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Autore: LarcheeX    25/02/2011    6 recensioni
Rin è agorafobica, cioè ha paura degli spazi aperti, e non è mai uscita di casa nei suoi diciannove anni.
e allora che ci fa invischiata in un pazzo e sconclusionato viaggio on the road per tutta l'Europa?
e, ancora, cosa potranno mai Kagome, Inuyasha, Kikyo, Naraku, Shippo, Shiori, Miroku, Sango, Koga, Ayame, Kagura, Bankotsu, Jakotsu, Suikotsu e soprattutto Sesshomaru darle di importante nella vita?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. Compagni di viaggio.

 

Neanche aveva fatto in tempo a dire qualche parola in più rispetto a quella balbettata in presenza di Sango che qualcun altro gridò, da lontano: “MIROKUU!!!”

Si girarono tutti e tre, sobbalzando.

Quattro persone si stavano dirigendo a gran velocità verso di loro. Rin gemette tra sé. Con quante altre persone impolverate avrebbe dovuto convivere?

Ben presto la piccola Rin vide davanti a sé un gruppo di persone piuttosto strano: prima di tutto, c’erano due demoni. Anzi, un demone e un mezzodemone. Non ne aveva mai visti in vita sua, perché sua madre serbava comunque un po’ di timore per quella classe sociale demoniaca che conviveva con quella umana da circa cento anni e non ne aveva mai invitato uno, e le uniche cose che sapeva le aveva lette su dei libri di attualità. Per esempio spesso veniva nominato Inuken Tashio, potente demone cane, che era rimasto famoso per l’aver firmato, cento anni prima, d’accordo con la maggior parte del popolo che rappresentava, il contratto che sanciva l’unione della società demoniaca e quella umana. Insomma, un nome importante, ecco.

I demoni in questione erano due maschi. Il primo, il mezzodemone, le faceva pensare a qualcuno di irritabile, visto che già stava litigando con una ragazza perché secondo lui gli aveva pestato il piede: aveva i capelli candidi e lunghi, due orecchiette canine che spuntavano sulla testa (che avevano l’aria di essere davvero morbide) e un paio di occhi dalle iridi dorate. Il secondo somigliava in un certo modo al primo, anche se la sua espressione fece pensare a Rin che anche lui fosse stato trascinato contro la sua volontà: anche lui aveva i capelli lunghi e candidi, due orecchie a punta, una voglia azzurrina a forma di mezzaluna sulla fronte e dei segni violetti sulle guance. Ma la cosa più terribile erano i suoi occhi: dorati, freddi, taglienti, sospettosi, diffidenti, intelligenti… avrebbe potuto trovare mille aggettivi per quegli occhi, ma tutti che lasciavano pensare a qualcuno di freddo. Entrambi i demoni erano vestiti semplicemente, con un paio di jeans e una maglietta il primo, una camicia l’altro e un paio di pantaloni. Miroku li salutò come se fossero vecchi amici: diede una pacca sulla spalla al mezzodemone, ma non toccò l’altro, che poi aveva un’espressione del tipo toccami e sei morto. Decisamente poco rassicurante.

Poi c’erano altre due persone, due ragazze che si somigliavano terribilmente: avevano entrambe i capelli lisci, neri e due occhi color nocciola, un fisico snello. Una stava litigando con il mezzodemone, ed era vestita con un completo giallo a pois fucsia, l’altra se ne stavano in disparte, come se la cosa non la riguardasse, cercando di farsi il più invisibile possibile dentro la sua maglietta.

“Ma ti dico che non ti ho pestato il piede!” protestò la prima ragazza, alzando la voce, mentre quell’altro ribatteva: “Ma come no!? Tutto il tuo dolce peso mi è arrivato dritto dritto sul pollice, pretendo delle scuse!” ringhiò.

“Ehm, ehm” prese la parola Miroku, tossendo leggermente. I due si interruppero subito, guardandosi in cagnesco: “Bene, ora che i nostri gentili…” cominciò, ma fu di nuovo interrotto, stavolta da una voce femminile che gridava: “PISTAAAA!!!”

Era una ragazza impegnata a saettare con uno skateboard tra la folla, facendo nascere risolini divertiti e smorfie indignate sulle facce della gente, oltre ovviamente a quelle doloranti delle persone alle quali aveva arrotato i piedi. Il gruppetto guardò la ragazza finire una curva per arrivare davanti a loro, ma una delle ruote slittò, facendola cadere addosso a un povero demone lupo disgraziato che passava lì per caso.

La situazione era terribilmente comica: la ragazza, i cui capelli erano di un rosso accesissimo, era letteralmente sopra il suo sfortunato materasso di fortuna, che sembrava più stupito che imbarazzato. Tutta la gente, che fino a quel momento aveva occhi solo per la rossa, spostò lo sguardo, tornando a farsi i cavoli propri.

“Ehi, ma guarda dove vai, tu, lupacchiotta sconsiderata!” esclamò il demone, scansandola con un gesto secco e rimettendosi in piedi. Quella, intanto, era andata a recuperare il suo skateboard, brontolando: “Ma eri tu che stavi in mezzo.”

A quel punto, il demone lupo, punto nell’orgoglio, gridò, indignato: “Io stavo in mezzo? Ma guarda che sei tu che mi sei venuta addosso!” lei si girò, infuriata: “Beh, caro il mio demone lupo, potevi spostarti.” Si ritrovarono a ringhiare l’uno contro l’altra.

Rin cominciava a spaventarsi, sul serio. Se il mondo esterno era popolato da persone del genere si sarebbe rinchiusa in casa a vita.

Miroku riprese la parola con un colpo di tosse, distogliendo lo sguardo dai due lupi, che erano passati agli insulti pesanti: “Allora. Ho qui l’appello. Dunque. Sango?” Chiamò guardandosi intorno come se non vedesse la fidanzata a due centimetri da lui. La diretta interessata gli pestò un piede. “Ok, lei c’è. Poi… Inuyasha e Sesshomaru?” il mezzodemone con le orecchie da cane e il demone dagli occhi freddi fecero un cenno, uno più silenzioso dell’altro, anche se Inuyasha stava ancora fissando imbestialito la ragazza con il completo a pois. “Poi… Kagome e Kikyo?” la ragazza con il vestito a pois e quella silenziosa dissero ‘presente’, una vivacemente, l’altra con un tono piuttosto smorto. “Bankotsu, Jakotsu e Suikotsu?” chiamò, guardandosi intorno per scorgere qualcuno che rispondesse al richiamo. Da lontano, una voce, per l’ennesima volta, gridò: “ECCHICEEE!!!” i tre individui più strani che Rin avesse visto stavano venendo verso di loro: uno aveva i capelli in una lunga treccia, l’altro pettinati in un codino e l’altro ancora li teneva scomposti in una zazzera disordinata. Inoltre, sul viso, avevano i segni più impensabili, tanto che le parve che Sesshomaru, quello con le macchie color porpora sulle guance, fosse molto poco appariscente.

“Bene, anche loro ci sono, poi… Shippo?” anche lui arrivò al richiamo, come per magia. Era un volpacchiotto sui vent’anni, dai capelli rossi. Venne chiamata anche una giovane ragazza di vent’anni anche lei, dai capelli candidi, di nome Shiori, e Kagura e Naraku, due fratelli, che erano già arrivati e che se ne stavano al bar.

“Bene, poi… Ayame e Koga.” Chiamò Miroku, a voce tonante e i due demoni lupo che prima stavano litigando e che in quel momento si stavano malmenando risposero con degli sconclusionati: “Chi?”-“Io?”

Rin non avrebbe potuto essere coinvolta in un viaggio con compagni peggiori. Uno più anormale dell’altro.

“Beh, Miroku… ci sono e poi la piccola Rin.” Detto questo le posò in modo alquanto pesante la mano sulla spalla, abbassandola più di quanto non fosse. Mugolò una protesta inutile, mentre tutto il gruppo si metteva in marcia al grido dell’organizzatore: “In marcia, miei prodi!”, che urlò brandendo il foglio dell’appello come una spada.

Impaurita, Rin seguì la piccola, appariscente folla fin dentro il pulmino, impolverato fino all’eccesso. Sango le era risultata subito simpatica, forse perché fu l’unica a rivolgerle la parola.

Arrivarono davanti a un aereo di linea, meraviglioso, pulito, grande e terribilmente lungo, e si diressero con fare sicuro verso di esso, anche perché c’era scritto, sulla fiancata ‘Air France’.

“Eh-ehm… ragazzi, dove state andando?” chiese Miroku, mentre si fermava a guardare tutti gli altri, che si girarono incuriositi. “Sull’aereo, no?” disse uno di quelli che finivano per tsu, quello con i segni verdi sul viso.

“Sì, ma quello non è il nostro.” Disse Miroku, divertito: “Il nostro è quello laggiù.” Detto questo indicò il velivolo più scalcinato, vecchio e pericolante dell’intera Gran Bretagna.

Rin fece qualche passo indietro. “Io lì non ci salgo.” Sussurrò, spaventata, mentre indietreggiava ancora un po’. Almeno finché non pestò un piede a Sesshomaru, che, scocciato, la guardò con odio e la oltrepassò, avviandosi verso l’aeroplano. Rimase sola, mentre tutti gli altri andavano avanti, cocciuta e risoluta, ripetendosi mentalmente che, no, lì non ci sarebbe mai salita.

Miroku la guardò, lievemente minaccioso: “Ti devo riprendere in braccio?” chiese, avvicinandosi. Rin fece ancora un passo indietro prima che il ragazzo la prendesse in groppa e la trasportasse, scalciante, fino al loro mezzo di trasporto.

“Bene, ora che anche la nostra recalcitrante Rin è entrata possiamo cominciare a partire.” Disse, facendo segno al pilota di mettere in moto.

Occupavano l’aereo solo loro sedici, ed ognuno contribuiva con la propria voce all’allegro chiacchiericcio che si stava via via diffondendo.

“L’ultimo appello.” Annunciò Miroku.

“Miroku.” Si tastò il naso: “Sì, penso di esserci.”

“Sango?”

“Presente.”

“Inuyasha?”

“Presente.”

“Sesshomaru?”

“…”

“Sesshomaru??”

Alla fine, il demone, invece di rispondere, alzò in aria il braccio.

“Oook, un altro asociale… Kagome?”

“Presente!”

“Kikyo?”
“Presente.” Sussurrò.

“Bankotsu, Jakotsu e Suikotsu?”

“Presenti tutti e tre.” Cinguettò quello col codino, che si sedette accanto a Rin.

“Naraku?”

“C’è.”

“Kagura?”

“Presente.”

“Ayame?”

“C’è anche lei.”

“Koga?”

“Koga c’è sempre!”

“Felice di saperlo. Shippo?”

“Presente!”

“Shiori?”

“Sì.”

“Rin?”

Sentendosi chiamare la piccola Rin alzò in aria un braccio tremante, troppo impaurita per rispondere. Anche perché, se avesse risposto, avrebbe di sicuro vomitato la colazione.

“Bene signori! Pilota Larxene, può anche partire.” Annunciò Miroku, sedendosi accanto a Sango. Il pilota, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio, nascosto dalla tenda della sua cabina, levò una mano dalle dita affusolate che faceva un segno rappresentato dal pollice, l’indice e il mignolo.

Non passò molto tempo che si ritrovarono in aria, planando dolcemente tra i cirri azzurrini e pieni di sole. A Rin venne un terribile attacco di vertigini, e abbassò la tendina dell’oblò, cercando di non pensare all’altezza a cui si trovava.

Solo quella mattina era tranquillamente seduta davanti al suo computer per controllare il risultato del sue esame del diploma, e invece in quel momento era su un aereo. Era stata costretta a lasciare ogni sicurezza per l’ignoto, cosa che le faceva terribilmente paura. Le veniva da piangere.

Neanche aveva fatto in tempo a pensarlo che una lacrima scese per la sua guancia, seguita da un’altra, e un’altra ancora.

Quello che si era seduto accanto a lei, Jakotsu, le pareva, si accorse delle sue lacrime e, da brava mamma, cercò di consolarla: “E ora perché piangi?” le disse, curioso. Non rispose, non ne aveva la forza. “Dai, non bisogna pensare a piangere, ora, stiamo partendo per una vacanza!” continuò allegramente, posando una mano sul suo braccio: “Le vacanze migliori sono quelle che cominciano col sorriso.” Si appoggiò alla spalla appuntita di Jakotsu, ancora piangendo: “È… è che… ho tanta paura.” Sussurrò, balbettante, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.

“Beh, è normale avere paura, però il segreto è superarla. La paura è l’amica dei giudiziosi.” Disse lui, con aria professionale, come se se ne intendesse: “Non fare come quel cretino di mio fratello che fa l’incosciente.” Rin rise sommessamente, asciugandosi l’ultima lacrima.

(qualche posto più avanti si sentì uno starnuto)

 “Vedi, è facile. Il trucco è non pensarci. Pensa a qualcosa che ti piace.” Finì Jakotsu: “E ora lo fai un bel sorriso?”

Rin, nonostante la situazione, trovava Jakotsu terribilmente confortante, e sorrise, un po’ stiracchiata, ma sorrise.

 

Arrivarono in un lasso di tempo relativamente breve, ma comunque terribilmente lungo per Rin. Aveva passato tutto il suo viaggio ad osservare il suo vicino di posto che ascoltava la musica, leggeva riviste (di moda) e chiacchierava con gli altri, oppure spettegolava. Era una persona allegra, tutto sommato, era molto piacevole stare insieme a lui. Durante il viaggio scoprì che era omosessuale, ma la cosa non la sconvolse più di tanto, dato che il suo aspetto terribilmente femminile le aveva già fatto presupporre qualcosa. Per non parlare della sua decisione di correre appresso al mezzodemone di nome Inuyasha senza nemmeno conoscerlo, solo perché lo trovava carino.

Ma Rin non aveva scoperto solo questo. Sembrava che Jakotsu fosse informato su tutto e su tutti. Le aveva parlato dei suoi fratelli, Bankotsu e Suikotsu, e le aveva detto che in realtà ce n’erano altri quattro, e che litigavano ogni santo giorno. Poi le aveva detto che aveva incontrato Miroku per sbaglio, e che lui l’aveva scambiato per una donna e di conseguenza gli aveva palpato il sedere, e poi le aveva detto che era molto carina ma che doveva vestirsi meglio e non capiva come riuscisse a sopravvivere con un maglione in pieno giugno. In tutto il viaggio aveva parlato solo Jakotsu. Al massimo lei aveva riso, pianissimo, ma l’aveva fatto, oppure rispondeva a qualche domanda che lui le aveva posto.

“Ahh!” esclamò poi Miroku, uscendo fuori e stiracchiandosi ben bene: “L’aria di Parigi è del tutto diversa da quella di Londra, non trovate?” chiese poi, dirigendosi fuori, dopo aver preso il suo bagaglio.

“Sì, anche perché Parigi è una delle città della…” provò a dire Shiori, ma fu interrotta da Kagura e Jakotsu, che gridarono insieme: “MODA!!!” la giovane assunse un’aria lievemente accigliata: “Ma io volevo dire cultura!” protestò, con la sua voce sottile e angelica. Nessuno la prese in considerazione.

“Piccolo dilemma…” cominciò Inuyasha: “In sedici quale taxi prenderemo?” chiese, guardando fuori, verso il parcheggio dei taxi. In effetti era un dilemma che si erano chiesti tutti almeno una volta. “E chi ha parlato di taxi?” disse Miroku, noncurante: “C’è Sengoku.”

“Ehh?” chiesero tutti, o meglio, quasi tutti, visto che Sesshomaru non aprì bocca, così come Rin, troppo impaurita per spiccicare parola.

“Ti prego, non ancora quell’affare.” Gemette Sango, portandosi una mano sulla fronte esasperata. Anche Inuyasha sembrava spaventato. Tutti gli altri erano ancora nella nebbia. “Ehm, cosa sarebbe questo Sengoku?” chiese Shippo, con l’aria di chi è preoccupato per la salute di qualcuno. Miroku si limitò a ridacchiare e guidarli verso un parcheggio.

Rin doveva ammettere di essere piuttosto curiosa. Questo Sengoku, da come ne parlava Miroku, sembrava un amico di infanzia a cui si vuole troppo bene, ma non capiva il nesso tra lui e il loro mezzo di trasporto. Sobbalzò per l’ennesima volta, quando un clacson andò a stridere nell’aria con il suo suono tonante. Parigi, per come l’aveva vista ora, era solo un immenso parcheggio pieno di auto dai guidatori isterici, e la cosa le metteva un certo timore.

Giunsero in un posteggio vuoto, tranne che per qualcosa di azzurrino e piuttosto grosso che svettava sull’asfalto grigio cotto dal sole.

“Non mi pare di essere venuto fin qui per rottamare furgoncini malmessi.” Brontolò Sesshomaru, con una voce fredda come i suoi occhi. Rin, per la seconda volta, rimase stregata da Sesshomaru, e si voltò quel che bastava per rivolgergli un’occhiata curiosa. Aveva una voce gelida e inespressiva, ma la cosa, non si sa come, la affascinava. L’affascinava per come, nonostante la carente espressività, quella voce riuscisse a far capire ugualmente la sua irritazione. Era… strano.

Si costrinse a girarsi verso la direzione che avevano imboccato gli altri, per evitare che il bel demone si accorgesse di essere fissato, ma, soprattutto, per evitare di perdersi per la seconda volta in quegli occhi dorati freddi e diffidenti.

“Infatti nessuno lo deve rottamare, lui è Sengoku e guai a chi me lo tocca!” rispose Miroku, appoggiandosi con sicurezza a una delle pareti del veicolo.

Ora è necessaria una pausa per descrivere quell’ammasso di ferraglia. Mettete ‘pausa’ alla storia e lasciate che me medesima vi descriva quell’affare.

Era uno scalcinatissimo pulmino dalle gomme piuttosto alte, tre nere e una bianca, tutto dipinto. Sulle fiancate c’era scritto ‘Sengoku’ in due modi diversi, a caratteri colorati, come se fossero state scritte e disegnate dagli artisti di strada con le loro bombolette. Oltre a questo il veicolo era decorato con tutto ciò che era possibile da attaccare. C’erano un sacco di adesivi di varie città, disegni, cartelli stradali, persino un paesaggio svizzero dipinto sul retro, sempre con le bombolette spray, anche abbastanza bene. Sembrava un quadro. Le scritte ‘ROMA’, ‘BERLIN’, ‘BARCELONA’, ‘PRAGUE’ e molte altre svettavano prepotenti con il loro messaggio. Poi, sul muso, c’era un adesivo piuttosto grosso, con lo sfondo rosso e le lettere bianche, che recitava a caratteri cubitali: ‘DON’T STOP ME NOW’. Ritornando alle fiancate, erano anche disegnati, come in una miniatura, dei momenti di concerti, quasi come fossero delle foto. Era spettacolare di come fossero precise. C’erano anche un sacco di autografi di band musicali che a Rin risultavano sconosciute. L’unica firma che riconobbe fu quella dei Sum 41, che svettava, messa in evidenza da un cerchio in vernice rossa. Lo sfondo, se visibile, era azzurrino e verde.

Bon, ora che ho finito di descrivere, potete mettere ‘play’.

“Io lì non ci salgo.” Disse di nuovo Rin, facendo un passo indietro, stavolta pestando il piede a Naraku che, stranamente, era stato in silenzio tutto il tempo. Lui, al contrario di Sesshomaru, non sembrò adirarsi molto, anzi, le disse: “Ti do ragione.” Aveva una voce profonda, cosa che le fece pensare che avesse almeno una quarantina d’anni.

“Su, su, niente storie, salite sennò vi lascio qui.” Ordinò Miroku e, alla fine, controvoglia e imbronciati, tutti salirono. Tutti tranne Rin, ovviamente, che non aveva smesso di sobbalzare ai suoni dei clacson che passavano vicino.

Sesshomaru, per la prima volta, prima di salire le rivolse un’occhiata. Rin non avrebbe mai saputo esplicare ciò che significava per il demone quell’occhiata, l’unica cosa che notò era che Sesshomaru sembrava curioso, quasi… divertito. Subito quel pensiero le fece salire una rabbia devastante: come osava quel… quel (bellissimo, affascinantissimo e un’altra montagna di aggettivi del genere) demone essere divertito mentre lei era spaventatissima?

Era rimasta fuori solo lei, e a quel punto Miroku fece capolino dalla portiera: “Rin, Rin, cosa devo fare con te? Sali o ti devo portare io?” chiese, scuotendo la testa. Alla sua muta risposta equivalente a un altro passo indietro lui scese dal pulmino con un balzo, la prese sulle spalle un’altra volta e la portò di peso dentro. Quasi a volerlo fare a posta, la lasciò cadere su uno dei sedili, quello tra Sesshomaru e Naraku.

Ora, scusate di nuovo l’interruzione, ma serve un’altra pausa per descrivere l’interno. Quindi rimettete ‘pausa’ e leggete.

Il pulmino, all’interno, se possibile, era ancora più strambo: prima di tutto, i sedili non erano rivolti verso il posto guida, ma correvano per tutti i lati, lasciando il posto, al centro, per un tavolo cigolante. C’erano almeno una quarantina di posti. Poi, ai lati, alle finestre, erano appesi un sacco di poster, foto, disegni, fogli, liste di cose da fare e molto altro, senza parlare di portachiavi, dadi e gingilli vari. Poi, incassato nell’angolino destro, c’era un frigorifero minuscolo, forse più utile come soprammobile che come frigorifero. Sopra vi era appoggiata una lampada di plastica rossa, perché, con tutte quelle cose appiccicate ai finestrini, la luce che entrava era davvero poca.

Il posto dell’autista, in questo caso quello che stava andando ad occupare Miroku – che era fermo chinato a metà per sedersi a causa della ‘pausa’ – era escluso dalla vista con una tenda indiana pesante, che sembrava ricavata da un tappeto.

Ok, la schiena di Miroku sta cigolando, direi di rimettere ‘play’.

“Ahi, ahi… che mal di schiena!” gemette Miroku, sedendosi di botto al posto dell’autista.

Rin si irrigidì al suo posto, intimorita da entrambi i ragazzi, anche se Naraku sembrava gentile. Comunque evitava di guardarlo negli occhi, quel colore rosso la inquietava non poco. Di meno, comunque, rispetto a quelli del demone che, dopo averle gettato un’occhiata lievemente disgustata, si ritrasse impercettibilmente. Era un’umana. E come tale doveva stare il più lontano da lui.

Rin si chiese più volte i motivi di quel comportamento schifato, ma l’unica ragione che le sembrava vagamente plausibile fu quella di un odore fin troppo sgradevole. Ma lei, quella mattina si era fatta una doccia, quando ancora non sapeva del malefico scherzo di sua madre. A casa sua.

La malinconia e il suo istinto agorafobico presero di nuovo il sopravvento, riempiendole di nuovo gli occhi di lacrime. Non poteva permettersi di piangere davanti a Naraku, né tanto meno davanti a Sesshomaru, che, secondo lei, si era già fatto un’idea di una Rin ridicola. Esatto, secondo Rin Sesshomaru la considerava ridicola. In un battito di ciglia scacciò tutte le lacrime, e si impose con tutta sé stessa di pensare a qualcosa che non la rimandasse a casa.

Come per contraddirla il telefono cominciò a squillare insistentemente con i suoi driiin ripetuti, e Rin, con un’occhiata rapida al display, si accorse che a chiamarla era sua madre. Premette il tasto rosso senza troppi sensi di colpa. Era colpa di Isabella se era finita in quel posto terrorizzante insieme a gente sconosciuta.

“Chiamano da casa?” chiese la voce profonda di Naraku, che la scrutava curioso. Lei annuì. “E non rispondi?” chiese ancora. Ma i fatti suoi non se li fa? Si chiese Rin, infastidita. “Sono molto più interessanti quelli degli altri.” Rispose lui, con un occhiolino. La giovane rimase interdetta. Possibile che intuire i suoi pensieri fosse così facile? “Sì, se hai studiato psicologia all’università.” Rispose lui alla sua domanda inesistente. Rin rimase interdetta ancora una volta. “Parli tu o parlo io?” chiese il mezzodemone. “Sei tu che hai cominciato.” Brontolò, incrociando le braccia al petto. Lui ridacchiò, ma non fece in tempo per ribattere che Miroku, dal posto dell’autista annunciò con la voce amplificata del microfono: “Bene, truppa, ora ce ne andiamo a spasso per la panoramica di Parigi! Se riuscite a vedere dal finestrino buon per voi, sennò siete autorizzati a spostare qualche cosa. Basta che non fate sparire niente. E ora… partenza!”

Mise in moto, e, tra cigolii, scoppi di motore e rombi, Sengoku si mise in viaggio.

Non passarono nemmeno due minuti che Miroku prese di nuovo in mano il microfono: “Bene, ora Sanguccia farà passare il microfono, così potete presentarvi ben bene. Non siete obbligati a dire niente. Tanto prima o poi riusciremo a spettegolare. Bene.” Disse, con un sorriso sghembo: “Io sono Miroku Funnigan, sono nato a Manchester e tifo per il City, ho ventisei anni e faccio il cuoco. Mi piacciono le belle donne” Sango gli diede un pugno: “Ehm, sì, comunque nel tempo libero organizzo viaggi.”

Poi Sango prese il microfono: “Io sono Sango Ashe, sono nata a Sydney e mi sono trasferita a Londra da quando avevo dodici anni, ora ne ho ventiquattro e faccio l’insegnante di educazione fisica.” Disse, e passò a Kagome: “Mi chiamo Kagome Higurashi, mio padre era giapponese ma sono nata a Londra, ho ventitre anni e studio lingue.” Dopodiché passò alla ragazza pallida pallida che le si era seduta accanto, che disse si e no quattro parole sussurrate: “Kikyo Higurashi. Stesse cose.” Concisa, non c’è che dire.

“Koga Kinnon” cominciò il demone lupo, interrotto dalla voce di Miroku: “Quello che c’è sempre!” e qualche risatina: “Beh, sì… comunque ho venticinque anni, sono nato a Dublino, dove vivo, e mi sono laureato a novembre in legge.” Qualche applauso sparso, soprattutto di Jakotsu, che lo riteneva carino. “Kagura McLovett ventisei anni, nata a Bath. Sono una segretaria, per ora.” Disse, con una smorfia contrariata circa il suo lavoro. Forse non le piaceva. Il microfono finì in mano a Suikotsu: “Suikotsu Ben, fratello di altri sei scellerati, ventun’anni, studio architettura.” Naraku: “Naraku McLovett, fratello di Kagura.” Ma va’? “Trentun’anni e sono uno psicologo.” Solo trentun’anni e la voce profonda di un vecchio?!?! Ma Rin non fece in tempo a chiederlo che si ritrovò il microfono in mano. Tutti erano girati a guardarla, persino Sesshomaru, anche se sembrava disinteressato.

“Ehm…” balbettò: “Io sono… mi chiamo… Rin Jordan. E… e ho diciannove anni e dovrei studiare astrofisica l’anno prossimo.” Disse, tutta d’un fiato, e mollò l’arnese in mano a Sesshomaru. Lui sembrò soppesare ben bene le parole, come se dovessero essere il più riassuntive possibili, dopodiché disse, con voce chiara: “Sesshomaru, vivo a Londra, medico…” ma fu interrotto dalla voce urlata di Miroku: “Ah, bene, ci serviva proprio un dottore, quindi sappiamo a chi rivolgersi in caso di analisi!” ridacchiò.

“… legale.” Finì Sesshomaru, alzando un sopracciglio. Miroku rispose, dopo un po’: “Eh, eh… mi sa che allora faremo a meno del dottor Sesshomaru…” ridacchiò a disagio.

Dopodiché toccò a Inuyasha: “Bene, io sono Inuyasha Tashio, questo asociale qua” e mise una mano sulla spalla del demone, che assunse l’espressione tipica di chi ha ingoiato qualcosa di schifosamente disgustoso: “è mio fratello” disse, ma fu interrotto da Sesshomaru: “Fratellastro.” Inuyasha annuì: “Esatto, fratellastro… comunque ho ventisette anni, abito anch’io a Londra e faccio il professore di musica.” Finì lanciando il microfono a Bankotsu, che stava dall’altra parte del pulmino: “Bene, io sono Bankotsu Ben e sono il fratello maggiore dei Ben” decretò con un certo orgoglio: “Ho ventisette anni e lavoro come chimico in un’industria farmaceutica.” Finì, pomposo, ma fu sminuito da Jakotsu, che gli prese di mano il microfono: “Beh, diciamo che dice di lavorare, poi si sa che va dietro alle donne.” Bankotsu arrossì: “Beh, comunque io sono Jakotsu Ben e sono il terzo fratello perché tre è il numero perfetto, ho ventidue anni e studio qualcosa che si chiama storia dell’arte.” Shiori: “S-sono Shiori Hiakkikomori e sono un mezzodemone, abito a Manchester e ho vent’anni e… e studio musica.” Balbettò, con la sua voce d’angelo. Ci fu un minuto di silenzio, in cui tutti i demoni presenti fissarono Shiori, sorpresi.

Rin si chiedeva perché tutti fissassero la ragazza in quel modo decisamente poco carino, anche se le sembrava di aver sentito che la famiglia Hiakkikomori era una delle più potenti tra i demoni, insieme alla stirpe delle pantere, dei demoni lupo della tribù Yoro e quella degli Inu youkai. Ma, anche se Shiori fosse stata un’erede, non capiva perché ci fosse il bisogno di fissarla così.

Il demone lupo dai capelli rossi, infine, per spezzare il silenzio, prese in mano il microfono, tossicchiando: “Ahem… allora, io sono Ayame Hanvarg, ho ventiquattro anni, vivo a Glasgow e faccio la fotografa con un contratto con una rivista.”

L’ultimo fu Shippo: “Sono Shippo Fox, ho vent’anni e abito nei pressi di Manchester… ah, studio, dovrei studiare, medicina.”

Rin si sentì, per più motivi, un’emarginata: primo, tutti erano più grandi di lei, e anche più alti, secondo, tutti sapevano fare qualcosa e studiavano, erano adulti, e c’era qualcuno che aveva già fatto carriera. E lei? Lei era una studentessa che se ne era uscita da poco dai suoi esami di maturità.

Si sentiva davvero minuscola.

“Bene, ora che abbiamo avuto il piacere di fare la vostra conoscenza… godetevi Parigi!” esclamò Sango, spostando un poster dal finestrino.

Rin chiuse gli occhi, imponendosi di non vedere. Meno vedeva l’esterno, meglio era. Si era decisa a rimanere tutto il tempo così, con gli occhi chiusi, ma qualcuno le bussò delicatamente sulla spalla. Aprì le palpebre di scatto, quasi spaventata, e davanti a sé vide Shippo, sorridente: “Beh, e tu che fai, non guardi? Parigi è davvero bella!” disse, e la fece voltare, prendendo il posto di Naraku, che si era spostato accanto alla sorella.

Era così bassa che fu costretta a mettersi in ginocchio sul sedile, appoggiandosi al vetro. Quando l’ennesimo poster fu spostato, rimase a bocca aperta: c’era un grande viale alberato, che sembrava frusciare guidato dal vento, e tanti, ma tanti passanti che camminavano sui marciapiedi puliti, chiacchierando e scherzando. Le case del centro erano intonacate con decori antichi, e ogni tanto vedeva svettare sopra gli edifici qualche monumento. In quel momento, l’unica cosa che riusciva a vedere era un grande, enorme, arco di trionfo. “Signori e signore, ecco a voi gli Champs Elisées!” esclamò Miroku, riappropriandosi del microfono. “Volete sentire aneddoti vari?” chiese, ma quasi nessuno lo stava ascoltando: Rin era troppo assorta a guardare fuori dal finestrino accanto a Shippo, Inuyasha cercava un sedile sicuro molto lontano da Jakotsu, Naraku che chiacchierava con la sorella, che intanto aveva occhi solo che per Sesshomaru, mentre il demone guardava fuori dal finestrino, ma non sembrava stesse osservando il paesaggio, Kagome che chiacchierava con Koga, mentre Kikyo sembrava immobile, come se si stesse morta, cosa che le riusciva particolarmente grazie all’inusuale pallore della sua pelle, Ayame e Shiori invece stavano parlando del più e del meno. Sango invece stava leggendo una rivista in francese. Diciamo che stava osservando le figure visto che di francese non sapeva un ‘h’.

“Beh, tanto non li sapevo.” Disse Miroku, con una gocciolona sulla testa.

Rin gettò uno sguardo a Sesshomaru, molto rapido, non voleva essere colta in flagrante mentre lo fissava, e si accorse che il suo sguardo sembrava quasi… contrariato. Come se fosse arrabbiato con sé stesso. Probabilmente sarà perché Inuyasha l’ha trascinato qui. Pensò, curiosa. Ma dopo un po’ scosse la testa: non poteva certo impicciarsi negli affari di quel demone solo perché la affascinava!

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ebbene sì! sono tornataaaa >BD

ho qualche avvertenza da darvi ù-ù

no, non sparisco^^

allora avvertenza n°1: ogni tanto mi divertirò a mettere significati nascosti nei capitoli :), cioè, per esempio un avvenimento che ricorda qualcosa che è successo nel manga... il giochino consisterà nel trovare i significati nascosti (se vi va eh!) :D

avvertenza n° 2: ogni tanto, come avete visto nel 1 capitolo, ci sarà il testo di qualche canzone: ebbene, vince la dedica del capitolo successivo chi indovina il cantante/gruppo e il titolo (giochino :D)

euh, che dire, aspetto le vostre recensioni?

  
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