POV BELLA
Non avevo mai visto un cielo più azzurro e terso di quello che splendeva su
Piazza dei Priori.
I raggi del sole rimbalzavano sull’imponente struttura a forma di
parallelepipedo del Palazzo principale, e si tuffavano nei zampilli d’acqua
limpida che rinfrescavano l’aria attorno alla fontana disposta al centro della
piazza. I colori iridescenti scintillavano sulla superficie cristallina
simulando la danza perpetua di tanti minuscoli arcobaleni. Il rumore di pace
che lo scroscio dell’acqua diffondeva nel cielo, sembrava soltanto un’illusione
o un miraggio sotto il sole cocente.
Ancor più luminoso appariva il viso delle persone che si avvicinavano
desiderose di immergere le dita nell’acqua, in cerca di un fresco sollievo che
permettesse di rifuggire la calura estiva italiana.
Non ero inclusa tra queste persone, quel giorno.
Il tepore sulle guance era così piacevole per la pelle che i suoi benefici
sfociavano in uno stato d’animo di pura vitalità. Tutti quei colori brillanti
davano davvero la sensazione di esser approdati su un altro mondo.
Quando tre giorni prima avevo lasciato l’aeroporto di Seattle diretta in
Italia, tra i vestiti piegati all’interno della valigia non avevo tralasciato
di portare il mio inseparabile scetticismo.
Quello che inevitabilmente ti prende ogni volta che non sai esattamente cosa
aspettarti dal Vecchio Continente. L’Europa non mi era mai piaciuta totalmente.
Alcune città meritavano di essere rinomate più di altre. Il romanticismo di
Parigi, per esempio, sarebbe stato per sempre immortale.
Con tanti Paesi… proprio in Italia mi doveva spedire il mio capo?
In quel momento, tuttavia, avevo solo pensieri positive.
A Forks le giornate di sole annue si potevano davvero conteggiare sulle dita di
una mano. E, comunque, non avrebbero mai potuto eguagliare la stessa lucentezza
di cui il Paese del Sole si fregiava.
Tra il chiacchiericcio dei pochi turisti che si erano avventurati come me nella
periferica cittadina toscana di Volterra, si confondevano gli scatti continui della
macchina fotografica.
Non ero una ragazza difficile. Per niente.
I miei gusti potevano riassumersi in un’unica frase: amavo tutto ciò che di
bello si potesse fotografare.
Se mi avessero chiesto “Cosa porteresti insieme a te, se finissi su di un’isola
deserta?”, avrei risposto che
a) Ad uno su un milione capita di prendere l’aereo e naufragare su un’isola
deserta. Se fosse capitato a me, credo proprio avrei chiesto alla mia amica
Angela – assidua lettrice, nonché colei che non conosce domanda senza una
risposta chiara e infallibile –di prestarmi uno di quei saggi che parlano di
come scacciare la sfiga cosmica.
b) Beh, se proprio fosse capitato, mi sarei trovato un amico come fa Tom Hanks
nel film Cast Away.
c) Macchina fotografica. Macchina fotografica. Macchina fotografica. La prima e
l’unica cosa che porterei con me.
Non poteva mancare.
Ero il tipo di ragazza che, trovandosi nella situazione di dover viaggiare, non
avrebbe messo piede fuori la porta di casa senza la sua fidata Canon.
Infatti il viaggio verso l’Italia era avvenuto in quelle stesse circostanze.
Cercavo di immortalare qualsiasi punto della città richiedesse di essere
catturato; ogni volta luce e angolazioni diverse mi facevano scoprire zone
della piazza nuove.
Era un richiamo che non si poteva ignorare. Una sorta di peso al petto, ecco, o
forse una forma di ansia.
Mentre fotografavo la torre del Palazzo dei Priori, mi accorsi che una bambina
era sfuggita alla presa della madre, con quella forte impazienza che solo i
bambini posso avere; correndo con le sue gambette paffutelle sotto la
gonnellina troppo corta, cercava di rincorrere una farfalla dai colori
cangianti.
Era la spensieratezza di quei momenti, così spontanei, a commuovermi.
Mi parlavano; una vocina che continuamente mi chiedeva di trovare a quella
minuscola parte del mondo un posto nel mio album fotografico. Di coglierne un
pezzo, seppur infinitesimale, di essenza.
La bambina si fermò improvvisamente, con uno sguardo a metà tra l’accigliato e
il sorpreso rivolto proprio verso di me. Allontanai la macchina fotografica dal
viso, pensando potesse infastidirla quella mia invadenza. Poi, invece, capii
cosa l’avesse sottratta a quella magia: fissava la farfalla blu che, con le sue
ali della stessa lucentezza della seta, si era posata sul mio braccio.
Straordinario cosa può accadere in una realtà diversa da quella in cui sei
abituata a vivere.
Non avevo mai visto una farfalla avvicinarsi ad un essere umano con così tanta
disinvoltura.
Lentamente, lasciai che la macchina penzolasse dal cordoncino che avevo legato
attorno al collo per comodità, e sollevai l’altro braccio con l’intenzione di
riuscire a sfiorare quella meraviglia.
Nonostante i miei movimenti, la farfalla non scappò, anzi, si lasciò guidare
dal braccio al polpastrello del mio dito.
Che forza!
Straordinari i suoi colori.
Se avessi mantenuto quella cautela, probabilmente sarei riuscita a catturare da
vicino il suo naturale splendore.
«Bella, quando avrai finito di fotografare anche le larve colorate, ti
spiacerebbe ricordarti di noi?» Senza che potessi rendermene conto, la farfalla
volò via impaurita sentendo la voce squillante di Jessica. Provai a seguirla
con gli occhi mentre si mimetizzava nel blu, e tentare uno scatto rapido, ma il
battito delle ali era così dinamico che la persi di vista.
«L’hai fatta scappare.» Sussurrai, non rivolgendomi a nessuno in particolare.
«Stavo quasi per riuscire a fotografarla da molto vicino.»
«Per quanto mi faccia piacere star seduta su un gradino rovente, preferirei
scaldarmi il sedere in altri modi. Quindi: fai questa benedetta fotografia al
Palazzo e andiamo a pranzo.»
Gli occhiali non nascosero gli occhi ridenti di Angela. «Jess, sei ancora
arrabbiata per quel ragazzo di ieri sera? Come si chiamava? Ah, sì: Rino. E non
puoi biasimare Bella: vedere un sole così luminoso è uno spettacolo che per noi
poveri abitanti di Forks capita davvero una volta nella vita. Prendilo come uno
di quei pellegrinaggi religiosi che nel Cinquecento era un dovere per ogni buon
cristiano. Rigenerarsi e scoprire nuove culture. Apre la mente, fidati.»
Lo sguardo truce di Jessica incontrò di scatto quello divertito di Angela.
«Primo, il ragazzo si chiamava Gennaro. E no, non sono arrabbiata con lui. A
parte il fatto che ha finto di capire l’inglese per tutta la sera
esclusivamente per farmi salire in macchina e poi addormentarsi lì. Ma non
importa. Secondo, tu e le tue stupide associazioni storiche non possono essere
più stupide di quello stupido libro che hai acquistato la settimana scorsa a
Portland.»
«Sei stata molto chiara.»
Mi avvicinai a loro del tutto. Sedevano sui gradini che componevano la fontana
disposta al centro della piazza. Era l’unico punto in cui si poteva respirare
un’aria decente. «Ahia, la vedo brutta stavolta. Avremmo dovuto avvisare
Gennaro sui rischi che correva scegliendo di corteggiare proprio l’unica
biondina del nostro trio.»
Angela ridacchiò tra sé, spintonando il braccio di Jessica col proprio gomito.
«Forza Jess, puoi sempre ritentare stasera e tenerlo sveglio sfoderando il tuo
sguardo americano.»
«E non solo lo sguardo.»
L’interpellata si passò una mano sotto la folta chioma bionda. «Ed invece
prenderò in prestito Marco, non ti spiace, vero Bella? Sei così brava a
liquidare i bei ragazzi, che non ti accorgerai di nulla.»
Scrollai le spalle. «Sai quanto possa interessarmi sprecare i giorni di vacanza
a farmi corteggiare da un italiano.»
Beh, italiano o americano non faceva molta differenza, a dirla tutta: anche
solo pensare all’idea di uscire con un uomo mi faceva accapponare la pelle. Ecco
perché la compagnia di Jessica era indispensabile per me: attirava lei tutti
gli sguardi maschili, ed io potevo stare tranquilla.
«A te, Angela, non lo chiedo neppure: fai già l’amore tutte le sere con i tuoi
libri. Quindi.»
«A proposito.» Prima che io e Jessica potessimo aggiungere altro, Angela
abbassò la zip del proprio zaino e ne estrasse un tomo alto dieci centimetri.
Forse più.
Jessica roteò il busto verso il gradino più alto, e vi poggiò entrambi i palmi
delle mani. Con una serie di spinte in avanti, simulò l’intenzione di voler
sbattere la fronte contro il marmo. «Oh, no, ditemi che non è vero. Vi prego.
Non posso credere che tu abbia avuto il coraggio di portare quel mattone in
vacanza!»
Lo sguardo sbigottito di Angela fu impagabile. «E’ essenziale questo libro.» Il
tono era lo stesso quando si trattava di difendere i suoi libri: solenne;
accompagnato da frasi d’ammonizione verso il malcapitato che avesse perseguito
l’eresia.
In fondo potevo capirla: la sua passione verso i libri era la stessa che
provavo verso la fotografia. Ridacchiai bonariamente. «Per te tutti i libri
sono essenziali, Angela.»
Aprì la pagina segnata da un post-it rosso. «Sì, però questo è essenziale ai
fini del nostro viaggio. Parla della festa di San Marco che si tiene ogni anno
qui, a Volterra. L’autore, un genio dei nostri giorni, analizza i tempi della
scoperta dell’America, a cui aggiunge diverse curiosità.»
Jessica tornò a sedersi composta. «E cosa c’entra Volterra con la scoperta dell’America,
scusa?»
«Secondo gli studi dello storico che ha analizzato il periodo, pare che la
festa di San Marco sia strettamente legata alla comparsa del primo non-morto in
America.»
Oh no, ci risiamo con il sovrannaturale. Eppure Angela era così razionale: come
poteva sostenere anche lontanamente la tesi dell’esistenza di uno zombie? «Non
crederai a queste sciocchezze, spero.»
«Beh, ho una teoria.»
«Non voglio saperla.» Obiettò Jessica.
Angela ignorò qualsiasi dissenso. «La tradizionale festa di San Marco, patrono
della città di Volterra, ha origine proprio nel cinquecento. Periodo in cui in
Italia l’eresia, subito dopo la Riforma Protestante, rappresentava una vera e
propria peste da debellare. Gli eretici finivano sul rogo anche solo per il
sospetto di far parte di altre congregazioni. Marco, dichiarato Santo solo in
tempi recenti, è stato bruciato vivo sul rogo per questo motivo. Ma…» Fece una
breve pausa ad effetto, voltando il libro nella nostra direzione affinché
potessimo guardare il macabro disegno di un uomo nell’atto di ardere vivo sul
rogo, il volto trasfigurato dal dolore. «… a quanto pare il Sant’Uffizio che lo
condannò per eresia non aveva considerato una cosa: c’era una strega innamorata
di Marco. Si narra che abbia rubato le ceneri del suo amato per dar vita al
primo non-morto: lei stessa. Vi risparmio i dettagli sulla sua vendetta
personale.»
Jessica si strofinò il braccio, come se avesse freddo. «Che storia
raccapricciante e assurda. Anche se non ho capito ancora cosa c’entri con
Volterra e col motivo per cui il nostro capo ci ha spedite sul primo volo per
l’Italia per scrivere un articolo sulla cultura toscana.»
«E’ proprio qui che arriva il bello: la strega era riuscita ad infiltrarsi tra
la ciurma di Colombo e, il caso voglia, che sia approdata proprio in America.
Dove ha continuato la stirpe di Marco e ha dato vita a…» Altra breve pausa per
attirare l’interesse. «… ai v-a-m-p-i-r-i.»
Ridacchiai tra me, affascinata dal suo carisma e al contempo divertita da quel
suo lato infantile. «Sono leggende, Angela. Tutte e due sappiamo che non si può
credere alle leggende.»
Un sorriso sornione si dipinse sul suo viso, mentre Angela sistemava
teatralmente gli occhiali sul naso. «Tutte e due sappiamo che le leggende hanno
sempre qualcosa di vero. Noi siamo qui perché ogni cento anni l’orologio che
vedete sulla torre di Palazzo dei Priori, nel momento in cui scandisce l’ultimo
rintocco del mezzogiorno, i vampiri nascosti sotto i nostri piedi… potranno
uscire, senza farsi vedere.»
Come se vi fosse una calamita, io e Jessica seguimmo l’oggetto indicato da
Angela.
Ed ecco il Palazzo dei Priori: si stagliava con tutta la sua imponenza contro
il cielo.
Aveva un ché di misterioso, in effetti. Lo stesso fascino che si percepisce di
fronte ad un monumento storico che ha visto passare anno dopo anno. E tu cerchi
disperatamente di cogliere i suoi messaggi… invano.
Fu Jessica a rompere il silenzio quasi magico che si era creato. «Adesso
capisco chi è stato a proporre al capo di scrivere proprio sul turismo in Toscana.
Angela, questa ce la paghi. Stanne certa.»
Angela la ignorò. «Mancano pochi secondi al mezzogiorno. Cos’abbiamo da
perdere? Ormai siamo qui e aspettiamo quello che accadrà, no?» Angela cercò la
mia approvazione.
Scrollai semplicemente le spalle.
Pensai che non avrei avuto altre occasioni di viaggiare in Italia e
fotografarne i paesaggi.
Toscana o Campania: per me non faceva molta differenza.
Il lavoro presso la redazione della Gazzetta di Forks mi portava via sempre
troppo tempo, e i periodi di ferie concessi non erano mai sufficienti ad
intraprendere un viaggio in Europa. Le ore di viaggio non erano affatto
modeste, per cui è necessario partire con il cuore leggero e la consapevolezza
di non tornare sotto la pioggia di Forks prima di due settimane.
Praticamente impossibile per una giornalista che si occupa di ambiente e
turismo, come me.
E poi…
Sospirai.
… tornare a Forks significava tornare nella frenetica ricerca di un coinquilino
con cui dividere le spese dell’affitto. Al giornale non mi pagavano nella
misura sufficiente a coprirle tutte, e, nonostante Charlie si fosse offerto di
aiutarmi economicamente, non riuscivo a concepire l’idea di dipendere ancora da
mio padre a ventiquattro anni. Assolutamente.
Ho una dignità femminile da difendere.
Fissai senza particolare attenzione l’obbiettivo della mia macchina
fotografica.
Pensare che…
L’ultimo lavoro che avevo svolto, prima di fare domanda presso la Gazzetta di
Forks, mi aveva permesso di pagare l’affitto fino a pochi mesi fa.
Ma volevo dimenticare quella parte del mio passato.
«Dopo che da Palazzo Pioli-»
«Palazzo Dei Priori.»
Jessica sventolò una mano. «E’ lo stesso. Dicevo: dopo che gli alieni si
impossesseranno di questo palazzo a mezzogiorno, direi di organizzarci la
giornata. Pranziamo in quel delizioso fast food che abbiamo adocchiato vicino
la stazione dei taxi, e poi stasera potremmo anche tornare a Volterra, per
scatenarci alla festa di San Marco, oppure prendere un taxi e raggiungere la
magnifica Siena e andare in cerca di un italiano disposto ad offrirci da bere.»
«Direi che hai già dimenticato il povero Gennaro.» Commentai .
«Non dimenticate che domani si parte per Firenze: stasera a letto presto. Ho un
bisogno disperato di visitare la Galleria del Sant’Uffizio a Firenze.»
Lo sbuffo di Jessica fu eloquente. «Oh, Angela, quanto sei difficile! La Venere
di Botticelli non verrà sommersa dal mare. Non ora che può godersi il suo
sboccio in conchiglia… e assaporare il piacere di usare la ‘sua’ di
conchiglia.»
Ridacchiai divertita. «Non possiamo toglierle questo divertimento.»
Il primo rintocco squarciò il silenzio estivo della città: le lancette
dell’orologio erano entrambe rivolte verso il cielo. Ci immobilizzammo tutte e
tre nello stesso momento, ognuna di noi si rifugiò nel proprio silenzio: chi in
un silenzio intriso di aspettativa, chi in uno di estremo scetticismo, e chi
ancora di indifferenza.
Restai in ascolto di quei rintocchi che rimbombavano nel cielo terso.
Non sapevo esattamente cosa attendessi, anche perché non credevo molto in queste
leggende.
Eppure… più guardavo Palazzo dei Priori e più percepivo una strana sensazione.
Era forte il mistero che l’attorniava.
Quando la torre restituì al cielo la sua quiete ci guardammo intorno e…
Nulla.
Non accadde nulla, proprio come c’era da aspettarsi.
Angela controllò il suo libro, ed io mi diedi mentalmente della sciocca per
aver scambiato la magnificenza del monumento e il suo fascino misterioso con
qualcos’altro di decisamente poco plausibile.
Jessica sbuffò. «Come volevasi dimostrare: avremmo fatto meglio a scegliere
Pigalle come destinazione.» «Pensa come sarebbe stato divertente ballare il can
can al Mouline Rouge.»
Jessica e Angela mi lanciarono uno sguardo eloquente nello stesso istante.
«Tu, Bella la puritana, che balli il can can con autoreggenti, giarrettiera, e
mezza nuda? Vuoi tornare a fare la modella e posare nuda per i fotografi.»
Roteai gli occhi verso l’alto, scappando di fronte alla prospettiva di
introdurre quel discorso. «D’accordo, facciamo questa foto e andiamo a pranzo.»
Abbandonai il gradino e mi allontanai senza lasciar loro il tempo di introdurre
il discorso sul mio passato da modella e posatrice. Perché l’avrebbero
introdotto, come facevano sempre.
Angela riusciva a trattenere con discrezione la curiosità,ma Jessica metteva a
dura prova la mia pazienza.
E non avevo intenzione di arrabbiarmi in vacanza. Non ora che mi sentivo in
pace sotto il sole italiano.
Non pensarci.
Perfino rimuovere il coperchio dall’obbiettivo risultò difficoltoso in
quell’istante.
Sparite, pensieri molesti, sparite.
Mantenni una distanza di qualche metro. «Siete pronte?»
«Perché non chiedi ad un passante di farci una foto? Non abbiamo una foto di
noi tre insieme.»
No, non di nuovo. «Ma se nella mia camera ho il poster gigante di noi tre al
Capodanno di New York.»
«Bella, stiamo parlando di sette anni fa.»
Ed era abbastanza. «Sapete qual è il mio motto: una fotografa professionista
non deve fotografare se stessa, ma solo i suoi soggetti che diventano sue
creature.»
Funzionava sempre quella scusa.
Infatti Jessica la beveva senza indugio. «Beh, in effetti con quella tuta nera
che indossi sei ridicola accanto a noi due.»
Feci una linguaccia. «Invece a te si vedono gli slip.»
Tentò di portarsi una mano a coprire il tessuto bianco che le si vedeva da
sotto la gonna.
Presi posizione divaricando leggermente le gambe affinché non tremassero le
mani durante lo scatto. Macchina fotografica e dito pronti a immortalare le mie
migliori amiche.
Pigiai il dito sul pulsante dello scatto.
In un attimo successe qualcosa di strano.
La terra tremò violentemente sotto i piedi.
Un raggio di sole si impossessò della visuale.
Un sussurro arrivò da cielo insieme al gracchiare di una cornacchia.
Una folata di vento gelido mi fece rabbrividire.
Barcollai.
Quando li riaprii mi guardai attorno spaventata, cercando di capire se anche
Jessica e Angela avessero percepito quell’improvviso e violento movimento della
terra.
Invece no, sembravano tranquille. Così come i turisti che occupavano la piazza.
«Bella?» Angela si avvicinò preoccupata. «Va tutto bene? Sei pallida.»
«Oh che novità: detto da una che ha la tintarella tutto l’anno.» Sbottò
Jessica.
Le guardai ancora smarrita. «Sì, sì, tutto bene. Solo che…» Scossi la testa
cercando cosa dire. «… solo che questo caldo mi sta uccidendo. Non… non sono
abituata.»
«Andiamo a mangiare qualcosa. Non è molto distante da qui.»
Scossi la testa in assenso.
«Com’è venuta la foto?» Chiese Jessica protendendosi in avanti per sbirciare
sul display della macchina fotografica.
Sfilai il cordoncino dal collo e feci per riporre la macchina fotografica
nell’apposita borsetta. «Credo che le pile abbiano qualche problema.»
«Oh no, non mi dire.»
«Le cambio subito. Vi seguo.»
Lasciai che si incamminassero.
Quando fui sicura che nessuna delle due mi stesse guardando, seguii il richiamo
che mi suggeriva di cliccare il tasto sul display della macchina fotografica e
riguardare l’ultima foto scattata.
«Ma che diavolo…?»
«Bella, coraggio!»
«Hm, sì, a-arrivo.» Riposi la macchina fotografica nella borsetta e le
raggiunsi.
Sicuramente ciò che avevo appena visto in foto era causato da un brusco calo di
zuccheri.
O forse no?