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Autore: Nidham    24/02/2011    3 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Siamo rimasti immobili per un tempo indefinito, in piedi, i volti vicini, illuminati dai riflessi di un fuoco che man mano si è fatto più debole.

Il silenzio confortante di pensieri condivisi. La quieta consapevolezza di una scelta inevitabile.

“Dovrei lasciarti dormire qualche ora. Domani sarà una giornata movimentata” ha sussurrato Zevran, senza infrangere quella pace.

Ho fatto per annuire, ma la mia mano si è mossa prima dei miei pensieri, afferrandogli un lembo della camicia.

Mi ha guardato sorpreso, arricciando un angolo della bocca e sollevando un sopracciglio.

“Non andartene” e solo mentre lo dicevo mi sono resa conto di quanto lo desiderassi. “Non andartene” ho ripetuto, fissandolo negli occhi, decisa e fragile come una bambina.

Per un attimo ho creduto che avrebbe rifiutato, o frainteso, o approfittato della mia insensata richiesta per prendermi in giro.

Invece si è limitato a sorridere, senza allegria, e a sfiorarmi la fronte con un bacio.

Mentre l'osservavo sfilarsi gli stivali, con movimenti incredibilmente sensuali per un gesto di solito tanto goffo, ho sentito un nuovo calore riscaldarmi il petto.

Ho accettato di rinunciare alla mia vita, ai miei desideri, a me stessa. Ho accettato di diventare in tutto e per tutto l'arma che porterà la pace in queste terre, ma non adesso, non ancora.

Domattina, al sorgere del sole, rinascerò come ciò che devo essere.

Adesso, in questi ultimi aliti di oscurità, ho bisogno di sentire il calore di un cuore che batta all'unisono col mio, il conforto di braccia amiche che stringano il corpo cui sto per rinunciare, la forza di un affetto che riesca a tenermi insieme mentre mi sento scivolare via.

Senza fretta, mi sono liberata dell'armatura, lasciandola cadere in disordine sul pavimento.

Non era imbarazzante stare davanti a lui con indosso solo una camicia di cotone.

Non era lussurioso osservare la luce ambrata della fiamma danzare sui muscoli scolpiti e snelli del suo torace.

Tutto era incredibilmente dolce e naturale.

Sdraiandosi con fare felino sotto le coperte, mi ha lanciato uno sguardo tanto ironico da farmi sorridere, mentre afferravo la mano che aveva teso verso di me.

“Sai che questa storia non dovrà mai uscire da qui?” ha minacciato al mio orecchio, lasciandomi accoccolare al suo fianco. “La mia reputazione ne sarebbe distrutta!”

Ho annuito con aria grave, in risposta alla finta severità della sua affermazione.

Ha sospirato, stringendomi con più forza e appoggiando il mento sulla mia testa.

“Sto davvero perdendo il mio fascino...”

Ho chiuso gli occhi mentre il suono della mia risata mi cullava l'anima.


 

Mi sono svegliata con un senso di confortante benessere, pulita dagli incubi rabbiosi e brucianti della notte.

Ero sola, ma sulle lenzuola avvertivo ancora il suo profumo di muschio e spezie.

Mi sono concessa il tempo di stiracchiarmi e percepire il mio corpo.

Non era la sensazione che avevo provato quella mattina di un tempo ormai perduto tra le nebbie del sogno: non era l'euforia brillante che aveva pervaso ogni centimetro della mia pelle, non era la gioia incontenibile dell'essersi sentita uno con il primo, palpitante amore.

Eppure, anche se avevamo solo dormito abbracciati, se ci eravamo uniti solo coi nostri respiri, c'era una dolcezza struggente che mi avvolgeva e mi cullava. Un conforto pacato ed eterno, che sapevo mi avrebbe accompagnato in quegli ultimi giorni, laddove il brivido selvaggio e assoluto di un'unione perfetta e insostituibile non aveva saputo seguirmi.

Avrei voluto che non se andasse, avrei voluto aprire gli occhi e vedere i suoi sorridermi, canzonatori.

Ma l'alba aveva già tinto di rosa le cime degli alberi. I nostri compagni si stavano svegliando, inutile perdersi in spiegazioni assurde su assurdi mormorii.

Mi sono alzata con calma. C'era ancora una cosa che dovevo fare, prima di affrontare gli altri. E lui.

Dalla sacca ho tirato fuori il piccolo scrigno di legno in cui avevo conservato i miei ultimi tesori.

L'ho fatto rimanendo in ginocchio, quasi avessi voluto pregare un dio in cui mai ho riposto fiducia.

Mi sono accorta che la mia mano stava tremando leggermente, ma nessuno avrebbe potuto accorgersene e solo questo contava, ormai: mantenere il mio ruolo per pochi, fondamentali attimi, affinché tutti potessero continuare a credere nella vittoria.

Un sospiro e ho alzato il coperchio con un unico movimento, senza più darmi tempo di pensare.

La rosa di Alistair ha catturato tutta la mia attenzione.

Era ancora bella, come quando me l'aveva data.

L'ho sfiorata dolcemente e ho saputo di sfiorare lui.

“Non credevo che una cosa così bella potesse nascere in tanta desolazione” aveva detto, e il mio cuore aveva perso un battito, raccogliendola tra le mani, sfiorando le sue.

Mi sono affacciata alla finestra, offrendo il volto al vento fresco del mattino.

Non capivo perché la mia vista si facesse via via più appannata.

Doveva essere il riverbero del primo sole, che mi feriva gli occhi.

Ho sentito i petali morbidi tra le mie dita, poi... più niente e la mia mano si è aperta verso il cielo a raccogliere il vuoto, mentre lacrime rosse svanivano all'orizzonte.

  
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