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Autore: Bethan Flynn    20/02/2011    3 recensioni
-Hoshi, che cos’è?- sussurrò di nuovo il ragazzo, avvicinandosi a lei.
Gli sorrise, ma in quel sorriso non c’era gioia, e neppure odio.
C’erano paura, dolore, disperazione.
-E’ quello che potrei diventare io- mormorò solamente –la Caduta-.
Non tutti gli esperimenti sui non compatibili sono falliti.
Una ragazza è sopravvissuta.
E solo a lei spetta scegliere se la vita che le è rimasta sia la dannazione o la salvezza.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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La sala d’ingresso era stracolma di bare, ma nessun vivo era a piangere su di esse.
Logico, era notte fonda: anche il dolore andava a dormire, prima o poi.
Il portone si aprì sussultando sotto la spinta di mani sottili, avvolte da ampie maniche nere, e si richiuse con uno schianto che rimbombò nel silenzio riempito solo dalla presenza oscura della morte.
Presenza che iniziò ad essere scacciata dallo scalpiccio dei piedi del visitatore sul pavimento bianco e nero, mentre si destreggiava fra le miriadi di casse.
Quello era l’Ordine.
Il luogo che lei odiava di più al mondo.
Sapeva che di tutte quelle persone morte si sarebbe persa ogni traccia, sapeva che non erano che la punta dell’iceberg, nonostante quella sala ne contenesse migliaia, sapeva che lei avrebbe potuto benissimo essere là in mezzo, anonima fra gli anonimi, corpo devastato su cui qualche sconosciuto troppo sensibile avrebbe speso qualche lacrima e poi via, bruciata di nascosto da tutti.
L’avrebbe quasi preferito all’essere lì, pensò, inoltrandosi ancora di più in quel labirinto.
“Che cavolo ci faccio, io, qui?” pensò per l’ennesima volta, guardandosi intorno.
Non che la rendesse nervosa quel posto, i morti le facevano molta meno impressione dei vivi.
Perlomeno non avevano finti sentimenti cui fare appello per giustificare le azioni più efferate, perlomeno non provavano niente, perlomeno vivevano nella costante oscurità.
Come lei.
Arrivò in fondo e si fermò, guardandosi alle spalle.
Un sorriso sarcastico le incurvò le labbra, cui come sempre non corrispose un mutamento nella fisionomia, né negli occhi.
-Questo dovrebbe salvarmi, Marian?- sussurrò, voltando la schiena a quello spettacolo e incamminandosi su per le scale.

Abbattè la porta con un calcio, scardinandola e facendo sobbalzare l’uomo collassato sulla scrivania, un biondino sulla trentina circa.
-Chi sei?- chiese allarmato, mettendosi subito sulla difensiva.
La ragazza non fece una piega e si tolse il cappuccio. Gli occhi dell’uomo si spalancarono ancora di più.
-Chiama Komui, muoviti- sbottò lei senza dire altro. Quello si precipitò fuori dalla stanza.
Appoggiò la borsa a terra, fra un caos primordiale di fogli svolazzanti, e l’occhio le cadde per caso su quello che doveva star leggendo il tizio che aveva trovato lì dentro prima di addormentarsi.
“Caduti: 200. Successi: 0” recitava l’intestazione.
Seguiva una lista di duecento nomi, fredda come la carta su cui era stampata.
Forse non tutti sapevano cosa fosse realmente successo a quei duecento nomi.
Le dita sottili strapparono il foglio, riducendolo in brandelli piccolissimi.
-Sei venuta- una voce trafelata la fece girare. Fissò l’uomo dai capelli neri come se non lo vedesse neppure.
-Chiudi la porta- ordinò. Quello eseguì senza fiatare, poi andò a sedersi di fronte a lei, dietro la scrivania.
-A…-
-Se non volete che passi istantaneamente dalla parte dei vostri nemici e faccia sparire questo posto dalla faccia della terra- sibilò la ragazza, facendosi vicinissima a lui –non. Dovete. Usare. Quel nome- scandì parola per parola, stringendo gli occhi –sono stata chiara?- chiese poi, scansandosi bruscamente.
Il Supervisore annuì, deglutendo rumorosamente.
-Credevo non saresti più tornata- sussurrò.
-Non ho certo ricevuto la chiamata divina, non dormirtene sugli allori- sbottò.
-Allora perché sei qui?- gli occhi di Komui si piantarono nei suoi senza mostrare cenni di cedimento.
-Affari miei. Allora, la volete la mia innocence o no? Posso benissimo tornarmene da dove sono venuta- rispose acida, evitando la domanda.
Perché era lì? Avrebbe tanto voluto saperlo anche lei.
L’uomo sospirò, passandosi una mano fra i capelli. Era stanco, si vedeva, ma la cosa non la intenerì: quelli come lui, pensò, avrebbero dovuto sentirsi schiacciati dal peso di ciò che facevano per tutta la vita.
Il Supervisore aprì un cassetto, traendone fuori due bracciali, uno bianco e uno nero, e glieli lanciò.
-Indossali. Ti aiuteranno a sopportare il dolore- mormorò.
La ragazza fece come le era stato detto e sentì immediatamente una sensazione di sollievo nel petto, come se le fosse stato tolto un carico estremamente pesante dalle spalle.
-Hai mai evocato?- le chiese poi. Lei scoppiò in una risata sarcastica –mi prendi in giro? Dovunque andassi, quei maledetti mostri non facevano altro che inseguirmi. Ogni volta dovevo quasi morire per salvarmi la vita- sbottò, facendo un cenno brusco con la mano.
-Mi dispiace-
-Sai che me ne faccio delle scuse. Preferirei che mi aveste ammazzata subito, piuttosto che trovarmi qui- il suo tono aveva perso la pacatezza, ed era diventato rabbioso e frustrato.
Komui la fissò qualche istante, poi si alzò –ti faccio vedere la tua stanza- iniziò, ma lei lo interruppe subito.
-Basta che tu mi dica dov’è. Non ho intenzione di passare altro tempo assieme a te- disse netta.
Una volta ottenute le indicazioni, se ne andò silenziosa com’era venuta, il cappuccio ben calcato sul capo a mimetizzarla con il buio dei corridoi.
Komui si abbandonò pesantemente sulla sedia.
Non se lo sarebbe mai aspettato. Evidentemente era stata opera di Cross, pensò prendendosi la testa fra le mani.
Quella ragazzina era davvero una bomba ad orologeria.
Eppure, era sopravvissuta, e per quella guerra forse sarebbe stata molto importante.

---

-Hoshi- la figura incappucciata disse semplicemente questo, sedendosi all’angolo più remoto del tavolo.
Allen guardò Linalee interrogativo, e la ragazza sospirò –dev’essere arrivata ieri sera. Stamani mio fratello era piuttosto scosso. Non so niente di lei- sussurrò.
L’albino la squadrò nuovamente –fa un po’ paura- bisbigliò.
-E ha addirittura le orecchie, pensate un po’- il volto pallido circondato dal cappuccio si era girato verso di loro, fissandoli uno alla volta con due occhi che mal si distinguevano dal colore dell’abito.
Linalee sorrise imbarazzata –scusa, non volevamo essere invadenti. Io sono…- iniziò, ma quella fece una smorfia di disprezzo –non mi interessa sapere i vostri nomi. Per la cronaca, non c’è categoria di persone che io disprezzi più di voi- disse fredda –mi disgustate. Quindi vedete di starmi alla larga- concluse, rimettendosi a mangiare.
-Ma che modi…- sussurrò Allen. Linalee alzò le spalle, ma si vedeva lontano un miglio che le parole di quella novellina l’avevano ferita.
Era fatta così, non sapeva odiare.
-Ehi, potevi pure essere un po’ più gentile- sbottò l’albino all’indirizzo della ragazza.
Quella fece come se non avesse sentito niente.
-Stavo parlando con te- continuò Allen ostinato.
-Allen, lascia per…- sussurrò Linalee, ma le mani della nuova venuta sbatterono violentemente sul tavolo, facendo voltare tutta la sala.
Scansò la sedia e si avvicinò ai due, guardandoli con espressione indecifrabile. All’interno dei suoi occhi, i ragazzi scorsero solo vuoto, nient’altro.
Un vuoto tenebroso e denso, che risucchiava al minimo contatto.
-Forse non mi sono spiegata- mormorò minacciosa, muovendo un passo verso Allen –io non sono qui per mia volontà. Non mi sento investita da chissà quale missione da martire. Odio questo posto più di ogni altra cosa, e gli esorcisti non li sopporto- l’albino fece un passo indietro –ve lo dico chiaro e tondo: statemi alla larga, altrimenti vi ammazzo- girò le spalle a entrambi, afferrò il suo vassoio e dopo averlo scaraventato fra quelli sporchi uscì a passo spedito dalla sala.
I due si guardarono sbalorditi.
-Neppure il tipo di prima era così tremendo- disse l’albino, rimettendosi a mangiare.
Con “tipo di prima” intendeva Kanda, che dopo averlo quasi ammazzato perché il custode l’aveva scambiato per un akuma si era pure rifiutato di rivolgergli la parola.
Linalee alzò le spalle, sospirando –Kanda è fatto così. Probabilmente dobbiamo solo imparare a conoscere anche lei- disse –non ho più fame- prese il vassoio e buttò via il resto della colazione.

---

-Dunque, Allen e Kanda, voi andrete a Matera- quelle parole furono per l’albino come una sentenza capitale, ma non erano che buone notizie, rispetto a ciò che sarebbe venuto dopo.
-Io non vado in missione con le mammolette- sibilò Kanda, zuccheroso come al solito.
-Se è per questo nemmeno io amo i maleducati- lo rimbeccò Allen.
-Non sarete da soli- aggiunse Komui, come se non li avesse neppure sentiti, e fu allora che il ragazzo temette davvero il peggio.
La porta si spalancò e ne entrò Hoshi, avvolta nella stessa lunga veste nera, che la rendeva simile ad un fantasma.
-Hoshi è arrivata ieri sera. Vi accompagnerà- la ragazza posò gli occhi neri su di loro, senza neppure accennare ad un saluto.
L’albino alzò gli occhi al cielo, mentre Kanda sembrò non far caso all’aperta ostilità della nuova arrivata. Si ritirarono senza neppure una parola.
-Partiremo domattina. Fatevi trovare alle cinque davanti all’uscita, o andrò senza di voi- disse seccamente il moro ad un certo punto.
Allen sbuffò –ti ho già detto che non c’è bisogno di usare quel tono-
-Insomma, piantatela con questo cicaleccio. Non è così difficile mettere una sveglia- sbottò la ragazza all’improvviso, troncando la discussione. Gli occhi del giapponese si posarono increduli su di lei: mai nessuno gli aveva ribattuto con quel tono.
-Senti un po’, ragazzina…- iniziò, ma lei sbuffò sarcastica –ragazzina? Guarda che ho un nome, razza di idiota. Usalo, se vuoi che ti degni di una risposta. Anche se preferirei tu ne facessi a meno- poi infilò il corridoio che portava alla propria stanza senza aggiungere altro, scomparendo ben presto nella penombra.
Il moro fece un verso così scocciato che ad Allen vennero i brividi: si fermò sul posto e non si mosse finchè non ebbe sentito i passi di entrambi affievolirsi.
Sarebbe stata una lunga missione, pensò rassegnato. Si chiese se fossero più pericolosi gli akuma o quei due, e optò per la seconda.

La stanza era piccola, ma la ragazza non se ne curò affatto. Era abituata a stare stretta.
Buttò all’indietro il cappuccio, lasciando liberi i capelli che scesero come una cascata argentea contrastando nettamente col nero della veste.
Si sedette sul letto, sospirando, e chiuse gli occhi.
Che diamine c’era andata a fare, lì?
Loro non potevano aiutarla. Nessuno poteva, pensò. Marian si sbagliava.
Marian.
Si, forse era per lui che l’aveva fatto. Forse era perché si era pentita di come l’aveva trattato l’ultima volta, forse era perché avrebbe voluto chiedergli scusa.
Ma scusa di cosa?
Era stato per colpa sua che lei era entrata in contatto con l’innocence, era stata colpa di Marian se l’avevano portata là e poi…
Rabbrividì istintivamente, portandosi una mano ai polsi. Sentì il freddo dei braccialetti a contatto con la pelle.
Era più forte di lei. Disprezzava quel posto, odiava l’innocence e tutti quelli che credevano fosse una cosa buona e mandata dall’amore di Dio. Sempre ammesso che un Dio fosse esistito, pensò, doveva avere dei grossi problemi di vista.
Pensò a quelli che avrebbero dovuto essere suoi “compagni” e rise di gusto quando quella parola le venne alla mente: quel moro, non era davvero compagno di nessuno. Si vedeva da un chilometro. Quanto agli altri due, beh, forse fra loro avrebbero anche potuto trovarsi bene, ma avrebbero scoperto prima o poi in cosa trasformava le persone quel posto.
Non c’era posto per l’amicizia, non c’era posto per l’amore, non lì.
Una volta che uno entrava lì dentro, se aveva la fortuna di sopravvivere diventava una mera macchina da guerra, con non più sentimenti che quelle del Conte.
Questo era successo a Marian, e questo sarebbe successo a lei, pensò. Era inutile cercare di stringere legami; si sarebbero spezzati come ragnatele al minimo soffio di vento.
Guardò la finestra sbarrata, che mostrava uno spicchio di cielo nero, punteggiato da stelle, in cui la luna sorrideva beffarda e sofferente, intervallata dalle sagome della grata che serrava i vetri.
Detestava quel posto, pensò per l’ennesima volta.





Note dell'Autrice:

Secondo capitolo postato in fretterrima (?) perchè devo andare al corso di Carnevale a prendere la pioggia u.u
Dannato tempo dimmerdlkfjhlàdjh ò___ò
Cooomunque, scleri a parte, avete scoperto il nome della mia beneamata protagonista... per chi non lo sapesse, Hoshi vuol dire "stella" in giapponese, mentre Aster (che si, è il nome del Tiranno delle Cronache del Mondo Emerso, anche se qui è solo una coincidenza XD) vuol dire "stella" in greco. Non so ancora come usare questa corrispondenza, comunque qualcosa mi inventerò!
Decisamente, la mia protagonista non ha un carattere amabile e gentile stavolta. Avevo parecchia rabbia da incanalare .___. poi cambierà, anche se io stessa non sono ancora riuscita a capire come il cambiamento sia avvenuto O_o i misteri della scrittura...
Vabbè gente, vi saluto che vado a imbacuccarmi!!

Grazie mille a xxxDemonholic e a Sherly per le recensioni! ^__^ Spero che il capitolo vi sia piaciuto!!

A presto!!

Bethan 
   
 
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