Ho
pensato spesso di mollare tutto e
ora stavo per farlo davvero. Un’ora prima
avevo litigato con Tom, perché gli avevo confessato di voler
sciogliere la
band, alla luce dei fatti accaduti con gli stalkers e tutto il resto.
Inutile
dire quale fosse stata la sua reazione: mi urlò contro di
voler distruggere il
suo sogno e quello dei nostri amici.
Di
certo io non avrei mai voluto questo, ma
lui non volle ascoltare più nulla ed uscì
sbattendo la porta. Poco dopo uscii
anche io, per schiarirmi le idee. Scelsi il posto dove andavo da
piccolo, a
prendere ispirazione e a rilassarmi. Già allora, quella
vecchi stazione, era
abbandonata e non ci andava più nessuno. O quasi. Mi sedetti
alla solita
panchina, sotto il solito neon intermittente, del quale non capivo la
funzionalità. Ringraziai mentalmente che fosse ancora
lì, comunque, a farmi
pesare di meno il freddo e il buio di quella serata di Ottobre. Faceva
uno
strano effetto essere lì dopo tanto tempo. E pensare che ad
Amburgo, tutto
sommato, ci venivamo spesso e inoltre da casa nostra alla stazione
c’era una
distanza percorribile anche a piedi. Eppure anche io avevo abbandonato
questo
posto, che mi aveva in precedenza così ispirato. Avrei
scritto anche in quel
momento, avevamo un album in lavorazione, ma poi mi ricordai del motivo
per cui
ero lì. Alzai il viso verso il cielo: troppe nuvole a
coprire le stelle. Un
vento gelido mi fece rabbrividire. Ero molto teso. Il neon si spegneva e si accendeva
ad un ritmo sempre
meno irregolare, finchè non cesso definitivamente di
funzionare. Era rimasto
solo un lieve ronzio e poi la fine anche di quest’ultimo. Non amavo per niente il buio
totale e mi diedi
dell’idiota per essere andato lì proprio di sera.
Un ticchettio sul pavimento
malandato mi bloccò sulla panchina dov’ero seduto:
Chi poteva esserci lì?
Il
rumore regolare di quei passi si faceva sempre
più vicino, mentre nell’oscurità mi era
praticamente impossibile distinguere
una sagoma qualsiasi. All’improvviso il neon si riaccese e
quella che potei
scorgere era una figura tutt’altro che minacciosa.
Una
giovane ragazza, minuta, dai capelli lunghi
e lisci e piuttosto pallida. Pensai che fosse a causa del neon. Aveva
su un
giubbotto di pelle da motociclista e semplici jeans di un grigio
scolorito a
fasciarle le gambe snelle. Rimanemmo entrambi stupiti di vederci
lì, in quel
momento.
Lei
sorrise incerta ed esordì: “ Credevo che
qui non ci venisse più nessuno”
Io
le sorrisi di rimando: “ Lo credevamo
entrambi, allora”
Mi
torturavo le mani per il freddo e per l’imbarazzo,
mentre lei si sedeva accanto a me, sulla panchina. Una cosa mi
saltò all’occhio:
il suo respiro non si condensava, a differenza del mio, che mi faceva
sembrare
un toro nell’arena. Non sapevo come rompere il ghiaccio. Io,
che non stavo
zitto un secondo, ora non avevo improvvisamente nulla da dire. Lei
stava
immobile con le braccia appoggiate sulle gambe, e le mani
l’una nell’altra,
mordicchiandosi il labbro inferiore. Mi rendo conto che sono cose che
pochi
notano, ma io ho il vizio di osservare le persone che non conosco e di
farmi
una prima idea attraverso il loro movimenti.
“
Cosa ti porta qui? Una ragazza giovane come
te non dovrebbe essere a divertirsi?”- dissi, alla fine. Lei
incontrò il mio
sguardo e rispose impertinente: “ E tu? Non mi sembri tanto
più vecchio di me”.
Sorrise, io ridacchiai.
“
Ho litigato con il mio fratello gemello”
“
Oh”- disse lei, annuendo con decisione- “
So cosa significa, anche io ho una sorella”
“
Il fatto è che non so cosa fare”
Lei
rise, io rimasi perplesso. Confessavo
queste cose ad una sconosciuta e ora lei rideva di me?
“
Cosa c’è di divertente?”- lei chiesi io,
serio.
“
Scusa, è solo che…niente lascia stare”
“
No, dimmi, ti prego”
“
Quando hai detto che non sai cosa fare…ecco,
è così ovvio! Devi andare a casa e fare pace con
lui. La vita è troppo breve
per poter avere rancori a lungo”. – lo disse con
un’innocenza tale, che non
ebbi la forza di ribattere. Mi toglieva di nuovo le parole.
“
Come ti chiami, mister bello sguardo?”-
interruppe i miei pensieri lei, sorprendendomi. Raramente qualcuno mi
chiedeva
il mio nome, tutti sapevano chi fossi.
“
Ehm…Bill, mi chiamo Bill”
“
Lena”, mi porse la mano, piccola, liscia e
fredda, così fragile che ebbi paura di stringerla davvero.
Lei se ne accorse,
credo, ma non gli diede importanza.
“
Ma da dove lo hai preso mister bello
sguardo?”- risi io.
“
Va bene che questo neon fa piuttosto
schifo, ma i tuoi occhi si vedono bene lo stesso”- disse lei,
senza alcun
imbarazzo. Poi cambiò argomento.
“
Anche io ho litigato con mia sorella una
volta”
“
E poi avete fatto pace?”
Una
pausa di silenzio, vidi la sua
espressione mutare.
“
Sai Bill, ci sono cose alle quali non
possiamo rimediare, che restano tali per sempre, una volta che hai
commesso un
errore”.
Annuii.
Sentivo che in qualche modo questo mi
riguardava, ma non avevo capito ancora in quale proporzione.
“
Per me è ora di andare”- disse lei ad un
certo punto, alzandosi.
“
Vuoi che ti accompagni?”
“
No, ho la mia moto, grazie”- sorrise.
“
Addio, Bill. Mi ha fatto piacere conoscerti”
“
Addio, Lena”
La
osservai allontanarsi, di nuovo il
ticchettio dei suoi stivali ritmico ed elegante, mentre il neon si
spegneva di
nuovo, per non riaccendersi più.