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Autore: Briseide    22/02/2011    5 recensioni
Post-Hogwarts. Pansy Parkinson e un matrimonio che non vuole da organizzare.
Blaise Zabini intorno a lei a renderle difficile il compito.
Millicent Bullstrode a rendere difficile il compito di Blaise Zabini.
E Draco Malfoy, che di sparire nel cassetto dei ricordi non vuole proprio saperne.
STORIA COMPLETA [revisione in corso]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Millicent Bullstrode | Coppie: Draco/Pansy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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The way we were

XVII

Oltremanica

 

There are times that walk from you like some passing afternoon,
Summer warmed the  open window of her honeymoon

 

«Pans?» si affacciò la voce di Blaise dall’interno.

Pansy sollevò pigramente la testa dai fiori di oleandro che stava osservando da lunghi minuti.

«Sono sulla terrazza» avvertì.

Tre secondi dopo Blaise fece la sua apparizione, lanciandosi occhiate guardinghe alle spalle.

«Metti la fede» disse sbrigativo, lasciando perdere le proprie spalle e affacciandosi dalla terrazza, per scrutare l’orizzonte.

Pansy non partecipò minimamente alla sua agitazione, limitandosi ad uno sguardo piuttosto critico.

«Ci risiamo?» domandò soltanto, facendo apparire la fede sul proprio palmo, richiamandola dal suo comodino. Blaise la infilò al suo dito sottile, con un sorriso di scuse e di compiacimento di sé, a volerle ricordare che l’ars amatoria non va mai in pensione.

«Non dovrebbe costarti molta fatica» le disse, facendo apparire un anello anche al proprio anulare. Come sempre il solo contatto del cerchio metallico con la pelle della sua mano gli procurò brividi di fastidio.  «Hai una certa esperienza in matrimoni fittizi, tu».

«Devo dare ragione al tuo amico, Blaise» replicò Pansy, preparandosi ad accogliere l’ennesima donzella in visita al loro maniero, nella speranza di apprendere la notizia della vedovanza improvvisa di Monsieur Zabinì. «Sei decisamente uno stronzo.»

 

-

 

Negli anni del periodo francese, come aveva preso a definirlo Blaise, nel tentativo di dare un tono alla loro innegabile disfatta, Draco era tornato nel cassetto in cui Pansy lo aveva tenuto negli anni dopo Hogwarts, prima di incontrarlo di nuovo.

Non era più innominabile. Spesso lei e Blaise, in preda a malinconie rinnegate senza alcun sforzo giustificativo il mattino dopo, si ritrovavano il suo nome sulle labbra, o sottinteso nei loro discorsi, o in qualche stralcio di ricordi, e allora si fermavano entrambi, non appena ne prendevano atto, lasciando che Draco si adagiasse tra loro e tornasse in silenzio ad occupare il posto che gli era stato riservato: muto compagno della loro quotidianità.

Quell’imbecille lo definiva a volte Blaise, scuotendo la testa nel versarsi da bere. Aveva smesso con il brandy, ora che Theodore non era più in giro. Ciò che rendeva  amabile il gusto di brandy era la circostanza di berlo nel salotto di casa Nott e rigorosamente alla faccia del proprietario della bottiglia da ottanta galeoni, aveva rivelato a Pansy una delle prime sere dopo l’insediamento al Maniero.

Pansy non si era preoccupata di fargli sapere di averlo sempre saputo.

 

Il Maniero dei Zabini era arroccato su una collina, piuttosto lontano dal centro abitato.

«Tipico gusto asociale del marito numero tre» aveva osservato Blaise, mentre i loro bauli si disfacevano da soli e Pansy prendeva dimestichezza con i soffitti alti delle stanze, le pareti bianche immacolate, prive di ritratti e disseminate invece qui e là di paesaggi ameni, tipicamente provenzali.

C’era una biblioteca discretamente fornita, nel piano superiore, che Pansy aveva lasciato a Blaise come antro in cui rifugiarsi dai bollenti spiriti di qualche dama o dalla crudeltà di qualche fantasma del passato, tornato in visita.

Per sé aveva scelto il terrazzo e una piccola stanza al piano terra, nascosta da un paravento alla vista dei visitatori

«Credi che tua madre se ne dispiacerebbe?» aveva chiesto a Blaise, già innamorata di quella stanza piccola e raccolta, che forse avrebbe anche potuto adibire a cassetto. Lui le aveva accarezzato i capelli, con una scrollata di spalle. «Mia madre non ha mai conosciuto dispiaceri» rispose. «Attenta ai cadaveri negli armadi, agli Auror manca giusto il corpo del penultimo marito». E poi l’aveva lasciata sola, a prendere possesso della sua nuova proprietà.

 

Entrambi avevano dovuto abituarsi, con la poca pazienza che avevano, ai ritmi di una vita decisamente non londinese. Pansy era stata costretta ad affinare il proprio francese, e Blaise aveva dato sfogo alle sue capacità linguistiche senza alcun problema di sorta. Come sempre, si era detta Pansy, trovandosi una cassa di champagne tra i piedi nel mezzo del salone dopo soli cinque giorni di permanenza in terre francesi.

Di sua madre e suo padre non aveva più avuto notizie.

Nel partire aveva fatto lo sforzo, sotto costrizione di Millicent, di scrivere una lettera di avviso anche a loro. L’aveva indirizzata a sua madre, consapevole che dopo il matrimonio andato a monte suo padre fosse poco disposto al dialogo. Anche da sua madre non le era giunta risposta di sorta, se non dopo mesi, e con un falco che non era quello di famiglia.

“Trattengo quello che hai lasciato qui a titolo di ricordo. Me lo devi, sono tua madre. So bene che non inviterai mai né me né tuo padre ad una visita, per tuo pudore o perché ritieni, forse a ragione, di dover sopravvivere in qualche modo. Come madre mi spezza il cuore, anche se tu sei convinta che io lo abbia allenato poco. Come donna, Pansy, non ho altro da aggiungere. Vivi bene, bambina mia.”

Conservò quella lettera nella stanza che aveva scelto per sé, nello stesso armadio in cui Mrs Zabini aveva nascosto i suoi scheletri.

La rilesse una sola volta, nella sua vita, per il resto la lasciò lì al suo posto.

 

La Gringott riuscì a rintracciare Blaise, un pomeriggio di inverno.

Fuori cadeva la neve, e il gufo intestato Gringott aveva atteso intirizzito, con le zampe congelate alla ringhiera, che Blaise vincesse le sue ritrosie e si decidesse ad aprire la finestra.

Come sospettato da entrambi, la Gringott chiedeva ancora la sua collaborazione, offrendogli un lavoro di consulenza a distanza, che Blaise avrebbe potuto comodamente prestare da dove si trovava senza bisogno di tornare a soffocare nei fumi di Londra.

«Dovresti accettare» disse Pansy una settimana dopo, con fare pragmatico. «Sei stato sufficientemente corteggiato anche dagli uomini del Ministero, a questo punto.»

Blaise l’aveva guardata leggermente risentito nello scoprirla dalla parte degli altri.

Avrebbe avuto a che fare di nuovo con il nome di Draco, di Nott, e della Davis, e chissà di quanti altri. Pansy aveva letto tutto questo nel suo sguardo, e nel sorriso che le aveva ammorbidito le labbra c’era la chiave risolutiva dell’enigma.

«Avevamo detto che non sarebbe stata una fuga» disse, seria.

«Sì, lo avevamo detto» aveva risposto lui, rintanandosi nel suo antro al piano di sopra.

La sera Pansy, acciambellata sulla poltrona accanto al camino, scorse con la coda dell’occhio un dispiegarsi di ali nel cielo scuro.

«Che ci fa un gufo in volo in mezzo alla neve?» domandò ironica.

«Porta una notifica di accettazione a quegli imbecilli della Gringott» borbottò Blaise, scendendo le scale dal piano di sopra, e versandosi da bere.

 

Nei lunghi mesi di silenzio tra Pansy e la sua famiglia si era scatenata una guerra fredda in merito alla separazione dei beni. Così Eveline Parkinson aveva tenuto sotto sequestro tutti i suoi elfi domestici, abbassandosi persino ad una donazione in favore del sindacato diretto da Hermione Granger. Fu una donazione anonima, ovviamente, in accordo tra lei e la fondatrice, con riserva di mantenerne segreto il motivo.

Pansy aveva ritenuto di non aver alcun bisogno di elfi domestici che le stessero tra i piedi. Le loro deformità erano comunque poco consone ai delicati profili provenzali e mal si accostavano con l’ambiente circostante. Blaise la lasciò farneticare pieno di affetto, preoccupandosi personalmente di recarsi a Londra, in incognito, per trafugare qualche elfo e portarlo in casa propria.

«Questi ce li mandano i coniugi Montague, con auguri di buon Natale» annunciò a Pansy riapparendo al Maniero.

«Hai rubato a Millicent i suoi elfi… non posso credere che tu lo abbia fatto sul serio» commentò allibita ma molto sollevata di non doversi più preoccupare di certe incombenze.

«No, li ho sottratti con astuzia oratoria a quel sottosviluppato di suo marito» rettificò placidamente Blaise, facendo cenno alla nuova servitù di appropriarsi dello sgabuzzino per renderlo confortevole giaciglio e ripostiglio dei loro stracci, altresì con coraggio definiti indumenti. «Farà i conti con lei quando tornerà dal suo viaggio, cosa vuoi che succeda? È pur sempre Millicent, la sua massima rappresaglia sarà chiuderlo in un armadio, e in fondo non si tratterebbe di niente di nuovo, ne è già uscito una volta.»

«Potrebbe tornare intelligente, in effetti» valutò Pansy, versando da bere al compagno, in ringraziamento per l’opera di riciclaggio di elfi.

«Appunto. Come sempre, non capiscono mai quando vogliamo fare del bene.»

 

*

 

And she’s chosen where to be,
tough she’s lost her wedding ring

 

Trascorsero gli anni, si alternarono le stagioni.

Pansy affidò all’inarrestabile scorrere del tempo la cura del proprio dolore.

Non si azzardava mai a chiamarlo in quel modo, e la maggior parte delle volte si sforzava anche di non viverlo come tale.

Non aveva pianto per Draco, come le capitava di fare da giovane – battendo i pugni sul letto per sfogare la rabbia che le sue parole le provocavano, o lasciando che in silenzio trovassero posto sul suo viso le lacrime che lui non concedeva di certo a se stesso.

Aveva cristallizzato il dispiacere e imbrigliato lo sconforto, sbarrato il nascondiglio in cui li aveva riposti, e su di sé l’unica traccia della loro presenza era la malinconia che le era rimasta intrappolata negli occhi e la stanchezza con cui cercava di essere bella.

 

Pensava a lui più di quanto facesse credere a Blaise.

Gli anni erano passati, e lo sapeva padre, ormai. Quando il pensiero non la uccideva, trovava consolante l’idea che Draco avesse modo di non dimenticarsi come si ama.

C’erano stati altri uomini, mai nel suo letto e mai nel suo cuore. Li aveva incontrati senza conoscerli, si era dilettata della loro presenza senza mai renderla compagnia. Aveva usato i loro corpi per tenere in allenamento il proprio, per ricordare a se stessa che potesse conoscere calore, se non d’amore almeno di desiderio. Aveva permesso, questa volta, che le si facessero complimenti, che si parlasse di lei come di una bella donna, nonostante la pelle pallida e i suoi silenzi tipicamente british.

«Non hai figli?» le venne chiesto una volta, da uno di loro.

«No» rispose, una mano sul ventre piatto, vuoto. «Non credo di poter averne».

Ho la notte nel cuore avrebbe aggiunto se a chiederglielo fosse stata sua madre.

Non sentiva di avere sufficienti forze per amare qualcun altro, le aveva impiegate tutte per prendersi cura di se stessa e del proprio tormento.

Tuttavia quella sera, davanti alla propria immagine, cercò di immaginare una rotondità al posto dei suoi spigoli; si chiese se quel vuoto che aveva dentro di sé avrebbe mai potuto contenere qualcuno.

 

Di Londra e della sua vita ricevevano notizie sporadiche, riportate da Blaise dopo una accurata opera di selezione tra quelle che lo avevano raggiunto.

Pansy scoprì presto quella sua abitudine alla rassegna stampa, e decise di abbonarsi alla Gazzetta del Profeta, per risparmiare a Blaise il travaglio di proteggerla, e sollevarlo di qualsiasi responsabilità.

“Non ti affannare, stupido” gli disse aprendo il giornale sotto i suoi occhi, una mattina di inizio primavera. Blaise l’aveva guardata allibito. “Non abbiamo sempre fatto così? Ognuno è responsabile dei propri mali.”

Si era versato del caffè, scuotendo la testa. “Forastica, come sempre” borbottò dapprima offeso per il mancato riconoscimento delle sue attenzioni. Quando la sera tornò a casa, aveva già dimenticato.

“Ti ho perdonata” le disse, lanciando il mantello ad un elfo.

“Non ti ho chiesto scusa” gli rispose, sorridendo tra le pagine del libro.

 

-

 

Il Profeta raccontò a Pansy dell’ordinaria amministrazione scandalistica di Daphne, e delle controverse operazioni economiche della Gringott. La aggiornò degli ultimi processi, della decisiva abolizione del Bacio – la pagina riportava una sorridente Hermione Granger, al sit-in organizzato sotto la sede del Wizengamot riunito in Sezioni Unite per deliberare la proposta – delle nuove scoperte pseudo scientifiche portate avanti dallo sconclusionato connubio Lovegood – Scamandro, e della fusione delle società Nott e Davies.

Il vecchio Abraham era morto, infine, molto seccato per la propria dipartita, e serbando ancora profondo rancore verso suo nipote.

In una lettera Millicent le raccontò per filo e per segno ciò che era stato riferito da voci non meglio identificate, in quel del San Mungo. Theodore aveva insistito perché suo nonno fosse ricoverato e tenuto sotto sorveglianza, con una dedizione che Abraham aveva frainteso per malafede, così era morto soffiando veleno contro l’ingratitudine di Theodore e soprattutto contro la sua sciocca e deleteria attitudine ad amare donne discutibili, che lo avevano costretto “a rivolgere parola a quell’emerito idiota del Ministro di Grazia e Giustizia, per tirare fuori quell’altro emerito incapace di Lucius Malfoy al solo scopo di far fallire un matrimonio!”

Finì con il costringere Theodore a chiedere che lo sedassero, ma quando si era svegliato, terminato l’effetto dei narcotici, Abraham aveva ripreso con una lucidità tenace esattamente da dove si era interrotto: “… al solo scopo di vedere quel rattrappito di suo nipote lasciato sull’altare come un Allock qualunque, dovendo patire anche lo sviluppo del suo ennesimo inciucio da quattro soldi con quella gattamorta pluri-divorziata, e dovendo persino cederle una parte di azienda! Mai il nome dei Nott era stato accostato a quello di altre siffatte…”

Millicent aveva lasciato immaginare a Pansy come si fosse conclusa la piece.

Le disse, in ogni lettera, che non aveva imparato l’arte dell’anaffettività, essendo venuta a mancare la migliore maestra, e che quindi si permetteva di dire che le mancava, Pansy, e molto.

“Nel modo in cui la gente comune ha nostalgia di una cara amica.”

 

*

There are things we can’t recall, blind as night that finds us all,
but my hands remember hers.

 

 

Scorpius nacque di notte, in casa Malfoy.

Narcissa – che avrebbe rifiutato per sempre il nominativo nonna – aveva insistito perché così fosse e Astoria non si era opposta, sentendosi al sicuro nelle mani di una madre e una suocera che avevano già messo al mondo dei figli, riuscendo a preservare se stesse.

«Tieni, bevi questo» invitò Lucius, costretto a condividere con suo figlio la – nuova – reclusione oltre la porta.

Le dita gelide di Draco si aggrapparono al vetro del bicchiere, mentre pensava che stava per diventare padre, e che Blaise non era lì a ridimensionare il tutto in un po’ di disincanto confezionato, né Pansy lo guardava silenziosa, ricordandogli che poteva essere sbagliato ma lei lo amava comunque.

 

Non aveva più toccato Astoria, da allora. A volte si era chiesto se suo figlio lì dentro percepisse la frammentarietà di quell’amore che gli veniva riservato. In due canali diversi e separati tra loro.

Aveva delle  mani troppo grandi per le sue ossa fragili e il suo essere così minuscolo, pensò non appena fece la sua conoscenza.

Sua madre glielo mise in braccio, delicata come si è con un neonato, ma decisa nel compiere quel gesto.

“E’ ora che vi presentiate” disse piano, perché nessuno al di fuori di loro tre potesse sentirla “Per conoscervi avrete tempo, anche se non vi basterà lo stesso.”

“Non lo lasciare” aveva detto allarmato Draco “E se mi cade?”

“Non può cadere, è nelle mani di suo padre.”

Poi li aveva lasciati soli, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Fosse stato per lui quella porta non l’avrebbe più riaperta. Fu del tutto assorbito da quell’essere fatto di pelle sottilissima, con gli occhi chiusi e i pugni stretti convulsamente. Si agitava tra le sue mani di adulto e lui non riusciva a smettere di guardarlo, come se da un momento all’altro fosse pronto a sparire o rompersi.

Apri gli occhi pensava attendendo che lo facesse, sperando che lo facesse, con trepida ansia. Apri gli occhi, sono tuo padre, insomma, degnami di attenzione pensava risentito ma più che altro curioso e spaventato, come se avesse tra le mani un bene inestimabile, di un valore incommensurabile, e che gran parte del tutto dipendesse solo dalla sua cura e dalla sua capacità di insegnargli a fare i conti con la vita perché fosse dignitosa e leale prima di tutti verso se stesso.

Non credo di essere in grado, è meglio se lo sai da subito continuava a dirgli in silenzio. Ma Scorpius non batteva ciglio, ignorando quelle sue parole come se sapesse già che non valessero niente, che fosse sbagliato pensare quelle cose. Draco volle credere a quella sua indifferenza.

Suo figlio viveva da neanche dieci ore, e già lo aveva smentito, rendendolo forte.

 

Astoria, come un tempo aveva fatto Narcissa, spiava spesso Draco nei momenti in cui era con Scorpius. Osservava le loro dinamiche con occhi curiosi e commossi, e sentiva qualcosa stringersi dentro di sé, la tenerezza attanagliante per quelle immagini e l’impossibilità di scioglierla in un abbraccio.

Sua madre era stata molto soddisfatta dell’opera portata a compimento: “I bambini ti vengono decisamente bene” gorgogliò la prima volta che tenne il nipote tra le braccia. Daphne quel giorno era rimasta sulla porta, a braccia conserte, decisa ad astenersi da tutti quei patetismi. Quando Astoria cercò il suo sguardo, sopra i compiacimenti di loro madre, per accertarsi che fosse ancora lì, Daphne le rivolse un’occhiata piena di fastidio per la situazione e con quello Astoria comprese che sua sorella le voleva bene, e che era l’unica ad aver capito cosa stesse succedendo.

“E’ un bambino, mamma, non un deficiente” la sentì mormorare in un sibilo frustrato.

“Il bambino è tuo nipote, Daphne, è meglio che inizi a prendere confidenza con il tuo ruolo, avvicinati”.

Daphne accese una sigaretta, inorridita, e con quello si fabbricò la scusa per abbandonare la stanza.

“Lascia perdere tua sorella, sei giovane, Astoria, ma sarai comunque una buona madre” commentò Olimpia Greengrass, restituendole Scorpius.

Astoria sorrise adeguatamente, pensando invece alla sera in cui Draco era tornato a casa, mesi prima.

Grondava di pioggia e determinazione.

Non si sentì di dire a sua madre che nel contratto era stata inserita una clausola.

Non si sentì di spiegare che se come madre avrebbe avuto tutta la vita per esercitarsi, come moglie aveva gli anni contati.

---

Note.
1)
Le scuse per il ritardo ormai consideratele inglobate nell'aggiornamento. Nessuna giustificazione neanche stavolta, solo scuse.
2) La canzone citata l'avrete di certo riconosciuta ma disclaimer vuole che io ribadisca che è degli Iron&Wine, "Passing Afternoon".
3) Alle recensioni - grazie! - rispondo con il nuovo form, che è una meraviglia *_*
4) Il prossimo capitolo è anche l'ultimo. 

Detto ciò, mi ritiro :)

  
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