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Autore: _Ala_    23/02/2011    3 recensioni
Un rimorso capace di piegare a metà una vita; un rimpianto che lei non poteva permettersi.
“Credi che abbia bisogno di ciliegie?!” sbottò Sasuke, capriccioso come un piccolo principe viziato.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Bellissimo così




L’aria in quel buco sembrava rarefatta, faceva quasi male alla gola e al naso; bruciava, nelle narici. La ragazza si portò una mano alle labbra, cercando di calmare il respiro e di lasciare ai suoi polmoni il tempo di abituarsi a quella nuova sensazione. Era come soffocare.
La speranza di averlo trovato per davvero la animava, ma per un momento la ragione la spinse a domandarsi se non fosse meglio per tutti che quella nuova pista, recente, fosse errata.
Come augurare a qualcuno di passare dieci anni della propria vita rinchiuso lì? Come augurarlo all’amore della tua vita?
Eppure pensare di essere ad un punto morto, nuovamente, la faceva sentire come serrata in una morsa. Quella doveva essere la volta buona, punto. Aveva fatto abbastanza buchi nell’acqua da riempire una intera esistenza.
Si fece forza e con una mano spinse in avanti la porta, aprendola. Il legno era gonfio d’umidità, marcio. Il puzzo che impregnava il corridoio di pietra era niente, in confronto a quello che uscì dalla cella vera e propria, un’onda che la fece barcollare per un momento, prima di racimolare nuovamente il coraggio ed entrare all’interno della stanza.
E lì morire.

Ricomincio da qui
e battezzo i miei danni
con la fede in me
senza illudermi
ma con un principio da difendere


Sakura rabbrividì, ricordando la sensazione di gelo che quel corpo morto, mezzo decomposto, le aveva gettato addosso. Per un attimo aveva sentito una voragine aprirsi dal centro esatto del suo cuore, pronta a espandersi e a uccidere anche lei -grazie, grazie, morti loro non avrebbe potuto continuare a vivere - ma poi aveva capito. Quel cadavere non era Sasuke.
Prima di tutto perchè era troppo basso, troppo tozzo, secondo perchè, nonostante la sensazione, non era morta davvero.
L’aveva sentito, che non era lui. Era stato chiaro come il sole.
E con altrettanta chiarezza sentiva che stavolta era la volta giusta.
Aveva attraversato il paese del fuoco in meno di due giorni, attraversando senza nemmeno vederli villagi e foreste, viaggiando incessantemente, con in mente una sola cosa.
Una foto segnaletica. Vecchia, sbiadita, arrivata sulla sua scrivania ancora non sapeva in che modo, ma capace di dare un senso ad un intera esistenza; un viso, seminascosto da un cappuccio troppo ampio e da una frangia nera decisamene troppo lunga, nulla di più.
Ma in quelle labbra, imbronciate ovviamente, nella linea di quel mento, nella geometria morbida del collo la verità era evidente agli occhi di chi sapeva vederla.

I raggi del sole spiovevano dalle feritoie del soffitto tagliando la stanza a metà. Sulla porta c’era lei, contro la parete più lontana - dalla parte opposta, tanto per cambiare - lui, nel centro solo un muro di luce. La polvere che vorticava nell’aria era talmente fitta che poteva essere scambiata per nebbia.
Sakura avanzò nella stanza di qualche passo, badando però a restare nel buio, così da poterlo vedere senza avere la luce che le batteva negli occhi.
Visto così poteva sembrare chiunque, poteva essere chiunque; poteva essere un criminale di seconda mano, uno scarto di vita gettato via alla rinfusa. Poteva essere giovane, vecchio. Poteva essere orribile, oppure normale. Bello mai, visto così mai, nessuno avrebbe avuto dubbi in proposito.
Il suo corpo era coperto da una veste lacera, troppo dura e incrostata di sporco per proteggere davvero dal freddo. Non gli scivolava addosso, si limitava a sporgergli sulle ossa, a spiovere da quelle spalle che un tempo erano larghe, forti. Oh, sì. Sakura se le ricordava bene.
Le ricordava allontanarsi lungo una strada solitaria, giovani e vestite di blu, le ricordava seminascoste da un paio di ali enormi, deformi, comunque splendide e scintillanti per il sudore della lotta. Le ricordava scintillanti di sangue, rosse, mentre veloci fuggivano da una Konoha semi annientata, la lasciavano sola con le sue macerie, il suo terrore, i suoi fantasmi.
Scappavano, correvano via in mezzo al fumo degli incendi, ed erano forti ma lei le ricordava talmente fragili, sotto il peso di quel dolore, di quella colpa, da sembrare spalle da bambino.
Era l’ultima volta che le aveva viste.

“Sasuke” esalò piano, quasi un respiro troppo forte, avanzando infine sotto la luce. Avrebbe voluto che lui potesse vederla, in quel momento, bella e scintillante d’oro e di rosa, come aveva sempre voluto essere -per lui - e come non era mai stata -sempre e solo per lui- .
Ma c’erano bende strette suoi suoi occhi, bende che dovevano essere state bianche, una volta, bianche come lo era stata la sua pelle, e che ora erano grigie e macchiate. Anche quello come la sua pelle.
- Ma basta lavarle. Tutto si lava. Ogni dannata cosa. -
“Sasuke” ripeté Sakura, ma non sapeva come continuare. Buffo come le parole che ripeteva nel buio, di notte, a un misero sogno, ora non volessero uscirle dalla bocca. Sapeva esattamente cosa dire, ma non riusciva a farlo.
La figura dall’altro lato della stanza si mosse, tirandosi più dritto.
Erano davvero le sue mani quelle?
La pelle dei suoi zigomi era così tirata che sembrava sul punto di lacerarsi, e lei non riusciva a vedere altro che le guance che aveva bramato baciare, anni prima, così tanti anni prima, e dio, non poteva rischiare di guardare le sue labbra o...
Le parole le uscirono fuori da sole. “ Ci ho messo anni a trovarti, Dio, mi dispiace così tanto... se solo fossi stata...”
“No.”
La voce di lui, la sua voce, la interruppe bruscamente. “Non stare nemmeno a cominciare.”
Forse voleva essere tagliente, o cattivo, ma che diavolo, era anni che Sakura non sentiva quel suono, non sentiva l’inflessione, l’asprezza, che lui riusciva sempre a imprimere in una qualunque frase, anche la più banale e innocente.
La donna scoppiò a ridere. “Ci ho messo anni a trovarti, “ ripeté “ma vedo che il tempo non cambia ogni cosa alla fine”.
“Il tempo non cambia niente, Sakura”.
Sentire come Sasuke pronunciava il suo nome le diede i brividi. L’aveva sempre riempita sentire il proprio nome nella sua bocca, era come stare tra le sue labbra.
“Hai ragione, non cambia niente,” concordò allora, con dolcezza, prese un respiro profondo, guardarndosi intorno ed avvicinandosi ancora a lui. “Beh, la tua idea di nasconderti dal mondo ha funzionato, eh? Sei sparito, per tutti”
si interruppe un attimo, riflettendo: “molti a Konoha pensano che tu sia morto” il suo tono si incrinò un poco, il dolore che quel semplice pensiero le provocava era evidente, poi però sorrise, “ma io no. Io lo sapevo, che non era così. E Dio, ora ti ho trovato.”
Gli si avvicinò ancora, tirandosi giù lo zaino da una spalla e aprendo piano, con attenzione, la cerniera. Ne estrasse un contenitore rotondo. “Ingegnoso cambiare nome, ingegnoso farsi rinchiudere in un posto come questo... non sapevo nemmeno che questo paesino fosse segnato nelle mappe! Ma sai, se si ama qualcuno... avresti potuto anche cambiare pelle, Sas’ke, io ti avrei trovato lo stesso”.
La sua dichiarazione cadde nel silenzio, senza badarci troppo la donna si inginocchiò sulla pietra, e con uno strappo tolse il coperchio di plastica dal barattolo.
“Tieni” disse, allungandolo verso l’altro, “dai, mangia qualcosa.”
Sasuke chinò la tesa, palesemente scocciato da quell’attenzione, scocciato da un gesto che rimarcava solo la sua debolezza in una situazione che, tanto per cambiare, si era scelto lui e gli si rivoltava contro. Ma Sakura gli si avvicinò ancora un po’ di più, piano “non è il cibo che ti danno qua, sciocco. Sono ciliegie.”
L’uomo sollevò la testa, le narici contratte in una smorfia supponente. Aveva le bende, ma Sakura intuiva benissimo quale sarebbe stato il suo sguardo. Era quello che le aveva riservato tantissime volte, nella loro adolescenza. Sakura stentava a crederci, che un tempo del genere fosse mai esistito. Non per via dei ricordi sbiaditi, no, mai. Ricordava ogni singolo frammento di quella vita - Dio, sembrava davvero un’altra vita - ricordava il coprifonte lucente che gli tirava indietro quei ciuffi che ora, impazziti, gli spiovevano flosci sulla fronte. Ricordava il brillare del sole, il brillare dell’arancione della tuta di Naruto, il brillare dei suoi occhi il giorno in cui, con una tenerezza tremenda, le aveva sussurrato di non lasciarlo mai, mai, mai più. E lei ridendo gli aveva mollato un cazzotto e l’aveva rinproverato, che semmai era il contrario, semmai era lui che l’aveva lasciata, semmai era lui che non avrebbe dovuto osare farlo mai più e.... basta. Oddio, basta.
Fu la voce di Sasuke a salvarla. “Credi che abbia bisogno di ciliegie?!” sbottò, capriccioso come un piccolo principe viziato.
Lei rise, una risata che portò via qualche ombra scura e qualche luce troppo chiara, che non poteva ricordare a cuor leggero. Lui sentì che qualcosa non andava nel suo tono, perchè si fece più attento. Le sue mani, quelle che erano divenatate le sue mani, strinsero la stoffa della sua casacca con più forza.
“Preferivi che ti portassi delle arance?” cercò di scherzare Sakura.
L’altro riabbassò la tesa, continuando a brontolare contro di lei.
“E comunque sì, credo proprio che tu abbia bisogno di ciliegie adesso. Dai, mangiane una almeno.”
“Va al Diavolo.”
“Sasuke!” sbottò lei, “ti prego! Una sola. Senti com’è. È dolcissima, te lo giuro, ti piacerà!”
Sakura si allungò e gli premette uno dei frutti sulle labbra, schiacciandolo appena contro il suo viso. Lui non si aspettava quel gesto, forse lo sentì come un attacco, perchè, ancora prima di poter pensare e di poter rendersi conto della situazione, l’aveva già spinta un po’ più lontano.
Si leccò le labbra però, e resistere, avvertendo quel sentore, zuccherino, fresco, si domostrò molto più difficile; si sporse appena in avanti, quasi inconsciamente. Alla donna si allargò il cuore, chissà da quanto tempo lui non mangiava qualcosa che non fosse solo cibo, qualcosa che fosse buono. “Sas’ke...” lo pregò.
Lui miracolosamente allungò un braccio, facendo come per prendere quel benedetto frutto, ma sbagliò mira, nella foga, e le sue dita scarne annasparono nel vuoto.
Sakura si morse un labbro, sapendo che l’uomo avrebbe percepito quello sbaglio come un fallimento, quindi spazientita, prima che tutto acquistasse troppa importanza, protese una mano e fermò la sua (che stava già ritirandosi) piazzanogli la ciliegia in mezzo al palmo.
Lui esitò un istante solo, poi se la infilò direttamente tra le labbra, famelico.
“Un’altra”. Ordinò, inghiottendo all’istante, senza masticare e, tanto meno, sputare il nocciolo. Sakura gliene diede un’altra.
“Ancora”
La donna eseguì.
“Ancora”.
“Ancora”.
“Ancora”.
Vedere il succo rosso sul suo mento bianco fu un colpo al cuore. Era sempre stato chiaro, ma così pallido, così emanciato, non l’aveva mai visto.
La linea della sua bocca era rimasta la stessa, disegnata come da un’artista, ma la pienezza, la morbidezza delle sue labbra erano solo un vago ricordo. Erano spezzate, secche come sul punto di rompersi. Lei si chiese come sarebbe stato baciarle, e dentro di lei si profilò l’immagine dell’unico bacio che avesse mai dato in tutta la sua vita, all’unica persona - Sasuke a parte, ma di lui non c’era nemmeno bisogno di dirlo - che avesse mai amato.
Rivide l’angolo delle labbra di Naruto, che si era alzato, da solo, in quel sorriso un po’ storto e un po’ incredulo, come se un sorriso normale non bastasse a dimostrare la gioia, quando lei aveva allontanato il viso dal suo, alla fine.
Risentì sulle proprie quelle labbra grandi, molto più morbide di quanto le avesse immaginate - panna - e il profumo di miele. La pelle di Naruto ne aveva anche il colore, del miele.
Quella di Sasuke adesso sembrava latte cagliato. Ma Sakura non ricordava di aver mai desiderato qualcosa di più, mai, mai da quando era nata. Se ne sarebbe presa cura, lo avrebbe tenuto al riparo, lo avrebbe protetto, cresciuto, gli avrebbe risoffiato nei polmoni la vita.
“Dammene un’altra”.
Sakura sorrise “e per fortuna che non le volevi, eh?”


Posso essere io
L’occasione che aspetti da una vita
Ed io sarò di più
Io sarò la certezza che chiedevi tu


All’istante lui ritirò la mano, su cui lei stava per mettere l’ennesimo frutto, e la ciliegia cadde per terra.
Sakura la osservò rotolare, silenziosa. Quando il frutto si fermò, incastrato in una fenditudura del terreno, capì che era arrivato il momento.
Guardò l’uomo davanti a lei, in attesa.
“Perchè sei venuta a cercarmi?”
Si aspettava quella domanda. “Lo sai” rispose.
“Perchè... fammi pensare, perchè mi ami? Immagino sia per questo”.
Il tono dell’uomo era beffardo, Sakura batté le palpebre un paio di volte; “esatto”.
Sasuke restò in silenzio per qualche minuto. “Sei una stupida” sentenziò alla fine. Cominciò a tastare a terra, distratto, cercando la ciliegia che aveva fatto cadere.
La donna osservò la sua mano lisciare il pavimento, a vuoto. Raccolse con due dita il frutto, lo passò sulla gonna per pulirlo e glielo tese, sfiorandogli un’avambraccio per farsi notare. “Sì, questo me lo dici spesso. Ma non sono io quella rimasta sotterrata in questo cesso negli ultimi dieci anni”.
Sasuke trattenne il fiato bruscamente, allontanò con un gesto secco la sua mano, poi si alzò in piedi - era così magro - e si allontanò da lei, distendendosi sul suo giaciglio, la faccia rivolta contro la parete.
“Perchè ti stai facendo questo?” Chiese lei, lo sguardo piantato sulla sua schiena.
Lui non rispose.
“Non è stata colpa tua, Sas’ke. Hai dovuto farlo”.
Il corpo dell’uomo si irrigidì, Sakura si alzò in piedi, le gambe le formicolavano un po’, dopo essere state inginocchiate sulla la pietra. “Era l’unico modo. Tu sai che lui sarebbe stato daccordo,” insistette.
“Beh non possiamo saperlo, giusto?”
Il tono di lui era amaro.
“Naruto amava Konoha, Sas’ke” lei gli si avvicinò, gli posò una mano - leggera, quasi senza sfiorarlo - sui capelli; “amava noi”.
Con uno scatto improvviso lui si girò ad afferrarle il braccio e lo usò per trascinarla sotto di sè, inchiodandole il collo al materasso logoro della brandina. “Esatto...” sussurrò, “e ormai io sono diventato bravo, ad uccidere le persone che mi amano” avvicinò la bocca all’orecchio di lei, aspirò piano il suo odore, “te lo posso far vedere”.
Ma entrambi sapevano che stava bleffando. Se lei restava immobile, se rimaneva ferma sotto di lui, non era per una costrizione reale, per una minaccia. Dio no, lui era debole come un bambino.
Lei restava lì solo perchè lo voleva. Solo perchè lo lasciava fare.
Sakura alzò la mano e, con le dita, seguì il profilo del suo volto, l’incavo dei suoi zigomi, delle sue guance, fino ad arrivare alle sua labbra. Sentiva sul polso i fili scuri dei suoi capelli.
Sasuke allentò la stretta, appoggiando il gomito di fianco al viso della donna, poggiandoci il peso del proprio corpo e spostandolo così dalla mano con cui le schiacciava il collo.
Avvicinando al contempo il proprio viso al suo.
Erano vicinissimi.
“Lascia che io ti aiuti” la voce di lei era un respiro appena, era una carezza sul viso, “lasciati amare da me, solo da me, ti prego. Lo so che non è facile per te, lo so che ti sto chiedendo tanto, ma... posso darti molto di più”.

Vieni a me come sei
Fallo immediatamente non voltarti mai
L’essenziale l’hai tu
Lo nascondi ai miei occhi
Ma vale di più
 Sei perfetto così


Sollevando il viso con lentezza Sakura gli lasciava una scelta, gli lasciava il tempo di decidere, di rendersi conto delle cose, e lui la lasciò fare, assecondò i suoi movimenti piegando sempre di più il braccio, lasciandole comunque quella mano sul collo, un gesto che gli dava controllo, che gli lasciava la facoltà di rigettarla all’indietro se avesse voluto.
Ma non voleva. Le labbra di Sakura, semiaperte, umide, sfiorarono appena le sue, senza appoggiarsi del tutto, la punta della lingua rosea accarezzò appena la sua bocca, un assaggio e una promessa insieme. Lui si chiese chi fosse quella donna, perchè il profumo di Sakura non poteva essere così buono, o lui l’avrebbe già sentito. Perchè la labbra di Sakura non potevano essere così morbide, o lui se ne sarebbe reso conto mille anni prima.
Con impeto fece forza col braccio, piantando il suo viso al cuscino quasi con violenza, nella foga di premere la sua bocca su quella di lei, di andare di più a fondo, di entrarle dentro e prendere tutto quello che c’era da prendere.
Gli era mancato il calore, gli era mancato quello che stava provando. Gli era mancato a dodici anni, quando aveva scelto di abbandonare Konoha, gli era mancato più tardi, quando aveva scelto di distruggerla, Konoha, gli era mancato per tutto il tempo trascorso in quella cella, da quando aveva scelto di isolarsi lì, di punirsi, da quando lui...
Si tirò in piedi di fretta, come scottato, e scappò dall’altra parte della stanza, attraversando il muro di luce, ringraziando quella misera barriera che riusciva a mettere tra di loro, nel momento in cui le barriere che aveva sempre eretto dentro se stesso stavano vacillando.
Sakura si raddrizzò lentamente, restando seduta.
Ciuffi di capelli le cadevano sulla fronte, rimanendo incollati alle sue labbra, bagnate dal loro bacio. Guardava verso di lui con gli occhi verdi pieni di stupore, e di mille altre cose. Pieni, pieni come erano sempre. Muschio verde e corallo sulle sue guance. Sulle sue labbra, sui suoi capelli.
“Wow, Sas’ke” disse solo.
Lui scosse la testa, “va via di qui.”
Lei sorrise, senza riuscire a ricomporsi. “Sapevo che saremmo arrivati a questo. Anzi, a esser sincera pensavo mi cacciassi alla mia prima parola, quando ho detto...”
“Io. Ho. Ucciso. Naruto” il modo in cui lui scandì quelle parole gettò il gelo nella stanza e fece morire il suo sorriso “e nulla di quello che farai o dirai potrà cambiare questo.”
La donna si tirò in piedi, “io credo di sì”. Gli si avvicinò, attraversando secca il confine di luce, lui rimase sorpreso dalla facilità con cui lei ultimamente spezzava le sue mura, le sue difese. Le abbatteva con la facilità con la quale spianava gli ostacoli, con la facilità con cui, alla fine, lo aveva trovato. “Il fatto che Naruto in quel momento non fosse Naruto credo che cambi le cose, e anche di parecchio!”
Lui imitò il suo tono secco; “quindi se Orochimaru fosse riuscito a controllarmi, anni fa, tu non avresti avuto rimpianti nell’ammazzarmi, vero?”
“Certo che li avrei avuti! Non riesco nemmeno a pensare a quello che avrei patito. Ma l’avrei fatto”.
“Tu menti.”
E mentiva davvero, Sakura. No, non l’avrebbe fatto, non avrebbe mai ucciso Sasuke, nemmeno se da questo fosse dipesa la sua vita e la vita di ogni persona esistente sulla Terra. Ma Naruto l’avrebbe fatto. Naruto non era come Sakura, voleva diventare Hokage, lui, e avrebbe fatto la cosa giusta.
L’avrebbe fatto per lei anche, per non far sì che Sasuke le facesse del male, facesse del male agli altri e soprattutto, per non farle vedere quello che Sasuke sarebbe stato capace di diventare, perchè sapeva che quello l’avrebbe fatta uscire di senno.
E lei lo avrebba amato per quello, l’avrebbe curato e avrebbe dedicato a lui la sua vita, tutta intera, solo per lui, per portare quel peso insieme a lui.
Lo stesso peso che ora Sasuke non voleva cederle, perchè la donna lo sapeva, e forse lo sapevano entrambi, che se l’uomo aveva ucciso Naruto quel giorno, se aveva voluto farlo lui e non lo aveva lasciato fare a lei, era stato per proteggerla.
Ma non era quello che doveva dire in quel momento. Non poteva dire che non sarebbe riuscita a farlo, o che l’avrebbe fatto ma che poi sarebbe morta. Perchè lui avrebbe detto - sono morto io -.
Invece lui era sopravvissuto, come sarebbe sopravvissuto Naruto.
Perchè loro erano forti, era lei ad essere debole. Però, nella sua debolezza, poteva reggerli sulle spalle. Aiutarli a rialzarsi, insegnargli a respirare di nuovo.
Lo avrebbe fatto con Naruto, lo voleva fare adesso con Sasuke.
Così gli si gettò addosso, facendolo crollare senza peso e fatica contro il muro. “Non sto mentendo, credimi! Sas’ke! Naruto era Kyuubi! Stava distruggendo Konoha e andava fermato. Andava fermato.” Sakura sospirò, sentendosi crollare come al solito nel pensare a quei ricordi. “Ha ucciso Kakashi...credi che l’avrebbe mai fatto se non fosse stato un’altro? E anche Kiba,” cercò di controllare le lacrime nella voce, “ha ucciso anche Hinata, lo sapevi? È morta in ospedale, qualche ora dopo. Io ero lì”.
Era lì davvero. Era lì ad aveva le braccia rosse di sangue fino ai gomiti, mentre cercava di fermare l’emorragia allo stomaco. Ma non capiva dove fosse, lo stomaco, o se ci fosse ancora. E gli occhi di Hinata erano rimasti aperti sino alla fine, e anche dopo, ed era come se vedessero oltre. Avevano sempre visto oltre, forse.
Neji non era stato più lo stesso dopo quel giorno, nessuno lo era stato.
Rock Lee aveva perso la gamba sinistra, vederlo andare in giro sulla sedia a rotelle le aveva quasi fatto perdere la voglia di vivere, di continuare. Ma poi c’era stata la festa che gli avevano organizzato quando aveva imparato ad usare le stampelle, e se lui rideva, lì in mezzo, lei non poteva permettersi di non farlo.
“Tu non sei rimasto a Konoha dopo, Sasuke, non c’eri, non sai com’era. Io sì. E quindi credimi, credimi se ti dico che sì: andava fermato. E solo tu avevi il potere di farlo.”
Lui aveva il viso a pochi centimentri da lei, di nuovo. La donna alzò una mano e seguì coi polpastrelli la forma dei suoi occhi, sotto le bende. “E sei diventato cieco, per farlo.”
Sakuke scansò la testa, abbassando il viso e cercando così di far sì che i capelli lo nascondessero, ma lei lo fermò; gli bloccò il viso con le mani e lo tenne fermo, poggiando la guancia contro la sua, chiudendo gli occhi come lui. “No, lasciati guardare. Ti prego. Perchè non credo tu possa capire quanto mi sembri bello in questo momento”.
Stretta contro il suo corpo lo sentì scuotersi in un tremito, forse un singhiozzo. Lo strinse più forte, nascondendolo dentro di sè, accogliendo quel dolore contro la propria pelle, fino a che lui la strinse di rimando, aggrappandosi, e spinse la fronte contro la sua spalla.
Sakura lo lasciò calmare. “Vieni via con me”
“Non dovevi sprecare metà della tua vita a rincorrere me. A rincorrere quello che è rimasto di me.”
Lei strinse le palpebre, scacciando quelle parole incomprensibili, per quello che era.
“Abbiamo ancora così tanto” disse. “Ho qui una pergamena della Godaime. Sei libero, Sas’ke, ti posso tirare fuori da questa prigione e riportare a Konoha. Nessuno ti da la colpa di quanto è successo.”
Lui sospirò, stanco. “Io ho ucciso Naruto” dichiarò.
“Naruto era già morto. E noi siamo vivi!”.

    
Lascia il tuo passato com’è
Lo porterai insieme a me nel tuo presente
Mezza vita è molto per chi
Ti vuole e ti dice si, e lo fa per sempre


Uscirono all’aria aperta mano nella mano.
Le crearono qualche problema, le guardie, ma la donna tirò fuori dallo zaino i documenti che portava, le carte più importanti che aveva mai stretto tra le mani, e nessuno si impose sull’allieva del Quinto Hokage di Konoha.
Vederlo sotto la luce era come respirare per la prima volta, come imparare a parlare e camminare, come scoprire che la vita può essere qualcosa di diverso, di di più.
Sasuke ai piedi aveva un paio di sandali mal’andati, e, sotto la casacca lurida e sbrindellata non portava niente. le sue gambe erano magrissime, le ginocchia sporgevano come nodi di un tronco nodoso e invecchiato dal tempo.
Al sole le occhiaie, quel poco che si vedeva al di sotto delle bende, spiccavano ancora più nitide, come un contorno violaceo dei suoi occhi.
Ma le ossa erano sempre le stesse, le linee eleganti del suo corpo non erano cambiate e la postura non era stata toccata dai lunghi anni di prigionia.
Il naso era quello di una volta, il mento pure, la fronte liscia, i capelli neri, neri come nemmeno la notte poteva essere, e sulle labbra...Sakura aveva già sperimentato che, a contatto con le proprie, le sue labbra erano perfette.
Era come guardare una fotocopia sbiadita dell’uomo che poteva essere e che sarebbe stato se le cose fossero andate in un altro modo.
Se Naruto fosse stato vivo, se Kiba, Hinata, il maestro Kakashi lo fossero stati.
Se chiudeva gli occhi Sakura non aveva problemi ad immaginarla quella vita. Il Team Sette ancora in piedi, all’inizio, Kakashi che li fa aspettare ore, ogni mattina, ma che quando arriva ne fa valere la pena, di averlo aspettato. E più tardi, dopo gli esami, il diventare ANBU, per Sasuke e per Naruto, e per lei la carriere del ninja medico. Vivere nella stessa casa, tutti e tre, una sola cucina, un solo tavolo, tre sedie. E colazioni e pranzi e cene insieme. E Naruto che non è capace di fare la spesa, che non sa cucinare, che non sa fare le pulizie, ma ci prova. E Sasuke che sa fare tutto, ma che non alza un dito per fare niente.
Sasuke forte e bello e ammirato da tutti, Sasuke che ha ancora intorno i suoi genitori, i suoi parenti, Itachi.
Ino che la invidia, Sakura, per l’uomo che si è trovata. Sarebbe stato bellissimo, lo era stato sempre. E la donna sapeva che poteva tornare ad esserlo, e anche se così non fosse stato, se quello che aveva in quel momento al fianco doveva essere l’uomo che le sarebbe stato accanto tutta la vita, non avrebbe potuto comunque credere alla sua fortuna. Se quello era l’inferno, allora l’inferno era l’unica cosa che volesse. Forse a lei non importava del paradiso.

Proprio in quel momento lui scelse di parlare, cavolate, come al solito. Sakura non riusciva a crederci, a quante cavolate fosse in grado di dire Sasuke quando ci si metteva.
“Mi spiace di non essere quello che ero una volta.”
“Mmh?”
“Mi sento il tuo sguardo addosso, e mi hai lasciato andare la mano. Posso immaginare quello che stai pensando.”
Sakura sorrise. “Io non credo. Tu sei quello che voglio, Sas’ke, sei il mio passato, il mio presente, il mio futuro. Sei il mio tutto, il mio ogni-cosa.”
Lui puntò il viso in un’altra direzione, esitante e indeciso se essere in imbarazzo o lusingato.
Lei rise “sei così bello, Sas’ke!” esclamò prima di baciarlo di nuovo.



Lasciati ammirare un po’ di più, senza pudore
Provochi la mia reazione tu,
Bellissimo così





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Allora, qualche appunto veloce:
- La canzone si chiama "bellissimo così" ed è di Laura Pausini. Sinceramente io non è che adori la Pausini, o per lo meno non è che la ascolti abitualmente, ma mia madre sì, e quando guida costringe anche me a sentirla. Mi sembrava indicata, tutto qui.
- L'immagine non è mia, ma di una bravissima artista che si chiama Nami86, secondo me una delle migliori disegnatrici di SasuSaku, e la trovate su deviantart. Io ci ho solo photoshoppato un po' sopra.
- I personaggi descritti nella fic non mi appartengono, e la storia non è scritta a scopo di lucro.

Finito, grazie a tutti per aver letto fino a qui, spero vi sia piaciuta^^




   
 
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