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Autore: Sophie Hatter    26/02/2011    2 recensioni
1978-1981: i Malandrini e Lily Evans si uniscono all'Ordine della Fenice. Le conseguenze sono tante: alcuni si sposano, altri si ritrovano invischiati in tresche segrete; alcuni si scontrano con Voldemort in persona, altri passano dalla sua parte; alcuni diventano spie di Silente, altri muoiono troppo presto. Come andrà a finire, già lo si sa.
1993: Remus Lupin, quando si era ormai rassegnato alla realtà dei fatti, si ritrova a fronteggiare strane perdite di memoria. Il metodo migliore per indagare su queste anomalie sembra essere quello di tornare a Hogwarts, accettando l'incarico offertogli da Albus Silente...
*
0) Prologo
1) Iniziazione
2) Questioni irrisolte
3) La prima battaglia
4) Il matrimonio
5) E' così facile capirlo
6) La spada di Grifondoro
7) Amicizia
8) Andare fino in fondo
9) La tomba di Regulus
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Silente, I Malandrini, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Nights Are Cold - Wolfstar'
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Capitolo 2 – Questioni irrisolte

 

Come molte persone, mi piace trascinarmi questo senso dell’occasione perduta, perché dà alla mia vita una sorta di patina estetica ed è una buona scusa per sentirmi infelice quando le cose non vanno bene.

(Jonathan Coe, L’amore non guasta)

 

Agosto 1978

 

Sirius uscì dalla Gringott con l’aria più soddisfatta del mondo.

C’era la guerra, Voldemort imperversava ovunque e mieteva decine di vittime, colpendo indiscriminatamente maghi e Babbani, ma lui, in quel momento, non poteva proprio fare a meno di essere euforico. Aveva appena intascato una fortuna che gli avrebbe permesso di cavarsela egregiamente, da un punto di vista economico, per diversi anni della sua vita futura.

Se non per tutta la sua vita futura.

Probabilmente dipendeva da quanto sarebbe campato, ma non intendeva pensare troppo in là, al momento.

Avevano tentato di trovare qualche cavillo per impedirgli di appropriarsi di quei soldi, ma non ci erano riusciti. Ed ora, a sette mesi dalla morte di suo zio Alphard, erano entrati finalmente in suo possesso, depositati nella cassetta di sicurezza della Gringott, fuori dalla portata di sua madre, suo padre e qualsiasi altro suo parente.

Sogghignò tra sé: sapeva benissimo quanto sarebbe piaciuto a Bellatrix o a Narcissa mettere le mani su quella piccola fortuna. Sicuramente in quel momento si stavano torcendo le budella dalla rabbia. Ma zio Alphard era scapolo, un povero vecchio dimenticato da tutti che solo Sirius, ogni tanto, andava a trovare. Lo aveva fatto un po’ perché era uno dei metodi più efficaci per sfuggire al controllo della sua famiglia quando ancora viveva con loro, e un po’ perché l’anziano parente gli faceva pena. Faticava a muoversi fin da quando lui era piccolo, e il suo Elfo Domestico non era mai stato in grado di supplire alla presenza di un essere umano che lo confortasse e lo accompagnasse in giardino a respirare un po’ d’aria. Per quanto ne sapeva Sirius, nessun altro parente si era mai interessato molto di lui, se non per mere formalità. Giusto Andromeda gli chiedeva sue notizie ogni tanto, ma abitava lontano e, per via del suo matrimonio con Ted, aveva tagliato i ponti con tutti i consanguinei. Del resto, zio Alphard non era esattamente un uomo di larghe vedute, e come tutti gli altri disapprovava i matrimoni fra Purosangue e Babbani.

Probabilmente l’aveva sempre creduto un ottimo nipote, in quanto Sirius aveva omesso di raccontargli alcuni dettagli, come ad esempio la fuga da casa e la sua permanenza dai Babbanofili Potter; non aveva potuto nascondere di essere finito a Grifondoro, ma neppure aveva mai pensato di farlo. Andava troppo fiero di aver rotto quella tradizione, quindi risparmiò al vecchio zio soltanto le informazioni che avrebbero potuto minare il quieto vivere. Del resto sapeva benissimo che lui, secondo Walburga e Orion, era il figlio degenere, eppure non si era mai sognato di non accoglierlo in casa sua.

Il testamento di zio Alphard era stato redatto nel 1975 e da allora non era stato più toccato, segno del fatto che le sue decisioni erano già state prese da tempo; nessuno, neppure i parenti più stretti, avevano potuto fare nulla per accaparrarsi quell’eredità. Sirius era diventato maggiorenne lo scorso febbraio perciò, allo stato attuale, possedeva tutti i requisiti per entrare in possesso della somma di denaro.

Insieme a quell’inaspettata quantità di Galeoni, Sirius aveva ereditato anche la casa di zio Alphard; tuttavia, decise immediatamente di disfarsene. Liberare il suo Elfo Domestico sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto; non desiderava averne uno fra i piedi, inoltre, se erano tutti come Kreacher, preferiva di gran lunga averci a che fare il meno possibile. In ogni caso, quella villa era troppo grande per una sola persona e troppo isolata; l’avrebbe venduta e sarebbe andato alla ricerca di un appartamento a Londra, in un posto finalmente pieno di vita – senza offesa per i genitori di James, ai quali di sicuro si addiceva maggiormente la vita di campagna; dopo un po’, però, diventava una vera barba. Non che avesse mai osato lamentarsene, chiaramente; era già loro grato per l’ospitalità e la gentilezza con cui l’avevano accolto, quell’estate in cui aveva deciso di scappare. Ma ora poteva scegliere, non doveva più pesare sulle spalle di nessuno.

Come prima cosa, ovviamente, avrebbe risarcito i Potter con una parte del denaro che aveva ricevuto in eredità. Era doveroso che lo facesse. Si erano comportati come dei secondi genitori, per lui, e questo non l’avrebbe mai scordato; tuttavia, dato che ora aveva la possibilità di ripagare, lo avrebbe fatto senza esitazione. Non voleva neppure dare l’impressione di andarsene di corsa, come se da loro si fosse trovato male. Perciò, pensò che prima era meglio cercare il nuovo appartamento, dopodiché avrebbe dato loro l’avviso.

Non sapeva se a James avrebbe dovuto dirlo prima, invece; in realtà, non sapeva neanche come dirglielo. Gli aveva accennato al fatto che gli fosse toccata quell’eredità, quando suo zio era morto, e insieme avevano riso di gusto immaginando quanto si fossero infuriati i suoi parenti a quella notizia. Ma poi non ne avevano più parlato. Era stato Remus, un giorno, a introdurre il discorso con lui e a consigliargli di cercare un avvocato, dopo che Sirius aveva appena saputo, tramite una simpatica Strillettera, che i suoi avevano minacciato di non fargli mai vedere l’ombra di un soldo. A quanto pareva, Remus conosceva abbastanza bene il modo in cui funzionavano quelle assurde faccende burocratiche che dovevano passare per un tribunale dei maghi; Sirius riuscì a fargli confessare il perché solo dopo diverso tempo, e fu così che scoprì che i genitori di Remus avevano tentato di farsi risarcire chiedendo un processo per il fatto che lui era stato morso da piccolo da un Lupo Mannaro. Ma Fenrir Greyback, il responsabile della sua disgrazia, aveva più mezzi di loro e riuscì a farla franca senza troppi problemi.

Entrò al Paiolo Magico e ordinò un bicchierino di Firewhiskey. Un piccolo e semplice modo per festeggiare in solitario la sua terza grande vittoria contro la sua famiglia. Nelle altre occasioni non gli era stato possibile celebrare l’avvenimento nella maniera più consona: quando era stato Smistato a Grifondoro aveva solo undici anni e non conosceva ancora i passaggi segreti che portavano a Hogsmeade, mentre quando era scappato di casa era notte inoltrata e arrancare sotto il peso di un enorme baule era più un fastidio che una gioia. Ma ora se lo meritava, eccome. Il fatto di essere stato diseredato dai suoi aveva assunto la stessa importanza dell’esistenza di Mocciosus, o delle lezioni di Storia della Magia.

Gli piaceva ancora fare paragoni con Hogwarts. Era stata la sua unica e vera casa fino ai sedici anni, quando era finito ad accamparsi da James.

Mentre l’alcol gli scorreva nella gola, bruciandogli l’esofago, decise che avrebbe aspettato a dirlo a James. L’amico era già parecchio agitato per via dell’ingresso nell’Ordine e aveva bisogno di recuperare un po’ di equilibrio, perciò, per il suo bene, non gliel’avrebbe detto subito, risparmiandogli un ulteriore motivo di turbamento. Piuttosto, aveva bisogno di una mano per scegliere il nuovo appartamento. Lui era troppo impulsivo ed impaziente, e probabilmente avrebbe finito per gettarsi a pesce sul primo loculo che gli fosse capitato sottomano; ecco perché si sarebbe fatto accompagnare da Remus, pensò, mentre un ghigno sardonico gli affiorava sul volto.

Obiettò a se stesso che non faceva quella scelta soltanto per puro egoismo personale, vale a dire consapevole del fatto che Remus era una persona pratica, con occhio critico e in grado di valutare a mente fredda i pro e i contro delle situazioni, cosa che a lui non sempre riusciva. No, c’era anche un buon quantitativo di altruismo nella sua decisione. Nell’ultimo anno, malgrado Sirius avesse strisciato e implorato perdono e giurato che mai più gli sarebbe passato per l’anticamera del cervello di fare una cosa del genere, i loro rapporti erano stati altalenanti. Non che il punzecchiarsi a vicenda per via delle loro abissali diversità di carattere fosse una cosa nuova per entrambi, ma spesso e volentieri Remus aveva oltrepassato quel sottile limite di causticità a cui Sirius non era affatto abituato, e che, nonostante non desse per nulla a vederlo, l’aveva ferito. James, ovviamente, se n’era accorto (quando mai James non si accorgeva di qualcosa). Gli aveva suggerito di essere paziente, perché era normale che Remus coltivasse ancora un minimo di risentimento per quanto era accaduto, ma con il tempo l’avrebbe mandata giù e non si sarebbe più lasciato sfuggire quelle sottili battutine spinose.

In realtà, al contrario delle predizioni di James, Remus non aveva mai smesso.

Forse neppure lo faceva apposta, si disse Sirius. Forse anche lui era umano e ogni tanto rimuginava un po’ troppo sulle cose, com’era tipico di Remus, e allora finiva per sentirsi di nuovo male per aver quasi rischiato di uccidere un essere umano. Forse era vero che, come gli aveva detto quella notte in preda a lacrime violente, lui dava la colpa principalmente a se stesso. Per quello che era, ovvero un mostro. In realtà era solo Remus che credeva di essere un mostro. Lui, James e Peter non l’avevano mai pensato, mai.

A Sirius dispiaceva davvero di avergli causato tutto quel malessere interiore. Non aveva pensato abbastanza, come al solito, era stato un idiota. Però cavolo, si trattava di Mocciosus. Possibile che Remus dovesse autocolpevolizzarsi a tal punto per un individuo simile?

Beh, in ogni caso lui non aveva intenzione di smettere di lottare. Voleva che tutto tornasse ad essere sereno e spensierato tra loro, come negli anni della scuola, quando lo tormentava in ogni modo durante una lezione noiosa e sapeva che non se la sarebbe presa, anche se dava l’impressione di farlo. O quando, a mezzanotte inoltrata, Moony gli passava con aria stizzita l’ennesimo tema da copiare, cedendo dopo almeno una mezzora di suppliche continue, bofonchiando che era tardi e voleva andare a letto e doveva sbrigarsi a spegnere la luce, per poi gettargli sulle spalle una coperta di lana sentendolo rabbrividire dal freddo. O quando a cena, senza che lui gliel’avesse chiesto, gli versava nel piatto la sua porzione di polpette alla cipolla, perché sapeva che Sirius ne andava matto.

Gli mancavano tutte quelle piccole e silenziose attenzioni, che ultimamente si erano diradate e fatte più forzate. Non che poi Remus avesse mai mancato di essergli vicino in momenti di bisogno, né di scrivergli personalmente le sue solite lettere prolisse durante l’estate, ma c’era quel qualcosa in più che Sirius rivoleva a tutti i costi, che smaniava di riassaporare. Era diverso dal rapporto che aveva con James. Lui e James erano follemente simili, spesso pensavano la stessa cosa senza saperlo e ogni loro piccolo litigio non era mai durato più di cinque minuti, perché entrambi non resistevano a tenersi il broncio: tutto ciò che volevano era ridere insieme, divertirsi, infrangere le regole, lodarsi a vicenda e, ogni tanto, fare lunghi discorsi profondi che li rendevano quasi irriconoscibili. Erano fatti così, e le cose non erano mai cambiate, neppure dopo che James si era messo con la Evans – Lily. Aveva avuto una paura tale da sfiorare la paranoia che, una volta arrivata lei, si sarebbero allontanati, ma aveva suo malgrado dovuto riconoscere di essersi sbagliato. L’ultimo anno di scuola per James era stato sovraccarico, tra la Evans, l’incarico di Caposcuola e di capitano della squadra di Quidditch, ma piuttosto che non perdere tempo con lui soltanto per il gusto di farlo aveva trascorso nottate quasi insonni.

Insomma, a conti fatti, Sirius sapeva che non avrebbe mai perso James. Era come un fratello per lui, e se mai un giorno Lily avesse trascinato l’amico all’altare l’aveva già avvertita che avrebbe dovuto concedere a Prongs delle seconde nozze con lui. Nessuno aveva osato prendere poco sul serio tale affermazione.

Scosse via una ciocca ribelle dal viso con un gesto brusco, mentre si faceva versare un altro bicchiere. In fondo, avrebbe anche potuto lasciar perdere Remus. Aveva fatto quello che doveva fare: si era scusato, si era umiliato, aveva pianto e strisciato, aveva perfino evitato di infastidirlo per una settimana intera. Che cavolo voleva in più da lui? Che gli scrivesse una serenata? Era peggio della Evans quando si offendeva con James. Si corresse mentalmente. Non Evans, Lily. Aveva deciso che gli fosse simpatica, in via definitiva. O meglio, non aveva più motivi per trovarla antipatica.

Beh, al diavolo, pensò. Gli chiederò di accompagnarmi a scegliere un appartamento, passeremo una giornata insieme senza James e Peter a ficcare il naso e vedremo di affrontare il problema.

Sirius pagò, uscì e si diresse verso la Londra Babbana. Camminò per qualche isolato, poi si nascose in un vicolo stretto e, assicuratosi di non essere visto, tirò fuori la bacchetta. Bastò una lieve concentrazione per far apparire il suo Patronus. Gli era sempre riuscito bene, del resto.

La prima volta che aveva eseguito quell’incantesimo, aveva finto di rimanere un po’ deluso. Il suo Patronus era uno scoiattolo. Non esattamente un animale molto virile. Tuttavia era il primo animale che avesse mai visto, quando era ancora molto piccolo; lo aveva invidiato profondamente, perché quello poteva correre e saltare liberamente fra i rami dell’albero che stava di fronte alla finestra di camera sua, mentre a lui non era permesso uscire senza la sorveglianza di un adulto che vigilasse sul suo corretto comportamento. Quante idiozie era stato costretto a subire.

Sogghignò divertito fra sé e sé, mentre inviava il Patronus da Remus. Sapeva bene che gli sarebbe preso un colpo, dato che era con quel metodo che Silente aveva stabilito che i membri dell’Ordine dovessero comunicare tra loro. Ma almeno Remus si sarebbe preoccupato e sarebbe corso subito da lui, senza fare tante storie o accampare scuse poco credibili. E poi, non aveva altro mezzo per contattarlo così, su due piedi, quindi il suo uso improprio della magia era totalmente giustificabile. Mica poteva attaccare un bigliettino alla zampa di un gufo e mandarglielo, ci avrebbe messo degli anni.


*

“Che cosa… che sta succedendo, Sirius?”

Lo osservò venire verso di lui, dal punto in cui si era Materializzato. Non sapeva se mostrare la sua ilarità o meno. Remus aveva il respiro leggermente affannoso e i capelli un po’ scarmigliati. Forse l’aveva fatto agitare troppo, probabilmente aveva creduto di doversi preparare ad affrontare uno stuolo di Mangiamorte, a giudicare dall’aria ansiosa con cui si guardava intorno.

“Nulla, sta’ tranquillo, Moony”, lo rassicurò, restando sul vago. Non aveva ancora capito se si sarebbe arrabbiato o meno. James l’avrebbe fatto, ad esempio. Ma Remus non era mai prevedibile; era capace di scuotere la testa e poi immergersi nella più assoluta indifferenza anche di fronte a catastrofi di proporzioni galattiche. Ecco perché non lo aveva mai messo in punizione a sufficienza, quando era Prefetto.

“Cosa vorrebbe dire nulla?” obiettò lui, inarcando un sopracciglio con aria perplessa. Continuava a gettare occhiate in giro, alla ricerca di un pericolo. Com’era buffo.

“Vorrebbe dire che non ti ho chiamato per una questione di… beh… Tu-sai-cosa”, rispose Sirius, cercando di mantenere un minimo di segretezza. Erano pur sempre a Diagon Alley.

“Ma se mi è arrivato un tuo… Silente ha detto di…”

Ecco, forse stavolta ce l’aveva fatta a farlo infuriare. Esibì una faccia innocente, stringendosi nelle spalle.

“Beh, vedi, non sapevo in che altro modo contattarti”, si scusò, con il massimo del candore. Negli occhi chiari di Remus lampeggiò la disapprovazione. Ecco che arrivava la ramanzina.

“Ed è per qualcosa di urgente che mi hai chiamato?”

“Uhm… beh, certo che sì! Volevo renderti partecipe del fatto che stamattina sono andato alla Gringott e mi hanno consegnato il malloppo. Ce l’ho fatta, ora si staranno tutti mangiando le mani dalla rabbia”, disse Sirius, con entusiasmo, tentando di coinvolgerlo emotivamente. Per poco non si metteva a scodinzolare. Patetico, sussurrò una voce dentro di lui.

“Capisco. Una questione della massima priorità”, ironizzò Remus, strorcendo la bocca in una smorfia lieve.

“E dai, non essere noioso. Andiamo a farci un goccetto. Così, per festeggiare”. Omise accuratamente il fatto di essersi già scolato un paio di bicchieri da solo.

Si fissarono per qualche interminabile secondo. Sirius si chiese come facesse Remus ad avere uno sguardo così dannatamente capace di farlo sentire in colpa – quasi. Poi lo osservò sospirare, uno dei suoi tipici sospiri rassegnati.

“Che altro ti serve?” gli domandò.

“Niente! O meglio, pensavo che adesso che ho questi soldi da parte potrei prendere un appartamento mio, in fondo è ora che la smetta di dare disturbo a James… zio Alphard mi ha lasciato anche la casa, ma non mi piace, per me è troppo grande, penso che la venderò… e intanto, ecco… perché non mi accompagni a cercare qualcosa?”

Sorrise, ma Remus sembrava più freddo. Aveva arricciato le labbra in quel suo tipico modo da sapientino.

“Perché non hai chiamato James?”

“Oh, aveva sicuramente da fare con Lily”, disse Sirius, di getto. Per poco non si prese a schiaffi da solo. Era così difficile dirgli la verità, cioè che non aveva pensato neppure per un secondo di chiamare James? Voleva che fosse Remus ad aiutarlo.

“Capisco. E cosa ti autorizzava a pensare che invece io fossi automaticamente disponibile a soddisfare i tuoi desideri?”

“Veramente io… al diavolo, Remus. Scusa se ti ho disturbato, torna pure a casa”.

Sirius si voltò e fece per allontanarsi. Il signor Remus John Moony Lupin aveva davvero l’incredibile capacità di farlo uscire dai gangheri. Cosa gli costava dire di sì e basta, senza fare tante storie? Avrebbe dovuto capire, dato che era così intelligente, che quel suo piccolo gesto era un modo per tentare di riconciliarsi definitivamente con lui. Forse avrebbe dovuto stendergli un tappeto sotto i piedi, o fare lui stesso da tappeto. Dannazione.

“Fammi capire, vuoi cercare un appartamento a Nocturn Alley?” gli gridò dietro Remus. Sirius si rese conto che, in effetti, era quella la direzione che stava intraprendendo.

“No, pezzo d’idiota”, bofonchiò, fermandosi e girandosi a guardarlo. Non sapeva più che pesci prendere, oltre al fatto che non capiva a che gioco stessero giocando.

“E allora andiamo, non ho tempo da perdere”, rispose Remus, facendogli un cenno con la mano e avviandosi nella direzione opposta. Sirius inarcò un sopracciglio, perplesso. No, decisamente non ci capiva nulla. Per quale motivo ora aveva deciso di accompagnarlo?

Quello era tutto matto.

Lo raggiunse di corsa, poi si mise ad abbaiare e gli addentò il mantello, imitando Padfoot. Si sarebbe volentieri trasformato in quel momento – era così liberatorio, ogni tanto, essere solo un cane – ma era in mezzo ad una strada frequentata e per di più era un Animagus non registrato. Decise che la sua avventatezza non arrivava a tanto.

Remus lo scosse via, ridendo.

“Non dovrò mica portarti in giro al guinzaglio, spero”, disse, ironico. Sirius gli affondò i canini nella spalla.

“AHO!”

“Ecco, ora ti ho ripagato di quel morso sul sedere che mi hai dato l’anno scorso quando eravamo in giro per la luna piena”.

“Ti ricordo che non sono cosciente di quello che faccio quando non sono in forma umana”, sbottò Remus, fingendosi indispettito.

“Però scommetto che non ti è dispiaciuto”, ribatté Sirius. Moony gli gettò un’occhiata perplessa. “Nel senso che volevi punirmi per qualcosa e quello è stato il modo migliore che hai trovato”.

“Aha”.

Ecco, forse ora avrebbe dovuto introdurre il discorso. Era il momento adatto, dopotutto. Ma che discorso? Remus si liberò la fronte dai capelli con un gesto distratto. I suoi capelli erano odiosamente lisci, mentre quelli di Sirius si aggrovigliavano per un nonnulla. Lo squadrò da capo a piedi: non era cambiato, i suoi abiti erano sempre un po’ logori e rattoppati e aveva l’aria stanca, segnata da due occhiaie profonde. Eppure, in qualche strano ed inspiegabile modo, riusciva sempre ad apparire dignitoso.

Il momento passò e Sirius non ebbe la forza di dire nulla.


*

Alla fine, come previsto, Sirius fece un acquisto intelligente sopratutto grazie a Remus.

Fu lui a consigliargli una villetta su un piano, con le finestre che davano su un ampio cortile esterno, di modo che gli fosse possibile sgattaiolare fuori anche in forma canina senza essere visto da tutti. Nella casa a fianco abitava una vecchia Strega in pensione praticamente sorda. Inoltre c’era un ampio garage a disposizione, collegato direttamente con la taverna, che faceva proprio al caso suo: Sirius aveva maturato il progetto di costruirsi una moto volante e aveva iniziato ad assemblare qualche pezzo nel corso dell’estate con l’aiuto prezioso del signor Potter. Infine, la casa disponeva di un camino e di una vasca da bagno che all’occorrenza poteva trasformarsi in una doccia; era stato il precedente proprietario ad apportare questa modifica. Il quartiere era tranquillo, abitato prevalentemente da Babbani o da maghi in pensione. Ovviamente non ci pensò su più di tanto e accettò subito di comprare la casa.

James non la prese poi così male. Sembrava dispiaciuto, ovviamente, ma disse che capiva e che approvava la decisione. Gli confessò che anche lui stava pensando di andare a vivere per conto suo e che probabilmente l’avrebbe fatto presto, anche per lasciare i suoi fuori dai guai. I signori Potter non vollero accettare denaro da Sirius e James non lo aiutò a convincerli, quindi lasciò loro sul tavolo della cucina due biglietti per assistere alla finale del campionato nazionale di Quidditch in un palco privato che aveva acquistato di persona. Dopodiché, prese i suoi bagagli e cominciò il trasloco.

 Remus venne ad aiutarlo, esattamente come fecero Peter e James. Non partecipò alla battaglia di cuscini e materassi che si scatenò a un certo punto, perdendosi inevitabilmente tutto il divertimento, nonostante Sirius avesse cercato di coinvolgerlo aizzandogli contro uno dei suoi guanciali – il problema fu che non calibrò bene la forza del colpo di bacchetta e per poco non rischiò di buttarlo giù dalla finestra. Al diavolo, anche quando agiva a fin di bene finiva per combinare disastri. Per di più Remus reagì con la solita indifferenza condita da una punta di disapprovazione, cosa che lo fece irritare ancora di più. Voleva che gli urlasse contro, che lo picchiasse davanti agli altri piuttosto, anziché continuare a nascondersi dietro una finta riconciliazione che non c’era mai stata.

Doveva parlargli, una volta per tutte.

Quando si fece ora di cena, Peter e James dissero che dovevano andare a casa. La sera erano di turno al quartier generale dell’Ordine, ma Peter doveva prima cucinare per sua madre, che nell’ultimo periodo si era presa parecchi malanni e doveva passare molto tempo a letto. James decise che l’avrebbe accompagnato: con quella sua enorme faccia tosta riusciva alla perfezione a calarsi nella parte del bravo ragazzo e a piacere indiscriminatamente a tutti i genitori. Perfino la madre e il padre di Lily, a cui era stato presentato quell’estate, a quanto pareva l’avevano trovato immediatamente adorabile. Già, paradossalmente si trattava dello stesso ragazzino magro ed occhialuto che il terzo giorno a Hogwarts si era messo a lanciare Caccabombe insieme a lui dalla Torre di Astronomia.

“Moony, dove diavolo stai andando?” grugnì Sirius, infastidito, quando lo vide prendere il mantello insieme agli altri due. Remus lo guardò senza capire, corrugando la fronte.

“Ci siamo dimenticati qualcosa?” chiese Peter, sulla porta, voltandosi.

“No, no, voi due sloggiate”, rispose Sirius, facendo un gesto stizzito con la mano. James alzò le spalle e fece un sorrisetto, battendo una mano sulla spalla di Peter e avviandosi al cancello insieme a lui, dopo avergli urlato un saluto. Per fortuna, i suoi amici erano perfettamente abituati ai suoi momentanei sbalzi di umore conditi da un’aggressività apparentemente ingiustificata, perciò non se la prendevano praticamente mai per quelle bazzecole.

Remus attese pazientemente che Sirius lo guardasse negli occhi prima di parlare, come faceva sempre. Detestava non avere un contatto diretto.

“C’è qualcosa che devi dirmi?”

Sirius lo fissò intensamente, sforzandosi di pensare a qualcosa di intelligente e sensato da dire in quel momento per arrivare finalmente al punto cruciale. Qualcosa che non avesse già ripetuto infinite volte quell’anno a scuola, appena era successo tutto quanto; evidentemente non era stato abbastanza credibile. Ma come poteva esprimersi meglio? Mi dispiace. Sei mio amico. Mi dispiace davvero, non volevo. Perché dobbiamo pensarci ancora? Che cavolo ho fatto di così irreparabile? Perché non possiamo fare pace?

Niente gli sembrò adeguato. Era un disastro, un completo disastro.

Si strinse nelle spalle, con un sospiro.

“Niente, pensavo soltanto che… visto che abiti lontano e magari, non so, se vuoi un po’ di compagnia, considerato che adesso vivo da solo… se ogni tanto vuoi fermarti qui, c’è una stanza in più, come sai”.

Remus rimase in silenzio per qualche secondo, guardando altrove e tormentandosi le mani. Sirius si morse il labbro. Quando impiegava così tanto tempo per rispondere l’avrebbe ucciso. Sembrava quasi che stesse scegliendo le parole per un discorso di universale importanza.

“Non devi sentirti in obbligo di ripagarmi per averti accompagnato in giro a cercare una casa”, replicò infine.  Oh, certo. Come se gli avesse fatto lui un dannato favore.  Aver tentato di fare il primo passo per venirgli incontro non contava niente. Decise che avrebbe gettato la spugna, definitivamente. Che si arrangiasse, non ne voleva più sapere.

“Va bene, ciao, Remus...”

“…Comunque grazie”.

Si voltò giusto in tempo per vederlo sorridere lievemente e fargli un cenno di saluto, prima che si chiudesse la porta alle spalle.

Sirius sbuffò e si abbandonò a sedere sul pavimento, fissando un punto indefinito sulla parete bianca di fronte a sé.

 

 

 

There isn't time to stand still,
We are co
nstantly changing.
You're draining my will,
I find myself rearranging my points of view.
There isn't much I could do.

(The Chameleons, Nostalgia)

 

 

Nota di fine capitolo: mi sono sempre chiesta, fin dalla prima volta che ho letto Il prigioniero di Azkaban, per quale razza di motivo Sirius sospettasse proprio di Remus durante la guerra, quando divenne chiaro che c’era una spia tra loro. La conclusione a cui sono giunta è stata che, per forza di cose, si dev’essere creato un attrito fra loro, che li ha portati ad allontanarsi; la causa primitiva di questo attrito potrebbe essere stata lo scherzo giocato da Sirius a Piton al loro quinto anno di scuola, quando gli rivelò come entrare nel passaggio segreto del Platano Picchiatore, omettendo il fatto che si sarebbe trovato di fronte un Lupo Mannaro in piena trasformazione. Ci tengo a scrivere una storia che sia il più in canon possibile, quindi cercherò di portare avanti questa tesi in maniera convincente; in questo capitolo cominciano ad esserci degli accenni ma, giusto per precisare, ho preferito fare luce su questo punto. Entreranno successivamente in gioco anche tante altre concause, ma questo, diciamo, è il primum movens.

Altra delucidazione per chi non ha letto Between You And The Giant Squid: James e Lily al settimo anno sono stati Capiscuola, ma grazie alla simpatia dei traduttori italiani che in HP1 hanno reso “they were Head Boy and Girl” come “erano i primi della classe”, in molti non ne sono al corrente. Giusto per precisare che non me lo sono inventata io, ma la Rowling stessa.

Ultimissima cosa, poi ho finito con le comunicazioni noiose: come avrete notato ho inserito delle date, per inquadrare meglio gli avvenimenti. Per sistemare l’ordine cronologico mi sono avvalsa dell’HP Lexicon, per il quale un giorno o l’altro scriverò una lode in rima baciata.

Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito finora, vi tedierò a sufficienza con le risposte personali come al solito :) mi raccomando di non trattenervi dal farmi notare se ci sono cose poco convincenti o non corrette, io in primis ho il terrore di sbagliare qualcosa visto che mi ritrovo a gestire così tanti personaggi e una trama non proprio semplice. Al prossimo capitolo :) 

   
 
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