Salve a tutte! É
ricominciata l’università e sono stata
molto presa da tutto il normale quotidiano.
Devo studiare tantissimo e cercare di tenere il passo con i
corsi nuovi. Sono sempre stanca e stravolta. Se mi vedeste, altro che
vampiro!
Mi direste che sembro uno zombie!!!
Comunque, vi ringrazio per i commenti che mi avete lasciato.
So che non si comporteranno bene i miei personaggi in questo
capitolo…
La gente a volte reagisce in modo strano e Bella, dopo tutto
quello che ha passato, è confusa e disorientata. Ha paura
perché non riesce ad
affrontare quello che le accade e, per cercare di tenere il passo degli
eventi,
si lascerà travolgere da una situazione più
grande di lei.
Ma… come si lascia intuire dalla fine della prima
parte…
presto arriverà la cavalleria!
E non è solo un modo di dire.
No, Edward non farà come benigni… non
arriverà a cavallo di
un bianco destriero (L’ho visto al tg. Non seguo sanremo)
perché in questa mia
storia non è il principe azzurro.
Ma infatti, cosa vorrà Jane?
Per le maliziose… non quello!
Devo ricontrollare quanto scritto fin qui. Sapete, sto
scrivendo il punto cruciale e a votle devo cambiare qualcosa nei
capitoli
precedenti per essere coerente quindi ho sempre paura a postare
perché, quello
che posto non posso più cambiarlo (cioè,
tecnicamente potrei ma non mi sembra
corretto.)
Insomma, abbiate pazienza e pietà di questa povera
scrittrice part-time futura disoccupata!
Per Con Ogni singolo battito del mio cuore, sto lavorando al
finale e so che è da un po’ che lo dico.
Avete ragione… però, chi fra voi scrive
saprà che, per
quanto dispiaccia, non si può dedicare troppo tempo alle ff
perché la vita, con
i suoi doveri più che piaceri, chiama.
Sappiate che per me
scrivere è un piacere grandissimo e che amo farlo. Per
questo devo entrare nel
mood giusto. Non riesco proprio a impormi di scrivere nella mezzora
libera. Ho
bisogno di tempo ( e in questi giorni questo scarseggia… )
Per tutto questo vi chiedo scusa.
Ah, dimenticavo… Ma cosa succede in questo pazzo capitolo??
Chi è quell’uomo? Uomo? Mhm… certo che
Bella le sventure non
le attira, se le va proprio a cercare!
Povera Bella, violentata una volta, se la rischia di nuovo!
Ho scelto questo titolo per esprimere la frustrazione, il dolore e i
sentimenti di entrambi i protagonisti, spero di averli espressi anche
nel testo.
Cap 21
I’m wondering will I ever
see another
sunrise?
Edward’s
POV
Superai
Renata che, impassibile, rimaneva di guardia alla sua stanza e, senza
badare
alle ragazze che, nude, si rincorrevano tra le risate nel fruscio di
veli.
Aro,
sdraiato tra cuscini e lenzuola, abbracciava Jane, avvinghiata a lui in
modo
indecente. e coperta solo dai suoi capelli biondi disciolti sulle sue
spalle e
sul suo seno
<
Figliolo, hai infine deciso di fruire dei piaceri che questi corpi
giovani ci
offrono? >
<
No Aro. Ho necessità di parlarti. >
<
Ti prego, giovane Edward. Non ho la disposizione d’animo
adatta per ascoltare
le tue lamentazioni in questo frangente. >
<
Non mi interessa. Ho bisogno di comunicarti una mia
necessità. >
Battè
le mani e le ragazze cessarono immediatamente il loro gioco e si
sedettero nel
preciso punto in cui si trovavano.
Marion, quella bendata, alzò con il mignolo
maliziosamente la fascia che le copriva gli occhi.
Sentivo i loro pensieri.
Infastidite per la mia interruzione posta al loro gioco, interessate
per il mio
arrivo.
<
Beh… ragazzo. Ci hai interrotto. Ora rendici noto anche il
motivo. >
<
Preferirei discorrerne in privato. >
Sentivo
quanto aro fosse seccato.
Con un gesto
annoiato della mano congedò le sue giovani amice che, fra i
risolini, si
coprirono con i veli e si allontanarono rivolgendomi sguardi
ammiccanti.
Seccata,
Jane fece per alzarsi ma Aro la trattenne.
<
Tu resta pure, piccola. > Lei parve compiaciuta e lo
abbracciò, cingendogli
la vita.
<
Allora? Cosa volevi comunicarmi? >
<
Devo tornare a casa. >
<
Non se ne parla neanche. >
<
Non è una richiesta. >
<
Cosa intendi dire? Vuoi forse andartene? Pensi che te lo permetterei?
>
Cercai
di schiarirmi la mente, per evitare di apparire troppo arrogante.
<
Aro, ho bisogno di tornare in America. te lo giuro, tornerò
qui. Lasciami
qualche giorno. Se mi lasci partire, sarò il più
fedele dei tuoi servitori.
Sai
che non posso mentirti. >
<
Edward… perché dovrei privarmi dei tuoi servigi?
>
<
Perché, se mi concedessi questo atto di benevolenza, io
sarei in debito con te.
E potrei essere molto abile nello sdebitarmi. Avresti la mia
gratitudine. Sai
che adesso eseguo i tuoi ordini perché obbligato. Se mi
lasciassi partire, mi
sentirei in debito verso di te. Se invece mi costringessi con la forza
a
restare, non riuscirei a sfruttare a pieno le mie capacità
cognitive perché la
mia mente sarebbe costantemente rivolta altrove. Sarei un servo
riottoso,
invece che un fedele e devoto collaboratore. Riflettici. >
E,
senza aggiungere altro, lasciai velocemente le sue stanze. Con la mente
vagliavo i suoi pensieri.
Accarezzava
lentamente la schiena di Jane mentre lei gli mordicchiava il collo.
Lo
vidi vagliare tutte le possibilità…
Quando
la sua mente tornò alle giovani vampire che aveva richiamato
nella stanza,
capii che non voleva che leggessi i suoi pensieri e, esasperato, tornai
ai miei
appartamenti.
Non
avrei dovuto essere così sgarbato. Sperai di non averlo
indisposto troppo nei
miei confronti. Ero stato troppo avventato. Quel colloquio non era
andato come
sperato. L’unica nota positiva consisteva
nell’essere riuscito ad evitare il
contatto fisico. Se mi avesse preso la mano avrebbe saputo nei dettagli
tutto
ciò che avevo sentito al telefono. In quel modo, ero
riuscito a preservare
Alice. Speravo che, nel tempo che, in ogni caso ero riuscito a
guadagnare, lei
sarebbe riuscita a mettersi al sicuro.
Rimasi
seduto in camera mia a pensare per ore ma nessuno venne a chiamarmi.
Nessuno
bussò alla mia porta per giorni mentre, immobile, non potevo
far altro che
macerarmi nell’afflizione.
Sapevo
che, finchè ci fossero stati Esme e Carlisle, Bella sarebbe
stata al sicuro, ma
dopo?
Passarono
i giorni e l’arsura nella mia gola mi impediva di rimanere
lucido. Da quando
ero a Volterra mi nutrivo con meno frequenza. Per cibarmi di animali
era
infatti necessario che mi allontanassi dalla cittadella e questo
significa
allontanarmi da Aro. Cosa a lui non molto gradita e a me concessa solo
sotto la
sorveglianza di alcune delle sue guardie. Loro, durante le mie battute,
non
facevano altro che deridermi per il mio regime alimentare.
Era
passato troppo tempo dall’ultima volta che mi ero nutrito.
Non riuscivo più a
gestire la situazione. I miei pensieri vagavano su Bella, e spesso in
preda ad
una sorta di delirio che, come se fossi stato in una crisi di
astinenza, mi
portava a distruggere tutto non potevo fare a meno di crucciarmi per
lei.
Sapevo
che, quell’isolamento,era una punizione che Aro mi riservava
a causa della mia
arroganza. Nessuno era venuto a chiamarmi. E non potevo
uscire se non “invitato” da Aro.
trentotto
giorni dopo, quando ormai non riuscivo più a tollerare la
tensione e la sete,
Jane fece il suo ingresso trionfale nella mia stanza…
Mi veniva a prendere tutte le sere, mi portava ogni
sera in un locale diverso facendomi provare sempre qualcosa di nuovo.
Vodka-pesca-Lemon,
Maracuja-vodka-sour, Daiquiri, Mai-thai, Sex-on-the –beach,
black-russian,
caipiroska…
Ogni sera mi riaccompagnava a casa e io facevo fatica
a camminare diritta.
In auto mi abbandonavo alle sue mani senza provarne
piacere. Lo lasciavo fare solo perché speravo che mi
aiutasse a dimenticare.
Volevo che le sue mani allontanassero il ricordo di quelle di Phil. Di
Phil che
mi aspettava sempre sveglio,che mi fissava schifato. Considerava il mio
abbigliamento lascivo e il mio comportamento disdicevole. Ma io lo
facevo solo
per allontanarlo da me.
Uscivo con Jason per non rimanere a
casa con lui. Per
cancellare il ricordo delle sue mani sulla mia pelle.
Ma ciò non era possibile…
Per questo, ogni volta che Jason si avvicinava a
quello che avevo imposto come limite massimo, io mi allontanavo, mi
sottraevo.
Non volevo arrivare fino a quello… non me ne sentivo
pronta.
A Jason questa mia ritrosia non piaceva. Come non gli
piaceva il fatto che io mi rifiutassi di toccarlo. Non prendevo mai
l’iniziativa e non lasciavo mai che si spingesse troppo in
là.
Pensava che fossi troppo rigida, però gli piacevo e
continuava a provarci…
Avevamo cominciato a uscire anche con i suoi amici,
andando per locali insieme a loro.
Si ritrovò infatti riverso nel bagno a vomitare
l’anima.
Dopo un quarto d’ora di singulti, decisi di concedermi
una pausa. Tanto la mia presenza era totalmente superflua.
Uno degli amici di Jason mi vide e mi venne vicino. Lo
avevamo incontrato al pub e si era unito a noi.
< Marie, stanca di fare l’infermierina? >
Annuii indifferente. Loro mi conoscevano così, come
Marie…
< Ti va una sigaretta? >
< Non fumo, grazie. >
< Beh, accompagnami allora. Tanto, Jason ne avrà
ancora per un po’. Così mi tieni compagnia.
>
Il mio istinto mi diceva di no,di non seguirlo. Lo
conoscevo a malapena.
In realtà, non era neanche un amico di Jason. Si erano
conosciuti appena qualche sera prima in discoteca. Cosa ne sapevo io di
questo
ragazzo?
Assolutamente nulla.
Però non volevo essere scortese, di fare quella che sa
sempre sulle sue e non da confidenza mai a nessuno, di sembrare quella
che si
sente superiore, e decisi di accompagnarlo.
< Va bene. >
sorrise soddisfatto della mia risposta e mi fece strada.
Uscimmo dalla porta sul retro e ci
ritrovammo in uno
squallido vicolo denso del vapore che usciva dalle cucine dei locali.
Una
vecchia auto era stata parcheggiata là chissà
quanto tempo prima.
Il ragazzo sembrava totalmente a suo agio mentre io,
in minigonna e top, stavo congelando. Gli stivali con i tacchi mi
facevano male
ai piedi e la testa aveva ricominciato a pulsare. L’alcol mi
rendeva lenta nei
movimenti. Cercò di intavolare una conversazione senza
suscitare in me un
particolare interesse. Io ODIAVO il baseball.
Per fortuna la sigaretta si era quasi esaurita. Stavo
cominciando a rimpiangere il caldo affollato del locale, la musica
assordante…
< Beh, rientriamo? > gli chiesi dopo che lo vidi
spegnere la sigaretta sul muro.
< Hai fretta di raccogliere vomito? >
< No! Certo che no! Io non pulisco proprio niente!
>
Mi si avvicinò in modo
pericolo. Sentii uno strano
movimento nello stomaco. Ecco, ero proprio un’idiota.
Arretrai per evitare il contatto fino a che la schiena
non sfiorò il muro di mattoni dell’edificio dietro
di me.
< Senti, io voglio tornare dentro. > sibilai con
voce ferma, cercando di apparire sicura di me.
< No che non vuoi. Hai voglia di divertirti ma hai
capito che lui non può darti ciò che vuoi.
Però potrei aiutarti io. >
Poggiò una mano sulle mie costole, sotto al seno, come
volesse bloccarmi. L'altra mano scivolò sotto la mia gonna.
Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. La
sua mano si strinse prepotente sulla mia coscia. Provai ad allontanarmi.
< Senti, non so che idea ti sia fatto ma non ho
voglia di niente. E l’unica cosa che potresti fare per me
è levarti di torno e
lasciarmi andare. >
Ero leggermente ottenebrata dal cocktail che avevo
bevuto e la mia reazione fu troppo lenta.
Senza che potessi fare nulla, mi
accorsi delle sue
mani sulle mie spalle. Mi teneva ferma al muro. Cercai di divincolarmi
e lui
provò a baciarmi.
Voltai la testa e lui mi leccò la guancia. stavo male. non
riuscivo a respirare. vedevo coriandoli luccicanti ovunque mentre un
nero inquietante guadagnava spazio ai bordi del mio campo visivo.
< Dai, non fare la difficile. Sei così carina.
>
Reagire… reagire…
le parole di Carlisle mi martellavano
in testa.
Gli pestai il piede e fu costretto a lasciarmi andare.
< Ma sei cretino? > gli urlai passandomi orripilata la
mano sulla guancia.
Prima che potessi andare verso la porta mi afferrò con
forza il braccio, sbattendomi sul cofano della macchina.
< Prima mi dici che ci stai e poi ti tiri indietro?
Ma a che gioco stai giocando? > mi urlò con rabbia.
Calma, dovevo mantenere la calma.
< Io non ho mai detto nulla e ora, per piacere,
lasciami andare o mi metto a urlare. >
< Cosa credevi che volessi fare qui fuori? Giocare
a carte? Mi pigli per il culo o sei scema? >
Sentii il suo corpo poggiarsi sul mio, togliendomi il
fiato per il peso. Infilò una mano sotto al top. <
Pensi che qualcuno
potrebbe sentirti, con la musica e
tutto
il resto? >
L’altra sua mano era scivolata sotto alla mia gonna.
< Lasciami andare. Io non voglio. >
< Sì che vuoi, altrimenti non ti conceresti a quel
modo! >
< NO, non voglio! >
Quando mi sfiorò gli slip, decisa a non lasciarmi
sottomettere come era successo con Phil, gli sferrai un potente calcio
che lo
fece boccheggiare.
Ma non fu per quello che si allontanò da me.
… No…
Qualcuno lo aveva afferrato per il collo e lo aveva
allontanato con la forza.
La figura oscura, celata dalle ombre, parlò. < Hai
sentito la signorina? Lei non vuole. >
La voce profonda e suadente dello sconosciuto mi fece
accapponare la pelle.
Era al contempo affascinante e inquietante, seducente
e minacciosa.
Vidi il ragazzo tentare di allentare la presa sul suo
collo. Le dita gli tremavano.
< No-non resp-iro > Vedevo i suoi piedi agitarsi
convulsi nel vuoto.
< Non è necessario che tu lo faccia…
> disse
l’ombra, persuasiva, tenendolo
sollevato da terra. Lo stava soffocando.
Io nel frattempo dal cofano ero scivolata per terra.
Tremavo e non riuscivo a muovermi.
Sentii gli occhi dello sconosciuto su di me.
Nel silenzio che si era creato, disturbato solo dai
singulti agonizzanti del mio aggressore, si udì un suono
raccapricciante. Il
rumore di ossa che si frantumano.
Poi il silenzio.
E il ragazzo smise di dimenarsi.
Gli aveva spezzato il collo.
Avrei voluto urlare, alzarmi e scappare… ma non ci
riuscivo.
Questa situazione andava oltre a tutto ciò su cui
potessi anche solo vagamente mantenere il controllo.
Non riuscivo a fare altro che fissare l’enorme ombra
scura avvicinare la bocca al collo innaturalmente piegato del ragazzo.
Nel silenzio riconobbi un suono orribile. L’assassino
stava succhiando, avido.
Ciò che aveva fatto era abominevole. Ero incappata in
maniaco psicopatico…
< Bene, e ora, signorina, se non le dispiace… >
E si piegò su di me.
Sentii le sue dita innaturalmente fredde e dure
accarezzarmi il viso, sfiorarmi i capelli, scostarmeli per poter vedere
la
pelle del collo.
Avvicinò le sue labbra e le poggiò sulla mia
pelle.
< Il tuo sangue ha un buon profumo… sai di fiori.
>
Chiusi gli occhi. Il dolore pulsante alla testa era
atroce. Non riuscivo a pensare.
Mi stava per uccidere e non riuscivo a pensare ad
altro che al dolore tremendo che mi crivellava la testa.
“sai di fiori” “il tuo sangue ha un buon
odore” …
Al corso di autodifesa, a scuola, ci avevano insegnato
che se venivi aggredita dovevi cercare di instaurare un rapporto con
l’aggressore. Sfruttare l’empatia, dargli corda e
lasciarlo parlare. Il tutto
per guadagnare tempo finchè qualcuno non si fosse accorto
che eri in pericolo…
valeva anche per gli assassini?
E intanto nella testa rimbombavano echi lontani…
“Il
tuo sangue ha un buon profumo… come di
fresia…” “sai di buono, di
fiori” …
“Fresia”
Le mie labbra si
mossero da sole.
< Fresia.
>
< Come scusa? >
< Sa di fresia, vero? Il mio sangue… >
Sorpreso che avessi parlato, avvicinò il naso dritto
alla mia giugulare e ispirò profondamente.
Ridacchiò, colto alla sprovvista. < Sì,
hai
ragione. Sembra proprio fresia. Te lo dirò con certezza dopo
che lo avrò
assaggiato… beh, tu sarai morta, ma non importa. >
Dovevo fare qualcosa, qualcosa che lo fermasse, ma non
mi veniva in mente niente.
Con voce perentoria dissi: < Fossi in te non lo
farei. >
< E perché no? Se no cosa mi farai, piccola
ragazzina? >
Nulla. Quella era la risposta.
Era finita.
Sebbene non volessi, quando chiusi gli occhi vidi
Edward.
Era stupido, infantile, sbagliato… eppure avrei voluto
vederlo un’ultima volta, sebbene sapessi che non mi amava
più.
Schiuse le labbra e sentii i suoi denti freddi
lambirmi in modo sensuale la pelle della clavicola.
Mi resi conto che tutto ciò che avevo fatto nelle
ultime settimane non era stato per dimenticare ciò che mi
aveva fatto Phil, ma
Edward.
Io non volevo essere abbandonata.
E non volevo neanche morire in quel lurido vicolo.
Volevo Edward.
E allora dissi la prima cosa che mi
passò per la
mente.
< I Volturi lo sapranno. >
Si immobilizzò di colpo, allontanandosi da me
emettendo un basso sibilo.
< Cosa stai dicendo? > urlò terrorizzato.
E che diavolo ne sapevo io di cosa stavo dicendo. Non
ne avevo la più vaga idea… però, data
la sua reazione, decisi di continuare.
< Te l’ho detto. Puoi anche uccidermi ma loro lo
sapranno. E non ne saranno contenti. Ti cercheranno e ti troveranno. E
allora
ti pentirai di avermi uccisa. >
Stavo dicendo parole a vuoto ma sapevo che erano
quelle giuste da dire. Lo sapevo perché l’uomo che
mi aveva aggredita era
totalmente nel panico.
< Ma come… tu… sei solo
un’umana! Ma… > poi
cercò di darsi un contegno e, con il tuono suadente e
vellutato che aveva usato
fino a poco prima, riprese: < Mi scusi. Avrebbe potuto avvisarmi
prima della
sua posizione. Spero che l’incidente occorso al suo
accompagnatore… > e
indicò il corpo senza vita dell’amico di Jason
< Non mi procurerà delle noie
con i nostri amici italiani… >
Terrorizzata, feci cenno di no e lui mi parve molto
rinfrancato, tanto che aggiunse: < In realtà, vedendo
che la stava
molestando, ho deciso di accorrere in suo aiuto. >
Sì, come no. E l’aiuto comprendeva uccidermi e
dissanguarmi?
< Ora con permesso… non vorrei che quegli insulsi
umani… >
poi mi guardò e disse:
< Senza alcuna offesa verso di lei, madmoiselle…
Come le dicevo, non vorrei che capissero come il nostro sgarbato amico
sia
passato a miglior vita. >
Ed estrasse con mano tremante una boccetta da un
marsupio. Ne versò il contenuto sul corpo, poi vi diede
fuoco con un
fiammifero.
Nei bagliori delle fiamme riuscii a distinguere solo
un volto pallido dai lineamenti nobili e duri e gli occhi.
Degli occhi di un rosso
impossibile.
Saltò sul cassonetto
della spazzatura e da lì al tetto
con una grazia e un’agilità inverosimile.
Un secondo dopo quell’uomo si era dileguato.
Con occhi sbarrati fissavo il punto in era sparito.
Ben presto gli occhi cominciarono a bruciarmi a causa del fumo. Un
odore acro
mi investì.
Carne bruciata, capelli bruciati. Fiamme rosse e blu
danzavano davanti a me, pericolosamente vicine… ma non
riuscivo ad
allontanarmi. Vedevo il corpo del ragazzo orrendamente distrutto,
sciolto,
arso. L’odore era atroce. Mi ritrovai voltata su un fianco a
vomitare. Cercai
di racimolare un briciolo di forza per trascinarmi via ma non ci
riuscivo. Mi
graffiavo le gambe nude contro l’asfalto mentre il calore si
faceva sempre più
vicino.
Non riuscivo più a vedere nulla, accecata dai fumi
corrosivi della benzina.
Non riuscivo a respirare e sentivo il mio petto
comprimersi per colpa dell’accesso di tosse.
Spaventati dall’allarme anti-incendio, i gestori dei
locali si affacciarono sul vicolo.
Una poliziotta e dei paramedici mi
aiutarono a sdraiarmi sulla lettiga. Mi
portarono in ambulanza.
Facevo fatica a respirare. Mi ero graffiata e
tagliata…
Sulla mano e sulla gamba sinistra c’era una piccola
ustione.
Jason, che nel frattempo pareva essersi ripreso, mi
corse incontro.
I poliziotti non volevano che mi si avvicinasse ma lui
disse di essere il mio ragazzo e loro lo fecero passare.
Avrei preferito che fosse restato a vomitare.
Non volevo vedere nessuno. La testa mi stava per
esplodere….
Tra tutti quei fastidiosissimi suoni che si
sovrapponevano sentii una dottoressa avvisarlo:
< La signorina è in stato di shock. Ha subito un
grande spavento. Forse è rimasta intossicata. Dovremmo portarla in
ospedale. Non è riuscita
ancora a parlare… Il ragazzo è stato ucciso e
bruciato proprio davanti a lei… >
Jason si avvicinò a me e mi prese le mani. Era
pallido. Mi domandò: <
Stai bene?
>
non riuscivo a rispondergli. Gli fissavo gli occhi. I
suoi erano normali… non rossi.
< Marie? Stai bene? I poliziotti vorrebbero sapere cosa
hai visto, cosa è successo… >
Mi sforzai di rispondere e alcuni poliziotti mi si
assieparono intorno, intenti ad annotare ogni mia parola. i paramedici
insistevano per portarmi via ma loro non glielo permisero.
Li sentii dire all’infermiere: < Se non è
in
pericolo di vita, lasciatela qui. Deve assolutamente raccontare cosa ha
visto.
La porterete via dopo. Questo
è già il
quinto caso in tre mesi. È l’unica testimone.
L'unica ad essereuscita viva da...
Forse se riusciamo a farci dire
qualcosa, riusciremo a prendere quei bastardi. >
Poi si rivolse a me chiedendomi di
raccontare tutto
ciò che fosse successo.
Inventai quella
che mi parve l’unica storia credibile.
Si era avicinato, aveva un coltello.Urlava,
chiedendo soldi. Aveva aggredito il mio "amico" che
fumava. Lo aveva sgozzato. cercai di non pensare al sangue e continuai
dicendo che poi (ed era quella la parte più assurda) con una
bottiglietta aveva cosparso il ragazzo di un liquidoa cui aveva poi
dato fuoco. troppo terrorizzata, non avev guardato da che parte fosse
fuggito.
No. non lo avevo guardato in faccia.
no, non avrei potuto fare un identikit.
Corporotatura? media.
Altezza? media.
Voce? maschile.
Accento? nessuno.
Furono queste le mie risposte alle
loro domande. Di certo, la verità mi avrebbe fatto
passare per pazza. E poi, sentivo che non dovevo parlarne, che era
troppo
pericoloso.
Loro presero nota di ogni parola.
I paramedici in
ospedale.
Io supplicavo tutti di lasciarmi andare a casa.
< No, per favore. Sto bene adesso. Voglio solo
tornare a casa. Non ho bisogno di andare in ospedale. Ora sto bene. Non
mi fa
più male la gola e non mi bruciano più gli
occhi.>
I paramedici
non mi sembrava troppo felice ma, dopo circa
mezz’ora la dottoressa che
mi aveva medicato le bruciature e le escoriazioni (che mi ero procurata
durante
la colluttazione e la caduta) diede il suo beneplacito
perché mi portassero in
questura.
Disse che non poteva portarmi in ospedale se non
volevo e, dato che sembravo stare bene e i miei parametri erano tornati
normali, mi fece riempire un sacco di moduli.
Su quei fogli di carta
si attestava che rifiutavo di andare in ospedale in piena
coscienza e
che me ne assumevo tutti i rischi.
Mi presero in custodia i poliziotti. Avrei voluto
andarmene ma con loro non bastava scrivere il mio nome e la mia firma
su degli
stupidi fogli.
Fui costretta ad andare in questura. Jason
volle seguirmi.
Lui intanto aveva chiamato mia madre. I poliziotti
parlarono anche a lei e le dissero di andare direttamente in questura,
che mi
avrebbe trovata lì.
< Non devi avere paura, ora sei al sicuro… >
continuavano a ripetermi come se fosse un mantra.
Ma io guardavo i tetti e pensavo a quel mostro dagli
occhi rossi.
Ne ero rimasta terrorizzata e affascinata al contempo.
Io non lo conoscevo e lui non conosceva me, tanto che
voleva uccidermi, ma c’era qualcosa di familiare nei suoi
modi, nella sua
agilità… qualcosa che mi attraeva.
E poi, perché le mie parole lo avevano terrorizzato a
tal punto da farlo fuggire e lasciarmi salva la vita?
Volturi…
volturi… non riuscivo a pensare ad altro,
sebbene quella parola non mi dicesse assolutamente niente.
Bhe… insomma…
spero vi sia piaciuto.
Ci vediamo nel week-end!
Spero sarete numerose
Spero di essere riuscito a descrivere la loro "corte in modo educato, provocante e inquietante al punto giusto. Volevo rendere bene i sentimenti di Edward in un tale "contesto" a lui così estraneo.
E poi, volevo andare un po' cotnro alla fin troppo puritana Meyer! E in futuro... beh, questa è un'altra storia! fra un paio di capitoli le caste scene della Meyer potrete dimenticarle!
Erika