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Autore: Miss Demy    25/02/2011    41 recensioni
C'è una melodia che suona scandendo i battiti del cuore. E' una melodia fatta di dolci ricordi, di tristi realtà, di amare accettazioni.
E' una melodia che suona quando si prova amore puro e incondizionato.
Che sia per la persona amata o per il frutto dell'amore per quella persona.
Usagi la sente suonare ogni giorno dentro di sè. Da ormai cinque anni.
Dal cap. 3:
- "Il tuo cuore batte forte, Usako."
"Sembra una melodia, Mamo-chan. Ascoltala insieme a me, stanotte."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa, Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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PARTE PRIMA
Cap 1: Dolci, tristi ricordi


Il ticchettio dell'orologio appeso alla parete della cucina la rendeva nervosa, agitata.
Camminava avanti e indietro per il corridoio sentendo l'ansia crescere. Ogni tanto sospirava, strofinandole mani sulle braccia coperte dalla vestaglia di raso bianca, e ritornava a guardare l'orologio.La casa era al buio, soltanto le luci dei lampioni lungo il vialetto all'esterno della villetta rischiarivano il salotto dove finalmente Usagi si era fermata ad osservare, da dietro le vetrate, la quiete del quartiere.Poggiò la testa al vetro, lasciandosi andare a un senso di malinconia che, inevitabilmente, ogni sei mesi la assaliva.

La canzone 'Rolling in the deep', utilizzata come suoneria del suo cellulare, la fece destare da quel momento di nostalgia, riportandola alla realtà.
Corse verso il mobile dove aveva lasciato il telefono, cercando di farlo smettere di squillare il prima possibile.
Guardò il display prima di rispondere, ma solo per una maggior certezza. Aspettava ormai da qualche ora quella telefonata.
"Pronto" rispose con un filo di voce, cercando di non far scorgere dal suo tono la sua estrema felicità.

 "Sono appena atterrato, Usagi, il tempo di ritirare i bagagli."
Usagi lasciò uscire un sospiro liberatorio, adesso si sentiva sollevata.
"La piccola? Dorme già?"
Usagi si avviò lungo il corridoio fino a quando si ritrovò davanti la porta color noce socchiusa.
Aprendola cautamente e scorgendo all'interno, sorrise:
"Si è addormentata. Ha provato a resistere ma era stanca."
Richiuse la porta con delicatezza, ritornando verso il salotto e sedendosi sul divano con le gambe toniche scoperte rannicchiate al petto.
"Peccato, ci tenevo a darle un bacio" disse con dispiacere l'interlocutore dall'altro lato del telefono.
Usagi dovette trovare tutto il coraggio possibile ma poi, chiudendo gli occhi e facendosi forza, osò:
"Senti, sarai stanco dopo tutte le ore passate in volo... potresti passare lo stesso per darle il bacio e restare qui."
L'interlocutore sorrise: "Speravo me lo chiedessi"
e Usagi sentì che il suono di quelle parole piene di gioia le aveva procurato uno strano e piacevole calore nel cuore.
"Ti aspetto Mamoru" disse con dolcezza sentendo il suo cuore battere forte. Forse troppo per quello che in realtà avrebbe dovuto.
Riattaccò la telefonata, portando il cellulare al cuore e lasciandosi cadere su un fianco fino a sdraiarsi con l'altro braccio dietro la testa.
Il sorriso sul suo candido viso sparì di nuovo; i suoi occhi, azzurri e limpidi come il cielo di una giornata di primavera, tornarono spenti e leggermente lucidi.
Rannicchiandosi su se stessa un pensiero frequente le tornò in mente. Un pensiero triste che l'aveva lasciata sveglia tante, troppe volte, negli ultimi quattro anni, spesso togliendole la voglia di alzarsi al mattino o la forza per affrontare le giornate. Ma poi le era sempre bastato guardare il visino paffuto, incorniciato dai capelli rosa, le era stato sufficiente udire le risa divertite di quel piccolo tesoro che giocava in giardino con gli occhi nocciola pieni di sfumature rosse, che brillavano pieni d'entusiasmo, per trovare le energie e quella grinta necessaria per andare avanti. Era lei, la sua piccola Chibiusa a farle capire quale fosse la sua ragione di vita, la fonte della sua felicità, il motivo per cui - nonostante fosse sempre stata sola ad affrontare tutte le grosse responsabilità e a prendersi cura della bambina - avrebbe rifatto tutto, senza rimpianti né ripensamenti, senza cambiare nulla, senza pensare che forse, senza quella bambina, anche la sua vita sarebbe potuta essere come quella delle sue amiche.

 

E così, per un paio di minuti, la mente la riportò a sei anni prima...

30 Giugno - Tokyo


 

Quel giorno, per il suo sedicesimo compleanno, le sue amiche avevano organizzato una fesa a sorpresa.

In fondo Usagi era il loro punto di riferimento. Era lei che era riuscita a formare un gruppo molto affiatato mettendo assieme le quattro ragazze dai caratteri molto diversi in apparenza.
Ami era la studiosa del gruppo, dolce e sensibile; Rei, la sacerdotessa del tempio scintoista, era la più disciplinata e spesso era questo uno dei motivi di battibecchi con Usagi, da sempre la più svogliata e pigra. Makoto era famosa per la sua forza e per i suoi dolci. E poi c'era Minako, bella, apparentemente un po’ snob ma in realtà tenera e sognatrice ad occhi aperti. E Usagi, con la sua allegria e la sua vitalità era riuscita a legare le quattro ragazze accomunate dal sincero sentimento chiamato Amicizia.

Avevano organizzato la festa al tempio di Rea, invitando molti compagni di classe e d'istituto.
Ovviamente l'invito era stato esteso anche a Motoki, il gestore della sala giochi Crown, nonché amico delle ragazze.
In realtà Minako e Makoto speravano che, durante la festa, una di loro potesse riuscire ad essere invitata a ballare dal bel biondo e, perché no, che dall'amicizia potesse passarsi a qualcosa di più.
Le ragazze avevano pensato di invitare anche lui, Mamoru Chiba, considerato il più bello e intelligente di Tokyo da molte studentesse. Era un universitario e tutte le ragazze speravano di poter ottenere un appuntamento magari iniziando dalla scusa di un aiuto con lo studio.
Mamoru però era molto riservato, sempre sulle sue. Era rimasto orfano a causa di un incidente stradale, cresciuto solo e costretto a farsi coraggio e ad affrontare la vita con le sue sofferenze senza affetto, senza conforto. Tutte le situazioni che gli erano capitate lo avevano portato a crearsi una corazza per difendersi dal mondo crudele.
Lui e Usagi si incontravano spesso al Crown, spesso si punzecchiavano; a lui divertiva chiamarla 'Odango Atama' a causa dei lunghi codini che lei soleva portare e lei ricambiava le provocazioni del bel ragazzo moro dagli occhi blu oceano soprannominandolo 'baka'.
In realtà non c'era cattiveria nei loro punzecchiamenti. A Usagi in fondo piaceva sapere che lui le prestava attenzioni, anche se quel nomignolo proprio non lo reggeva, sapeva che tante ragazze avrebbero fatto di tutto per attirare le attenzioni del ragazzo che lei riusciva ad avere senza volerlo.
Pian piano quel nomignolo le era persino diventato simpatico, familiare ed era uno dei motivi per cui non cambiava pettinatura. Credeva e temeva che, se lo avesse fatto, lui non avrebbe più potuto prenderla in giro e avrebbe rivolto le sue attenzioni altrove.

Motoki e Mamoru arrivarono al tempio con un pacchetto regalo ciascuno.
Quando Usagi aprì le porte scorrevoli del tempio, credendo che le sue amiche l'aspettassero per studiare, rimase senza parole, commossa, felice.
Per fortuna quella sera aveva indossato un vestitino leggero rosa con le bretelline fucsia; le scarpe rosa con un fiocco bianco al centro la facevano sembrare più alta di qualche centimetro.

Anche se avrebbero dovuto solo studiare, quel giorno voleva sentirsi più grande, più bella. Anche soltanto per se stessa.

Una volta entrata, le sue amiche si catapultarono su di lei augurandole buon compleanno.
Quando le fu possibile riprendere fiato dopo che le quattro ragazze si allontanarono, Motoki e Mamoru le si avvicinarono.
Usagi sentì una strana sensazione quando Mamoru le augurò buon compleanno baciandole la guancia.
Il cuore iniziò a batterle forte e temeva che Mamoru potesse notare le sue gote che all'improvviso sentiva calde.
I suoi occhi brillarono quando le diede il suo pacchetto regalo e, quando incrociò gli occhi del ragazzo, poté affermare che qualcosa nel suo sguardo era diverso, nuovo.
Ne ebbe la conferma quando lui le chiese di ballare, dopo che Minako aveva acceso lo stereo inserendo un cd molto romantico sperando in un invito di Motoki.
Durante il ballo si lasciò trasportare dalle braccia muscolose di Mamoru, emozionandosi al solo contatto delle mani di lui sui suoi fianchi.
Lei gli poggiava le mani sulle spalle coperte da una camicia di lino bianco e si perdeva nel suo sguardo, sperando che il tempo si fermasse in quel momento.
Da quell’istante in poi non le sarebbe importato più del nomignolo stupido; da quel momento in poi lui avrebbe potuto chiamarla in qualunque modo preferisse. Non le sarebbe più dispiaciuto, non le avrebbe più dato fastidio, perché quella sera, durante il ballo, lui le aveva fatto il regalo più bello che lei avesse mai potuto desiderare.
Le aveva detto: "Stasera sei molto carina Odango Atama", e lei era diventata dello stesso colore delle bretelline del suo vestito, abbassando lo sguardo, imbarazzata, e provocando in un lui un sorriso.
Da quel giorno i loro litigi erano diminuiti e i momenti passati assieme aumentati.
Lui l'aveva invitata alcune volte al parco, approfittando della sua golosità, per prendere un gelato e quando la riaccompagnava a casa si limitava a chinare il capo in senso di saluto rispettoso.
Poi, un giorno, durante una passeggiata Usagi, distratta dal chiosco dei gelati, stava per inciampare ma lui tempestivamente l'aveva sorretta e lei si era d'istinto aggrappata a lui cingendogli la schiena.
Era stato un attimo, un secondo che però aveva dato finalmente ad entrambi la possibilità di farsi coraggio.
Lui non la lasciò uscire dal suo abbraccio neanche quando lei aveva ritrovato l'equilibrio e Usagi, con le gote rosse e il respiro sempre più corto, era rimasta ad osservare i suoi occhi scorgendovi una nuova luce.
Lui aveva sorriso e poi staccato una mano dalla schiena di Usagi. Per un attimo lei si era sentita un'illusa, capendo che forse si era fatta troppi 'film' in testa e che lui non avrebbe mai provato nulla per una ragazzina buffa cinque anni più piccola di lui dato che poteva avere tutte quelle che desiderava.
Ma quella riflessione durò fin quando lui posò la mano sotto il mento di lei, facendole alzare lo sguardo.
I loro occhi rimasero attratti e Usagi sentì il suo cuore esplodere, un’adrenalina percorrerla per tutto il corpo e la felicità estrema farla sentire la ragazza più fortunata dell’intero Universo. Chiuse gli occhi piano e dopo qualche attimo riuscì ad assaporare le labbra carnose e umide di Mamoru sulle sue. Fu un bacio dolce, tenero, casto.
Casto fin quando lei gli cinse il collo con le braccia, stringendosi di più a lui come a fargli capire che non voleva che quel momento finisse.
Fu allora che Mamoru, prendendo il suo viso fra le mani, dischiuse le labbra, accarezzando la lingua di Usagi con la propria. A Usagi non dispiacque, anzi, ricambiò quel bacio come se per lei fosse tutto naturale, spontaneo, iniziando a sciogliersi e a rilassarsi sempre di più.

Trascorsero l’estate assieme. Usagi sentiva di provare per Mamoru un sentimento che cresceva ogni giorno di più. Era arrivata alla conclusione di amarlo, di essere perdutamente e follemente innamorata di lui. La sera ascoltava la melodia del carillon a forma di stella che lui le aveva donato per il suo sedicesimo compleanno e, pensando a Mamoru, si diceva che avrebbe fatto di tutto. Per lui, per loro; sperando e immaginando il giorno che lui le avrebbe detto ‘Ti amo’. Lei lo amava ma non sapeva se lui, nonostante stesse bene con lei, ricambiava il sentimento. Non capiva se il fatto che non glielo avesse detto dopo due mesi di coppia fissa, dipendesse dal fatto che Mamoru fosse troppo chiuso per manifestare i propri sentimenti più profondi o se, semplicemente, non li provasse e basta.

Un giorno, i primi di Settembre, lui le chiese di raggiungerlo nella sua piccola villetta dicendole che doveva parlarle e lei si precipitò di fretta e furia sperando che volesse manifestarle il suo sentimento più puro dicendole che la amava. Sognò la scena ad occhi aperti mentre correva per le vie di Tokyo.
Lui l’avrebbe abbracciata, le avrebbe dato un bacio e le avrebbe detto che la amava e che non voleva vivere senza di lei. E lei gli avrebbe dimostrato che sarebbe stata sua e soltanto sua per sempre, donandosi a lui non soltanto con i baci e le carezze o le parole affettuose. No. Gli avrebbe donato la sua ingenuità, la sua purezza. Era da un po’ che avrebbe voluto sentirsi sua fino in fondo, concedendosi al ragazzo che amava. Voleva la sua prima volta con Mamoru. E non solo la prima. Voleva che fosse lui il primo e l’ultimo ragazzo della sua vita. L’unico a cui avrebbe concesso di guardarla senza veli, di toccarla in alcune parti del suo corpo. Voleva tutto ciò ma avrebbe aspettato fin quando non avesse avuto la prova che anche lui l’amava.

Arrivò nella piccola villetta circondata da un bel giardino con piccoli arbusti di rose rosse, affannata.
Dopo averle offerto del the freddo le parlò:
“Ho vinto una borsa di studio a New York. Il mio professore dice che è un’opportunità unica per fare carriera dopo la laurea in medicina. Finirò lì i miei studi e inizierò il tirocinio.”
Il cuore di Usagi si era frantumato già al suono della parola ‘New York’ e il suo mondo, in cui esistevano solo lei e Mamoru era crollato dopo il termine ‘finirò’.
Inizialmente incredula, speranzosa che si trattasse di un incubo, si era poi ritrovata gli occhi lucidi prima, e con le guance rigate dalle amare lacrime un attimo dopo.
Aveva cercato di asciugarle più in fretta possibile affinché lui non le notasse, ma invano.
Lui le si era avvicinato, l’aveva fatta alzare dal divano e l’aveva abbracciata forte e Usagi in quel momento, non curandosi della figura che avrebbe fatto, iniziò a piangere senza tregua.
Lui le aveva accarezzato i capelli e poi le aveva detto, con un sussurro all’orecchio:
“Ti porterò sempre nel cuore, mia piccola Usako.”
Non aveva detto “Ti amo” e sapeva che forse, una volta partito per gli USA, non lo avrebbe più rivisto.
Ma Usagi lo amava, dal profondo del cuore, dalla parte più nascosta e intima della sua anima.
Era stato il termine Usako a riscaldarla dalla gelida sensazione provata a seguito di quella maledetta notizia.
Non le importava se lui non glielo avrebbe mai detto, lei non poteva vivere col rimpianto per colpa del suo orgoglio:
“Non ti dimenticherò mai, mio amato Mamo-chan.”
Al suono di quelle dolcissime parole malinconiche Mamoru sorrise, dispiaciuto:
“Mi dispiace che debba andare così. Non avrei mai voluto farti soffrire ma per me è davvero troppo importante questa opportunità.”
Usagi scosse la testa, avrebbe tanto voluto sentirgli dire che non l’avrebbe lasciata, che avrebbe rinunciato alla borsa di studio e a tutte le strade spianate per lei. Ma sapeva che non lo avrebbe fatto e lei, se egoisticamente avrebbe voluto implorarlo di non lasciarla da sola, capì che amore significava rendere felici l’altra persona. E lei voleva che Mamoru fosse felice di vivere la propria vita senza rimpianti, di scegliere la propria strada senza condizionamenti. Lei lo amava tanto, troppo.
Non rispose, lo strinse forte a sé, cercando di memorizzare quel contatto, quella sensazione, quell’odore di lui che già sapeva le sarebbe mancato. L’unica cosa che poteva fare era imprimere tutto nella sua memoria, per i giorni in cui i ricordi sarebbero stati l’unica cosa che l’avrebbero legata al suo Mamo-chan.
Lui iniziò a baciarla, pieno di passione, accarezzandole i fianchi e la schiena. Lei si sentì strana, triste ma allo stesso tempo felice. Erano soltanto loro due, come aveva sempre sperato e desiderato. E questo era tutto ciò che in quel momento contava.

Le carezze di Mamoru divennero sempre più insistenti, più bramose di quel corpicino magro, tonico con le forme appena accentuate. Usagi aveva un bel corpo per essere una sedicenne. E quel giorno, la gonnellina turchese plissettata e il top bianco sagomato sui fianchi e leggermente scollato, misero Mamoru davanti al fatto che Usagi era bella, piccola ma bella e sentì un senso di gelosia al solo pensiero che presto, quando lui sarebbe stato lontano, qualcuno l’avrebbe avuta per come voleva averla lui.
Iniziò a baciarle le guance, facendole inclinare indietro la testa per poterle baciarle il collo e il petto.
Usagi lo strinse forte a sé, felice che anche lui volesse sentirla, volesse viverla e farla sentire viva.
La guardò negli occhi, pieno di desiderio, col respiro spezzato:
“Ti voglio Usako.”
E Usagi sorrise felice, lasciando scivolare una lacrima sulla guancia che Mamoru raccolse in un bacio dolce ma sensuale.
La sollevò da terra e lei cinse le sue gambe sul busto di Mamoru fin quando non si ritrovò adagiata sul suo letto.
Sapeva bene che sarebbe stata la prima, forse non l’unica volta, ma che poi presto quel ricordo l’avrebbe fatta soffrire quando la mancanza di lui sarebbe diventata sempre più difficile da sopportare.
Non le importava, non si sarebbe mai pentita. Lei lo amava. Voleva che fosse lui il primo. Se non poteva donarsi a lui non lo avrebbe voluto fare con nessun altro.
Quella sera fecero l’amore. L’imbarazzo e il dolore iniziale lasciarono presto spazio solo alla curiosità e alla voglia di crescere, di sapere che una parte di lui sarebbe stata per sempre con lei.
Magari solo nella sua memoria, come un ricordo, ma di certo sarebbe stato il ricordo più dolce che avrebbe portato per sempre nel suo cuore.
Per Usagi fu la prima volta che aveva sempre sperato, specialmente perché era accaduta con il ragazzo che amava e che avrebbe sempre amato.


A metà Settembre Mamoru partì, la sofferenza provata da Usagi fu tremenda. Il distacco atroce. Non riuscì più a mangiare, né aveva voglia di svegliarsi al mattino, neppure quando le amiche la chiamavano per andare al Crown.

Tutto le ricordava Mamo-chan. Voleva dormire fin quando lui sarebbe tornato. Ma sapeva che ciò non sarebbe accaduto. Lui non aveva genitori o parenti da venire a trovare nelle feste. Si sarebbe creato una nuova vita nella City, probabilmente avrebbe trovato anche una ragazza. E questo pensiero la uccideva.
Ogni tanto, quando era sola a casa gli telefonava.
Lui le raccontava in breve ciò che faceva e il suono della sua voce la rasserenava fin quando chiudeva la telefonata e ricadeva nel baratro del dispiacere.

I primi di Ottobre durante l’ora di educazione fisica, Usagi ebbe un primo svenimento, pensò che era dovuto al fatto che mangiasse poco in quel periodo ma iniziò ad allarmarsi quando il ciclo che attendeva ad Ottobre non giunse.
Ami la portò dalla madre, un medico e lì, sul lettino dello studio della dottoressa Mizuno, con Ami che le teneva la mano, scoprì di aspettare un bambino.

I suoi non la presero bene. Suo padre si infuriò e sua madre, sempre comprensiva, quella volta non l’appoggiò.
Lei aveva una vita davanti, era giovane e il padre del bambino neppure sapeva al riguardo. Non volevano che buttasse all’aria tutte le opportunità che la vita le avrebbe riservato. Per i figli ci sarebbe stato tempo.
La costrinsero ad abortire ma Usagi non volle sentire ragioni, neanche quando suo padre le disse:
“Se non abortisci te ne andrai via di casa, così capirai che significa voler giocare a fare i grandi e quanto sia difficile il mondo fuori dalle quattro mura domestiche.”
Usagi era sconfortata, spaventata, piena di dubbi.
Prima Mamoru che se ne andava, poi i suoi che la ricattavano a modo loro per il suo bene.
L’unica cosa che sapeva è che non avrebbe mai tolto la vita al frutto dell’amore che provava per Mamoru.
Quella piccola creatura era parte di lei, di lui. Insieme.
Magari non ci sarebbe mai stato nessun mondo soltanto per lei e Mamoru. Ma c’era quella giovane vita dentro di lei a ricordarle che Mamoru, in un modo o nell’altro, sarebbe sempre stato parte di lei.

E così, con le valigie in mano e i suoi genitori affranti dal dolore sull’uscio di casa, andò via.
Inizialmente Rei le offrì ospitalità e Motoki la assunse al Crown.
Un giorno fu proprio Motoki a suggerirle di dirlo a Mamoru. Era giusto che lui sapesse e, se lei inizialmente aveva pensato di non rivelargli della gravidanza per timore che ciò potesse rovinare la vita e la carriera che tanto Mamoru desiderava da sempre, capì che non poteva nascondergli una cosa del genere. Lei lo amava, avrebbe fatto di tutto per lui, per renderlo felice e temeva che quella notizia la avrebbe fatta risultare agli occhi del suo Mamo-chan una ragazzina guastafeste. Lui non era come lei. Se a Usagi la scuola non era mai sembrata così importante come i grandi o le stesse amiche le dicevano e se il suo sogno era quello di diventare una buona moglie e madre; il sogno di Mamo-chan era diventare un bravo medico. E lei non glielo avrebbe rovinato.

Aveva preparato il discorso mille volte, lo aveva scritto su un foglio per timore di dimenticarlo non appena udita la sua voce.
Quando riuscì a dargli quella notizia, non udì risposta, inizialmente. Si sentì una stupida e temette che quel rapporto di amicizia che era rimasto con lui si fosse improvvisamente concluso.
Poi lui aveva iniziato a parlare dopo aver realizzato bene il significato di quella notizia dicendo:
“Non posso lasciare New York. Sappi che mi prenderò tutte le responsabilità di padre, verrò a vedere il bambino tutte le volte che potrò, starete nella mia villetta che per fortuna non sono ancora riuscito a vendere. Ma non posso lasciare New York. Non per il momento, almeno.”
Delle frasi dette così, tutte d’un fiato, forse per timore che lei potesse interromperlo o che la linea telefonica potesse cadere prima che lui avesse terminato di parlare.
Fatto sta che Usagi da una parte si sentì rincuorata del fatto che Mamoru non la odiasse – chissà perché poi avrebbe dovuto – e che si sarebbe assunto le sue responsabilità riconoscendo il bambino. Il loro bambino.
Però odiava New York, detestava gli USA sempre di più.
Voleva essere lei l’unica Usa per lui. Perché era così difficile per Mamo-chan capirlo?

E così, passarono i mesi e arrivò il suo diciassettesimo compleanno. E se il regalo più bello del compleanno precedente era stato il complimento di Mamoru, quello di quel compleanno fu la bambina, frutto dell’amore per Mamoru, che diede alla luce.
Quel giorno era stato il più bello di tutta la sua vita.
Si era da qualche settimana trasferita nella villetta di Mamoru.
Non che Rei non fosse stata ospitale o che non l’avesse trattata come una sorella, semplicemente era stato Mamoru che, tornato in vista del parto, le aveva detto che desiderava tanto che si trasferisse da lui.
Era il suo modo per fare capire a Usagi che voleva davvero essere un padre responsabile e, per quanto possibile, presente.
Usagi aveva rifiutato ma lui insistito:
“Voglio che viviate da me, ti prego Usako, è importante per me” le aveva detto prendendo le sue mani, ormai gonfie, tra le proprie.
Mamoru desiderava tantissimo diventare un buon medico ma voleva anche essere un buon padre.
Alla fine Usagi aveva accettato e lui aveva detto: “Ogni volta che potrò verrò a vedere la bambina e, se quando verrò non avrai un ragazzo magari potrò restare a dormire, altrimenti andrò in hotel.”
Quando nacque la bambina, la chiamarono Usagi.
Lo aveva scelto Mamoru quando si era ritrovato quella piccola bimba fra le braccia. Il nome gli era venuto spontaneo non appena aveva notato, con molta sottigliezza, la somiglianza con la sua Usako. Sarebbe stata la loro Chibiusa. Loro. Soltanto loro.

Ogni sei mesi, in vista delle feste, riusciva ad ottenere dei permessi. Tornava in Giappone e cercava di recuperare il tempo perduto con la bambina.
Usagi aveva ormai realizzato che tra lei e Mamoru non ci sarebbe mai stato nulla. E forse era meglio così. Ogni volta che ripartiva per NYC si sentiva svuotata dentro. Per i giorni successivi, prima di trovare il coraggio di lavare le lenzuola su cui aveva dormito Mamoru, passava lunghi momenti a sentire il suo odore impregnato nel cotone, accarezzando il lenzuolo e immaginando che Mamoru fosse lì. Ma lui era già partito. Inevitabilmente soffriva ma poi, capiva che doveva andare avanti e farsi forza.

Il rumore del taxi che si accostava davanti alla villetta la fece svegliare da quei dolci e tristi ricordi.
Quando sentì lo sportello dell’auto chiudersi, si alzò di scatto dal divano avvicinandosi alla vetrata.
Sorrise d’istinto, sentendo un lieve e piacevole calore al cuore.
Aprì la porta d’ingresso prima che lui potesse suonare, sapeva non lo avrebbe fatto per non svegliare la bambina.
Quando lui ebbe pagato il tassista, con la valigia in mano, si avvicinò sempre di più a lei, fin quando non se la ritrovò ad un passo da sé.
Usagi lo guardava con occhi luminosi e colmi di gioia, cercando di nascondere tutto il suo entusiasmo.
Poteva vedere davanti a sé non più un ragazzo, ma un uomo.
Il viso era sempre quello ma i lineamenti, ogni volta che rivedeva Mamoru, più maturi; la barba rasa due giorni prima lo rendevano più grande, agli occhi di Usagi più affascinante e dannatamente irresistibile.
E lei cercò di resistere anche quando lui, sorridendo con occhi stanchi ma felici, lasciò il manico della valigia per stringerla a sé e sussurrarle all’orecchio:
“E' bello poterti riabbracciare, Usako.”



Il punto dell’autrice

Cari lettori, spero che questo primo capitolo vi abbia incuriosito.
Come avrete notato è la prima volta che uso i nomi originali. Diciamo che mi ci sto affezionando grazie al manga! E poi mi serviva Usa per il gioco di parole con gli USA ;)
So che molti magari non approveranno la scelta di Marzio di restare in America, ma se ciò non avvenisse, la storia finirebbe prima di cominciare!
Questo primo cap. serviva per far capire cos’è accaduto in passato in modo da rendere chiare le vicende che saranno narrate nei cap. seguenti!
Fatemi sapere cosa ne pensate, ve ne sarei grata!
Un grazie sincero lo devo alla bravissima CharlieWeasley per aver realizzato il logo per 'La melodia del cuore' con tanta pazienza e molto piacere! Grazie mille!!
Un bacio e a presto!

Demy

 

   
 
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