo più fare a meno. E non certo ero immerso nella radura più verde e lussureggiante: attorno a me, il traffico newyorkese completava il senso esalazione necrofila, come se quelle immagini che avevo perennemente davanti agli occhi non mi facessero sopravvivere ... vivere è una parola troppo grande ... come se fossi perennemente dentro una bara.
"Così ti riempirai il vestito di ruggine!" osservò il mio coinquilino mentre cacciava il suo muso fuori dal finestrone. Gli feci notare, con un ampio gesto delle mani, che peggio di come stavo messo non poteva andare, e sinceramente non è che me ne importasse più di tanto. Le uniche persone per cui valeva la pena di rendersi presentabile erano mia madre e mia sorella, per loro solo avrei fatto uno sforzo. "Senti amico" continuò "vorrei per un attimo che ti guardassi allo specchio ... sei una persona così intelligente, affascinante, tutti sanno che le ragazze che mi porto in giro ci stanno perché è te che vogliono, e sei anche ricco. Tu puoi sfondare cazzo! Non mandare la tua vita a puttane ... so che Michael non lo vorrebbe"
"Micheal non lo vorrebbe ..." ripetei la sua frase con un'espressione di sfida "tu, tu che cazzo nei sai COSA AVREBBE VOLUTO mio fratello? Lui aveva la nostra età, voleva ciò che vogliamo noi oggi. Ed invece no, mio padre gli ha tolto tutto in nome del successo. Io non li voglio quei soldi macchiati del suo ... sangue. Mi fanno schifo!"
Aidan capì che forse non era il caso di andare oltre; in fondo, cos'altro si poteva aggiungere?
Mi lasciò solo, in balia dei miei non pensieri.

Riuscii ad evadere dal pranzo di famiglia con la scusa del lavoro alla libreria, in tempo utile da non trovarmi davanti mio padre. Sapevo che mia madre e Caroline ci sarebbero rimaste male, ma non mancava mai il tempo per andarle a trovare, con la sicurezza che nessuno sguardo inquisitore mi squadrasse da capo a fondo per valutare quanti soldi stavo scalando da suo conto corrente. Mio padre sapeva benissimo che non usavo i suoi soldi da quando avevo superato la soglia della maggiore età, che mi ero ritagliato una certa indipendenza con sacrificio per non doverne manovrare, eppure non mancava di farmi ricordare dai suoi assistenti ... perché non aveva nemmeno le palle o il tempo di farmi una telefonata, lo stronzo ... chi è che mandava avanti responsabilmente la baracca di famiglia, una baracca da 10 milioni di dollari di fatturato annui. Ci incrociammo però di sfuggita, mentre mi defilavo tra un "sei bellissimo" di mia madre e "ti puzza l'alito di birra" di mia sorella. Mi vide e mi fece cenno di fermarmi, mentre continuava la sua conversazione al telefono ... il suo broker era sempre venuto anche prima di sua moglie ... ed io feci in tempo ad imprecare un paio di volte prima che mi raggiungesse.
"Non l'avevi una cravatta?" mi chiese, senza neanche salutarmi. Erano un anno intero che non ci sentivamo né vedevamo e lui mi chiedeva della cravatta, tipico. "Ciao papà!" risposi, con la speranza che cogliesse tutto il mio disprezzo. "Non rispondi?" continuò ancora lui. “Per farci cosa esattamente? Legarmela al collo come ha fatto tuo figlio?” Non avrei voluto dirlo perché, prima che ferire lui, avevo ferito me stesso, ed il ricordo che mi ero giurato di cancellare era tornato a galla, prepotente, come quella morte inutile che me l’aveva strappato.
Lo lasciai con un palmo di naso davanti all’ingresso della cappella del cimitero, mentre giuravo a me stesso che mai più sarei tornato in quel luogo di tormento ed incubo, e non avrei più pianto.
Micheal era vivo, nel mio cuore, nella mia memoria.

 

Do not stand at my grave and weep.
I am not there, I do not sleep.
I am a thousand winds that blow,
I am the diamond glints in snow,
I am the sunlight and ripened grain.
I am the gentle Autumn rain.

 

Mio fratello era in tutto ciò che poteva dirmi che anch’io ero vivo: nello scorrere delle stagioni, nel soffio del vento, o in ogni piccola cosa che cambiava e diveniva intorno a me.
Tuttavia, nel lasciarmi dietro quel posto mi voltai, nell’intento di scorgere qualcosa, per l’ultima volta. Purtroppo, per quanto potessi andare avanti con quelle menate poetiche, la verità era un’altra. Potevo sforzarmi quanto volevo a far rivivere mio fratello in me, ma restava sempre quella pietra fredda e bianca, piantata sopra quella collina in lontananza, all’ombra di quel grande acero che ormai, con l’inverno alle porte, aveva creato un caldo manto di foglie gialle e rossicce. E poi ci sarebbe stata la neve. Ed io questo non lo potevo fermare. Ed ero di nuovo punto e a capo.
Per quanto mi sforzassi, per quanto io potessi lottare, non riuscivo a trovare uno scopo per cui valesse la pena di vivere. E per morire … beh, per quello avevo troppa paura.

Mi sforzai di fingere un certo entusiasmo, mentre percorrevamo le stradine buie di un quartiere a caso di New York, già decentemente brilli, tuttavia non abbastanza per dimenticare come si cammina. La serata si era avviata con una cena cinese nel ristorante sotto casa, ed ancora mi stupivo di non averne abbastanza considerando che quell’odore pregnante di fritto si era insediato persino nelle assi di legno del nostro pavimento. Probabilmente sarei morto di cancro prima dei 50 anni, ma almeno avrei potuto dire di aver battuto il record mondiale di biscotti delle fortuna.
Aidan mi trascinò, saturo di birra e Maotai, fino a quel locale che si vantava tanto di aver scoperto, insieme ad una manica anonima di gente che si portava perennemente appresso. Non mi interessava sapere in quale remoto e malfamato angolo del Bronx eravamo finiti, purché mi avesse riportato a casa sano e salvo. Garantiva ottimi cocktail e divertimento per tutti i gusti, il resto non mi interessava.
L’ingresso del locale era piuttosto nascosto, senza grandi insegne, il che mi fece dubitare della buona fede del mio compare, che probabilmente era strafatto nel momento in cui vi aveva messo piede la prima volta. C’era un solo cartello, scritto a mano tra l’altro, che ricordava il divieto d’ingresso ai minori di 21 anni. Almeno quello …
Entrando, l’atmosfera ed il tipo di musica mi fecero capire in che razza di posto ero andato a finire. Uno strip club. Non che mi considerassi un verginello, una bella ragazza non si disdegna mai, e non è certo tanto bello usare la mano per “scaricarsi”, ma quel genere di cose andava ben oltre il mio senso del divertimento. Le ragazze che si dimenavano come ossesse attorno a quei pali erano tutto fuorché sensuali, e non ci voleva l’FBI per capire che la maggioranza di loro erano minorenni o clandestine, bastava dare un’occhiata in giro, o guardare i loro volti per davvero, non come quei porci bavosi che stavano li a guardarle, e ogni tanto manovravano con le mani sulla patta. Dio che schifo!
Pregai con tutto me stesso, semmai ci fosse stato un Dio pronto ad accogliere le mie preghiere, visto che cose come queste mi facevano dubitare della sua reale esistenza, che Aidan non decidesse di sedersi vicino ad uno di quei cosi per esibirsi. Ed invece, deficienti fino al midollo, andammo a sederci al bancone del bar, dove alcune ragazze stavano mostrando i loro tanga ad un gruppo di turisti cinesi allupati. Per un attimo mi venne da ridere: finalmente vedevano una vera donna, chissà cosa le avrebbe aspettati a casa.
Come si dice: i coglioni vanno sempre in coppia; sì perché, se Aidan aveva già iniziato a fare il cretino con la ragazza del bar (che a quanto pare non si chiamava Samantha ma Veronica), io gli andavo appresso come un automa, incapace di decidere cosa fosse meglio per me, sebbene la testa mi urlasse a gran voce di andarmene da lì. Tutto indicava guai, dalle luce rosse e basse, alla musica provocante ed incalzante, fino alla puzza di sudore del grassone vecchio e pelato che mi stava di fianco. Ed invece rimasi lì, seduto sul mio sgabello, a fumarmi una sigaretta e a bere il Margarita peggiore della mia esistenza.
“Ehi dolcezza” urlò Aidan ad una delle ballerine di lap dance che stavano sculettando sul bancone. Ad altri sarebbe parso ubriaco ed invece, strano a dirsi, quella voce da alcolista era perfettamente naturale. “Perché non fai compagnia al mio amichetto?” disse indicando me “è un po’ giù ultimamente … vedi tu di fargli tornare il sorriso”.
Vaffanculo. V.A.F.F.A.N.C.U.L.O. Era l’unica parola di senso compiuto che mi venne in mente in quel momento. Mi strofinai le mani sugl’occhi e alzai lo sguardo verso la ragazza che era davanti a me, che batteva ritmicamente il piede sul bancone. Calzava un paio di scarpe bianche con la zeppa ed il tacco enormi, quelli che sotto la suola hanno stampato il marchio T.R.O.I.A. Salendo notai delle bellissime gambe bianche, questo dovevo dargliene atto, enfatizzate ancora di più dal tacco esorbitante, ma purtroppo le calze a rete la rendevano più volgare di quanto non fosse. Volli sorvolare con lo sguardo su quanto venne dopo, perché l’abbigliamento serviva piuttosto a scoprire che nascondere. Dov’era finita la finezza e la sensualità del vedo-non-vedo?
Mi portai con gli occhi sul suo volto ed, incrociando lo sguardo, si chinò verso di me, fino a sedersi sul piano. Avanzò lentamente verso lo sgabello spingendosi verso di me, a gambe aperte, fino a cadermi letteralmente addosso. Prese dalla mia bocca la sigaretta che avevo acceso, l’ennesima della serata, ed aspirò profondamente. Per quanto disgustassi quel posto, per quanto il lavoro che quelle ragazze facevano (per scelta o costrizione) mi facesse dannatamente schifo, rimanevo comunque un uomo, sui cui lombi si era appena accomodata una bellissima ragazza dal fare estremamente provocante, ed io ed il mio fratellino non riuscivamo proprio a rimanere indifferenti; soprattutto quando lei, probabilmente accortasi della mia “costrizione” portò di nuovo tra le mie labbra quella sigaretta, pregna ora del suo sapore. Quella fu la mia morte. Iniziai a sentire caldo, e non era un bene.
“Allora …” mi disse “che ci fa un bel ragazzo come te tutto solo, eh? Non ce l’hai una ragazza?” “Non la voglio una ragazza” risposi, fingendomi annoiato dalla situazione più del dovuto, sperando che capisse che non era proprio aria. “Bene” continuò lei, schiacciando il suo piccolo seno, coperto praticamente da 5 cm di stoffa e qualche laccio, al mio petto “perché altrimenti stasera la piccola dolce Mallory … che sarei io … non potrebbe coccolare il bel … come hai detto che ti chiami?”. Evidentemente quella sera doveva recitare la scolaretta; chissà quante altre parti aveva dovuto interpretare: infermiera, poliziotta, indiana … la fantasia maschile in questo campo sa essere alquanto vasta. “Tyler … ma credo che stasera la piccola Mallory dovrà rimanere a bocca asciutta” così dicendo presi la mia giacca di pelle che avevo appeso allo schienale della sedia e, alzandomi, me la infilai, facendo scendere dal mio cavallo la ragazza.
In piedi era leggermente più bassa di me, il che significava che doveva essere davvero piccola, considerando che quei trampoli l’alzavano di 20cm. Era minuta e magrissima, quasi anoressica. Ma quel culo … potevo far finta di nulla quanto volevo, ma quel culo sarebbe comunque rimasto una favola.
Mi si avvicinò, di nuovo, e la vidi giocare con le mani birichine con i bottoni della mia camicia, fino a raggiungere il taschino dove avevo le sigarette. Nel prese una e l’accese con quella che io stavo fumando.
“E così ti vendi per una sigaretta, piccola Mallory?” scherzai con lei. “Per chi mi hai presa?” mi riprese scherzosamente, spintonandomi leggermente, e riportandosi a sedere sul bancone. “Volevo solo evitare di perdere … un compagno di giochi … vorrà dire che chiederò a qualche maestro di farmi delle ripetizioni” mi disse guardandosi in giro, e notai che posò il suo sguardo su un tizio poco più in là, che meno di 60 anni non poteva averne ma, dall’orologio che aveva al polso, sembrava anche abbastanza infagottato. Non potevo credere che per soldi sarebbe stata capace di andare con quello lì ma, probabilmente, era il suo unico modo per mangiare. Forse non esattamente decoroso ed onesto, ma i suoi occhi parlavano chiaro: Mallory, o come cavolo si chiamava, aveva fame.
Non so se fosse per proteggerla da quel pappone, se per gelosia o per pura competizione maschile, ma quello che feci un minuto dopo, mentre la vidi allontanarsi per raggiungere quell’uomo, andava ben oltre i miei piani.
La seguii e la bloccai per un braccio. “Senti … io non so cosa … fai … esattamente, e non so nemmeno se ho soldi a sufficienza per il tuo … spettacolo … ma non andare da lui”. Lei si avvicinò di nuovo a me, in parte incredula, in parte divertita; “stai con me” sussurrai, ad un passo dalle sue labbra, tanto si era avvicinata. Sorrise, ancor più compiaciuta di aver ottenuto ciò che voleva “la piccola Mallory è davvero contenta sai, non vede l’ora di giocare con te”.
Sentii gli incitamenti di Aidan e degli altri ragazzi di quella comitiva sgangherata, attutiti dalla musica ad alto volume e dal chiacchiericcio concitato della folla del locale, ma non feci caso a loro; l’unica cosa che sentivo era il contatto con le sue mani, che aveva intrecciato alle mie, mentre mi guidava verso una scala a chiocciola in ferro, in un angolo buio del locale. Preferii non pensare a cosa sarebbe successo di lì a poco, a come ne sarei uscito: in quel momento sentivo davvero di aver fatto la cosa giusta. L’avevo salvata dall’ennesimo porco, almeno per quella sera.

 


 











NOTE FINALI

Ho aggiornato oggi eccezionalmente perché purtroppo non credo di poterlo fare in settimana
Ho deciso che d'ora in avanti i miei commenti a inizio capitolo non ci saranno per lasciarvi di immergere nel capitolo totalmente e non influenzare in alcun modo la vostra lettura, e lo stesso quelli alla fine.
  Nel testo troverete i link per le canzoni che mi ispirano e di volta in volta noterete la corrispondenza del titolo con una canzone che rispecchi il tema del capitolo. Per qualsiasi domanda possiate avere sappiate che vi aspetto nella pagina dei commenti e nella pagina Facebook che è a vostra totale disposizione.
Vi ringrazio per l'ampio consenso che già solo il prologo ha ottenuto. Spero di poter ripagare le vostre aspettative con questo capitolo.
à bientot

Federica

   
 
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