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Autore: lewis_alice    20/02/2011    2 recensioni
Ed un altro pensiero, un pensiero che non gli era mai passato per la testa nemmeno quando ricreava Sodoma e Gomorra nel salotto di certi bellimbusti, iniziò a presentaglisi con sempre meno tollerabile frequenza: "Io, trentanove anni, marito, padre, sono innammorato di Roberto. Io, trentanove anni, sono gay."
questa storia si è classificata prima al contest "A Sangue Freddo" indetto da Valery 23
credits: tutta farina del mio sacco tranne il testo della canzone "Io ti aspetto", che è di quei geniacci de "Il Teatro delgi Orrori", accidenti a loro!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SU QUEL DOLCE PROFILO DI PERSONA PER BENE CHE SEI

 

 

 

Roberto, nell'ultima fase di sonno fatta di sussurri e mani che ti afferrano senza troppa convinzione e dolce mescolanza di ragione e sogno, Roberto, allungò piano il suo corpo magro -come di ballerino, o nuvola, o qualsiasi cosa eterea ed azzurra, e leggera e vagante*, di pioggierella serale, di vestiti estivi e di cose belle e impalpabili- Roberto allungò piano il suo corpo magro verso l'altra metà del letto.

Vuota.

 

§§§

 

Sandra imprecò lanciando il telecomando, ma sul divano, per non fare rumore, che non si svegliano i bambini nemmeno quando si è fuori di sè e pieni di dubbi e Cristo! 800 canali ed alle tre di notte danno solo porno o poker o documentari sulle tartarughe di terra.

Si passò una mano sul viso: era stanca, ovviamente.

Il lavoro, preparare il pranzo, portare Elisa ed Andrea a nuoto, Marco a calcetto, ritirare i libri in biblioteca, bere un caffè -no, accidenti, non c'è tempo!-, ingurgitare il caffè, recuperare tutti i figli,

tornare a casa, osservare sconsolata il casino senza avere la forza nemmeno di mettere al loro posto le scarpe -in bella mostra all'ingresso-, preparare la cena... insomma era stanca, Sandra.

E faceva caldo. Erano i primi di giugno, l'afa ti ammazzava, la notte ti ammazzava, la tv ti ammazzava, il pensiero di quello che poteva essere successo a tuo marito ti ammazzava.

Sandra lo sapeva di essere irrazionale, a volte. Molte volte. E non troppo intelligente -questo le avevano fatto intendere in un paio di circostanze, e lei, chissà come, se n'era convinta-.

Però conosceva i suoi limiti e, soprattutto, conosceva suo marito. Giorgio sapeva sempre con esattezza matematica quello che stava facendo, non era uno che si faceva trascinare dagli eventi. Era razionale, calmo, educato. Era una sicurezza, al contrario di lei. Era il suo punto d'appoggio. Per questo l'aveva sposato. E per questo sapeva che doveva esserci un buon motivo se lui ancora non era tornato. (Però gli ospedali li aveva chiamati. Niente.)

Ma il suo buon motivo ce l'aveva di sicuro. La cena sarà andata per le lunghe, avranno discusso di azioni, transizioni, vendite. Tutte cose che nella sua testa Sandra associava alla giacca ed alla cravatta che suo marito indossava ogni mattina per andare a lavoro.

Eppure non se la sentiva di andare a dormire, non senza di lui. Non voleva che l'altra metà del letto fosse vuota, come ora.

 

"Mi avevi detto
ritorno a casa presto
ma son le quattro del mattino
e non so quante sigarette
il telefono non squilla mai

 

 

Il cellulare sul sedile del passeggero si mise a vibrare. "Chiamata in arrivo" lampeggiava. "Da: Fragola."

Ecco, poteva sembrare sciocco, o sdolcinato, che una coppia pressapoco quarantenne ancora si chiamasse con dei soprannomi tali. Solo che era Fragola, e nient'altro.

Sandra era Fragola quando si passava le mani tra i capelli puliti, quando si mordeva le labbra davanti a qualcosa di impegnativo, quando si allacciava il costume da bagno sovrappensiero, quando era in pigiama e quando dormiva. Fragola, niente da fare, era rimasto.

Ormai aveva iniziato a dar fiato al suo disappunto anche la suoneria.

Giorgio tolse una mano dal volante e, stanco, spense il telefono.

 

e piccole dosi di brandy."

 

§§§

 

Quando Giorgio era entrato per la prima volta in casa sua, non aveva nemmeno avuto occhi per le splendide pitture ai muri, per i soffitti alti da Roma bene, per i pavimenti, per le finestre ampie.

I suoi occhi erano fermi ad ammirare il suo viso, così perfetto da risultare antipatico. E la sua voce -di solito annoiata e strascicante, tipica di chi non ha mai seriamente lavorato in vita sua- era in quel momento piena d'infantile entusiasmo nello spiegare a Giorgio quello di cui si occupava, la sua musica, la sua famiglia -nessuna-, i suoi due anni trascorsi a Parigi.

Giorgio lo guardava, e pensava che non aveva mai conosciuto nessuno di tanto insopportabile. Eppure lo guardava, e riusciva a cogliere qualcosa in più, un'affinità che derivava dall'educazione che entrambi avevano ricevuto. Un'educazione del silenzio, del celare, della vergogna, del non dire, del fingere, del dissimulare.

Ma sapeva che in quel corpo adagiato sul divano, con la mollezza di un aristocratico d'altri tempi, c'era di più. C'era una tenerezza intutibile da certi sguardi disperati che lanciava a volte al mondo, dal modo in cui interrompeva subito le rare risate, che eludevano la sua ferrea autodisciplina e se ne uscivano come sbuffi caldi di vapore.

Tutto questo faceva crescere in Giorgio un'eccitazione che non gli era nuova. Però Roberto era diverso. Non poteva certo far concludere la serata a fare sesso sul divano, ed alle undici a casa. Roberto non era quel tipo di persona. Era più fragile, e prezioso. Ci volevano tempo e pazienza per sfilargli via tutti quegli strati di pesantezza e snobismo di cui si era ricoperto.

E, come colpito da una terribile intuizione, Giorgio pensò che lui avrebbe potuto aspettare, avrebbe trovato la pazienza, avrebbe tolto tutti gli strati, lo avrebbe spogliato della sua aria da principino e ci sarebbe stato, sempre, a baciarlo piano sul petto, ad osservarlo ridere... Fermo! Ad osservarlo ridere?

Non riusciva a capacitarsi che un tale pensiero provenisse davvero da lui. Che ne era stato del sano sesso sul divano? O nella doccia, fa lo stesso. Come con quegli altri ragazzi dei siti internet. Con cui non parlava quasi mai, se non durante. Ma erano sempre loro a rompere il suo silenzio, a fare commenti stridentemente pornografici, che lo lasciavano ogni volta spiazzato e con del senso di colpa che, per assurdo, non derivava dall'atto in sè, ma dalla volgarità da cui era accompagnato.

Ma "osservarlo ridere"... questo era troppo. Davvero. Questo era un gran brutto segno. Lui era un uomo sposato, lui era innammorato della sua Fragola, avevano tre bambini splendidi.

Cosa lo faceva impazzire così tanto di Sandra? I suoi occhi! la sua risata! la sua bocca! Falso, tre volte falso. Se l'era ripetuto così tante volte che credeva fosse davvero un pensiero suo, ma non lo era. Cercò disperatamente di ricordare anche un solo motivo per cui si era sempre ritenuto un marito esemplare, uno di quelli che è davvero innammorato della sua donna. Falso, tutto falso. Ogni bugia si palesava a lui come un pesce che viene a galla per deridere il pescatore senza mangiare la sua esca.

"Va tutto bene? Ti sto annoiando?"

Roberto sembrava più seccato dalla distrazione di Giorgio che sinceramente preoccupato. E questo gli piaceva. "Devo stare veramente male, malissimo." E senza lasciare tempo al peggio di avvenire, si alzò brutalmente in piedi, e con un laconico "Sono veramente tardi, devo andare." uscì da quella casa in tutta fretta.

Solo che il peggio avvenne lo stesso, incurante se in casa di Roberto o meno. Ed avvenne sotto forma di una strisciante idea che iniziò a tormentarlo: "Io, trentanove anni, marito, padre, sono innammorato. E non di mia moglie, e non di un'amante. Sono innammorato di un piccolo viziato snob dalla massa muscolare più che discutibile." Ed un altro pensiero, un pensiero che non gli era mai passato per la testa nemmeno quando ricreava Sodoma e Gomorra nel salotto di certi bellimbusti, iniziò a presentaglisi con sempre meno tollerabile frequenza: "Io, trentanove anni, marito, padre, sono innammorato di Roberto. Io, trentanove anni, sono gay."

Tutto ciò lo atterriva talmente da non poter quasi più rilassarsi un minuto. Si ripromise perciò di non rivederlo mai più, il suo piccolo snob.

 

§§§

 

"ma io ti aspetto sai
io ti aspetto"

 

Sandra fece un ultimo tentativo di zapping tra la desolante offerta televisiva notturna. Nulla.

Come quello che stava facendo Giorgio in quel momento. Nulla.

Che avesse un'amante le appariva davvero irrealistico. Poteva sembrare assurdo, ma aveva la sensazione che a suo marito non piacesse fare l'amore. Non che lo facessero poco, anzi, ma lui le era sempre sembrato distante, lontano.

Invece, solo quella volta, era stato diverso. Era successo una volta sola ed era un periodo in cui vedeva che non riusciva mai ad essere rilassato, come se il suo cervello continuasse a sbattere su un pensiero fisso. Cose di lavoro, supponeva. Anche se non sembrava. Ma lei non era mai stata troppo sveglia, si era detta, così finì per lasciar perdere. Ed era successo solo quella volta. Le aveva fatto male, ma non era quello il punto. Era come uno sconosciuto. Quell'uomo aggressivo, violento ed ansimante non era suo marito. Giorgio era uno che aveva sempre il controllo della situazione, in ogni circostanza. Quando ebbe finito le posò la testa in grembo. Stava singhiozzando come un bambino. Quella visione la atterrì talmente che si divincolò dalla sua seppur debole resistenza e andò a farsi una doccia senza dire una parola.

Nel letto era rimasto solo lui, sudato e stanco, nudo come un neonato in lacrime, a ripetere piano. "Ti amo, Sandra. Ti amo."

"si leggon cose terribili
ogni giorno nei giornali
alla tv non parlan d'altro"

 

Era un luglio di qualche estate passata. Forse quattro, cinque anni prima.

C'era questo signore, molto bello nei suoi pantaloni di lino, la faceva ballare sulla pista all'esterno del ristorante. Sandra aveva un vestito rosso vinaccia, e si sentiva splendida tra le braccia di un uomo che la guardava con malizia, e la faceva volteggiare, e le dava del lei.

Giorgio rideva a bordo pista con allegria, batteva le mani. Non c'era traccia di gelosia sul suo volto.

Perchè non c'era? Perchè suo marito avrebbe dovuto ridere spensierato mentre un altro uomo le stringeva i fianchi, mentre le guardava il seno e respirava l'odore dei suoi capelli? Come poteva non accorgersene? Come poteva lasciare quell'uomo respirare quell'odore che era sempre -sempre!- appartenuto a lui? Tutto ad un tratto le fenne voglia di fargli del male, a suo marito. Le venne voglia di vedere se avrebbe riso anche se anzichè ballare fossero andati a letto insieme. Se ancora avrebbe battuto le mani.

Ma quando si era quasi convinta di mettere in pratica quella sua fantasia, un grumo caldo e fastidioso di senso di colpa si fece strada nel suo petto. Non se lo meritava. Giorgio non se lo meritava, perchè lui non sarebbe mai stato capace di una cosa simile.

Terminò la canzone e lei ritornò a bordo pista, sulla sedia che lui le teneva libera al suo fianco. "Quanto sei bella, amore mio." Non sapeva perchè ma incontrollate lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso.

 

 

"confesso di soffrire di paure
forse non giustificate"

 

Si riscosse dai suoi ricordi. Era davvero caldo. Forse si era appisolata, eppure voleva aspettarlo ancora per un po'. Cercò di scacciare dalla sua testa gli scenari macabri frutto della sua fantasia e dei notiziari televisivi. A Giorgio non era successo nulla. Doveva solo aspettare. Solo aspettare.

E suo marito sarebbe tornato a dissipare tutti gli incubi che si stavano accavallando davanti ai suoi occhi come frutto di una macabra scelta di regia, e si attorcigliavano, ed ammorbavano per sempre la loro vita familiare, e c'era Giorgio che rideva, e rideva, ma non aveva i denti.

Ed i suoi bei ricci neri in disordine diventavano fili scoperti**, la sua faccia allegra e piena era una maschera calda e pulsante di cera che si scioglieva al suo tocco. Ed era tanto stanca, tanto, ma non voleva dormire senza che lui fosse tornato.

 

"ma io ti aspetto sai
io ti aspetto"

 

§§§

 

L'auto si fermò in uno spiazzo al lato della strada. Il conducente appoggiò il volto sul volante, come in un gesto disperato, o come un ubriaco. Solo che lui non aveva bevuto nulla.

Cercò di chiudere gli occhi e di rimettere insieme almeno un decimo di quella convinzione che aveva provato quando, finalmente aveva preso una decisione. Lo sapeva, che continuare così gli era impossibile. Era diverso stavolta, era serio.

Pensò a Roberto, che sorrideva come un gatto accanto a lui.

Era tornato poi, ovviamente. Era tornato due, tre, quattro volte. Finchè non aveva perso il conto, o -che è la stessa cosa- aveva smesso di contare, perchè nessuno conta quante volte torna a casa, nessuno conta quante volte fa l'amore con la persona per cui vive, nessuno conta quante volte si sente felice solo perchè osserva colui che ama mentre legge per terra a piedi nudi. Non si dà importanza a quante volte ti ha sorriso illuminandosi per un suo progetto, o a quante volte ha cantato sotto la doccia, senza alcuna vergogna per la sua voce terribile.

Ed infatti anche Giorgio aveva dimenticato i numeri esatti, però sapeva precisamente che queste cose erano accadute, e che si era sentito felice come non mai.

Però era sempre lì, nell'angolo della sua testa, come una spina. Era una voce tagliente che continuava a ripetere "Egoista Egoista Egoista Egoista Egoista Egoista".

E lo stava facendo impazzire. Il pensiero di Sandra, di quello che avrebbe potuto provare se lo avesse scoperto, gli era insopportabile. Lei non avrebbe mai fatto una cosa del genere, mai. Lo amava troppo.

Ed i suoi figli. Non riusciva a pensarci senza provare un'angoscia pazza e disperata, come di chi si vede trascinato in due direzioni e lo sa che sarà squarciato in due, e tutto dipende da lui.

Con la testa appoggiata al volante pensò a Roberto, che aveva sfogliato come un libro, e gli aveva tolto tutte le difese, e lo stesso aveva fatto a lui. Si erano scoperti fragili, e bambini, ed amanti. Ed erano un solo cuscino su un letto piccolo, una domenica sempre troppo lunga che li divideva, una risata segreta e un po'burina, solo per loro, come una sorpresa, come una nuova vita.

Pensò a Sandra, che lo aspettava a casa. Poteva vederla con chiarezza, che fumava stancamente ed ostinata non andava a letto. Che, anche se lei non lo sapeva, era forte come una leonessa e sapeva lottare, sapeva attendere. Il loro letto grande per due, la macchina a cinque posti in cui si stava stretti, le domeniche di tanto tempo fa che, come in un film di cui ci si ricorda appena la trama, erano luminose e belle, e scorrevano via troppo veloci.

Si massaggiò le tempie con le mani e respirò per calmarsi. Ormai aveva deciso, inutile tormentarsi.

 

"l'amore è una cosa così bella
una cosa così grande
una notte d'angoscia
non può che diventare una carezza"

 

 

§§§

 

 

Roberto allungò piano il suo corpo magro verso l'altra metà del letto.

Sapeva di trovare accanto a sè il calore quasi speziato di Giorgio. La sera prima glielo aveva chiesto di nuovo, aspettandosi come al solito una delle sue scuse un po'grossolane a cui rispondeva con quella cattiveria neanche troppo mascherata che viene spacciata per il modo di fare normale di certe persone molto facoltose.

"Resta a dormire qui, non andartene." Roberto lo diceva ogni volta, e, buttando al vento il suo orgoglio, talvolta aggiungeva anche un "ti prego" che per tutta la settimana gli bruciava come una cocente sconfitta.

E poi era successo. Come se fosse la risposta più naturale e giusta del modo -cosa che avrebbe dovuto essere se il mondo fosse stato effettivamente naturale e giusto-, Giorgio sorrise e si limitò a dire "Certo".

 

Roberto allungò piano il suo corpo magro verso l'altra metà del letto. Vuota.

Solo il lenzuolo un po'spiegazzato, per il resto vuota. Vuota.

Nella confusione del dormiveglia ebbe comunque la prontezza di non cercare giri di parole. Non c'era. Se n'era andato, e lui sapeva quello che voleva dire.

Come un sonnambulo si alzò di scatto. Stava tremando. Non si era mai sentito così umiliato in vita sua. Perchè lo sapeva cosa voleva dire. C'era un modo, un modo speciale in cui si salutavano ogni volta, e si davano appuntamento all'incontro successivo. E non si erano mai salutati se non in quel modo. Anche quando gli era capitato di litigare, mai.

Giorgio gli posava le labbra su un orecchio e gli sussurrava un numero, ovvero i giorni che li separavano. Poi lo baciava e se ne andava piano, senza far rumore. A volte Roberto aveva finto di dormire per vedere se l'altro se ne sarebbe andato come se niente fosse. Ma Giorgio lo aveva sempre svegliato, con la sua robusta delicatezza da ragazzaccio, e aveva rispettato il rituale, era il loro modo di dirsi 'arrivederci', era una piccola certezza.

Si sedette su una sedia in cucina, era vuota, a parte lui. E non gli era mai successo, ma gli sembrava quasi che lui solo non contasse. La cucina era proprio vuota.

 

"su quel dolce profilo
di persona per bene
che sei"

 

 

§§§

 

Che in fondo non gli rimaneva nulla di Roberto, se non il ricordo. Se lo impresse bene nella mente, come fingendo di ingnorare che un giorno avrebbe dimenticato il suo volto, e le sue mani.

E mentre stava a letto cercò di ripercorrere le forme del suo corpo con un dito, solo che non ci riusciva. E non voleva. Poi Sandra dormiva ora, sembrava felice.

Giorgio le baciò piano una mano e cercò di sentirsi felice anche lui.

 

 

"su quel dolce profilo
di persona per bene
che sei"

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice:

Un paio di citazioni, così, tanto per. (E non perchè mi piacciono gli asterischi. -Sembrano stelline.-)

*"[...]a quella scia
ch'esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti."


 

**"e i tuoi capelli che sono fili scoperti

che sono nastro isolante

che sono fili scoperti "

Le Luci della Centrale Elettrica "Per combattere l'acne"

ah, già! il link del contest è http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9549188&p=1

ringrazio infinitamente l'ideatrice per avermi fatto alzare dal divano (metaforicamente parlando... lì sono rimasta in effetti XD ) e avermi fatto venire un po'di voglia di scrivere! :D

   
 
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