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Autore: Beatrix Bonnie    25/02/2011    6 recensioni
Che cosa convinse Albus Dumbledore ad affrontare in un duello il suo eterno nemico, Gellert Grindelwald? Perché improvvisamente il grande mago cambiò idea e decise di andare incontro al suo destino?
Storia prima classificata al contest "Free Contest" indetto da AliH e vincitrice del premio "Miglior personaggio originale".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Für der Obergute'
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IV



Ci impiegò parecchi secondi ad accorgersi che era già entrato nel ricordo del giovane tedesco: completamente circondato dal buio, il mago riconobbe solo la figura di un ragazzo che sgattaiolava in un vicolo e si affrettò a seguirlo. Dopo qualche passo, il giovane si fermò davanti ad un innocuo muro in mattoni. Pareva che non ci fosse nulla di particolare, ma Dumbledore era in grado di riconoscere tracce di magia: probabilmente c'era una ricca casa di maghi ben nascosta da occhi indiscreti.
Il giovane a cui apparteneva il ricordo aveva un berretto calato sul volto, scurito con quella che sembrava fuliggine per rendersi irriconoscibile, ma nel buio del vicolo, Dumbledore riusciva comunque a veder brillare i suoi vispi occhi azzurri. Indosso aveva solo una giacca un po' abbondante, una sciarpa intorno al collo e un paio di pantaloni piuttosto malridotti. Dumbledore lo osservò mentre armeggiava con degli strani oggetti magici che aveva in borsa, finché il ragazzo non estrasse quello che stava cercando: una Mano della Gloria che reggeva una lucerna. Non appena il ragazzo l'accese, anche Dumbledore poté godere della luce che emanava, perché quello era il ricordo di Dankrad e quindi in un certo senso lui vedeva attraverso gli occhi del giovane tedesco.
Infine Dankrad estrasse la bacchetta magica e fece degli strani segni sul muro, finché non si delineò un immenso portone in legno massiccio. «Alohomora» sussurrò debolmente e la serratura scattò. Guardandosi intorno con circospezione, appoggiò una mano sulla porta e fece pressione.
L'ingresso in cui entrarono era avvolto dall'oscurità, ma dal prezioso lampadario settecentesco di cristallo che pendeva dal soffitto, si capiva che doveva essere una casa di maghi piuttosto ricchi. Dankrad controllò che non ci fosse nessuno in giro, poi sgattaiolò al secondo piano, lungo una scalinata sulla destra. Si muoveva con sicurezza in quella casa, ma Dublemdore aveva la brutta impressione che fosse lì per fare qualcosa di ben poco lecito.
Lo seguì fino ad un piccolo studio, occupato da uno scrittoio che sembrava essere piuttosto prezioso. La prima mossa di Dankrad fu di bendare con la magia gli occupanti dei ritratti che dormivano beatamente nelle loro cornici attaccate alle pareti: così, se si fossero svegliati, non avrebbero potuto vederlo. Dopodiché estrasse dalla sua borsa un aggeggio magico in argento, che anche Dumbledore conosceva bene: era un rivelatore di magia. Dankrad lo montò con destrezza, poi lo appoggiò delicatamente sul pavimento e attese che facesse il suo lavoro. Quattro sfere luminose vennero emanate dal marchingegno e incominciarono a roteare pigramente per la stanza, finché non rivelarono massicce presenze di magia nella zona del camino di marmo.
Dankrad allora si avvicinò, sempre tenendo la bacchetta sollevata in una mano e la Mano della Gloria nell'altra. Osservò a lungo il caminetto, in ogni suo aspetto, ma non sembrò trovare niente che indicasse la presenza di nascondigli magici. Fu allora che mise in tasca la bacchetta ed estrasse un punteruolo d'argento, che utilizzò per disegnare strane rune sul fondo del camino. Le rune brillarono nel buio per qualche secondo, poi scomparvero, ma al loro posto apparve il profilo di una cassaforte. Dankrad si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto.
Con un altro pigro “Alohomora”, anche la cassaforte si aprì sotto i loro occhi. C'erano preziosi oggetti in oro, gioielli e una coppa, ma Dankrad li ignorò completamente, puntando ad una innocua scatolina di velluto blu. Dumbledore avrebbe voluto fermarlo, quando lo vide infilare la mano nella cassaforte, senza notare l'Incantesimo Sensore Segreto che la proteggeva, ma subito il suo sguardo fu rapito dal gioiello della scatolina blu: era il Cristallo di Ghiaccio, lo stesso che il ragazzo tedesco gli aveva inviato tramite lettera.
La sua luminosità e la sua perfezione erano tali che per parecchi secondi, sia il giovane Dankrad del ricordo, sia il maturo Dumbledore ne rimasero rapiti, finché un rumore leggero poco fuori dalla porta non li fece trasalire entrambi. Dankrad si infilò velocemente la scatolina in tasca, chiuse la cassaforte, spense la lanterna e ripose nella borsa la Mano della Gloria. Dopodiché estrasse la bacchetta e fece un pessimo Incantesimo di Disillusione, che gli lasciava perfettamente visibili i piedi e la sua stessa sagoma. Ma evidentemente non era in grado di fare di meglio, per cui si accontentò di usare vecchi metodi Babbani: si nascose dietro la tenda rossa drappeggiata davanti alla finestra, sperando di essere nascosto dal buio.
Proprio in quel momento entrò nella stanza una piccola elfa domestica, che sembrava insicura anche dei suoi stessi passi. Si guardò intorno titubante, poi strillò con la sua vocetta acuta: «Non c'è nessuno, signora».
«Controlla bene, Ruby! Se l'incantesimo è scattato ci sarà un motivo» rispose gracchiante un'anziana maga.
La piccola elfa trotterellò per la stanza senza troppo entusiasmo.
Dumbledore aveva come l'impressione che non fosse il primo falso allarme per il quale l'elfa doveva correre a controllare la stanza per ordine della sua padrona.
«Non c'è nessuno, signora» ripeté Ruby, uscendo dallo studio.
Dumbledore, quasi, percepì il sospiro di sollievo del giovane tedesco.
Dankrad uscì dal suo nascondiglio, spostando la tenda con un gesto teatrale. Colpo fatto, pericolo scampato!
Si avvicinò alla porta a passi baldanzosi, proprio quando quella si spalancò sotto i suoi occhi. Apparve sull'uscio una vecchia maga in vestaglia con i bigodini in testa e la retina sui capelli. Sebbene Dankrad fosse ancora protetto dall'Incantesimo di Disillusione, la sua sagoma era perfettamente visibile anche nel buio della stanza. Per una frazione di secondo la situazione sembrò essere raggelata, poi Dankrad agì d'istinto.
«Pietrificus totalus!»
La vecchia maga non fu abbastanza pronta per reagire e si ritrovò stesa sul pavimento. Dankrad la scavalcò senza troppe esitazioni, gettandosi fuori dalla stanza e poi giù dalle scale.
«Signora!» squittì l'elfa, correndo incontro alla sua padrona, mentre Dankrad si buttava fuori di casa, sempre seguito da Dumbledore. I due si ritrovarono nel vicolo d'entrata, con le urla della vecchia maga che rimbombavano nelle loro orecchie.
Dankrad cominciò a correre all'impazzata lungo le strade buie di Berlino, scontrandosi contro un gruppo di Babbani ubriachi che uscivano da un locale.
«Ehi, tu, guarda dove vai!» gli biascicò dietro uno dei beoni, con gli occhi stralunati.
Il ragazzo nemmeno si voltò a guardarli. Fermò la sua folle corsa solo quando fu sufficientemente lontano dalla casa della vecchia maga con i bigodini. Appoggiando le spalle al muro, fece dei lunghi respiri per riprendere fiato, poi estrasse dalla borsa uno straccio lercio e si ripulì il viso dalla fuliggine.
Un gruppetto di giovani, passandogli davanti, lo insultò e lo derise per la fascia con la stella di David gialla che portava al braccio.
«Lurido ebreo!» sghignazzò uno, sputandogli addosso.
Dankrad si afferrò d'istinto il braccio sinistro, come a coprire il segno che indicava l'appartenenza al suo popolo. Lanciò loro degli sguardi astiosi, ma non reagì agli insulti. Dumbledore lesse nei suoi occhi un velo di rabbia misto a rassegnazione e immaginò che il giovane tedesco fosse ormai abituato ad essere mal considerato dai Babbani per le sue origini ebraiche e dai maghi per le sue origini Babbane. Per un attimo il professore provò un moto di pietà per quel ragazzo che non apparteneva a nessuno dei due mondi.
Dankrad chiuse gli occhi e appoggiò la testa al muro, per cercare di tranquillizzarsi. Dopodiché si sistemò il berretto, calandolo per bene in testa, in modo da coprire il suo sguardo, e poi si avviò a grandi passi per le strade notturne di Berlino.
Si fermò solo quando arrivò davanti ad una grossa costruzione con un colonnato, posizionata davanti ad un fiume. Un cartello recitava: “Lehrter Bahnhof”, che Dumbledore tradusse velocemente in “stazione di Lehrter”. Il mago seguì il giovane tedesco che entrava nell'edificio Babbano, ma appena vi mise piede dentro, fu rapito per un attimo dalla sua struttura: un immenso soffitto a volta, tutto costruito con travi di metallo, era sorretto da due pareti decorate da arcate cieche. Cinque binari, intervallati da una banchina, ospitavano altrettanti treni che sbuffavano pigramente in attesa di partire.
Dumbledore si riscosse appena in tempo per affrettarsi a seguire Dankrad tra la folla della stazione, in mezzo a Babbani che cercavano di raggiungere il proprio treno e squadriglie di Nazisti che controllavano la situazione. Delle bandiere rosse con la svastica nera penzolavano in modo sinistro da delle aste appese al muro, come degli avvoltoi che dominavano le loro possibili prede.
Dankrad si infilò senza troppe esitazioni in un bagno pubblico piuttosto malandato, poi, controllando che nessuno lo avesse seguito, estrasse la bacchetta dalla tasca e la appoggiò sul vetro sporco e ammuffito del vecchio bagno. Al suo tocco, la superficie levigata del vetro divenne liquida come fosse fatta di mercurio. Dankrad si lanciò un'ultima occhiata alle spalle e poi attraversò il varco per raggiungere la stazione magica.
Il nuovo ambiente in cui si trovarono non poteva essere così diverso dal precedente, eppure si aveva l'impressione che nulla fosse cambiato. Le persone che popolavano le banchine erano evidentemente maghi, ma anche questa stazione era pattugliata da squadriglie armate, gli Obermenschen di Grindelwald, riconoscibili dal lungo mantello verde scuro con i gradi sulle spalle e il berretto militare con il simbolo del dittatore, un cerchio e un'asta iscritti in un triangolo. Al posto delle bandiere rosse con la svastica, era appeso alla parete un lungo striscione con scritto il motto del Reich, Für der Obergute.
Viaggiare in treno era un mezzo molto comodo per l'epoca: lo usavano le famiglie con bambini piccoli o tutti quegli adulti che non avevano voglia di materializzarsi, anche perché Dumbledore sapeva che le Materializzazioni erano strettamente controllate dal Reich. In molti luoghi era impossibile utilizzare questo tipo di spostamento e comunque il Dipartimento della Materializzazione, istituito da Grindelwald, teneva sotto controllo tutte le zone a rischio all'interno degli Stati della Federazione del Primo Reich: un modo molto efficace per prevenire azioni di guerriglia da parte di brigate ribelli.
Dankrad sgattaiolò verso il treno sul binario centrale. Ovviamente non si preoccupò minimamente di andare a fare il biglietto. Lanciò un'occhiata fugace al capostazione poi si fiondò sul treno che stava cominciando a partire. Dumbledore si affrettò a seguirlo, per non restare in stazione.
Il corridoio dove si affacciavano i vari scompartimenti era affollato di maghi e streghe che vociferavano tra loro. Dankrad cominciò a sgattaiolare tra la gente, biascicando qualche scusa a mezza voce. Ogni tanto si voltava per controllare di non essere seguito, ma questo suo ossessivo girarsi all'indietro fu la sua rovina: gli Obermenschen stavano arrivando da davanti, chiedendo i biglietti ai passeggeri. Dankrad se ne accorse appena in tempo per voltarsi e svignarsela a ritroso lungo il corridoio, ma il luogo era troppo affollato perché il ragazzo potesse muoversi agilmente, così prese la decisione di infilarsi in uno scompartimento occupato solo da una ragazza che guardava distrattamente fuori dal finestrino.
La giovane dimostrava una ventina di anni; aveva un basco di lana grigia adagiato di lato sui riccioli biondi, acconciati elegantemente secondo la moda dell'epoca e indossava un delizioso cappottino di fattura sartoriale.
In realtà solo Dumbledore sembrò notare tutti questi dettagli, perché Dankrad era preso da ben altri pensieri. «Ehi, sai fare un buon Incantesimo di Disillusione?» esclamò di getto, rivolto all'occupante dello scompartimento.
«Come, scusa?» domandò la ragazza, voltandosi verso il giovane con sguardo interrogativo.
«Un buon Incantesimo di Disillusione, sai farlo? Il mio non è il massimo, mi restano fuori i piedi» rispose sbrigativo Dankrand, continuando a lanciare occhiate preoccupate alla porta dello scompartimento.
La ragazza si alzò dal sedile, senza capire cosa stesse blaterando l'altro.
Ma Dankrad aveva una certa fretta. «Senti, ci sono gli Obermenschen là fuori e io sono senza biglietto. Puoi aiutarmi o no?»
«Io...» cominciò a dire la ragazza, ma proprio in quel momento un Obermensch spalancò lo sportello e intimò agli occupanti dello scompartimento di tirare fuori i biglietti e la Dichiarazione di Status Purosangue.
La ragazza si voltò verso il mago con sguardo tagliente e il mento leggermente sollevato di chi è abituato a guardare la gente dall'alto in basso. «Stai scherzando, giovanotto?» gli domandò in tono aggressivo e altezzoso. «Hai idea di chi tu abbia difronte?»
L'Obermench assunse un'espressione perplessa.
«Io sono Gerwine VonTraust. Mio padre è il principe di Baviera».
Un silenzio imbarazzato seguì quelle parole. Gli occhi dell'Obermensch guizzarono da destra a sinistra, come se cercasse una scappatoia a quella situazione scomoda. Alla fine tornò a guardare la ragazza, ma lo sguardo altezzoso e adirato di lei non lasciava presagire nulla di buono. «Scusatemi, fräulein VonTraust. Io... non vi avevo riconosciuta» biascicò l'Obermensch, a disagio. Strinse in modo compulsivo la bacchetta, poi continuò: «Devo comunque chiederle i documenti, fräulein».
«Come, scusa? Vuoi chiedere i documenti a me?» rispose la ragazza, offesa e scandalizzata. «Sei sicuro? O forse preferisci che mio padre riferisca a Grindelwald del comportamento maleducato dei suoi uomini?» lo provocò con studiata perfidia.
L'Obermensch fece per dire qualcosa, ma la sua bocca si richiuse senza che ne uscisse un solo suono. La tensione che permeava l'aria era talmente densa che sembrava quasi si potesse toccarla.
«Io... no, fräulein» cedette alla fine l'Obermensch.
Dumbledore era certo che Grindelwald non fosse particolarmente famoso per la delicatezza con cui trattava i sottoposti disobbedienti.
«Ma il ragazzo?» si azzardò a chiedere l'Obermensch.
La giovane lanciò un'occhiata veloce a Dankrad, appiattito contro il vetro, come se temesse che fosse giunta la sua ora.
«Lui sta con me» concluse, dopo una manciata di secondi che parvero interminabili. «C'è altro?»
L'Obermensch ebbe un attimo di tentennamento.
«No, fräulein. Scusate il disturbo» sussurrò alla fine, uscendo dallo scompartimento con un inchino.
Solo quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, Dankrad ricominciò a respirare. Era appena scampato da una cattura certa e ancora non ci credeva. Come diavolo era accaduto?
«Ehi, sei stata grande!» esclamò, osservando per la prima volta la sua salvatrice. Nei suoi occhi non brillava più quello sguardo altezzoso che aveva riservato all'Obermensch, e non sembrava affatto scossa dalla scena che si era appena svolta sotto gli occhi attenti Dumbledore.
Dankrad parve notare che era decisamente carina, a giudicare dal tentativo di sorriso seducente che comparve sul suo volto. «Voglio dire, a fingere così. Si è preso una bella strizza quell'Obermensch!»
«Non stavo fingendo» rispose in tono serio la ragazza, guardando il suo interlocutore come se fosse uno squallido clown da circo di periferia.
Dankrad non sembrava affatto a disagio come lo era stato l'Obermensch: pareva solo sorpreso dalla notizia. «Vuoi dirmi che sei davvero la figlia di VonTraust?»
Gerwine non si scompose davanti a quella domanda diretta e fece solo un breve segno di assenso con il capo.
Dankrad sgranò gli occhi in un'espressione scioccata. «E allora perché mi hai aiutato?» domandò perplesso, senza credere di essere appena stato salvato dalla principessa di Baviera in persona.
Gerwine parve piuttosto offesa da quella domanda e questa volta sembrava sincera. «Essere Purosangue non significa appoggiare gli ideali e i metodi di Grindelwald» rispose in tono duro. Sembrava che fosse stanca dei pregiudizi che gli altri le riservavano in quanto nobile Purosangue.
Dankrad per una volta rimase zitto, senza avere il coraggio di controbattere a quell'affermazione. Lui, certo, era un Sanguesporco, quindi non riusciva a comprendere dei Purosangue che non appoggiassero Grindelwald, visto che tutti quelli con cui aveva avuto a che fare non si poteva certo dire che fossero stati disponibili nei suoi confronti; ma forse quello dipendeva dal fatto che, quando lui entrava in contatto con dei Purosangue, era per rubare loro qualcosa. Eppure la ragazza sembrava sincera e, dopotutto, gli aveva appena salvato la vita.
«Comunque tu scendi alla prossima fermata e non ti fai più vedere» gli intimò poco dopo Gerwine, con un tono che non era tanto dissimile da quello che aveva utilizzato con l'Obermensch.
Dankrad fece un sorrisetto ammiccante. «Non mi devo più far vedere sul treno... o da te?»
Gerwine storse il naso come fosse di fronte ad un essere nauseante. «Entrambe le cose» gli rispose secca.
Dankrad tuttavia non si fece affatto intimidire. Anzi, gli piacevano le sfide. «Mi dispiace, cocca, ma devo allontanarmi il più possibile da Berlino e si dà il caso che questo treno mi porti proprio dove mi interessa: a Monaco di Baviera» disse con un sorriso smagliante.
Gerwine lo guardò con aria scioccata. «Cocca a me? Esci immediatamente da questo scompartimento!» esclamò furiosa, indicando la porta con un gesto perentorio.
Dankrad appoggiò le mani incrociate dietro la nuca, come se si stesse stendendo su una spiaggia tropicale, e le lanciò uno sguardo rilassato. «Se mi butti fuori, il tuo sforzo per salvarmi la pellaccia si rivelerà inutile» commentò con ovvietà.
Gerwine aprì la bocca per dire qualcosa, ma l'oggettività di quell'affermazione era innegabile. L'aveva fregata.
Gerwine passò il resto del viaggio con le braccia incrociate al petto e lo sguardo ostinatamente rivolto al paesaggio avvolto dalle tenebre che scorreva fuori dal finestrino. Dankrad non interruppe l'orgoglioso silenzio della sua compagna di scompartimento, perché era conscio che qualsiasi tentativo di farla parlare si sarebbe rivelato un fallimento. Tanto sapeva di averla già in pugno.
In realtà i treni magici andavano ad una velocità nettamente superiore a quelli Babbani, per cui il viaggio durò poco più di mezzora, sebbene avessero attraversato tutto il paese. Il treno cominciò a rallentare in prossimità dell'inizio del centro abitato, finché non si fermò alla stazione di Monaco, con una poderosa sbuffata di vapore biancastro.
Gerwine usò un incantesimo di levitazione per recuperare il suo bagaglio dalla retina sopra i sedili, poi, senza una parola, uscì dallo scompartimento.
«Ehi!» esclamò Dankrad, colto alla sprovvista, gettandosi all'inseguimento della ragazza.
Dumbledore li seguì lungo i corridoi del treno, e poi, ancora, attraverso la stazione affollata di viaggiatori vociferanti e squadriglie di Obermenschen. Per un attimo credette di averli persi di vista, quando un quartetto di musicisti, con i loro contenitori neri degli strumenti, gli tagliò la strada, ma subito dopo si accorse che Gerwine si era fermata e così Dankrad dietro di lei.
Un signore alto con un lungo mantello grigio e un borsalino dello stesso colore li stava fissando. Aveva la mascella squadrata e la bocca tanto sottile, che sembrava poco più che una cicatrice di guerra. Ma ciò che colpì di più Dumbledore, furono i suoi occhi scuri e penetranti. Sembrava poter perforare il diamante con un solo sguardo.
«Papà» esclamò sollevata Gerwine, stringendo l'uomo in un abbraccio, come se potesse scacciare in quel modo tutta la tensione che aveva accumulato.
Dankrad allungò la mano verso il mago e fece per presentarsi, quando il suo occhio allenato riconobbe degli Obermenschen che si avvicinavano, apparendo tra la folla come esseri soprannaturali, circondandoli senza lasciare loro vie di fuga.
Anche Cyrillus VonTraust sembrò accorgersene, perché si sciolse dall'abbraccio della figlia e si irrigidì in posizione difensiva. I suoi occhi saettarono veloci tra i volti degli Obermenschen, come se volesse scrutare nel profondo dei loro animi.
«Herr VonTraust?» domandò il più alto in grado, parandosi difronte a loro.
Cyrillus contrasse la mascella. «Sì?»
«Dovreste seguirci al Münschen Herz» disse il mago.
Dumbledore si avvicinò meglio al gruppetto, sicuro di aver sentito male. Perché volevano arrestare VonTraust? Era un nobile Purosangue: anche se non appoggiava pienamente il Reich, Dumbledore era sicuro che la sua cattura avrebbe avuto un impatto notevole sull'opinione pubblica magica, impatto che certamente non poteva essere sfuggito a Grindelwald. A meno che il ragazzo non avesse avuto ragione... a meno che non fosse veramente il capo della resistenza contro il dittatore.
Il principe non parve essere affatto sorpreso. Forse il suo orgoglio di Purosangue, o forse la sua innata determinazione gli impedirono di abbassare gli occhi. «E di cosa sono accusato, di grazia?» domandò impassibile, tanto che sembrava stesse parlando di qualcosa di banale come il tempo.
L'Obermensch si concesse un breve sorriso di scherno. «Pare che al vostro castello si svolgano delle attività che il Reich considera non lecite» rispose, scandendo per bene le ultime due parole.
«Ehi, ma sai chi hai di fronte?» si intromise Dankrad con giovialità, come dovesse presentare un amico a qualcuno, durante un'allegra festicciola.
L'Obermensch non si degnò nemmeno di voltarsi verso di lui. «Levati di torno, ragazzo» gli intimò con durezza.
Dankrad non si diede per vinto, anche se nessuno riusciva a capire che cosa stesse facendo. «Ma questo è il principe di Baviera!» continuò, sgranando gli occhi in un'espressione esplicita.
«Ti ho detto di levarti di torno!» latrò allora il mago, estraendo velocemente di tasca la bacchetta per puntargliela contro.
Dankrad indietreggiò di un passo e alzò le mani al cielo. Ma il suo sorrisetto beffardo dimostrava che non si era affatto arreso.
«State, scherzando? Volete davvero arrestare lui, quando ci sono qui io?» domandò, come se dovesse dimostrare una cosa banale a degli sciocchi.
Finalmente l'Obermensch si degnò di guardarlo, ma non riconobbe nessuno di importante nel ragazzo biondo con il berretto che stava ammiccando nella sua direzione.
«Ehi, c'è una taglia sulla mia testa in almeno quattro stati del Reich» esclamò Dankrad allargando le braccia, come se fosse un vanto.
L'Obermensch strinse il pugno intorno alla bacchetta, squadrando il ragazzo nel tentativo di captare qualche possibile menzogna. «Chi sei?»
Il giovane fece un inchino. «Dankrad Lewis, ladro... e Sanguesporco» si presentò con un gran sorriso. Nel mentre, quando tutti erano troppo occupati a recepire quell'informazione scioccante per accorgersene, Dankrad si infilò una mano in una tasca segreta sotto la giubba, dettaglio che non sfuggì a Dumbledore. Immaginava cosa avrebbe potuto fare il ragazzo: essendo un ladro, doveva avere sempre un piano di fuga rapida, nel caso qualcosa fosse andato storto. Infatti Dankrad fece un gesto fulmineo, gettando a terra quella che parve una manciata di cenere. Improvvisamente tutta la banchina fu avvolta dall'oscurità.
E scoppiò il caos.
L'Obermensch cominciò a sbraitare ordini ai suoi uomini, ma il buio impediva loro di fare qualsiasi mossa. Dankrad invece non perse tempo: estrasse velocemente la sua Mano della Gloria e la usò per farsi luce. «Gerwine, prendi la mia mano e poi afferra quella di tuo padre!» gridò Dankrad.
Gerwine era disorientata dal buio, ma riuscì comunque ad eseguire gli ordini di Dankrad.
«Lumus! Lumus!» sbraitò il capo degli Obermenschen, ma i suoi incantesimi non potevano avere effetto contro la Polvere Buiopesto peruviana, e questo sia Dankrad che Dumbledore lo sapevano benissimo. Il professore seguì il giovane tedesco che si trascinava dietro Gerwine e suo padre, portandoli lontani dalla banchina. Evidentemente non era possibile smaterializzarsi dentro la stazione.
«Acciuffateli!» gridò l'Obermensch, spingendo i suoi uomini all'inseguimento del fuggiaschi.
Dumbledore ne vide uno che cadde sui binari, a causa dell'oscurità, e sperò vivamente che non stesse arrivando un treno proprio in quel momento.
Non appena uscirono dalla nube di buio, Dankrad, con un movimento fulmineo, mise la Mano della Gloria in tasca ed estrasse la bacchetta, senza tuttavia lasciare andare Gerwine. La ragazza si lasciò trascinare dal giovane fuori dalla stazione, sempre tenendo stretta il braccio del padre dietro di lei. Quell'assurdo trenino riuscì ad arrivare all'esterno senza altri intoppi, lasciandosi alle spalle il caos causato dalla Polvere Buiopesto. Dopodiché Dankrad strinse a sé Gerwine, girò su se stesso e si smaterializzò.
Il paesaggio cittadino scomparve, per lasciare posto ad una landa desolata e buia, avvolta nel silenzio più totale.
«Lumus» sussurrò debolmente Cyrillus VonTraust, illuminando la sua bacchetta per guardarsi meglio intorno. Poco distante da loro c'era un pino contorto, che innalzava i suo rami aguzzi verso il cielo stellato. Sebbene fosse ormai primavera inoltrata, alcune chiazze di neve erano ancora visibili sul terreno brullo e limaccioso.
«Dove siamo?» domandò il mago.
Dankrad scosse le spalle. «Non lo so, da qualche parte in Russia centrale» rispose tranquillamente, come se fosse una cosa di poco conto.
Dumbledore aveva intuito il motivo per cui Dankrad si fosse materializzato in un luogo come quello e la conferma ai suoi sospetti gli venne proprio dal giovane.
«Sapete...» cominciò a spiegare il ragazzo, rivolto al principe di Baviera. «Il Reich tiene sotto controllo le Materializzazioni, ma solo nel territorio della Federazione. Quando voglio essere sicuro di non essere seguito, vengo qui, dove il Reich non può tracciarmi».
Cyrillus ascoltò con molto interesse la spiegazione, annuendo quando il ragazzo concluse il discorso. «Astuto, figliolo, davvero astuto» commentò con ammirazione.
Dankrad si strinse nelle spalle, come se fosse una cosa di poco conto. Ferri del mestiere, dopotutto.
«Hai appena salvato la vita a me e a mia figlia» esclamò Cyrillus in tono solenne. Dankrad fece un mezzo sorrisetto, forse leggermente imbarazzato.
Dumbledore ebbe il forte sospetto che l'avesse fatto solo per far colpo su Gerwine, che ora se ne stava ritta in piedi dietro a suo padre, con gli occhi ridotti a due fessure.
«Ci farebbero comodo ragazzi come te, Dankrad Lewish» continuò Cyrillus. «Vorresti unirti alla ribellione contro Grindelwald?»
Quella proposta spiazzò sia Dankrad che Gerwine. Il primo sgranò gli occhi e storse la bocca in un'espressione scioccata, la seconda proruppe in tutta la sua principesca altezzosità, esclamando: «Ma, padre!»
Forse fu proprio lo sdegno di Gerwine ad affrettare la risposta di Dankrad: una nuova sfida, pane per i suoi denti.
«Con molto piacere».
E poi fece un sorriso smagliante in direzione di Gerwine.






Eccoci qua! Questa parte è più lunga delle altre, perché non aveva senso spezzare la scena. Qui avete assistito alla mirabile arte del mixting, ovvero del mescolare incantesimi esistenti (= creati dalla Rowling) con altri di pura fantasia, creati da me (come il rivelatore di magia in argento: ho dato un'identità a uno dei misteriosi oggetti in argento che si trovano nello studio di Silente!).
Spero che vi sia piaciuta l'ambientazione totalitaria del Primo Reich... qui è solo abbozzata (per esempio, il Münschen Herz è il quartier generale degli Obermenschen di Monaco; il Primo Reich immagino sia organizzato in stati federali, ecc), ma ci sto ragionando su parecchio e presto (più o meno!) potrete godere degli sforzi della mia mente nel racconto sulla vita di Grindelwald.
Spero che vi siano piaciuti i VonTraust... il primo incontro tra Gerwine e Dankrad non è stato dei più romantici, ma il giovane si rifarà, promesso. Nel frattempo, QUI il link dell'immagine sui VonTraust. Spero che vi piaccia! Io adoro il borsalino di Cyrillus... ;-)
Alla prossima,
Beatrix


EDIT: continua l'opera di risistemazione dei dialoghi!

   
 
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