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Autore: Ulissae    25/02/2011    7 recensioni
[Piccola long di due capitoli che tratterà la vita e la trasformazione di Caius, sulle note de "La ballata dell'amore cieco" di Fabrizio de Andrè]
Menelao era un brav'uomo, un bravo figlio e un bravo guerriero.
Genere: Drammatico, Song-fic, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Volturi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'enciclopedica visione dei Volturi'
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Sproloqui: *-* well, quindi... sono in ritardo <_<" lo so, lo so bene. Ma sono stata male D: E io detesto stare male ._. ho passato tutto martedì a fissare il soffitto ._.
E ho... e ho pubblicato la mia prima storia in inglese :D Okay, dopo continuo a ciarlare. Ora vi lascio alla seconda parte <3
Intanto lascio qui i declaimers: parte della breve long è una song fic, ispirata alla canzone La ballata dell'amore cieco, di Fabrizio de Andrè. ♥


La ballata dell'amore cieco



Non era il cuore, non era il cuore,
tralalalalla tralallaleru
non le bastava quell'orrore,
voleva un'altra prova del suo cieco amore.

Prese il cuore in una mano, come se non fosse altro che un misero pezzo di carne e lo lasciò cadere con un gesto privo di sentimento.
Ormai nella mente di Menelao esisteva solo un'infinita confusione, che lo rendeva incapace anche solo di capire cosa stesse accadendo. Era veramente quello il cuore di sua madre? Veramente la sua anima era racchiusa lì e veramente lui l'aveva estratta con tanta facilità?
No, non era stato facile: se la sua non fosse stata una mano abituata a squarciare le carni della selvaggina catturata sicuramente non ce l'avrebbe fatta.
E lei avrebbe sofferto ancora di più.
Che Zeus e gli dèi tutti mi perdonino!, gridava nella sua mente Menelao, ma bastava poco per dimenticare perfino di essere stato un assassino. Di esserlo!
«Sei figlia di Medusa, Medea?» sussurrò in un soffio, vedendo le sue mani macchiate del sangue della madre e la sua bocca di quello della piccola e gentile serva.
«No» sussurrò ironicamente lei, avvicinandosi con un piccolo passo.
«Sei figlia di quel...» nella sua testa si affollavano i ricordi di marinai, di leggende, di genti di tutti i luoghi e dalle mille storie.
In lei non riusciva a vedere nient'altro se non il male, l'orrore, la follia.
«Non sono figlia di nessuno» concluse lei per lui, con un sorriso sardonico a solcarle il viso.
Iniziò ad accarezzargli il viso, lasciando piccole impronte rosse sul quella pelle resa aspra e ruvida dalla barba e dalla stanchezza. Era estasiata nel vedere come un essere umano potesse ridursi: lei, che solitamente portava la morte in modo rapido e veloce, senza poter assaporare veramente il modo con cui il volto della vittima cambia, muta e si trasforma, fino a cadere tra le braccia di Ade; ora poteva vedere la morte vincere la vita di quest'uomo.
Che cosa meravigliosa!
«Mi ami, forse?» disse in un mormorio sommesso Menelao, avendo affidato tutte le sue speranze, la sua vita stessa nella risposta che stava per ricevere.
Menelao non si era mai innamorato, le poche donne che aveva conosciuto erano prostitute del porto, solitamente durante uscite con gli amici per festeggiare l'arrivo di un buon carico.
Menelao non aveva mai conosciuto l'amore, ma si era reso conto che questo faceva male, era tinto di rosso e che portava, su colui che amava, un pesante fardello di sensi di colpa.
«Potrei» rispose lei, avvicinando le labbra vermiglie e umide alle sue.
«Non mi basta un cuore qualunque» gli sussurrò lentamente, trascinandolo di nuovo in quel vortice di inconsapevolezza e oblio «voglio il tuo cuore».
Il coltello di suo padre sembrò fremere tra le sue mani, cadde, perché queste sembrarono non riuscire a sostenere la richiesta, aprendosi inermi.
Il suo corpo lo stava difendendo?
Ma lui ormai non capiva più niente -forse non voleva neanche capire- e così si lasciò andare alle parole di Medea, la perfida, cattiva Medea.
«Vuoi il mio cuore?» le parole gli uscirono di getto e le gambe si piegarono quasi meccanicamente, riavvicinandolo al pugnale. Lo strinse e a occhi aperti lo puntò contro il suo cuore, si alzò e offrì il manico a lei, che lo studiava divertita ed estasiata.
«Prendilo» le disse in un soffio «è già tuo».
Ma lei non voleva il cuore, non lo aveva mai voluto. Lei voleva la sua vita, la voleva vedere uscire da lui come l'acqua esce da un vaso versato, voleva che anche l'ultima goccia della sua essenza sparisse davanti ai suoi occhi.
Voleva questo e questo chiese.

Gli disse ancor se mi vuoi bene,
tralalalalla tralallaleru
gli disse ancor se mi vuoi bene,
tagliati dei polsi le quattro vene.

«Voglio vedere il tuo sangue uscire» ormai non era più una richiesta, ma un preciso ordine.
Lui spalancò gli occhi e di nuovo il coltello gli cadde dalle mani; il rumore provocato dalla lama contro il pavimento echeggiò per un attimo nella stanza, fino a sparire, inghiottita dal silenzio.
Sentiva il suo cuore pulsare, lo avvertiva ovunque: sulle tempie, sulle mani, sui polsi, sul petto.
Un rumore ritmico e martellante, che sembrava volergli ricordare di essere lì, di essere vivo e di voler rimanere tale.
Ma un cuore non ha la ragione, il cuore è solo un misero pezzo di carne messo da chissà chi nel nostro petto, non è il cuore che ci farà raggiungere i campi Elisi né le dolci membra di Medea.
Era inutile, il suo cuore, e tale la sua vita.
Dietro le sue spalle, il sole, come ignorando completamente gli avvenimenti della notte, iniziò a sorgere e lei storse il naso, accorgendosene. Sparì, lasciando un bacio rosso sul suo collo.
Menelao rimase immobile, ricordandosi finalmente del corpo della giovane schiava. Passarono delle ore, ma lui rimase ancora lì; passarono altri servi, che presero il cadavere e come se niente fosse lo portarono via, in silenzio, senza prestare attenzione all'uomo che, immobile, non pareva volersene andare; arrivò il mezzogiorno e finalmente sembrò svegliarsi.
Scoppiò a piangere e nessuno, neanche lui, seppe perché.
Uscì correndo a perdifiato; sempre correndo come un pazzo arrivò al mare e nuovamente si voltò, ritornando verso l'entroterra.
Corse tutto il giorno e quando si accorse che il disco dorato stava piano piano assopendosi si fermò.
Stava in mezzo al nulla, in mezzo a tanti ulivi e niente più.
Respirava faticosamente, avvertiva la stanchezza e il dolore per la prima volta, le sue gambe erano quasi paralizzate per lo sforzo e nella sua bocca la saliva si mischiava a del sangue.
Oh, il sangue.
Chissà se le sue sorelle si erano già strappate i capelli e le vesti, chissà se i loro petti erano già rossi e feriti dalla furia della loro disperazione.
E chissà se i fratelli lo stavano cercando, se invece credevano che si fosse imbarcato per non tornare mai più, chissà se pensavano che fosse già morto.
E sua madre, la sua anima dove si trovava ora?
Chissà se qualcuno aveva pensato che fosse stato lui l'assassino: l'onesto, il probo Menelao.
Doveva morire? Doveva lasciare veramente la vita?
E come avrebbe dovuto fare? Come?
Si guardò intorno, le lacrime secche gli tiravano il viso, che ormai, anche se lui non poteva vederlo, era più l'immagine di un teschio che quella di un uomo forte e possente quale era stato.
Con cosa poteva dimostrarle il suo vero e totale amore?
Si chinò a terra e iniziò a scavare, con furia e bestialità, le unghie gli si spezzavano e le mani iniziavano a sanguinare: cercava qualcosa con cui ferirsi.
Alla fine, disperato, prese un ramoscello più appuntito degli altri e con sprezzo del dolore e del proprio corpo iniziò a colpirsi la pelle delicata dei polsi.
Uno. Due. Mille volte.
L'amava, anche lei l'avrebbe dovuto amare.

Le vene ai polsi lui si tagliò,
tralalalalla tralallaleru
e come il sangue ne sgorgò
correndo come un pazzo da lei tornò.

La pelle ci mise molto prima di aprirsi totalmente e iniziare a sanguinare in modo copioso; prima arrivò il dolore, poi la disperazione di non riuscirci. Alla fine, quando avvertì il calore del liquido vitale scendere giù per le sue braccia, fin giù, fino al gomito, si sentì più sollevato; iniziò a gocciolare, lentamente.
Si alzò e intorno a lui era buio, piangeva -ma neanche se ne rendeva conto, e con tutto se stesso cercava la via per tornare da lei.
«Dolce Artemide, guida il mio passo e tu, Eros, che mi hai colpito con tanta foga, non una freccia usasti! Ma una lancia pesante, che non ha trapassato solo il mio cuore, ma lo spirito mio tutto! Oh, cosa posso fare, aiutatemi, aiutatemi!» urlava al vento, disperato.
Iniziò a vagare con furia, correndo e inciampando.
Poco alla volta tutto il suo corpo si graffiò e si sfregiò, tanto che quando arrivò da lei pareva un mostro fatto di sola e semplice carne, senza pelle.
Ricoperto di sangue, sempre più pallido e morente cadde in ginocchio davanti a lei.
Ma sorrideva, piangendo di dolore, Menelao sorrideva.
Si strinse alle sue veste, macchiandole di sangue -ormai aveva macchiato tutto, cosa sarebbe importato?
La tirò e quasi avvertì il rumore dei fili rompersi e sbrindellarsi.
Sconvolta Medea lo fissava e per un attimo pensò perfino che fosse la Morte stessa a essere venuta a prenderla o, per lo meno, a punirla.
Ma quando vide nuovamente gli occhi azzurri e spauriti di Menelao capì che era lui, semplicemente lui.
L'odore del sangue la stava facendo impazzire, ma serrando le labbra e le mascelle, inghiottendo il veleno che le faceva ardere la bocca e la gola, riuscì a resistere.
Rimase a lungo immobile, a lasciare che la braccia di lui la cingessero e la attraessero a sé. Ma il povero uomo pareva combattere una battaglia persa: ogni qualvolta tentasse di farla spostare lei rimaneva ferma al suo posto, come una fredda statua.
Alzò gli occhi, per cercare quelli rossi e accesi di lei, però non li trovò: al loro posto due pozzi neri, bestiali e animaleschi, che guardavano in avanti, senza degnarlo di uno sguardo.
«Medea...» rantolò in fin di vita. Ormai perfino la sua forte stretta veniva meno.

Gli disse lei ridendo forte,
tralalalalla tralallaleru
gli disse lei ridendo forte,
l'ultima tua prova sarà la morte.

Forse anche Medea era impazzita, forse la follia così forte e sentita di Menelao era entrata nelle sue vene, senza neanche avvisarla.
Scoppiò a ridere, nella sua risata priva di gioia; il suono echeggiò per tutta la stanza, mischiandosi a quello dei singhiozzi e del respiro affannoso di Menelao.
Fece un passo indietro e avvertì il sangue bagnarle i piedi, impregnare i sandali di dolce e morbido cuoio. Lo osservò dall'alto a lungo, vedendolo sempre più debole e affranto.
«Medea...» ripeté lui in un soffio addolorato, che gli graffiava tutto il corpo, ovunque passasse.
«Medea, la stai vedendo?» sorrise lui, cadendo a faccia avanti, sporcandosi il viso del suo stesso sangue.
La donna rimase in silenzio, frenando la sua macabra ilarità.
«La vedi, Medea?» glielo chiese di nuovo, mentre con un gesto affaticato e lento si metteva a pancia all'insù. Anche i suoi biondi e bei capelli di tinsero di rossa morte.
«La vedi la mia vita? La vedi? Sta venendo da te!» esclamò in un roco gemito.
Medea rimase al suo posto, in piedi e sorrise in un attimo.
Questo era l'ultimo atto, dopo gli attori sarebbero usciti dalle scene, l'aedo avrebbe riposato la sua cedra e tutti i commensali si sarebbero salutati, tornando nelle loro case.
«Voglio vedere se mi ami veramente» gli sussurrò, donandogli un sardonico sorriso, dove i canini, leggermente più lunghi, parvero a Menelao, per la prima volta, zanne.
«Lo stai già vedendo» sorrise lui, chiudendo gli occhi.

E mentre il sangue lento usciva,
e ormai cambiava il suo colore,
la vanità fredda gioiva,
un uomo s'era ucciso per il suo amore.

Stava morendo, oh se stava morendo! E lei riusciva a vedere ogni singolo spasmo del suo corpo, ogni singola contrazione del suo volto come mai gli era successo prima di allora!
Solitamente lei giaceva tra gli abbracci delle sue vittime, con il viso infossato nella loro carne, ad annusare il loro odore. Ora, invece, poteva osservare la magnificenza e la grandezza della Morte!
Per di più lo aveva fatto per lei! Lei aveva avuto un potere tale che non solo aveva tolto una vita, ma era riuscita a convincere un uomo a farlo! Aveva prevaricato la legge naturale che è intrinseca in ogni uomo: l'autoconservazione.
E ora poteva gioire della sua conquista! Aveva vinto, si era divertita -e lo stava ancora facendo.
Vanità, signora Vanità, che aveva ucciso un uomo con tanta facilità!
Ma... Ma Menelao sorrideva. Con gli occhi chiusi e le labbra appena aperte, sembrava che stesse stretto tra le braccia di Afrodite, lasciandosi riempire dai suoi baci.
Ormai non sentiva più il dolore, ne aveva provato così tanto da diventarne assuefatto, lasciava che le ultime gocce vitali fluissero al di fuori di lui per poter ottenere finalmente il suo amore.


Fuori soffiava dolce il vento
tralalalalla tralallaleru
ma lei fu presa da sgomento,
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato,
quando a lei niente era restato,
non il suo amore, non il suo bene,
ma solo il sangue secco delle sue vene.

Era felice?
Come poteva esserlo? Stava morendo, no? Perché era felice?
Lei era un'immortale, lei poteva veramente assaporare la felicità, capirla e poterla raggiungere. Ma allora come mai era così triste? Come mai non riusciva a gioire completamente, a sorridere in un modo tanto disteso e rilassato?
«Mi ami» fu le ultime cose che Menelao disse, poi cadde in un sonno vicino alla morte. Il suo respiro si faceva sempre più lento, il petto possente si muoveva in modo più pesante e affaticato.
La certezza nelle sue parole la fecero imbestialire; iniziò a fremere di rabbia e ringhiò furente.
I suoi nervi erano resi più labili e fragili, così neanche si rese conto di essersi buttata a terra, iniziando a bere il suo sangue.
Lo leccava furente, in modo bestiale e privo di contegno.
Era suo, no? L'aveva donato a lei, vero? Era suo! Tutto suo!
Ringhiava, i denti urtavano il pavimento mentre lanciava pugni furenti contro di esso, crepandolo.
Quando arrivò a lui si fermò, respirando velocemente. Aveva la palpebre socchiuse, e il suo respiro affannato sembrava doppiare quello di lui, ormai quasi inudibile.
Nella stanza entrava un soffio leggero di vento, che scompigliava leggermente i suoi lunghi capelli neri.
Questi ricadevano sul suo volto pallido e elegante, ora trasfigurato dalle bestialità del suo istinto.
Era felice, lei?
No.
Lui lo era?
Sì.
Come poteva far sì che non lo fosse più? Come poteva finalmente vendicarsi e ottenere la vera felicità attraverso un dolore puro e sincero?
Guardo il suo collo pallido, coperto di barba leggera e pungente e senza neanche pensarci si  lanciò sulla pelle eburnea e mortale.
Le zanne affondarono nella carne quasi morta, e immediatamente immise in lui il veleno che a lungo era arso nella sua bocca.
Si allontanò da lui, quasi sputando le ultime gocce di sangue, che erano intrise di morte.
Ci volle poco prima che Menelao iniziasse a urlare e attorcigliarsi in modo innaturale: le ferite che aveva sui polsi e sul resto del corpo, iniziarono come a ribollire e la pelle, con velocità sovrannaturale, iniziò a coprire la carne viva.
I suoi occhi erano spalancati, ma vuoti e vacui; per la prima volta Medea riuscì a vedere il dolore puro dentro di essi, e sorrise.
Le sue perfette labbra si tesero in un triste e maligno ghigno, mentre rimaneva lì ferma, a osservarlo.
Goccia dopo goccia il nero veleno stava erodendo il suo corpo dall'interno -e anche la sua anima, dopo quella tortura, non sarebbe più stata la stessa.
Ma se fosse sopravvissuto, se fosse diventato veramente come lei...
Non ci aveva pensato. La bella, astuta Medea, che tanto sapeva controllarsi e controllare, aveva perso la ragione e poco a poco, tra le urla di Menelao la stava riacquistando.
I suoi occhi da neri ripresero a diventare sempre più rossi e accesi, le pupille dilatate per la furia e per l'odore del sangue di lui poco a poco ritornarono normali e il suo respiro si fece più calmo, fino a cessare del tutto.
Rimase a lungo senza inspirare e quando lo fece di nuovo aveva anche deciso cosa farne di quel corpo che si contorceva senza sosta, chiudendo e riaprendo le mani, come per aggrapparsi a qualcosa.
Lo caricò sulle sue esili spalle, che seppero trasportare tranquillamente un uomo di tali fattezze, e uscì dalla sua casa.
Veloce e rapida, temendo che il sole potesse sorgere e coglierli entrambi, scese la ripida collina, fino ad arrivare al mare.
Lo posò sulle rocce e nuovamente si fermò.
Sarebbe morto felice se l'avesse lasciato lì, a dissanguarsi; ora, invece, stava provando la più dolorosa delle pene: la stava odiando e odiandola stava perdendo anche la falsa felicità venutagli dal credere che lei potesse amarlo.
Pensieri confusi, troppo confusi a cui non voleva pensare più.
Con un piede candido, che tanto a lungo lui avrebbe baciato, lo spinse giù dalle rocce e neanche rimanendo a guardare il corpo cadere in acqua si voltò, sparendo.

Menelao passò tre giorni in balia dei fluttui, il suo corpo venne sballottato dalle onde, beccato dagli uccelli e sfiorato dai pesci; navi gli passarono accanto ignorandolo, ormai, verso la fine del secondo giorno, aveva smesso perfino di urlare.
Fortuna volle che la corrente riuscì a portarlo sulle coste dell'Egitto, dove giacque per un'intera giornata sotterrato sotto la melma del fiume Nilo, che si apriva nella sua foce.
Alla vigilia della notte del terzo giorno le sue membra smisero di fremere e il suo corpo, ormai candido e non più umano, rimase fermo.
Spalancò le palpebre con un gesto secco e vide solo buio; la terra gli pizzicava leggermente gli occhi e gli provocava una spiacevole sensazione sulla pelle.
Ma Menelao, il povero Menelao!, non sapeva più niente.
Né il suo nome né la sua patria né la sua famiglia né il crudele amore che l'aveva reso così.
Come un bambino esce al mondo dal grembo materno lui lo fece dalla terra; lurido iniziò a vagare per i campi fertili, percorrendo il corso del fiume al contrario.
Non aveva domande da porsi, ma solo un desiderio da soddisfare.
Placò la sua sete velocemente, non appena incontrò sulla sua strada una piccola e umile casa di contadini. Li uccise tutti, senza neanche rendersene conto; uno dopo l'altro li fece cadere sotto le sue fauci, stringendo le loro teste dai lucidi capelli neri.
E dopo il pasto riprese a vagare per la notte, senza meta e senza nome; una creatura delle tenebre, che iniziò a temere la luce del giorno solo perché non la ricordava e, spinto dall'istinto, decise che era meglio evitarla.
Visse così per anni e poi per decenni, vagò per molte terre e quando si stufava di vivere e di nutrirsi di vita trovava una grotta scura, nascosta al mondo, e lì si sdraiava.
Smetteva di respirare e chiudendo gli occhi lasciava che il mondo gli passasse sopra, scordandosi di lui.
E di nuovo si alzava e di nuovo faceva finta di dormire.
Finché una notte si ritrovò di nuovo davanti al mare che l'aveva sputato secoli prima.
Fissò a lungo le acque scure e ne rimase ipnotizzato; nella sua mente dei ricordi vaghi iniziarono a rincorrersi, fino a procurargli un dolore lancinante, che lo portò a lanciare un grido bestiale.
Da quanto tempo non parlava?
Sapeva parlare?
Aveva iniziato a cacciare come una bestia e in tale modo aveva continuato, ma quel mare... quel mare lo stava chiamando.
Senza neanche rendersene conto il suo corpo si spinse in avanti e come decenni prima si lasciò cullare dalle onde, cadendo in uno stato di incoscienza pura, un misto di dolore e inconsapevolezza.
Nuovamente morì, ma quella volta, quando si svegliò, qualcosa cambiò.

Il viso che lo accolse quando aprì gli occhi era pallido come il suo, ma più vivo, tanto che gli parve di vedere la stessa carne prendere vita e sorridergli.
Marcus era un uomo possente, alto e dal corpo ben piazzato, dai lunghi capelli neri e lisci e degli occhi così vivi e accesi da far male.
Menelao -che non sapeva più di avere questo nome!- si alzò pesantemente, accorgendosi che non era poi così diverso da lui: gli occhi rossi sembravano scrutarlo curiosi, mentre delle leggere rughe si spianavano e poi si increspavano sulla sua fronte.
«Stai bene?» gli chiese velocemente. Poté notare che anche la sua voce era melodiosa e affascinante, così come i suoi modi di fare.
Ci mise molto prima di rispondere, anche perché, in un primo momento, non riuscì a capirlo.
Ma Marcus non si scoraggiò: sorrise ancora di più, se possibile, e poggiando due mani sul petto dell'altro ripeté, in greco: «stai bene?»
Come percorso da una scossa Menelao aprì la bocca per rispondere, ma anche in quel momento ci mise un po' prima di farlo: la bocca sembrava disabituata a muoversi e a formulare parole.
«Sì» annuì vigorosamente, come per farsi capire meglio.
Come incoraggiato da questa sua risposta Marcus riprese: «Io sono Marcus, e tu?»
Menelao si paralizzò e come se la sua mente stesse abituandosi di nuovo all'umanità e al contatto con un altro -che non fosse un morto- ci mise di nuovo molto prima di parlare.
«Io...» tentennò, non riuscendo ad andare oltre.
«Come ti chiami?» ripeté, per spronarlo.
«Non lo so, io...» ammise infine, spostando il capo.
Come Odisseo gonfio di salsedine e di acqua, così era Menelao, l'Uomo senza nome, che ora stava fermo davanti a lui, imbarazzato.
«Come non lo sai? Ah, sì, magari sei stato troppo tempo in acqua» sorrise, prendendolo per un braccio e iniziando a passeggiare verso l'interno, lasciandosi alle spalle il mare.
«Cosa stai facendo?» balbettò sconvolto Menelao, stupito da tanta confidenza.
«Andando a caccia, no? Li ho visti i tuoi occhi e ho sentito il tuo odore, starai morendo di fame» sorrise, amichevole, continuando a camminare.
«e cercherò di trovarti un nome, che così non puoi rimanere» rise, sistemandosi meglio un lungo pezzo di stoffa rossa, che gli avvolgeva il braccio sinistro. Se lo tolse e glielo porse gentile. In quel momento Menelao capì che era nudo, più che altro si rese conto che tale cosa era sconveniente e come quando Adamo, nell'Eden, realizzò questa cosa si sentì morire per il disagio.
«Tieni, non puoi stare così» ripeté Marcus, mentre l'aiutava ad avvolgersi nella stoffa, quasi divertito dal doverlo trattare come un bambino alle prime armi con i vestiti.
Quando finalmente, adornato di porpora, anche lui fu pronto gli sorrise, riprendendo a camminare.
Mentre Menelao si lasciava accompagnare da lui verso i vicoli stretti di Ostia, ancora non sapeva che quello sarebbe stato l'inizio di una lunga e gloriosa storia.




Angolo Autrice:
e così si inizia. Marcus incontra Caius e danno inizio alle danze. La storia di Marcus sarà la prossima, ma a questa storia qui è strettamente collegata a Fortuna in corpore villi est.
Povero Caius ♥ o Menelao. Okay, povero uomo senza nome ♥
Non so che altro dirvi, sicuramente ho scordato tantissime cose D: Ma... ma per ora vi lascio ♥ Ho aggiornato in un orario completamente fuori dal mio solito, ma stasera ho una festa di diciotto anni -non mi va .____. devo ancora trovare un vestito- e quindi non avrei potuto aggiornalo.
Spero che questo inizio vi sia piaciuto ;)
Il prossimo Masculo sarà completamente diverso XD Alla prossima!

Ho deciso di farmi un account facebook per chiunque mi volesse aggiungere e fare una chiacchierata Ulissae EFPaggiungetemi (:
Se avete un livejournal, questo è il mio: [info]ulissae
Idem per anobii (ha trovato il giochino, la bimba): Ulissae anobii
 

Se invece volete farmi una qualsivoglia domanda, ecco il mio formspring: Ulissae
 



   
 
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