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Autore: Miss Demy    23/02/2011    27 recensioni
New York City. La città che non dorme mai. Forse perchè è proprio di notte che si accendono le luci del Moonlight.
Un incontro improvviso, un ritrovarsi in un luogo inaspettato.
In una città, dove l'amore è solo una leggenda metropolitana, vengono meno le certezze del bel Marzio Chiba, crolla il suo Mondo e se ne crea uno nuovo, uno migliore.
Dal cap.2:
- Nessuno parlava, riuscii a sentire il suono della cintura che veniva slacciata. Non poteva essere. Seiya voleva…
Non riuscivo neanche a pensarlo, figuriamoci a dirlo.
Non mi importava delle conseguenze, aprii la porta, o meglio, ci provai.
Purtroppo era chiusa a chiave. Disperazione. Ma perché? Non la conoscevo, non sapevo nulla di lei. Eppure il cuore mi batteva forte se ripensavo al suo sguardo e alla sua dolcezza di quella maledetta-santa mattina.
“Seiya, apri questa porta. Subito. Muoviti!” ripetevo, battendo pugni sulla porta, facendo intendere che avrei continuato finché non mi avesse lasciato entrare.
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, la mano iniziava a farmi male. Non mi importava però. Io dovevo proteggerla.

Dal cap.11
-Guardavo l'Upper East Side e mi sembrava di osservarla per la prima volta.
Quella magia che si era appena creata all'interno della stanza, con lei tra le mie braccia e Lei stretta a me, così da poter udire il suo cuore battere all'impazzata sulla mia schiena mi fece riflettere sul fatto che; bastava davvero poco, era sufficiente soltanto l'affetto e l'amore delle persone amate per rendere felice un uomo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonlight'
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Cap. 12: Solo noi due.



17 Novembre 2010 - Upper East Side
Ore 8.00

Se il simbolo di New York City è la mela, il suono è la sirena dell’ambulanza.
Quella mattina fu proprio il suono assordante dalle sirene delle ambulanze dirette al Memorial Sloan Kettering Center a svegliarmi.
Accadeva spesso, a qualsiasi ora, in qualunque momento della giornata – ma anche della notte -  che quel rumore rimbombasse, tra le pareti del mio appartamento, sempre più forte fin quando non terminava di colpo. Capivo allora che l’ambulanza era arrivata a due isolati da casa mia.
Sinceramente fino a quel momento non ci avevo mai prestato attenzione.
Ma quel giorno, il mio pensiero fu rivolto a Usa.
Non avevo ancora riaperto gli occhi che una forte emicrania mi colpì, simile a un martello pneumatico intento a trapanarmi il cranio.
Portai una mano alla fronte, massaggiandola, cercando di alleviare il mal di testa ma soltanto voltandomi alla mia destra trovai la cura a tutti i miei malesseri.
Bunny dormiva di fianco, rivolta verso di me, in posizione fetale. Il piumone la copriva dal fondoschiena in giù.
Approfittai di quel momento per poterla osservare meglio.
I suoi capelli dorati, come una cascata, le scendevano lungo la schiena finendo sul materasso; alcune ciocche spesse, invece, dal collo andavano a ricoprirle i seni.
Notai le sue mani. Una stringeva l’angolo del cuscino, l’altra era aperta col palmo sul materasso.
Aveva delle bellissime mani, molto curate. Le dita affusolate e le unghie lunghe squadrate, laccate con uno smalto trasparente.
Erano come Lei: semplici e bellissime.
Il suo viso era rilassato, le labbra leggermente dischiuse in un sorriso ingenuo.
Più la osservavo, più ero felice sapendo che stavolta sarebbe stata mia senza ripensamenti.
Sul comodino accanto a Lei, notai la sveglia e capii che il momento di riprendere a scrivere era arrivato. Mancavano due settimane al ritorno del mio capo e la stesura del libro stava andando troppo a rilento.
Mi alzai a malincuore dal letto con movimenti cauti per non svegliarla.
Mi sarebbe tanto piaciuto restare accanto a lei ad osservarla dormire beata, lontano dalle preoccupazioni e dalle responsabilità di cui si faceva quotidianamente carico.
Aprendo un cassetto dell’armadio, presi un paio di boxer e li indossai.
Richiusi il cassetto e aprii le ante per tirare fuori un paio di pantaloni grigi della tuta che indossavo quando stavo in casa e un maglione nero di lana.
Mi vestii e mi avvicinai a Lei, chinandomi, per coprirla meglio.
Solo quando le portai il piumone all’altezza del collo, sentii la sua voce.
“Marzio…”
Era ancora assonnata mentre apriva lentamente gli occhi e si stiracchiava, facendo così aderire la schiena al materasso.
Le diedi un dolce bacio sulle labbra ancora calde e, scostandole le ciocche dal viso, le sussurrai:
“Torna a dormire amore. Riposati.”
Scosse leggermente la testa, cingendomi il collo con le braccia, e con un sussurro pieno di tenerezza:
“Abbracciami amore mio.”
Un sorriso uscì spontaneo dalla mia bocca.
Era una sensazione bellissima, come un calore nel cuore, quella che provavo quando mi chiamava ‘amore’.
Senza uscire dalla sua presa, mi sdraiai e la abbracciai forte sotto il piumone sentendo la sua gamba cingere la mia.
Le accarezzai la schiena, liscia e un po’ fredda, riscaldandola con le mie mani calde:
“Dormito bene, principessa?”
Annuì alzando la testa e, guardandomi negli occhi:
“Marzio, non avevo mai dormito così bene.”
Portò la mano al mio viso, avvicinandolo al suo, e mi baciò:
“Per la prima volta ho dormito serena. Sai, di solito la notte ho degli incubi e, quando mi sveglio e mi ritrovo sola al Moonlight, una brutta sensazione di sconforto mi assale.”
I muscoli delle sue braccia si irrigidirono ancora di più mentre aumentava la stretta sulla mia schiena, tenendo la testa sulla mia spalla.
Mi rivoltai nel letto in modo da averla sotto di me.
Le scostai la frangia dalla fronte mentre Lei si abbandonava con gli occhi chiusi al mio tocco su di sé:
“Non dormirai più al Moonlight. So che è presto per chiedertelo ma vorrei che venissi a vivere qui con me.”
Aprì gli occhi, con un’espressione rincuorata:
“Qui con te?” chiese con voce incredula.
Annuii: “Sì amore, qui con me. Insieme, per sempre. Ricordi?”
Mi cinse le braccia attorno al collo e, sorridendo piena di stupore, i suoi occhi brillarono:
“Sì, Marzio, ricordo. Lo vorrei tanto.”
Chiuse le palpebre avvicinando le labbra verso le mie.
Ero così felice da non riuscire a descrivere le sensazioni provate in quel momento. L’avrei tirata fuori dal Moonlight, in un modo o nell’altro ci sarei riuscito, ma sapere che fino a quel momento Lei avrebbe in ogni caso dormito accanto a me, avvolta dal mio amore e non in quel luogo non adatto a Lei, mi rincuorò.
Lentamente schiuse le labbra e la sua lingua incontrò la mia, mentre le sue mani sotto il mio maglione iniziavano ad accarezzare la mia schiena.
“Perché ti sei vestito? Dove stavi andando?” mi chiese curiosa tra un bacio e l’altro.
“Dovevo scrivere un po’ ma posso sempre spogliarmi di nuovo!”
Lei rise divertita riscaldandomi il cuore con una gioia immensa.
Sollevandomi da Lei iniziai a togliermi il maglione e i pantaloni.
“No Marzio, non devi trascurare il tuo lavoro” mi disse guardandomi, mentre portava il piumone all’altezza del petto. Non prestai attenzione alle sue parole e, togliendo i boxer, ritornai a letto coprendo entrambi fin sopra la testa e portandomi sopra di Lei. Iniziai a baciarla dappertutto e risposi:
“Troppo tardi, bambina!” *
 
Dopo aver fatto l’amore si strinse a me, poggiando la testa sulla mia spalla e facendo scivolare i polpastrelli delle dita della sua mano lungo il mio braccio, mentre io giocavo con alcune ciocche dei suoi morbidi e lunghissimi capelli.
Le diedi un bacio sulla fronte: “Cosa vuoi fare oggi?”
Scrollando le spalle: “Mi basta stare assieme a te, davvero. Devo soltanto chiamare Morea e dirle che non passerò dallo Jupiter stamattina, altrimenti si preoccupa di nuovo.”
“Non vuoi che andiamo a mangiare una fetta di torta?” le chiesi iniziando ad attorcigliare una ciocca dei suoi capelli fra le dita.
Non volevo che cambiasse le sue abitudini, quel poco di stabilità che si era costruita, per me.
Scosse la testa: “No Marzio, voglio stare qui con te. Noi due soli.”
La sua voce era malinconica e Lei bisognosa di tutto l’amore possibile.
Temeva che quel momento, romantico e pieno di magia e complicità, potesse svanire una volta fuori per le vie di Manhattan.
Presi la sua mano portandola alle labbra e baciandone il dorso, mentre Lei mi osservava con uno sguardo pieno di serenità. Quando la sua mano fu libera dal mio bacio incrociai le mie dita tra le sue:
“Piccola, io non ti lascio nemmeno un attimo, voglio solo che non cambi le tue abitudini per me.”
Divenne seria:
“Io non ho abitudini. In questo periodo le uniche cose che faccio sono lavorare e occuparmi di Usa. Il fatto che vada da Morea è perché è l’unica amica sincera e ho bisogno di vedere un volto amico per affrontare meglio le mie giornate.”
Alzò gli occhi e vi scorsi dentro un po’ di tristezza.
“Marzio, ora ci sei tu nella mia vita. Andremo spesso allo Jupiter ma oggi ho bisogno di stare sola con te. L’ho desiderato così tanto che ora voglio semplicemente godermi questo momento.”
“Vieni qui…” le dissi pieno di felicità nel cuore, abbracciandola forte e portando la mia mano sulla sua nuca. Volevo averla più vicino possibile, sentirla respirare sulla mia pelle, udire il suo cuore battere, avere la consapevolezza che finalmente tutto il dolore e tutta la sofferenza passata in quei giorni, da quel momento in poi sarebbero stati soltanto un brutto ricordo per entrambi.
Mi baciò sulle labbra e io riuscii a percepire tutto l’amore che aveva deciso di donare soltanto a me:
“Dimmi che non finirà, ti prego Marzio, dimmelo…”
“No bambina, non finirà, è tutto appena iniziato.”
Aveva bisogno di rassicurazioni, di dimostrazioni continue. Aveva bisogno di sentirsi amata, attimo dopo attimo, e di sapere che non era più da sola contro il Mondo ma che c’era qualcuno che ricambiava i suoi sentimenti, qualcuno su cui poter riporre la sua fiducia e che le sarebbe stato accanto sempre. E Lei sapeva che quel qualcuno ero io.
Allontanando le sue labbra dalle mie, sfiorò con l’indice della sua mano il contorno della mia bocca: “Ora però vai a scrivere altrimenti poi mi sento in colpa.”
Catturai il suo dito fra le labbra e lei rise divertita.
Le sue guance divennero più paffute e si colorarono leggermente.
Lasciai il suo dito dopo averlo baciato: “Prima però voglio un altro bacio.”
Non mi fece attendere un solo istante. Portandosi sopra di me baciò le mie labbra scendendo per il collo arrivando a baciarmi il petto e l’addome.
Le raccolsi i lunghi capelli in una mano, per evitare che le coprissero il viso mentre sentivo le sue labbra carnose e umide accarezzare la mia pelle.
“Bunny non mi provocare…” le dissi mentre, ancora una volta, mi arrendevo al suo ingenuo - e allo stesso tempo sensuale - potere che aveva su di me.
Alzò gli occhi perdendosi nel mio sguardo e si sedette cavalcioni sopra di me, intrecciando le dita delle mie mani fra le sue: “Hai ragione, scusami, è solo che non riesco a starti lontano… ho bisogno del tuo contatto fisico…”
Liberai le mie mani per poterle scostare i capelli dalle spalle e ravviarli sulla schiena. Iniziai così ad accarezzarle le braccia per poi prendere i suoi seni fra le mani:
“Ci sto, restiamo così per tutto il tempo!”
Una risata divertita fuoriuscì dalla sua bocca, contagiando anche me; iniziai a far scivolare le mani sui suoi fianchi accarezzandoli e ritornando serio:
“Come stai oggi? Ti fanno ancora male le costole?”
Scosse la testa, posando le sue mani sulle mie:
“No, sto bene” rispose fingendo un sorriso.
Ma non stava bene. Era diventata di nuovo triste e i suoi occhi spaventati.
Mi sollevai dal cuscino, sedendomi sul letto con Lei sopra; le cinsi la schiena con le braccia e, baciandole una spalla:
“Cosa c’è bambina?”
Portò le braccia attorno al mio collo, poggiando la testa sulla mia spalla mentre i suoi seni premevano contro il mio petto:
“Niente, non preoccuparti. È solo che è ancora tutto così vivido nella mia mente. Quella scena… non riesco a scacciarla via.”
Prendendo il suo viso fra le mani e guardandola negli occhi, li notai lucidi.
Abbassò lo sguardo con un pizzico di imbarazzo e una lacrima cadde vicino il mio pollice.
Le baciai l’occhio, sentendo il sapore salato.
“Bunny, guardami.” Anche la mia voce era triste e il mio sguardo, fino a pochi minuti prima allegro, era pieno di dispiacere e tremendi sensi di colpa.
Alzò lo sguardo, mentre il suo viso era ancora fra le mie mani.
“Lo so che per un po’ quella scena sarà viva nella tua testa, ma ci sono io con te. Non aver paura. Quando ti capita di ripensare a quel momento, tu… corri ad abbracciarmi.”
“Stringimi Marzio, stringimi forte…” chiese con un sussurro spezzato sbattendo le palpebre e liberando gli occhi dalle lacrime che le rigarono le guance.
E così, lasciai il suo viso per cingerle la schiena e farla aderire perfettamente al mio corpo, trasmettendole tutto l’amore e il conforto di cui aveva bisogno. E molto di più.
Rimanemmo in quella posizione per alcuni minuti. Come se tutto il resto non esistesse più, come se il tempo si fosse fermato. Soltanto noi due, in quel piccolo angolo di paradiso in cui poteva sentirsi in pace con se stessa, al sicuro tra le mie braccia.
“Non ti voglio vedere triste, Bunny” le sussurrai, serio, spostandole i capelli dalla spalla e baciandole il collo. Solo allora Lei, tra le mie braccia, allontanandosi quel poco per potermi guardare negli occhi, mi chiese:
“Ti prego, dimmi quella frase, quella che mi fece sciogliere il cuore.”
Sorrisi, sentendole pronunciare quella richiesta con gli occhi desiderosi d’amore:
“Voglio solo vederti felice!”
Bastò quella frase, la frase che le avevo detto il primo giorno che la conobbi dopo averla protetta, a riaccendere nei suoi occhi una nuova luce, a ridarle quel sorriso così dolce e ingenuo che le evidenziava le guance e mi faceva impazzire.
Prese il mio viso e iniziò a baciarne la fronte, le palpebre, le guance; ogni parte veniva riempita di dolcissimi baci pieni di amore e di gratitudine.
Tenendola stretta, mi lasciai cadere con la testa sul cuscino mentre catturavo le sue labbra con le mie, facendola abbandonare a baci più intensi, pieni di passione e di desiderio.
“Lo sai che se continuiamo così non riuscirai mai a scrivere, vero?”
Annuii continuando a baciarla e rivoltandomi nel letto, facendola finire sotto di me, protetta dal mio corpo come un tesoro prezioso.
Le accarezzai il viso, iniziando a baciarle il collo per poi scendere sempre più in basso mentre lei - inarcando la schiena per poter assaporare meglio le sensazioni provocate dal contatto con le mie labbra - iniziò ad accarezzarmi i capelli.
“Marzio…” cercava di resistere, ma la sua voce era spezzata, il suo respiro sempre più affannato mentre si abbandonava a me. **
 
“Ha fame la mia bambina?” chiesi, riprendendo fiato, dopo averle dato un bacio sulle labbra.
Annuì sorridendo; le piaceva essere chiamata ‘bambina’, le trasmetteva un senso di protezione facendola sentire al sicuro, facendole capire che mi sarei preso cura di Lei.
Mi alzai dal letto e mi rivestii mentre Lei mi guardava appoggiando un gomito sul cuscino e sorreggendo così la testa; andai nella stanza per gli ospiti e presi il suo borsone.
Quando lo riportai nella mia camera, poggiandolo sul letto, le dissi:
“Vestiti e poi disfa pure il borsone.”
Mi avvicinai all’armadio e, aprendo due delle sei ante, ripresi:
“Questa parte dell’armadio è tutta per te. Se avrai bisogno di altro spazio dimmelo che tolgo qualcosa, ok?”
Uscì dal letto correndo verso di me, accompagnata dall’ondeggiare dei suoi capelli, buttandosi tra le mie braccia e stringendomi forte:
“Grazie amore mio.” Era commossa e un sorriso uscì spontaneo dalla mia bocca.
“Vestiti ora, prima che mi spogli anch’io…”
Annuii divertita mentre io andai in cucina a preparare i pancakes e il caffè.
 
Quando la colazione fu pronta in tavola, andai a chiamarla accorgendomi che la camera da letto era vuota; notai la porta del bagno aperta a metà e la vidi. Rimasi per un attimo appoggiato alla parete di fronte, con le mani in tasca, ad osservarla. Era già vestita con un paio di jeans scuri aderenti e un maglioncino di lana turchese sagomato sui fianchi e una scollatura a V che terminava con un fiocco blu. Era molto semplice ed era proprio quella sua semplicità a renderla speciale.
Con cura pettinava i lunghi capelli raccolti per comodità su una spalla, lasciando scivolare la spazzola per le lunghezze fino a districare tutti i nodi.
Quando terminò, con cura conservò la spazzola e un barattolo di crema per il viso nel suo beauty case, poggiandolo sul mobiletto del bagno sotto la specchiera.
Mi avvicinai alla porta, chiamandola.  
Si voltò di scatto verso di me, sorpresa di vedermi lì ad osservarla:
“Non mi ero accorta che fossi qui. Che fai, mi spii?” l’ultima frase fu detta con un sorriso, in tono ironico.
Entrai in bagno, facendola voltare verso la specchiera sopra il lavabo e stringendola da dietro:
 “Ti ammiravo. Sei bellissima” le dissi, iniziando a baciarle la spalla scoperta dai capelli. Mi inebriai del suo profumo, del suo odore misto di ingenuità e sensualità. Era un’essenza ai petali di rosa che usava da sempre dopo il bagno. Mi fece impazzire quella fragranza sulla sua pelle morbida e liscia. Entrando le mani sotto il suo maglione, per sentirla meglio, per mantenere quel contatto con Lei per me necessario, iniziai ad accarezzarle l’addome; mentre Lei portò un braccio indietro verso i miei capelli, iniziando ad accarezzare il mio viso col suo e osservando la scena riflessa dallo specchio. Un bacio, un altro, senza riuscire a smettere, senza volermi fermare, solo assaporare la sua pelle.
Lei era la mia droga, l’aria senza la quale non riuscivo a respirare. Era colei per la quale avevo abbandonato spontaneamente il mio ‘vecchio’ mondo per vivere una vita nuova, migliore, creata da Lei.
Si voltò cingendomi il collo con le braccia e iniziando a baciarmi mentre io potevo sentire la morbidezza dei suoi capelli sotto le mie mani prima di farle scivolare lungo la sua schiena e fermarle sui suoi glutei. Avevamo fatto l’amore due volte quella mattina ma non eravamo sazi; il desiderio reciproco era tanto, l’amore ricambiato e tenuto a freno nei giorni precedenti aveva bisogno di recuperare il tempo perduto.
Staccò le labbra dalle mie, accarezzando il mio viso:
“Sarà meglio che andiamo a mangiare, così dopo potrai lavorare pieno d’energia!”
Prese la mia mano conducendomi in cucina.
“Non posso mangiare te?” la provocai divertito.
Ridacchiò, guardandomi con occhi seducenti:
“Più tardi, se farai i compiti!”
Era bello averla in casa; era una sensazione nuova, magica, piena di calore nel cuore, quella che provavo quando inondava le stanze con le sue risate cristalline, con la sua voce dolce e aggraziata, quando illuminava l’intero appartamento con la luce che i suoi occhi innamorati e sempre sinceri emanavano ogni volta che incontravano i miei.
 
“Hai chiamato Morea?” chiesi mentre versavo un po’ di sciroppo al cioccolato sui miei pancakes.
Annuì, continuando a masticare. Quando ebbe la bocca libera riprese:
“Mi ha chiesto di te.”
“Le hai detto che sono già impegnato con la ragazza più bella e più dolce di tutta NYC?”
Alzò lo sguardo dal suo piatto, notando il mio viso divertito:
“Non in quel senso, presuntuoso!” rispose con una smorfia.
Lasciai fuoriuscire una fragorosa risata mentre la osservavo bere il suo caffè.
“Mi ha chiesto di Usa e poi siamo finite a parlare di te che mi hai raggiunto ieri mattina in ospedale. Mi ha detto di essere stata lei ad informarti.” Bevve un altro sorso di caffè americano, poi riprese:
“Le ho detto di noi e credo che tutti i clienti abbiano sentito il suo urlo di gioia.”
Sorrise, guardandomi negli occhi e trovando in me uno sguardo nuovo, fatto di realizzazione di qualcosa di meravigliosamente nuovo.
“Cosa c’è, amore?” domandò aggrottando la fronte.
Scossi leggermente la testa e, con un sorriso, presi la sua mano nella mia:
“Niente… pensavo al fatto che… c’è un noi. Per la prima volta nella mia vita c’è un noi.
Con tono curioso che nascondeva la vena investigativa tipica di ogni donna innamorata e gelosa: “Non mi vorrai dire che non hai mai avuto una storia? Una ragazza?”
Scossi la testa, sorridendo alla vista del suo sguardo incredulo ma, in fondo, contento:
“Sei la prima che ho lasciato dormire nel mio letto, sei l’unica con la quale ho passato più di dodici ore assieme. Finora le ‘ragazze’, se così vuoi chiamarle, erano soltanto un divertimento. Non c’è mai stata infatuazione, meno che meno amore.”
Feci una pausa e: “Poi sei arrivata tu… e mi hai fatto perdere la testa.”
Il mio sorriso si allargò sul mio viso mentre Lei, al suono di quell’ultima frase detta con tenerezza, si alzò dalla sedia venendo accanto a me e inginocchiandosi di fronte per potermi abbracciare forte.
La presi per le braccia, invitandola ad alzarsi e facendola sedere sulla mia gamba. Mi guardava perdendosi nel mio sguardo pieno d’amore solo e sempre per Lei. I suoi occhi erano luminosi, colmi di gioia e commozione. Quelle parole appena pronunciate le avevano scaldato il cuore, facendola sentire importante, speciale, unica. E lo era.
Non disse nulla, qualsiasi parola o frase sarebbe sicuramente risultata banale, bastavano i suoi occhi a parlare in maniera sincera e complice, rivelandomi la sua felicità. Si limitò a cingermi il collo con le braccia e a baciarmi le labbra. Mi abbandonai così ai suoi baci dolci e passionali, gustando le sue labbra al sapore di cioccolato.
Quando riprendemmo fiato, ravviandole una ciocca dietro l’orecchio le chiesi:
“E tu? Scommetto che hai sempre avuto file di corteggiatori. Chissà quanti ragazzi hai fatto innamorare…”
In realtà ero curioso, non sapevo nulla di Lei, di quanti ragazzi avesse avuto, di quante volte si  fosse innamorata; anche se, il solo pensiero – magari dovuto all’orgoglio maschile – mi rendeva geloso.
Guardandomi negli occhi, mi sorrise con dolcezza e un po’ di imbarazzo:
“Non ho mai avuto un ragazzo, se è questo che ti stai chiedendo. Se proprio lo vuoi sapere, sei il primo ragazzo che io abbia baciato.”
Una risata: “A parte le recite scolastiche.”
Rimasi incredulo, felice ma incredulo. Com’era possibile che una ragazza dolce, sensibile, bellissima, non avesse mai avuto un ragazzo a cui dare e da cui ricevere tanto amore?
“Com’è possibile?”
Fece spallucce, mantenendo le sue mani attorno al mio collo:
“Diciamo che fino alla morte dei miei non ho mai incontrato un ragazzo di cui avrei potuto innamorarmi… i ragazzi che conoscevo pensavano soltanto ad una cosa… e io non volevo quello.”
La guardai con ammirazione, apprezzandola ancora di più.
“Le mie amiche del Queens mi prendevano in giro, ma a me non interessava… per me la prima volta doveva essere con il ragazzo che amavo. Doveva essere speciale.”
Baciandole le labbra e giocando con una ciocca dei suoi capelli, le chiesi:
“Lo è stata?”
Annuii più volte, stringendomi forte con la testa poggiata sull’incavo della mia spalla:
“È stata indimenticabile, non credevo sarebbe stata così… così perfetta.”
Ero felice al suono di quelle parole e alla vista di quell’entusiasmo col quale mi faceva capire che le sue aspettative, le sue speranze, non si erano rivelate delusioni; al contrario, erano state fonte di gioia per un desiderio che si avverava.
Avrei fatto di tutto per Lei, avrei cercato di realizzare tutti i suoi desideri, di far avverare tutti i suoi sogni. Perché Lei era Bunny, il mio desiderio realizzato, il mio sogno divenuto realtà.
 
Il suo telefono squillò, costringendola ad alzarsi dalle mie gambe e a dirigersi verso la camera da letto. Tornò subito dopo da me, continuando a parlare al cellulare con Usa. La piccola la chiamava tutte le mattine non appena si svegliava, in modo da farla stare più tranquilla visto che era l’unico modo per stare in contatto in attesa dell’unica ora e mezza concessa per le visite. In questo modo Bunny poteva farle compagnia facendola sentire meno sola.
Bunny le disse che si trovava da me e subito dopo la sentii ridere, credo che Usa avesse manifestato la sua felicità a seguito di quella notizia.
Nonostante quel suono divertito i suoi occhi erano di nuovo tristi, malinconici. Tutta la serenità che avevo cercato di donarle fino a quel momento era scomparsa. Quando sentiva o vedeva Usa, ritornava la Bunny triste che avevo conosciuto a Time Square e, sebbene io lo volessi, sapevo che non avrei potuto fare nulla per togliere il dispiacere dai suoi occhi e dalla sua anima in quei momenti.
Si avvicinò alla finestra, scostando la tenda e osservando la frenesia dell’Upper East Side mentre continuava a parlare al telefono. Quando finì di parlare si voltò verso di me:
“Usa era contenta sapendomi qui.”
“Lo immaginavo, soprattutto dopo la storia della promessa.”
Forzò un sorriso, posando il telefono sul tavolo:
“A volte mi sento in colpa.”
Mi avvicinai a lei, prendendo il suo viso fra le mani:
“Per cosa?”
“Marzio, siamo sorelle, figlie degli stessi genitori, eppure la sorte ha scelto lei per questa maledetta situazione. A volte mi sembra ingiusto essere contenta se mi capita qualcosa di bello.”
Iniziò a piangere istintivamente, cercando di asciugare le lacrime con le mani.
“Bunny, no. Non puoi parlare così, non puoi sentirti in colpa. Tu sei incredibile, il modo in cui ti prendi cura di Usa, i sacrifici che sei disposta a fare per lei ti fanno onore. I tuoi sarebbero fieri di te.”
Una risata nervosa le uscì spontanea:
“Se i miei sapessero che lavoro al Moonlight morirebbero una seconda volta. Se Usa sapesse che sua sorella invece di fare la ballerina lavora in un locale per uomini non so come mi vedrebbe… di certo, non mi paragonerebbe più alla protagonista del suo anime preferito.”
Un singhiozzo, poi:
“Non sai quanto mi vergogni di quello che faccio, non sai quanto mi senta umiliata tutte le volte che salgo su quel palco.”
La strinsi forte fra le mie braccia, sentendomi amareggiato e provando dispiacere per quelle lacrime amare che versava senza riuscire a smettere.
“Ti tiro fuori da quello schifo, te lo giuro bambina mia.”
E lo avrei fatto. Non sapevo come ma ci sarei riuscito.
La tenni stretta a me, accarezzandole i capelli fin quando si calmò. Mi baciò, rassicurandomi del fatto che si sentisse più serena e mi invogliò a scrivere.
Mi feci coraggio e mi diressi in salone, prendendo il mio notebook per iniziare a lavorare.
 
Riuscii a scrivere ben tre capitoli quel giorno, d’altronde l’ispirazione non mi mancava e il puzzle fatto di mattoncini enigmatici a piccoli passi si stava riempiendo, risolvendo l’enigma che tormentava una città come NYC.
Era semplice: le donne non erano indipendenti, non pensavano soltanto a tentare gli uomini facendoli cedere alle loro provocazioni, non erano dedite alla carriera senza voler lasciare posto a quel sentimento, tanto noto quanto leggendario, chiamato amore. No. Le donne avrebbero fatto volentieri spazio ad un uomo nel proprio cuore, nella propria vita, avrebbero persino accettato dei compromessi per amore; il problema era che per loro erano gli uomini a non volere l’amore ma soltanto il sesso.
E dunque? Era un circolo vizioso, in cui ognuno credeva fosse l’altra categoria ad essere nel torto, a non volersi abbandonare a quel sentimento che, una volta provato, riempiva il cuore di un calore così forte e avvolgente che la domanda sorgeva spontanea:
“Perché non l’ho provato prima?”
 
La giornata trascorse in fretta; mentre scrivevo ogni tanto Bunny veniva a portarmi un po’ di caffè riempiendo il mio viso pieno di baci. Si metteva dietro di me, incurvata in avanti con le braccia a cingermi il petto e la testa sulla mia spalla, leggendo dallo schermo del monitor.
Restava pochi minuti per non distrarmi e poi ritornava a sedersi sul divano davanti a me riprendendo a leggere il mio libro ‘Odore di ciliegi in fiore’.
Ogni tanto alzavo la testa per poterla osservare concentrata nella lettura e un sorriso usciva spontaneo dalle mie labbra.
Una risposta arrivava automaticamente ai tanti interrogativi posti nel mio libro.
Ma quella volta non la scrissi, la tenni per me.
Se la domanda era: come fare a trovare un’uscita al circolo vizioso creato dagli uomini e dalle donne di NYC, la mia risposta diceva che non mi interessava affatto.
Io, l’amore lo avevo trovato, era lì davanti ai miei occhi.
Il suo nome era Bunny.

Pensai a lei, a noi, al modo per farla andare via dal Moonlight. Anche se non glielo avrei mai detto, dentro di me sperai di poter salvare anche Usa.
In fondo, c’era ancora una speranza.
 

Note:
*: Uncutted cap.2-parte prima
*: Uncutted cap.2-parte seconda

 
Il punto dell'autrice
 
Eccomi di nuovo ad aggiornare. Con questo capitolo chiudo (per ora) la parte dedicata al romanticismo.
Dal prossimo capitolo riuscirete finalmente a scoprire come farà il bel Marzio a liberare Bunny dal Moonlight… e non solo!
Per quanto riguarda il cap.2 di Moonlight - Uncutted, all’interno di questo capitolo, spero di scriverlo presto anche se penso di dedicarmi prima al capitolo 13.
Un ringraziamento va come sempre a tutti i miei cari lettori che mi seguono e che mi dimostrano quotidianamente il loro affetto.
In particolare ringrazio le mie Moonlight dancers perché è grazie a loro se trovo la spinta per andare avanti in questa avventura chiamata Moonlight!
Spero il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere con un vostro commento, ve ne sarei grata!
Un bacione e a presto!
Demy


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