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Autore: CassandraLeben    22/02/2011    10 recensioni
La memoria del passato è la chiave per affrontare il futuro.
Ma se proprio questo passato su cui facciamo tanto affidamento venisse meno?
E se improvvisamente Bella si trovasse sola, sperduta in un mondo che non riconosce più?
Cosa succederebbe a lei, a Edward, ai Cullen se un giorno la pioggia portasse via con sé anche i ricordi di Bella?
Ff ambientata tra Eclipse e Breaking Dawn (ed ideata prima dell’uscita del quarto libro).
Dal 1° cap: Mi trovavo proprio in mezzo alla strada quando, improvvisamente, un’auto uscì da un incrocio a destra. Correva a tutta velocità sull’asfalto bagnato. Tutto durò una manciata di secondi appena. Troppo poco perché persino Alice potesse aiutarmi.
Venni accecata dall’auto per un istante. Cercai di tornare
indietro ma le mie gambe non rispondevano.
Feci appena in tempo a portarmi le braccia sopra al capo in un infantile tentativo di proteggermi e poi sentii un suono acuto e spaventoso. Il guidatore, accortosi di me, aveva cercato di sterzare.
Ma l’asfalto era bagnato e lui perse il controllo del veicolo.
E poi tutto divenne nero...
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Salve a tutte! É ricominciata l’università e sono stata molto presa da tutto il normale quotidiano.
Devo studiare tantissimo e cercare di tenere il passo con i corsi nuovi. Sono sempre stanca e stravolta. Se mi vedeste, altro che vampiro! Mi direste che sembro uno zombie!!!
Comunque, vi ringrazio per i commenti che mi avete lasciato.
So che non si comporteranno bene i miei personaggi in questo capitolo…
La gente a volte reagisce in modo strano e Bella, dopo tutto quello che ha passato, è confusa e disorientata. Ha paura perché non riesce ad affrontare quello che le accade e, per cercare di tenere il passo degli eventi, si lascerà travolgere da una situazione più grande di lei.
Ma… come si lascia intuire dalla fine della prima parte… presto arriverà la cavalleria!
E non è solo un modo di dire.
No, Edward non farà come benigni… non arriverà a cavallo di un bianco destriero (L’ho visto al tg. Non seguo sanremo) perché in questa mia storia non è il principe azzurro.
Ma infatti, cosa vorrà Jane?
Per le maliziose… non quello!  

 Credo che posterò in settimana, magari nel week-end.
Devo ricontrollare quanto scritto fin qui. Sapete, sto scrivendo il punto cruciale e a votle devo cambiare qualcosa nei capitoli precedenti per essere coerente quindi ho sempre paura a postare perché, quello che posto non posso più cambiarlo (cioè, tecnicamente potrei ma non mi sembra corretto.)
Insomma, abbiate pazienza e pietà di questa povera scrittrice part-time futura disoccupata!
Per Con Ogni singolo battito del mio cuore, sto lavorando al finale e so che è da un po’ che lo dico.
Avete ragione… però, chi fra voi scrive saprà che, per quanto dispiaccia, non si può dedicare troppo tempo alle ff perché la vita, con i suoi doveri più che piaceri, chiama.
Sappiate che per  me scrivere è un piacere grandissimo e che amo farlo. Per questo devo entrare nel mood giusto. Non riesco proprio a impormi di scrivere nella mezzora libera. Ho bisogno di tempo ( e in questi giorni questo scarseggia… )
Per tutto questo vi chiedo scusa.

 
Ah, dimenticavo… Ma cosa succede in questo pazzo capitolo??
Chi è quell’uomo? Uomo? Mhm… certo che Bella le sventure non le attira, se le va proprio a cercare!
Povera Bella, violentata una volta, se la rischia di nuovo!
PS: Cosa succederà ad Edwad nel postribolo in cui ho trasformato il covo dei Volturi? Sì, sono peccaminosa... lo so. 

pps: piccolo regalo.... doppio POV 
Ho scelto questo titolo per esprimere la frustrazione, il dolore e i sentimenti di entrambi i protagonisti, spero di averli espressi anche nel testo.

Cap 21

 

I’m wondering will I ever see another sunrise?

 

Edward’s POV

 Entrai nei suoi appartamenti sbattendo la porta.
Superai Renata che, impassibile, rimaneva di guardia alla sua stanza e, senza badare alle ragazze che, nude, si rincorrevano tra le risate nel fruscio di veli.
Aro, sdraiato tra cuscini e lenzuola, abbracciava Jane, avvinghiata a lui in modo indecente. e coperta solo dai suoi capelli biondi disciolti sulle sue spalle e sul suo seno
< Figliolo, hai infine deciso di fruire dei piaceri che questi corpi giovani ci offrono? >
< No Aro. Ho necessità di parlarti. >
< Ti prego, giovane Edward. Non ho la disposizione d’animo adatta per ascoltare le tue lamentazioni in questo frangente. >
< Non mi interessa. Ho bisogno di comunicarti una mia necessità. >
Battè le mani e le ragazze cessarono immediatamente il loro gioco e si sedettero nel preciso punto in cui si trovavano. 
Marion, quella bendata, alzò con il mignolo maliziosamente la fascia che le copriva gli occhi. 
Sentivo i loro pensieri. Infastidite per la mia interruzione posta al loro gioco, interessate per il mio arrivo.
< Beh… ragazzo. Ci hai interrotto. Ora rendici noto anche il motivo. >
< Preferirei discorrerne in privato. >
Sentivo quanto aro fosse seccato. 
Con un gesto annoiato della mano congedò le sue giovani amice che, fra i risolini, si coprirono con i veli e si allontanarono rivolgendomi sguardi ammiccanti.
Seccata, Jane fece per alzarsi ma Aro la trattenne.
< Tu resta pure, piccola. > Lei parve compiaciuta e lo abbracciò, cingendogli la vita.
< Allora? Cosa volevi comunicarmi? >
< Devo tornare a casa. >
< Non se ne parla neanche. >
< Non è una richiesta. >
< Cosa intendi dire? Vuoi forse andartene? Pensi che te lo permetterei? >
Cercai di schiarirmi la mente, per evitare di apparire troppo arrogante.
< Aro, ho bisogno di tornare in America. te lo giuro, tornerò qui. Lasciami qualche giorno. Se mi lasci partire, sarò il più fedele dei tuoi servitori. 
Sai che non posso mentirti. >
< Edward… perché dovrei privarmi dei tuoi servigi? >
< Perché, se mi concedessi questo atto di benevolenza, io sarei in debito con te. E potrei essere molto abile nello sdebitarmi. Avresti la mia gratitudine. Sai che adesso eseguo i tuoi ordini perché obbligato. Se mi lasciassi partire, mi sentirei in debito verso di te. Se invece mi costringessi con la forza a restare, non riuscirei a sfruttare a pieno le mie capacità cognitive perché la mia mente sarebbe costantemente rivolta altrove. Sarei un servo riottoso, invece che un fedele e devoto collaboratore. Riflettici. >
E, senza aggiungere altro, lasciai velocemente le sue stanze. Con la mente vagliavo i suoi pensieri.
Accarezzava lentamente la schiena di Jane mentre lei gli mordicchiava il collo.
Lo vidi vagliare tutte le possibilità…
Quando la sua mente tornò alle giovani vampire che aveva richiamato nella stanza, capii che non voleva che leggessi i suoi pensieri e, esasperato, tornai ai miei appartamenti.
Non avrei dovuto essere così sgarbato. Sperai di non averlo indisposto troppo nei miei confronti. Ero stato troppo avventato. Quel colloquio non era andato come sperato. L’unica nota positiva consisteva nell’essere riuscito ad evitare il contatto fisico. Se mi avesse preso la mano avrebbe saputo nei dettagli tutto ciò che avevo sentito al telefono. In quel modo, ero riuscito a preservare Alice. Speravo che, nel tempo che, in ogni caso ero riuscito a guadagnare, lei sarebbe riuscita a mettersi al sicuro.
Rimasi seduto in camera mia a pensare per ore ma nessuno venne a chiamarmi. Nessuno bussò alla mia porta per giorni mentre, immobile, non potevo far altro che macerarmi nell’afflizione.
Sapevo che, finchè ci fossero stati Esme e Carlisle, Bella sarebbe stata al sicuro, ma dopo?
Passarono i giorni e l’arsura nella mia gola mi impediva di rimanere lucido. Da quando ero a Volterra mi nutrivo con meno frequenza. Per cibarmi di animali era infatti necessario che mi allontanassi dalla cittadella e questo significa allontanarmi da Aro. Cosa a lui non molto gradita e a me concessa solo sotto la sorveglianza di alcune delle sue guardie. Loro, durante le mie battute, non facevano altro che deridermi per il mio regime alimentare.
Era passato troppo tempo dall’ultima volta che mi ero nutrito. Non riuscivo più a gestire la situazione. I miei pensieri vagavano su Bella, e spesso in preda ad una sorta di delirio che, come se fossi stato in una crisi di astinenza, mi portava a distruggere tutto non potevo fare a meno di crucciarmi per lei.

Sapevo che, quell’isolamento,era una punizione che Aro mi riservava a causa della mia arroganza. Nessuno era venuto a chiamarmi. E non potevo  uscire se non “invitato” da Aro. trentotto giorni dopo, quando ormai non riuscivo più a tollerare la tensione e la sete, Jane fece il suo ingresso trionfale nella mia stanza…

Bella’s POV

 Jason stava diventando pedante. Voleva sempre stare con me. Non gli bastavano più le ore al corso di musica.
Mi veniva a prendere tutte le sere, mi portava ogni sera in un locale diverso facendomi provare sempre qualcosa di nuovo.
Vodka-pesca-Lemon, Maracuja-vodka-sour, Daiquiri, Mai-thai, Sex-on-the –beach, black-russian, caipiroska…
Ogni sera mi riaccompagnava a casa e io facevo fatica a camminare diritta.
In auto mi abbandonavo alle sue mani senza provarne piacere. Lo lasciavo fare solo perché speravo che mi aiutasse a dimenticare. Volevo che le sue mani allontanassero il ricordo di quelle di Phil. Di Phil che mi aspettava sempre sveglio,che mi fissava schifato. Considerava il mio abbigliamento lascivo e il mio comportamento disdicevole. Ma io lo facevo solo per allontanarlo da me.

Uscivo con Jason per non rimanere a casa con lui. Per cancellare il ricordo delle sue mani sulla mia pelle.
Ma ciò non era possibile…
Per questo, ogni volta che Jason si avvicinava a quello che avevo imposto come limite massimo, io mi allontanavo, mi sottraevo.
Non volevo arrivare fino a quello… non me ne sentivo pronta.
A Jason questa mia ritrosia non piaceva. Come non gli piaceva il fatto che io mi rifiutassi di toccarlo. Non prendevo mai l’iniziativa e non lasciavo mai che si spingesse troppo in là.
Pensava che fossi troppo rigida, però gli piacevo e continuava a provarci…
Avevamo cominciato a uscire anche con i suoi amici, andando per locali insieme a loro.

 Una di quelle sere, dato che ci riaccompagnava un suo ex-compagno di liceo, anche Jason si diede all’alcol. Non fu una grande idea da parte sua.
Si ritrovò infatti riverso nel bagno a vomitare l’anima.
Dopo un quarto d’ora di singulti, decisi di concedermi una pausa. Tanto la mia presenza era totalmente superflua.
Uno degli amici di Jason mi vide e mi venne vicino. Lo avevamo incontrato al pub e si era unito a noi.
< Marie, stanca di fare l’infermierina? >
Annuii indifferente. Loro mi conoscevano così, come Marie…
< Ti va una sigaretta? >
< Non fumo, grazie. >
< Beh, accompagnami allora. Tanto, Jason ne avrà ancora per un po’. Così mi tieni compagnia.  >
Il mio istinto mi diceva di no,di non seguirlo. Lo conoscevo a malapena.
In realtà, non era neanche un amico di Jason. Si erano conosciuti appena qualche sera prima in discoteca. Cosa ne sapevo io di questo ragazzo?
Assolutamente nulla.
Però non volevo essere scortese, di fare quella che sa sempre sulle sue e non da confidenza mai a nessuno, di sembrare quella che si sente superiore, e decisi di accompagnarlo.
< Va bene. >  sorrise soddisfatto della mia risposta e mi fece strada.

Uscimmo dalla porta sul retro e ci ritrovammo in uno squallido vicolo denso del vapore che usciva dalle cucine dei locali. Una vecchia auto era stata parcheggiata là chissà quanto tempo prima.
Il ragazzo sembrava totalmente a suo agio mentre io, in minigonna e top, stavo congelando. Gli stivali con i tacchi mi facevano male ai piedi e la testa aveva ricominciato a pulsare. L’alcol mi rendeva lenta nei movimenti. Cercò di intavolare una conversazione senza suscitare in me un particolare interesse. Io ODIAVO il baseball.
Per fortuna la sigaretta si era quasi esaurita. Stavo cominciando a rimpiangere il caldo affollato del locale, la musica assordante…
< Beh, rientriamo? > gli chiesi dopo che lo vidi spegnere la sigaretta sul muro.
< Hai fretta di raccogliere vomito? >
< No! Certo che no! Io non pulisco proprio niente! >

Mi si avvicinò in modo pericolo. Sentii uno strano movimento nello stomaco. Ecco, ero proprio un’idiota.
Arretrai per evitare il contatto fino a che la schiena non sfiorò il muro di mattoni dell’edificio dietro di me.
< Senti, io voglio tornare dentro. > sibilai con voce ferma, cercando di apparire sicura di me.
< No che non vuoi. Hai voglia di divertirti ma hai capito che lui non può darti ciò che vuoi. Però potrei aiutarti io. >
Poggiò una mano sulle mie costole, sotto al seno, come volesse bloccarmi. L'altra mano scivolò sotto la mia gonna.
Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. La sua mano si strinse prepotente sulla mia coscia. Provai ad allontanarmi.
< Senti, non so che idea ti sia fatto ma non ho voglia di niente. E l’unica cosa che potresti fare per me è levarti di torno e lasciarmi andare. >
Ero leggermente ottenebrata dal cocktail che avevo bevuto e la mia reazione fu troppo lenta.

Senza che potessi fare nulla, mi accorsi delle sue mani sulle mie spalle. Mi teneva ferma al muro. Cercai di divincolarmi e lui provò a baciarmi. 
Voltai la testa e lui mi leccò la guancia. stavo male. non riuscivo a respirare. vedevo coriandoli luccicanti ovunque mentre un nero inquietante guadagnava spazio ai bordi del mio campo visivo.
< Dai, non fare la difficile. Sei così carina. >
Reagire… reagire… 
le parole di Carlisle mi martellavano in testa.
Gli pestai il piede e fu costretto a lasciarmi andare. < Ma sei cretino? > gli urlai passandomi orripilata la mano sulla guancia.
Prima che potessi andare verso la porta mi afferrò con forza il braccio, sbattendomi sul cofano della macchina.
< Prima mi dici che ci stai e poi ti tiri indietro? Ma a che gioco stai giocando? > mi urlò con rabbia.
Calma, dovevo mantenere la calma.
< Io non ho mai detto nulla e ora, per piacere, lasciami andare o mi metto a urlare. >
< Cosa credevi che volessi fare qui fuori? Giocare a carte? Mi pigli per il culo o sei scema? >
Sentii il suo corpo poggiarsi sul mio, togliendomi il fiato per il peso. Infilò una mano sotto al top. < Pensi che qualcuno potrebbe sentirti, con la musica e  tutto il resto? >
L’altra sua mano era scivolata sotto alla mia gonna.
< Lasciami andare. Io non voglio. >
< Sì che vuoi, altrimenti non ti conceresti a quel modo! >
< NO, non voglio! >
Quando mi sfiorò gli slip, decisa a non lasciarmi sottomettere come era successo con Phil, gli sferrai un potente calcio che lo fece boccheggiare.
Ma non fu per quello che si allontanò da me.
… No…
Qualcuno lo aveva afferrato per il collo e lo aveva allontanato con la forza.
La figura oscura, celata dalle ombre, parlò. < Hai sentito la signorina? Lei non vuole. >
La voce profonda e suadente dello sconosciuto mi fece accapponare la pelle.
Era al contempo affascinante e inquietante, seducente e minacciosa.
Vidi il ragazzo tentare di allentare la presa sul suo collo. Le dita gli tremavano.
< No-non resp-iro > Vedevo i suoi piedi agitarsi convulsi nel vuoto.
< Non è necessario che tu lo faccia… >  disse l’ombra, persuasiva, tenendolo sollevato da terra. Lo stava soffocando.
Io nel frattempo dal cofano ero scivolata per terra. Tremavo e non riuscivo a muovermi.
Sentii gli occhi dello sconosciuto su di me.
Nel silenzio che si era creato, disturbato solo dai singulti agonizzanti del mio aggressore, si udì un suono raccapricciante. Il rumore di ossa che si frantumano. 
Poi il silenzio.
E il ragazzo smise di dimenarsi.
Gli aveva spezzato il collo.
Avrei voluto urlare, alzarmi e scappare… ma non ci riuscivo.
Questa situazione andava oltre a tutto ciò su cui potessi anche solo vagamente mantenere il controllo.
Non riuscivo a fare altro che fissare l’enorme ombra scura avvicinare la bocca al collo innaturalmente piegato del ragazzo.
Nel silenzio riconobbi un suono orribile. L’assassino stava succhiando, avido.

 Innaturalmente statica, la figura scura continuò a succhiare fino a quando non lasciò andare il corpo che cadde riverso a terra a pochi metri dai miei piedi.
Ciò che aveva fatto era abominevole. Ero incappata in maniaco psicopatico…
< Bene, e ora, signorina, se non le dispiace… >
E si piegò su di me.
Sentii le sue dita innaturalmente fredde e dure accarezzarmi il viso, sfiorarmi i capelli, scostarmeli per poter vedere la pelle del collo.
Avvicinò le sue labbra e le poggiò sulla mia pelle.
< Il tuo sangue ha un buon profumo… sai di fiori. >
Chiusi gli occhi. Il dolore pulsante alla testa era atroce. Non riuscivo a pensare.
Mi stava per uccidere e non riuscivo a pensare ad altro che al dolore tremendo che mi crivellava la testa.
“sai di fiori” “il tuo sangue ha un buon odore” …
Al corso di autodifesa, a scuola, ci avevano insegnato che se venivi aggredita dovevi cercare di instaurare un rapporto con l’aggressore. Sfruttare l’empatia, dargli corda e lasciarlo parlare. Il tutto per guadagnare tempo finchè qualcuno non si fosse accorto che eri in pericolo… valeva anche per gli assassini?
E intanto nella testa rimbombavano echi lontani… “Il tuo sangue ha un buon profumo… come di fresia…” “sai di buono, di fiori” … “Fresia”
Le mie labbra  si mossero da sole.
 < Fresia. >
< Come scusa? >
< Sa di fresia, vero? Il mio sangue… >
Sorpreso che avessi parlato, avvicinò il naso dritto alla mia giugulare e ispirò profondamente.
Ridacchiò, colto alla sprovvista. < Sì, hai ragione. Sembra proprio fresia. Te lo dirò con certezza dopo che lo avrò assaggiato… beh, tu sarai morta, ma non importa. >
Dovevo fare qualcosa, qualcosa che lo fermasse, ma non mi veniva in mente niente.
Con voce perentoria dissi: < Fossi in te non lo farei. >
< E perché no? Se no cosa mi farai, piccola ragazzina? >
Nulla. Quella era la risposta.
 Era finita.
Sebbene non volessi, quando chiusi gli occhi vidi Edward.
Era stupido, infantile, sbagliato… eppure avrei voluto vederlo un’ultima volta, sebbene sapessi che non mi amava più.
Schiuse le labbra e sentii i suoi denti freddi lambirmi in modo sensuale la pelle della clavicola.
Mi resi conto che tutto ciò che avevo fatto nelle ultime settimane non era stato per dimenticare ciò che mi aveva fatto Phil, ma Edward.
Io non volevo essere abbandonata.
E non volevo neanche morire in quel lurido vicolo.
Volevo Edward.

E allora dissi la prima cosa che mi passò per la mente.
< I Volturi lo sapranno. >
Si immobilizzò di colpo, allontanandosi da me emettendo un basso sibilo.
< Cosa stai dicendo? > urlò terrorizzato.
E che diavolo ne sapevo io di cosa stavo dicendo. Non ne avevo la più vaga idea… però, data la sua reazione, decisi di continuare.
< Te l’ho detto. Puoi anche uccidermi ma loro lo sapranno. E non ne saranno contenti. Ti cercheranno e ti troveranno. E allora ti pentirai di avermi uccisa. >
Stavo dicendo parole a vuoto ma sapevo che erano quelle giuste da dire. Lo sapevo perché l’uomo che mi aveva aggredita era totalmente nel panico.
< Ma come… tu… sei solo un’umana! Ma… > poi cercò di darsi un contegno e, con il tuono suadente e vellutato che aveva usato fino a poco prima, riprese: < Mi scusi. Avrebbe potuto avvisarmi prima della sua posizione. Spero che l’incidente occorso al suo accompagnatore… > e indicò il corpo senza vita dell’amico di Jason < Non mi procurerà delle noie con i nostri amici italiani… >
Terrorizzata, feci cenno di no e lui mi parve molto rinfrancato, tanto che aggiunse: < In realtà, vedendo che la stava molestando, ho deciso di accorrere in suo aiuto. >
Sì, come no. E l’aiuto comprendeva uccidermi e dissanguarmi?
< Ora con permesso… non vorrei che quegli insulsi umani…  > poi mi guardò e disse:
< Senza alcuna offesa verso di lei, madmoiselle… Come le dicevo, non vorrei che capissero come il nostro sgarbato amico sia passato a miglior vita. >
Ed estrasse con mano tremante una boccetta da un marsupio. Ne versò il contenuto sul corpo, poi vi diede fuoco con un fiammifero.
Nei bagliori delle fiamme riuscii a distinguere solo un volto pallido dai lineamenti nobili e duri e gli occhi.

Degli occhi di un rosso impossibile.

Saltò sul cassonetto della spazzatura e da lì al tetto con una grazia e un’agilità inverosimile.
Un secondo dopo quell’uomo si era dileguato.
Con occhi sbarrati fissavo il punto in era sparito. Ben presto gli occhi cominciarono a bruciarmi a causa del fumo. Un odore acro mi investì.
Carne bruciata, capelli bruciati. Fiamme rosse e blu danzavano davanti a me, pericolosamente vicine… ma non riuscivo ad allontanarmi. Vedevo il corpo del ragazzo orrendamente distrutto, sciolto, arso. L’odore era atroce. Mi ritrovai voltata su un fianco a vomitare. Cercai di racimolare un briciolo di forza per trascinarmi via ma non ci riuscivo. Mi graffiavo le gambe nude contro l’asfalto mentre il calore si faceva sempre più vicino.
Non riuscivo più a vedere nulla, accecata dai fumi corrosivi della benzina.
Non riuscivo a respirare e sentivo il mio petto comprimersi per colpa dell’accesso di tosse.
 

Spaventati dall’allarme anti-incendio, i gestori dei locali si affacciarono sul vicolo.

 La gente accorse, chiamarono i pompieri e l’ambulanza. Arrivò persino la polizia. Si precipitarono verso di me, trascinandomi via dal punto in cui le fiamme divoravano le carni del ragazzo che mi aveva aggredita.
Una poliziotta e dei paramedici  mi aiutarono a sdraiarmi sulla lettiga. Mi portarono in ambulanza.
Facevo fatica a respirare. Mi ero graffiata e tagliata…
Sulla mano e sulla gamba sinistra c’era una piccola ustione.
Jason, che nel frattempo pareva essersi ripreso, mi corse incontro.
I poliziotti non volevano che mi si avvicinasse ma lui disse di essere il mio ragazzo e loro lo fecero passare.
Avrei preferito che fosse restato a vomitare.
Non volevo vedere nessuno. La testa mi stava per esplodere….
Tra tutti quei fastidiosissimi suoni che si sovrapponevano sentii una dottoressa avvisarlo:
< La signorina è in stato di shock. Ha subito un grande spavento. Forse è rimasta intossicata.  Dovremmo portarla in ospedale. Non è riuscita ancora a parlare… Il ragazzo è stato ucciso e bruciato proprio davanti a lei… >
Jason si avvicinò a me e mi prese le mani. Era pallido. Mi domandò:  < Stai bene? >
non riuscivo a rispondergli. Gli fissavo gli occhi. I suoi erano normali… non rossi.
< Marie? Stai bene? I poliziotti vorrebbero sapere cosa hai visto, cosa è successo… >
Mi sforzai di rispondere e alcuni poliziotti mi si assieparono intorno, intenti ad annotare ogni mia parola. i paramedici insistevano per portarmi via ma loro non glielo permisero.
Li sentii dire all’infermiere: < Se non è in pericolo di vita, lasciatela qui. Deve assolutamente raccontare cosa ha visto. La porterete via dopo.  Questo è già il quinto caso in tre mesi. È l’unica testimone. L'unica ad essereuscita viva da... 
Forse se riusciamo a farci dire qualcosa, riusciremo a prendere quei bastardi. >

Poi si rivolse a me chiedendomi di raccontare tutto ciò che fosse successo.
Inventai quella che mi parve l’unica storia credibile. 
Si era avicinato, aveva un coltello.
Urlava,  chiedendo soldi. Aveva aggredito il mio "amico" che fumava. Lo aveva sgozzato. cercai di non pensare al sangue e continuai dicendo che poi (ed era quella la parte più assurda) con una bottiglietta aveva cosparso il ragazzo di un liquidoa cui aveva poi dato fuoco. troppo terrorizzata, non avev guardato da che parte fosse fuggito.
No. non lo avevo guardato in faccia.
no, non avrei potuto fare un identikit. 
Corporotatura? media.
Altezza? media.
Voce? maschile.
Accento? nessuno.

Furono queste le mie risposte alle loro domande. Di certo, la verità mi avrebbe fatto passare per pazza. E poi, sentivo che non dovevo parlarne, che era troppo pericoloso.
Loro presero nota di ogni parola. Volevano portarmi in questura. 
I paramedici in ospedale. 
Io supplicavo tutti di lasciarmi andare a casa.
< No, per favore. Sto bene adesso. Voglio solo tornare a casa. Non ho bisogno di andare in ospedale. Ora sto bene. Non mi fa più male la gola e non mi bruciano più gli occhi.>
I paramedici  non mi sembrava troppo felice ma, dopo circa mezz’ora la dottoressa che mi aveva medicato le bruciature e le escoriazioni (che mi ero procurata durante la colluttazione e la caduta) diede il suo beneplacito perché mi portassero in questura.
Disse che non poteva portarmi in ospedale se non volevo e, dato che sembravo stare bene e i miei parametri erano tornati normali, mi fece riempire un sacco di moduli.
Su quei fogli di carta  si attestava che rifiutavo di andare in ospedale in piena coscienza e che me ne assumevo tutti i rischi.
Mi presero in custodia i poliziotti. Avrei voluto andarmene ma con loro non bastava scrivere il mio nome e la mia firma su degli stupidi fogli.
Fui costretta ad andare in questura.  Jason volle seguirmi.
Lui intanto aveva chiamato mia madre. I poliziotti parlarono anche a lei e le dissero di andare direttamente in questura, che mi avrebbe trovata lì.

 Io, per tutto in tragitto, non ascolta né Jason né le rassicurazioni della polizia.
< Non devi avere paura, ora sei al sicuro… > continuavano a ripetermi come se fosse un mantra.
Ma io guardavo i tetti e pensavo a quel mostro dagli occhi rossi.
Ne ero rimasta terrorizzata e affascinata al contempo.
Io non lo conoscevo e lui non conosceva me, tanto che voleva uccidermi, ma c’era qualcosa di familiare nei suoi modi, nella sua agilità… qualcosa che mi attraeva.
E poi, perché le mie parole lo avevano terrorizzato a tal punto da farlo fuggire e lasciarmi salva la vita?

Volturi… volturi… non riuscivo a pensare ad altro, sebbene quella parola non mi dicesse assolutamente niente.

 

 

Bhe… insomma… spero vi sia piaciuto.
Ci vediamo nel week-end!
Spero sarete numerose

PS: Cosa ve ne è parso del palazzo di Volterra stile lupercale? insomma... i Volturi io me li sono immaginata così. quando sei immortale in fondo... hai un sacco di tempo libero e taaanteee energie...
Spero di essere  riuscito a descrivere la loro "corte in modo educato, provocante e inquietante al punto giusto.  Volevo rendere bene i sentimenti di Edward in un tale "contesto" a lui così estraneo.
E poi, volevo andare un po' cotnro alla fin troppo puritana Meyer! E in futuro... beh, questa è un'altra storia! fra un paio di capitoli le caste scene della Meyer potrete dimenticarle!

 PPS: Per le amanti (Purtoppo per noi non in senso letterale) di Edward... visto che lei Jason lo odia? Eh eh eh

Un bacio e a presto,

Erika

  
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