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Autore: Marguerite Tyreen    21/02/2011    1 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricordi d'Irlanda' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo III: The velvet of her eyes
 
 
Liam, occhiali sul naso per leggere da vicino e taccuino alla mano, controllava gli orari delle lezioni nella bacheca dell’università.
Anche quell’anno accademico, quello del 1913/14, il terzo da quando si era iscritto a letteratura, sarebbe stato talmente fitto di impegni da non lasciargli molto tempo libero.
Se cominciava anche ad aggiungerci la scrittura e la politica, forse non avrebbe trovato neppure quello per respirare.
Era meglio non stare nemmeno a pensarci, si disse, rimettendo gli occhiali nel taschino, tanto più che doveva attraversarsi mezza facoltà per l’ora di filologia ed era, come al solito in ritardo.
La verità era che quando scriveva perdeva completamente la cognizione del tempo, trovandosi a vagare negli universi che lui stesso creava. Anzi, a volte, sentiva di mettere così tanto di sé nei suoi personaggi, di porsi al servizio delle storie o della musicalità dei versi, da perdere di vista la propria esistenza. Poi scrollava la testa e rideva dei propri voli pindarici.
Dovresti smettere di scrivere, Liam. Gli aveva detto suo padre più volte. Del resto, con la poesia non si mangia.
Lo sapeva anche lui, ma non poteva farne a meno. Pensare di vivere senza la sua arte, sarebbe stato come non vivere nemmeno. Così Gobnait lo vedeva sempre alzato fino a tardi ad accumulare pagine e pagine di manoscritti, dei quali nessuno conosceva più di qualche accenno di trama.
Almeno si sapesse se ha talento, era stato il commento del vecchio Murray, quando aveva messo mano al cassetto della scrivania del figlio, trovandolo prevedibilmente vuoto.
Stava lavorando ad un romanzo, così aveva detto anche a sua madre, e aveva qualche speranza di pubblicare entro breve. Forse con un piccolo editore, forse facendo circolare la sua opera con lo stesso sistema del giornale di facoltà.
Solo Shannon aveva letto quasi tutti i capitoli in anteprima, venendo così a sapere che si trattava di una vicenda allegorica che, con molta fantasia avrebbe dovuto inneggiare all’indipendenza, senza incastrarsi nelle maglie fin troppo fitte della censura. Non poteva certo correre rischi di essere etichettato come sovversivo fin dall’opera di esordio. Sorrise da solo, immaginandosi la faccia di Shan, quando avrebbe visto la prima copia e, soprattutto, quella di suo padre.
- Ehi, Liam.- si sentì tirare dalla manica della giacca e trascinare fuori a forza dai suoi pensieri.
Si voltò, lasciando cadere lo sguardo sul giovanotto che l’aveva chiamato. Il suo compagno di corso, Patrik O’Connor, un ciuffo di capelli rossi sul muso più allegro e lentigginoso che avesse mai avuto occasione di incontrare, lo guardava quasi in punta di piedi, essendo almeno tre spanne più basso.
- Dia duit, Patrik. 1 Non sei in ritardo per filologia?
-  Dia is Muire duit.2 Ci sono cose più importanti di filologia, in questo momento. – gli disse in un sussurro, prendendolo sottobraccio – Stiamo pensando di organizzarci.
- Senti, è meglio che ne parliamo da un’altra parte. Vieni con me.
Lo condusse fino alla biblioteca, avendo cura di scegliere un reparto polveroso di vecchi testi inutili, non consultati da anima viva da almeno un decennio.
- Organizzarvi per cosa?
- Una società, un movimento patriottico, qualcosa che ci unisca nella lotta d’indipendenza.
Liam si strinse nelle spalle. Non rispose: no, grazie, io lavoro da solo, soltanto per educazione.
- Senti, lo so che non sei d’accordo con queste cose.
- Non sono d’accordo perché mi conosco. E so perfettamente di essere un idealista, di quelli che fin che c’è da scrivere lo fanno, ma quando si tratta di mettersi in società e sbattono il muso nella piccolezza umana, perdono ogni entusiasmo.
- Certo, se parti dal presupposto che ci sia sempre gente che se ne approfitta dei disordini per i propri interessi…
- Non intendevo dire questo.
- Ma l’hai detto, ed io potrei anche sentirmi offeso.
- Macchè offeso! Dicevo semplicemente che credo poco in questo spirito di corpo: tanti buoni propositi che poi si perdono per strada. È un mio limite, lo riconosco. Ma non ho voglia di assistere ai nostri bei ideali cadere per colpa di alcuni che si sbranano per essere i capi di tale movimento.
- Di’ pure che non hai il coraggio di affrontare la vita vera, Liam. E che preferisci quella dei romanzi.
- Forse. Senti, dimmi cosa devo fare e vi darò una mano anche questa volta, come ho sempre fatto. Non potrai certo rimproverarmi di non aver distribuito manifestini, scritto qualche buona ode per commemorare questa o quell’occasione e tenuto un paio di discrete orazioni, quando c’era da parlare. Come dire, non è che non abbia rischiato di persona.
- Assolutamente. Lo sai che vi stimo entrambi, sia te che Shannon. L’unica cosa è che, da quando ho parlato di voi a mio padre, mi sta torturando l’anima per convincervi a entrare con lui in qualche organizzazione, per essere più utili.
- Beh, hai visto com’è finita con la Giovane Irlanda. Se non lo ricordi, te lo dirò io: male.
- Sì, ma allora i tempi non erano maturi, cosa vuoi. Adesso c’è aria di rivoluzione.
- Sarà. E così è un idea di tuo padre, meno male: pensavo che fosse tua.
- No, no: è sua. Io faccio solo da tramite qui in facoltà. Insomma, lui è un professore un po’ troppo in vista. Ma sai, se fosse per lui, recluterebbe anche mia sorella Kathleen, che non ha ancora vent’anni. E quella matta è addirittura peggio di me.
- Sarei curioso di conoscerla, allora.
- Non ti dovrebbe essere difficile: studia filosofia nell’altro edificio. Ogni tanto la si incontra anche qui in biblioteca.
- Magari l’ho anche vista.
- Ne dubito, te lo ricorderesti. Non perché è mia sorella, ma è il genere di ragazza che non si dimentica.
Liam era tutt’altro che interessato alla piega che aveva preso la conversazione, per quella sua battuta che era stata solo di circostanza. Teneva ancora le mani nelle tasche in attesa di sapere cosa avrebbe dovuto fare.
- Affiggere dei manifesti. – gli disse Patrik, senza scomporsi – Stanotte. Porta con te anche Shannon, se vuol venire.
 
- Eh, quanto la fai lunga, Liam, per due manifesti da appendere. – replicò Shannon quel pomeriggio, dopo essersi ascoltato fin nei minimi dettagli il lungo racconto dell’amico. Possibile che gli mancasse del tutto la capacità di sintesi?
- Beh, certo, cosa vuoi che sia finire in gattabuia per i prossimi dodici anni.
- Così hai più tempo per scrivere, pazzo di un bardo. Sai Liam, quello che apprezzo maggiormente in te è l’ottimismo.
- Io invece adoro la tua sottile ironia, scribacchino. Allora, cosa fai, vieni anche tu?
- C’è anche la sorella di Patrik? – scherzò l’altro.
- Ci mancherebbe anche una ragazzina. Ma cos’ha di speciale, questa Kathleen?
- Dicono sia la più bella creatura che abbia mai messo piede in facoltà.
- Per forza, a filosofia sono quasi tutti uomini. Ma tu l’hai mai vista? Che domanda stupida: ovviamente no, altrimenti non si sarebbe salvata da Shannon “il conquistatore”.
- Spiritoso. Donzelle o no, verrò con te: non sono neanche domande da fare. Senza di me, altrimenti, chissà cosa combineresti.
Erano scivolati fuori casa, in tarda serata, senza farsi scoprire. Ormai Gobnait sapeva che Liam usciva sempre più spesso per partecipare a qualche riunione e lei stessa gli avrebbe lasciato campo libero, se non fosse stato per il marito. Ma quello scavezzacollo del figlio aveva dalla sua il sonno pesante del vecchio Murray.
Per Shannon le cose non andavano molto più lisce e si ritrovava molto spesso costretto a non usufruire dell’ingresso principale per andare e venire da casa Donovan.
La mattina seguente, Dublino si era svegliata coi muri tappezzati di manifesti indipendentisti, domandandosi di chi fossero opera.
Liam era rientrato all’alba col cuore in gola, ripensando al pericolo di essere scoperti, che avevano appena passato.
Shannon era andato avanti, deciso a sacrificarsi per entrambi, assumendosi la colpa.
Non se ne parla. Aveva ribattuto lui, seguendolo a ruota. La colpa è mia. Non rovinarti la carriera, tu che hai un brillante avvenire davanti.
Poi, per non finire a discutere proprio in quel momento, decisero di fare come quei due amici latini che, contendendosi la responsabilità, erano riusciti a muovere a compassione anche Dionisio di Siracusa. Solo che, forse, la guardia britannica non sarebbe stata altrettanto incline al perdono quanto il tiranno. Insieme, come sempre, come ai tempi delle scuole.
Si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi un istante al muro, per riprendere fiato.
Grazie al cielo era andato tutto bene.
Sua madre apparve in vestaglia sulle scale, stringendosi le braccia al petto per il freddo e la preoccupazione.
È questa l’ora di rientrare? Chiuse gli occhi e attese per un paio di secondi l’arrivo della fatidica domanda.
Invece lei, in tono piano, gli chiese semplicemente dove fosse andato.
- Ad occuparmi di Erin – disse ad occhi bassi.
Gobnait gli sfiorò appena la guancia con la mano.
- Non sei in collera con me?
- No. – fece lei in un sussurro – Tu sei ciò che io avrei voluto essere, figlio mio. Hai ciò che avrei voluto avere: un sogno.
- Solo perché tu me lo hai insegnato, mamma.
Trattenne una lacrima di commozione.
- E’pericoloso ciò che fai?
- No, no, solo qualche riunione. Non stare in pena per me.
- Solo una cosa, Liam, fa’ attenzione. Non ti chiedo nient’altro. Ma promettimi che non ti metterai in pericolo. Non sopporterei che ti accadesse qualcosa.
- Te lo prometto, stai tranquilla.
Com’era bella sua madre, pensò, piccola e graziosa come una bambola. E con una forza che non aveva mai incontrato in nessun’altra donna. La baciò su entrambe le gote.
- Beannacht Dé leat, mo rùn! 3 – gli disse accennando a un sorriso – E Shannon? Era con te?
- Mamma, ricordi quando eravamo bambini? Quando mi dicesti che saremmo rimasti amici e che servono uomini onesti per fare grande l’Irlanda? Lui è davvero l’amico migliore che si possa desiderare.
Gobnait aveva saputo dei manifesti, quella mattina, non tardando ad associarli all’escursione notturna del figlio. Un brivido le aveva attraversato la schiena. Tuttavia, rientrando, fu pronta a giurare al marito che Liam, quella sera, era rimasto a studiare in camera sua fino a tardi.
 
Erano passati quasi due anni di fervente attività patriottica, come amavano chiamarla loro.
Oramai, come un rito a cui nessuno nelle due famiglie dava più peso, ogni mercoledì Shannon e Liam incontravano altri studenti e discutevano fino a tarda notte sulle questioni che più stavano loro a cuore.
In realtà si ritrovavano tutte le volte con troppe chiacchiere, pochi fatti e sempre più demoralizzati.
Ma sembravano non risentirne troppo. Dopotutto, data la loro giovane età, c’era sempre qualche buona ragione per essere felici: fosse un esame ben riuscito o una passeggiata o una buona chiacchierata sotto un portico in attesa che spiovesse.
Shannon, in particolare, cominciava a pubblicare qualche articolo ben apprezzato.
Le ragazze, cosa per lui fondamentale, non gli mancavano, tanto da non volerne sapere di mettere, come diceva sua madre, la testa a posto.
Quando si trattava di questioni politiche, se c’era da far qualcosa, non era certo il primo a tirarsi indietro, ma cominciava a credere di poter benissimo sopravvivere anche senza.
A dire il vero, forse era solo lo spirito di avventura e l’idealismo della loro età ad averli portati su quella strada, senza che fosse veramente la loro.
Non che non volesse anche lui vedere un giorno Erin libera, semplicemente per carattere era del tutto incapace di vedere il lato drammatico delle cose. Faceva tutto con entusiasmo e Liam, spesso, lo invidiava, ma senza cattiveria.
Era una di quelle invidie che portano con sé più ammirazione che altro.
Dal canto suo, Liam, aveva sempre la sua scrittura a consolarlo, oltre che un anonimo amore finito male, ma senza farlo poi tanto soffrire, dal quale trarre sempre ispirazione per qualche poesia sentimentale.
E se gli articoli di Shannon cominciavano ad avere un loro discreto consenso, anche lui aveva avuto il suo piccolo successo letterario. Il suo romanzo circolava per la facoltà e si era tirato addosso parecchi complimenti e qualche critica.
Almeno non è precipitato nell’abisso dell’indifferenza, si era detto, notando la modestissima edizioncina nelle mani di uno dei colleghi.
- Posso fare i complimenti al mio scrittore preferito? – Shannon aveva riso di soddisfazione, quando finalmente aveva potuto sventolare sotto il naso dell’amico la copia che si era premurato di procurarsi.
- E così già sai? Ma, scusa, avrei dovuto regalartelo io.
- Pazzo di un bardo irlandese, solo perché hai scritto un romanzetto, non ti penserai più ricco di me? Risparmia per quando dovrai girare il mondo con la cetra. Guarda che coi miei articoli io guadagno di più. – scherzò.
- Lo sapevo che avresti fatto carriera presto.
- Come io sapevo che saresti diventato davvero uno scrittore, un giorno. Liam, sono tanto contento per te.
Si abbracciarono.
- A proposito, ho un ottima notizia – continuò Shannon con aria raggiante – Non sono arrivato a piedi, oggi.
- No, non dirmi che…
- Sissignore, guarda fuori dalla finestra.
Davanti a casa Murray era parcheggiata una lussuosa automobile: anche Shannon Donovan era diventato uno dei pionieri di quelle moderne carrozze senza cavalli che le trainassero.
- Cos’è quel trabiccolo? – aveva chiesto Gobnait, ridendo, davanti all’entusiasmo dei due ragazzi per quel pezzo di latta con le ruote.
- Una macchina, ultimo regalo di mio padre per i miei… chiamiamoli successi lavorativi. Mia madre non ha nessuna intenzione di salirci.
- Con giusta ragione, Shan, ma sei sicuro di saper guidare?
- Come no! E se non ti fidi domenica ti lascio a piedi, Liam. Anzi, zia Gobnait, vieni tu con me.
- Che dobbiamo fare domenica? – Liam sorrise, scrollando la testa, davanti alle virtù di pilota dell’amico.
- Domenica si farà una bella scampagnata, vecchio bardo. – attese coscienziosamente che la signora Murray si sedesse al posto di guida, emozionandosi come una ragazzina per quei miracoli della tecnologia e della meccanica. Poi aggiunse: - Vedrò di invitare la mia fidanzata…
- Quale delle tante?
- L’ultima. E le dirò di portare un’amica. Insomma, Liam, a ventiquattro anni non puoi essere ancora da solo come un vecchio di ottanta. Sembri mio nonno.
- Grazie! La verità è che soffro ancora per…
- Ma va’, non ci crede nessuno. Non io che ti conosco come le mie tasche, almeno. Devi solo trovare quella giusta, fidati del vecchio Shan.
In realtà, Liam, non l’avrebbe trovata durante una delle loro gite nella campagna irlandese, ormai diventate una piacevole consuetudine, bensì molto più vicino a casa.
 
Camminava nel corridoio della facoltà con una pila di volumi sulla letteratura francese contemporanea da restituire alla biblioteca e la testa persa fra le parole di Baudelaire, i propri gomitoli di trame e la lettera d’amore commissionatagli da un compagno di corso.
Sorrise soprattutto di questo, prendendolo almeno come un buon esercizio per quando avesse dovuto scriverne una per sé come mittente. Certo che era sempre più facile scrivere di sentimenti altrui che dei propri.
Improvvisamente si scontò con qualcosa o qualcuno; francamente non seppe dirlo con precisione, trovandosi a mantenere pericolosamente in equilibrio i libri.
La pila franò rovinosamente a terra, senza che avesse potuto far niente.
- Gabh mo leithscéal. 4 – si scusò la voce più dolce che ricordasse d’aver mai sentito – Mi dispiace. Accidenti che disastro, lasci che l’aiuti.
La sconosciuta si chinò per aiutarlo coi libri.
Quando alzò lo sguardo, Liam trovò puntati nei propri due occhi di un insolito castano dorato, grandi e profondi. Abbassò di nuovo la testa, prima che lei si potesse accorgere che la stava osservando, in quel modo indiscreto con cui gli scrittori fissano quella che sarà la loro prossima ispirazione.
- E’ colpa mia, ero distratto.
- No, ci mancherebbe. Ero io a non guardare dritto: stavo cercando una persona. Anzi, forse lei può aiutarmi. Conosce William Murray? Credo faccia il quarto anno.
- Sono io.
- Quando si dice casualità! – si era rialzata, mettendo in piena luce la propria figura sottile, avvolta in un cappottino color panna. Da sotto il cappello in tinta, alcune ciocche di capelli biondi sfuggivano dalla elegante pettinatura – Sono la sorella di Patrik O’Connor. Da quando mio fratello mi ha fatto leggere il suo libro, mi sono messa in testa di conoscerla. Me lo lasci dire, mi è piaciuto davvero molto. Lei ha del talento, William. Eppoi… - gli si avvicinò, per non farsi sentire – è anche un buon patriota, come me.
Annuì: - Grazie, troppi complimenti che non mi merito. E così lei è Kathleen?
- Sì.
- Sa, è un nome che non le si addice.
- Perché? – rise appena, divertita da quell’insolita frase –Quale mi si addice, allora?
- Appena l’ho vista, se posso permettermi, ho pensato a “Aisling”, “visione”. – non seppe dire da dove fosse nata quella galanteria, di cui non era solito fare uso.
Kathleen, percependo che quel complimento non era quello rivolto da un dongiovanni qualunque al suo nuovo trofeo, ma piuttosto da un poeta alla sua musa, si lasciò incantare per un istante dalla purezza delle sue affermazioni.
Liam intanto pensava che le voci che correvano su suo conto erano addirittura inferiori alla verità. Era davvero bella come una visione. Il suo sguardo di velluto dava luce a un volto raffinatissimo, dai tratti minuti e dalla pelle di alabastro.
A differenza di quanto aveva creduto, non sembrava per nulla sofisticata. Aveva riso spontaneamente, e lui se ne accorgeva sempre quando le persone fingevano di essere diverse dalla loro natura.
- Grazie, è il più bel complimento che mi sia mai stato rivolto. – sorrise, dolcissima – Ma non parliamo di me. Di lei piuttosto, dato che sono venuta apposta. Del suo romanzo. Della nostra Erin. So tutto, per via di Patrik. Io la penso come lei, come voi tutti. Le va?
- Volentieri. Il tempo di consegnare questi.
Lei gli tolse un paio di libri di mano e attese pazientemente il suo ritorno davanti alla biblioteca.
Poi passò la sua manina guantata sotto il braccio di lui: - Non mi considera sfacciata, vero, se le chiedo di prendere un caffé con me?
- Solo se mi consente di chiamarla Aisling, signorina O’Connor.
- Assolutamente, abolisca quel “signorina O’Connor” e vada per Aisling. Sono una ragazza moderna. A patto di poterla chiamare Liam. Siamo poi quasi coetanei, no?
- Bene, dopotutto siamo nel 1916. Sarà la modernità a salvarci, non pensa?
- Credo che andremo molto d’accordo, Liam. Anzi, ne sono sicura. Intuito femminile.
S’infilarono, chiacchierando con allegria, nel primo caffé.
 

 ___________
 

1 Gaelico. Trad: “Buongiorno”
2 Gaelico. Trad: “Buongiorno” (in risposta a un saluto precedente)
3 Gaelico. Trad: “Gli dei ti aiutino, cuor mio”
4 Gaelico. Trad: “Chiedo scusa”

 
Nota dell’Autrice:
 
Carissime, spero che l’entrata di Aisling vi sia piaciuta e vi abbia incuriosito.
Dal prossimo capitolo, comincerò a movimentare la storia dal punto di vista sentimentale, oltre che da quello storico.
Come sempre, ringrazio di cuore tutti coloro che passano a leggere, ma, soprattutto voi ragazze che avete inserito la storia tra le seguite: AlexandraRoses, DanSperry, fruttina89, ginny89potter, Martina97,Olthir_84 
E, ovviamente, chi vorrà commentare. Se avrete il piacere di farlo, anche solo per “correggere il tiro” della storia, per sapere se vi sto annoiando a morte o se il risultato è decente, io ne sarò felice. Ma non voglio insistere troppo nel chiedervelo, so bene che siamo già abbastanza impegnati a vivere ;)
Al prossimo capitolo che aggiornerò il prima possibile! In genere non ho questi tempi biblici, ma abbiate pazienza per questa serie di “congiunture astrali” che hanno rallentato il tutto XD
Intanto, un saluto affettuoso e un bacio,
vostra
 
Marguerite.

   
 
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