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Autore: DarkSun    20/02/2011    1 recensioni
Un neon che funziona ad intermittenza, una fredda serata di Amburgo e una panchina di una vecchia stazione ferroviaria abbandonata. Cosa porta Bill Kaulitz in un posto del genere?Beh,una cosa è certa: la sua vita non sarà mai più la stessa.-
“ Mi dispiace di averti tolto l’ispirazione”- disse poi sinceramente, indicando con un movimento della mano il foglietto che avevo lasciato da parte.
“ Oh no, non l’hai fatto, tranquilla”- le risposi io, serafico.
“ Hai mai guidato una moto?”- chiese lei all’improvviso. Io rimasi pietrificato, capendo cosa mi avrebbe proposto.
“ No e non credo che faccia per me”- dissi sulla difensiva.
“ Bene, allora credo che ti insegnerò”- si alzò dalla panchina, mostrando di aver ignorato la seconda parte della mia frase.
“ Ma…Lena!”- cercai di richiamarla, mentre lei proseguiva spedita per uscire dalla stazione.
A quel punto feci una piccola corsetta per raggiungerla e lei sorrise, come sempre.
Dunque, è la prima FF che pubblico e per me è una sfida, perchè devo riuscire a finirla. Spero che vi piaccia e che mi darete un parere sulle vostre prime impressioni =)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ho pensato spesso di mollare tutto e  ora stavo per farlo davvero. Un’ora prima avevo litigato con Tom, perché gli avevo confessato di voler sciogliere la band, alla luce dei fatti accaduti con gli stalkers e tutto il resto. Inutile dire quale fosse stata la sua reazione: mi urlò contro di voler distruggere il suo sogno e quello dei nostri amici.

Di certo io non avrei mai voluto questo, ma lui non volle ascoltare più nulla ed uscì sbattendo la porta. Poco dopo uscii anche io, per schiarirmi le idee. Scelsi il posto dove andavo da piccolo, a prendere ispirazione e a rilassarmi. Già allora, quella vecchi stazione, era abbandonata e non ci andava più nessuno. O quasi. Mi sedetti alla solita panchina, sotto il solito neon intermittente, del quale non capivo la funzionalità. Ringraziai mentalmente che fosse ancora lì, comunque, a farmi pesare di meno il freddo e il buio di quella serata di Ottobre. Faceva uno strano effetto essere lì dopo tanto tempo. E pensare che ad Amburgo, tutto sommato, ci venivamo spesso e inoltre da casa nostra alla stazione c’era una distanza percorribile anche a piedi. Eppure anche io avevo abbandonato questo posto, che mi aveva in precedenza così ispirato. Avrei scritto anche in quel momento, avevamo un album in lavorazione, ma poi mi ricordai del motivo per cui ero lì. Alzai il viso verso il cielo: troppe nuvole a coprire le stelle. Un vento gelido mi fece rabbrividire. Ero molto teso. Il neon  si spegneva e si accendeva ad un ritmo sempre meno irregolare, finchè non cesso definitivamente di funzionare. Era rimasto solo un lieve ronzio e poi la fine anche di quest’ultimo.  Non amavo per niente il buio totale e mi diedi dell’idiota per essere andato lì proprio di sera. Un ticchettio sul pavimento malandato mi bloccò sulla panchina dov’ero seduto: Chi poteva esserci lì?

Il rumore regolare di quei passi si faceva sempre più vicino, mentre nell’oscurità mi era praticamente impossibile distinguere una sagoma qualsiasi. All’improvviso il neon si riaccese e quella che potei scorgere era una figura tutt’altro che minacciosa.

Una giovane ragazza, minuta, dai capelli lunghi e lisci e piuttosto pallida. Pensai che fosse a causa del neon. Aveva su un giubbotto di pelle da motociclista e semplici jeans di un grigio scolorito a fasciarle le gambe snelle. Rimanemmo entrambi stupiti di vederci lì, in quel momento.

Lei sorrise incerta ed esordì: “ Credevo che qui non ci venisse più nessuno”

Io le sorrisi di rimando: “ Lo credevamo entrambi, allora”

Mi torturavo le mani per il freddo e per l’imbarazzo, mentre lei si sedeva accanto a me, sulla panchina. Una cosa mi saltò all’occhio: il suo respiro non si condensava, a differenza del mio, che mi faceva sembrare un toro nell’arena. Non sapevo come rompere il ghiaccio. Io, che non stavo zitto un secondo, ora non avevo improvvisamente nulla da dire. Lei stava immobile con le braccia appoggiate sulle gambe, e le mani l’una nell’altra, mordicchiandosi il labbro inferiore. Mi rendo conto che sono cose che pochi notano, ma io ho il vizio di osservare le persone che non conosco e di farmi una prima idea attraverso il loro movimenti.

“ Cosa ti porta qui? Una ragazza giovane come te non dovrebbe essere a divertirsi?”- dissi, alla fine. Lei incontrò il mio sguardo e rispose impertinente: “ E tu? Non mi sembri tanto più vecchio di me”. Sorrise, io ridacchiai.

“ Ho litigato con il mio fratello gemello”

“ Oh”- disse lei, annuendo con decisione- “ So cosa significa, anche io ho una sorella”

“ Il fatto è che non so cosa fare”

Lei rise, io rimasi perplesso. Confessavo queste cose ad una sconosciuta e ora lei rideva di me?

“ Cosa c’è di divertente?”- lei chiesi io, serio.

“ Scusa, è solo che…niente lascia stare”

“ No, dimmi, ti prego”

“ Quando hai detto che non sai cosa fare…ecco, è così ovvio! Devi andare a casa e fare pace con lui. La vita è troppo breve per poter avere rancori a lungo”. – lo disse con un’innocenza tale, che non ebbi la forza di ribattere. Mi toglieva di nuovo le parole.

“ Come ti chiami, mister bello sguardo?”- interruppe i miei pensieri lei, sorprendendomi. Raramente qualcuno mi chiedeva il mio nome, tutti sapevano chi fossi.

“ Ehm…Bill, mi chiamo Bill”

“ Lena”, mi porse la mano, piccola, liscia e fredda, così fragile che ebbi paura di stringerla davvero. Lei se ne accorse, credo, ma non gli diede importanza.

“ Ma da dove lo hai preso mister bello sguardo?”- risi io.

“ Va bene che questo neon fa piuttosto schifo, ma i tuoi occhi si vedono bene lo stesso”- disse lei, senza alcun imbarazzo. Poi cambiò argomento.

“ Anche io ho litigato con mia sorella una volta”

“ E poi avete fatto pace?”

Una pausa di silenzio, vidi la sua espressione mutare.

“ Sai Bill, ci sono cose alle quali non possiamo rimediare, che restano tali per sempre, una volta che hai commesso un errore”.

Annuii. Sentivo che in qualche modo questo mi riguardava, ma non avevo capito ancora in quale proporzione.

“ Per me è ora di andare”- disse lei ad un certo punto, alzandosi.

“ Vuoi che ti accompagni?”

“ No, ho la mia moto, grazie”- sorrise.

“ Addio, Bill. Mi ha fatto piacere conoscerti”

“ Addio, Lena”

La osservai allontanarsi, di nuovo il ticchettio dei suoi stivali ritmico ed elegante, mentre il neon si spegneva di nuovo, per non riaccendersi più.

  
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