Capitolo
2 – Questioni irrisolte
Come
molte persone, mi piace trascinarmi
questo senso dell’occasione perduta, perché
dà alla mia vita una sorta di
patina estetica ed è una buona scusa per sentirmi infelice
quando le cose non
vanno bene.
(Jonathan Coe, L’amore non
guasta)
Agosto 1978
Sirius
uscì dalla Gringott con
l’aria più soddisfatta del mondo.
C’era
la guerra, Voldemort
imperversava ovunque e mieteva decine di vittime, colpendo
indiscriminatamente
maghi e Babbani, ma lui, in quel momento, non poteva proprio fare a
meno di
essere euforico. Aveva appena intascato una fortuna che gli avrebbe
permesso di
cavarsela egregiamente, da un punto di vista economico, per diversi
anni della
sua vita futura.
Se
non per tutta la sua vita futura.
Probabilmente
dipendeva da quanto
sarebbe campato, ma non intendeva pensare troppo in là, al
momento.
Avevano
tentato di trovare
qualche cavillo per impedirgli di appropriarsi di quei soldi, ma non ci
erano
riusciti. Ed ora, a sette mesi dalla morte di suo zio Alphard, erano
entrati
finalmente in suo possesso, depositati nella cassetta di sicurezza
della
Gringott, fuori dalla portata di sua madre, suo padre e qualsiasi altro
suo
parente.
Sogghignò
tra sé: sapeva
benissimo quanto sarebbe piaciuto a Bellatrix o a Narcissa mettere le
mani su
quella piccola fortuna. Sicuramente in quel momento si stavano torcendo
le
budella dalla rabbia. Ma zio Alphard era scapolo, un povero vecchio
dimenticato
da tutti che solo Sirius, ogni tanto, andava a trovare. Lo aveva fatto
un po’
perché era uno dei metodi più efficaci per
sfuggire al controllo della sua
famiglia quando ancora viveva con loro, e un po’
perché l’anziano parente gli
faceva pena. Faticava a muoversi fin da quando lui era piccolo, e il
suo Elfo
Domestico non era mai stato in grado di supplire alla presenza di un
essere
umano che lo confortasse e lo accompagnasse in giardino a respirare un
po’
d’aria. Per quanto ne sapeva Sirius, nessun altro parente si
era mai
interessato molto di lui, se non per mere formalità. Giusto
Andromeda gli
chiedeva sue notizie ogni tanto, ma abitava lontano e, per via del suo
matrimonio con Ted, aveva tagliato i ponti con tutti i consanguinei.
Del resto,
zio Alphard non era esattamente un uomo di larghe vedute, e come tutti
gli
altri disapprovava i matrimoni fra Purosangue e Babbani.
Probabilmente
l’aveva sempre
creduto un ottimo nipote, in quanto Sirius aveva omesso di raccontargli
alcuni
dettagli, come ad esempio la fuga da casa e la sua permanenza dai Babbanofili Potter; non aveva potuto
nascondere di essere finito a Grifondoro, ma neppure aveva mai pensato
di
farlo. Andava troppo fiero di aver rotto quella tradizione, quindi
risparmiò al
vecchio zio soltanto le informazioni che avrebbero potuto minare il
quieto
vivere. Del resto sapeva benissimo che lui, secondo Walburga e Orion, era il figlio degenere,
eppure non
si era mai sognato di non accoglierlo in casa sua.
Il
testamento di zio Alphard era
stato redatto nel 1975 e da allora non era stato più
toccato, segno del fatto
che le sue decisioni erano già state prese da tempo;
nessuno, neppure i parenti
più stretti, avevano potuto fare nulla per accaparrarsi
quell’eredità. Sirius
era diventato maggiorenne lo scorso febbraio perciò, allo
stato attuale,
possedeva tutti i requisiti per entrare in possesso della somma di
denaro.
Insieme
a quell’inaspettata
quantità di Galeoni, Sirius aveva ereditato anche la casa di
zio Alphard;
tuttavia, decise immediatamente di disfarsene. Liberare il suo Elfo
Domestico
sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto; non desiderava averne
uno fra i
piedi, inoltre, se erano tutti come Kreacher, preferiva di gran lunga
averci a
che fare il meno possibile. In ogni caso, quella villa era troppo
grande per
una sola persona e troppo isolata; l’avrebbe venduta e
sarebbe andato alla
ricerca di un appartamento a Londra, in un posto finalmente pieno di
vita –
senza offesa per i genitori di James, ai quali di sicuro si addiceva
maggiormente
la vita di campagna; dopo un po’, però, diventava
una vera barba. Non che
avesse mai osato lamentarsene, chiaramente; era già loro
grato per l’ospitalità
e la gentilezza con cui l’avevano accolto,
quell’estate in cui aveva deciso di
scappare. Ma ora poteva scegliere, non doveva più pesare
sulle spalle di
nessuno.
Come
prima cosa, ovviamente,
avrebbe risarcito i Potter con una parte del denaro che aveva ricevuto
in
eredità. Era doveroso che lo facesse. Si erano comportati
come dei secondi
genitori, per lui, e questo non l’avrebbe mai scordato;
tuttavia, dato che ora
aveva la possibilità di ripagare, lo avrebbe fatto senza
esitazione. Non voleva
neppure dare l’impressione di andarsene di corsa, come se da
loro si fosse
trovato male. Perciò, pensò che prima era meglio
cercare il nuovo appartamento,
dopodiché avrebbe dato loro l’avviso.
Non
sapeva se a James avrebbe
dovuto dirlo prima, invece; in realtà, non sapeva neanche come dirglielo. Gli aveva accennato al
fatto che gli fosse toccata
quell’eredità, quando suo zio era morto, e insieme
avevano riso di gusto
immaginando quanto si fossero infuriati i suoi parenti a quella
notizia. Ma poi
non ne avevano più parlato. Era stato Remus, un giorno, a
introdurre il
discorso con lui e a consigliargli di cercare un avvocato, dopo che
Sirius
aveva appena saputo, tramite una simpatica Strillettera, che i suoi
avevano
minacciato di non fargli mai vedere l’ombra di un soldo. A
quanto pareva, Remus
conosceva abbastanza bene il modo in cui funzionavano quelle assurde
faccende
burocratiche che dovevano passare per un tribunale dei maghi; Sirius
riuscì a
fargli confessare il perché solo dopo diverso tempo, e fu
così che scoprì che i
genitori di Remus avevano tentato di farsi risarcire chiedendo un
processo per
il fatto che lui era stato morso da piccolo da un Lupo Mannaro. Ma
Fenrir
Greyback, il responsabile della sua disgrazia, aveva più
mezzi di loro e riuscì
a farla franca senza troppi problemi.
Entrò
al Paiolo Magico e ordinò
un bicchierino di Firewhiskey. Un piccolo e semplice modo per
festeggiare in
solitario la sua terza grande vittoria contro la sua famiglia. Nelle
altre
occasioni non gli era stato possibile celebrare l’avvenimento
nella maniera più
consona: quando era stato Smistato a Grifondoro aveva solo undici anni
e non
conosceva ancora i passaggi segreti che portavano a Hogsmeade, mentre
quando
era scappato di casa era notte inoltrata e arrancare sotto il peso di
un enorme
baule era più un fastidio che una gioia. Ma ora se lo
meritava, eccome. Il
fatto di essere stato diseredato dai suoi aveva assunto la stessa
importanza
dell’esistenza di Mocciosus, o delle lezioni di Storia della
Magia.
Gli
piaceva ancora fare paragoni
con Hogwarts. Era stata la sua unica e vera casa fino ai sedici anni,
quando
era finito ad accamparsi da James.
Mentre
l’alcol gli scorreva nella
gola, bruciandogli l’esofago, decise che avrebbe aspettato a
dirlo a James.
L’amico era già parecchio agitato per via
dell’ingresso nell’Ordine e aveva
bisogno di recuperare un po’ di equilibrio,
perciò, per il suo bene, non gliel’avrebbe
detto subito, risparmiandogli un ulteriore motivo di turbamento.
Piuttosto,
aveva bisogno di una mano per scegliere il nuovo appartamento. Lui era
troppo
impulsivo ed impaziente, e probabilmente avrebbe finito per gettarsi a
pesce
sul primo loculo che gli fosse capitato sottomano; ecco
perché si sarebbe fatto
accompagnare da Remus, pensò, mentre un ghigno sardonico gli
affiorava sul
volto.
Obiettò
a se stesso che non
faceva quella scelta soltanto per puro egoismo personale, vale a dire
consapevole del fatto che Remus era una persona pratica, con occhio
critico e
in grado di valutare a mente fredda i pro e i contro delle situazioni,
cosa che
a lui non sempre riusciva. No, c’era anche un buon
quantitativo di altruismo
nella sua decisione. Nell’ultimo anno, malgrado Sirius avesse
strisciato e
implorato perdono e giurato che mai più gli sarebbe passato
per l’anticamera
del cervello di fare una cosa del genere, i loro rapporti erano stati
altalenanti. Non che il punzecchiarsi a vicenda per via delle loro
abissali
diversità di carattere fosse una cosa nuova per entrambi, ma
spesso e
volentieri Remus aveva oltrepassato quel sottile limite di causticità a
cui
Sirius non era affatto abituato, e che, nonostante non desse per nulla
a
vederlo, l’aveva ferito. James, ovviamente, se
n’era accorto (quando mai James
non si accorgeva di qualcosa). Gli aveva suggerito di essere paziente,
perché
era normale che Remus coltivasse ancora un minimo di risentimento per
quanto
era accaduto, ma con il tempo l’avrebbe mandata
giù e non si sarebbe più
lasciato sfuggire quelle sottili battutine spinose.
In
realtà, al contrario delle
predizioni di James, Remus non aveva mai smesso.
Forse
neppure lo faceva apposta,
si disse Sirius. Forse anche lui era umano e ogni tanto rimuginava un
po’
troppo sulle cose, com’era tipico di Remus, e allora finiva
per sentirsi di
nuovo male per aver quasi rischiato di uccidere un essere umano. Forse
era vero
che, come gli aveva detto quella notte in preda a lacrime violente, lui
dava la
colpa principalmente a se stesso. Per quello che era, ovvero un mostro.
In
realtà era solo Remus che credeva di essere un mostro. Lui,
James e Peter non
l’avevano mai pensato, mai.
A
Sirius dispiaceva davvero di
avergli causato tutto quel malessere interiore. Non aveva pensato
abbastanza,
come al solito, era stato un idiota. Però cavolo, si
trattava di Mocciosus.
Possibile che Remus dovesse autocolpevolizzarsi a tal punto per un
individuo
simile?
Beh,
in ogni caso lui non aveva
intenzione di smettere di lottare. Voleva che tutto tornasse ad essere
sereno e
spensierato tra loro, come negli anni della scuola, quando lo
tormentava in
ogni modo durante una lezione noiosa e sapeva che non se la sarebbe
presa,
anche se dava l’impressione di farlo. O quando, a mezzanotte
inoltrata, Moony gli
passava con aria stizzita l’ennesimo tema da copiare,
cedendo dopo almeno una mezzora di suppliche continue, bofonchiando che era
tardi e voleva andare a letto e doveva sbrigarsi a spegnere la luce,
per poi
gettargli sulle spalle una coperta di lana sentendolo rabbrividire dal
freddo.
O quando a cena, senza che lui gliel’avesse chiesto, gli
versava nel piatto la
sua porzione di polpette alla cipolla, perché sapeva che
Sirius ne andava
matto.
Gli
mancavano tutte quelle
piccole e silenziose attenzioni, che ultimamente si erano diradate e
fatte più
forzate. Non che poi Remus avesse mai mancato di essergli vicino in
momenti di
bisogno, né di scrivergli personalmente le sue solite
lettere prolisse durante
l’estate, ma c’era quel qualcosa in più
che Sirius rivoleva a tutti i costi,
che smaniava di riassaporare. Era diverso dal rapporto che aveva con
James. Lui
e James erano follemente simili, spesso pensavano la stessa cosa senza
saperlo
e ogni loro piccolo litigio non era mai durato più di cinque
minuti, perché
entrambi non resistevano a tenersi il broncio: tutto ciò che
volevano era ridere
insieme, divertirsi, infrangere le regole, lodarsi a vicenda e, ogni
tanto,
fare lunghi discorsi profondi che li rendevano quasi irriconoscibili.
Erano
fatti così, e le cose non erano mai cambiate, neppure dopo
che James si era
messo con la Evans – Lily. Aveva avuto una paura tale da
sfiorare la paranoia
che, una volta arrivata lei, si sarebbero allontanati, ma aveva suo
malgrado
dovuto riconoscere di essersi sbagliato. L’ultimo anno di
scuola per James era
stato sovraccarico, tra la Evans, l’incarico di Caposcuola e
di capitano della
squadra di Quidditch, ma piuttosto che non perdere tempo con lui
soltanto per
il gusto di farlo aveva trascorso nottate quasi insonni.
Insomma,
a conti fatti, Sirius
sapeva che non avrebbe mai perso James. Era come un fratello per lui, e
se mai
un giorno Lily avesse trascinato l’amico all’altare
l’aveva già avvertita che
avrebbe dovuto concedere a Prongs delle seconde nozze con lui. Nessuno
aveva
osato prendere poco sul serio tale affermazione.
Scosse
via una ciocca ribelle dal
viso con un gesto brusco, mentre si faceva versare un altro bicchiere.
In
fondo, avrebbe anche potuto lasciar perdere Remus. Aveva fatto quello
che
doveva fare: si era scusato, si era umiliato, aveva pianto e
strisciato, aveva
perfino evitato di infastidirlo per una settimana intera. Che cavolo
voleva in
più da lui? Che gli scrivesse una serenata? Era peggio della
Evans quando si
offendeva con James. Si corresse mentalmente. Non Evans, Lily. Aveva
deciso che
gli fosse simpatica, in via definitiva. O meglio, non aveva
più motivi per
trovarla antipatica.
Beh, al diavolo, pensò. Gli
chiederò di accompagnarmi a scegliere un appartamento,
passeremo una giornata
insieme senza James e Peter a ficcare il naso e vedremo di affrontare
il
problema.
Sirius
pagò, uscì e si diresse
verso la Londra Babbana. Camminò per qualche isolato, poi si
nascose in un
vicolo stretto e, assicuratosi di non essere visto, tirò
fuori la bacchetta.
Bastò una lieve concentrazione per far apparire il suo
Patronus. Gli era sempre
riuscito bene, del resto.
La
prima volta che aveva eseguito
quell’incantesimo, aveva finto di rimanere un po’
deluso. Il suo Patronus era
uno scoiattolo. Non esattamente un animale molto virile. Tuttavia era
il primo
animale che avesse mai visto, quando era ancora molto piccolo; lo aveva
invidiato profondamente, perché quello poteva correre e
saltare liberamente fra
i rami dell’albero che stava di fronte alla finestra di
camera sua, mentre a
lui non era permesso uscire senza la sorveglianza di un adulto che
vigilasse
sul suo corretto comportamento.
Quante idiozie era stato costretto a subire.
Sogghignò
divertito fra sé e sé,
mentre inviava il Patronus da Remus. Sapeva bene che gli sarebbe preso
un
colpo, dato che era con quel metodo che Silente aveva stabilito che i
membri
dell’Ordine dovessero comunicare tra loro. Ma almeno Remus si
sarebbe
preoccupato e sarebbe corso subito da lui, senza fare tante storie o
accampare
scuse poco credibili. E poi, non aveva altro mezzo per contattarlo
così, su due
piedi, quindi il suo uso improprio della magia era totalmente
giustificabile.
Mica poteva attaccare un bigliettino alla zampa di un gufo e
mandarglielo, ci
avrebbe messo degli anni.
“Che
cosa… che sta succedendo,
Sirius?”
Lo
osservò venire verso di lui,
dal punto in cui si era Materializzato. Non sapeva se mostrare la sua
ilarità o
meno. Remus aveva il respiro leggermente affannoso e i capelli un
po’
scarmigliati. Forse l’aveva fatto agitare troppo,
probabilmente aveva creduto
di doversi preparare ad affrontare uno stuolo di Mangiamorte, a
giudicare
dall’aria ansiosa con cui si guardava intorno.
“Nulla,
sta’ tranquillo, Moony”,
lo rassicurò, restando sul vago. Non aveva ancora capito se
si sarebbe arrabbiato
o meno. James l’avrebbe fatto, ad esempio. Ma Remus non era
mai prevedibile;
era capace di scuotere la testa e poi immergersi nella più
assoluta
indifferenza anche di fronte a catastrofi di proporzioni galattiche.
Ecco
perché non lo aveva mai messo in punizione a sufficienza,
quando era Prefetto.
“Cosa
vorrebbe dire nulla?”
obiettò lui, inarcando un
sopracciglio con aria perplessa. Continuava a gettare occhiate in giro,
alla
ricerca di un pericolo. Com’era buffo.
“Vorrebbe
dire che non ti ho
chiamato per una questione di… beh…
Tu-sai-cosa”, rispose Sirius, cercando di
mantenere un minimo di segretezza. Erano pur sempre a Diagon Alley.
“Ma
se mi è arrivato un tuo…
Silente ha detto di…”
Ecco,
forse stavolta ce l’aveva
fatta a farlo infuriare. Esibì una faccia innocente,
stringendosi nelle spalle.
“Beh,
vedi, non sapevo in che
altro modo contattarti”, si scusò, con il massimo
del candore. Negli occhi
chiari di Remus lampeggiò la disapprovazione. Ecco che
arrivava la ramanzina.
“Ed
è per qualcosa di urgente
che mi hai chiamato?”
“Uhm… beh, certo che sì! Volevo
renderti partecipe del fatto che stamattina sono andato alla Gringott e
mi
hanno consegnato il malloppo. Ce l’ho fatta, ora si staranno
tutti mangiando le
mani dalla rabbia”, disse Sirius, con entusiasmo, tentando di
coinvolgerlo
emotivamente. Per poco non si metteva a scodinzolare. Patetico,
sussurrò una voce dentro di lui.
“Capisco.
Una questione della
massima priorità”, ironizzò Remus,
strorcendo la bocca in una smorfia lieve.
“E
dai, non essere noioso. Andiamo
a farci un goccetto. Così, per festeggiare”. Omise
accuratamente il fatto di
essersi già scolato un paio di bicchieri da solo.
Si
fissarono per qualche
interminabile secondo. Sirius si chiese come facesse Remus ad avere uno
sguardo
così dannatamente capace di farlo sentire in colpa
– quasi. Poi lo osservò
sospirare, uno dei suoi tipici sospiri rassegnati.
“Che
altro ti serve?” gli
domandò.
“Niente!
O meglio, pensavo che
adesso che ho questi soldi da parte potrei prendere un appartamento
mio, in
fondo è ora che la smetta di dare disturbo a James… zio Alphard mi ha lasciato
anche la casa, ma non mi piace, per me è troppo grande,
penso che la venderò…
e intanto, ecco… perché non mi accompagni a
cercare qualcosa?”
Sorrise,
ma Remus sembrava più
freddo. Aveva arricciato le labbra in quel suo tipico modo da
sapientino.
“Perché
non hai chiamato James?”
“Oh,
aveva sicuramente da fare
con Lily”, disse Sirius, di getto. Per poco non si prese a
schiaffi da solo.
Era così difficile dirgli la verità,
cioè che non aveva pensato neppure per
un secondo di chiamare James? Voleva che fosse Remus ad aiutarlo.
“Capisco.
E cosa ti autorizzava a
pensare che invece io fossi automaticamente disponibile a soddisfare i
tuoi
desideri?”
“Veramente
io… al diavolo,
Remus. Scusa se ti ho disturbato, torna pure a casa”.
Sirius
si voltò e fece per
allontanarsi. Il signor Remus John Moony Lupin aveva davvero
l’incredibile
capacità di farlo uscire dai gangheri. Cosa gli costava dire
di sì e basta,
senza fare tante storie? Avrebbe dovuto capire, dato che era
così intelligente,
che quel suo piccolo gesto era un modo per tentare di riconciliarsi
definitivamente con lui. Forse avrebbe dovuto stendergli un tappeto
sotto i
piedi, o fare lui stesso da tappeto. Dannazione.
“Fammi
capire, vuoi cercare un
appartamento a Nocturn Alley?” gli gridò dietro
Remus. Sirius si rese conto
che, in effetti, era quella la direzione che stava intraprendendo.
“No,
pezzo d’idiota”, bofonchiò,
fermandosi e girandosi a guardarlo. Non sapeva più che pesci
prendere, oltre al
fatto che non capiva a che gioco stessero giocando.
“E
allora andiamo, non ho tempo
da perdere”, rispose Remus, facendogli un cenno con la mano e
avviandosi nella
direzione opposta. Sirius inarcò un sopracciglio, perplesso.
No, decisamente
non ci capiva nulla. Per quale motivo ora aveva deciso di accompagnarlo?
Quello
era tutto matto.
Lo
raggiunse di corsa, poi si
mise ad abbaiare e gli addentò il mantello, imitando
Padfoot. Si sarebbe
volentieri trasformato in quel momento – era così
liberatorio, ogni tanto,
essere solo un cane – ma era in mezzo ad una strada
frequentata e per di più
era un Animagus non registrato. Decise che la sua avventatezza non
arrivava a
tanto.
Remus
lo scosse via, ridendo.
“Non
dovrò mica portarti in giro
al guinzaglio, spero”, disse, ironico. Sirius gli
affondò i canini nella
spalla.
“AHO!”
“Ecco,
ora ti ho ripagato di quel
morso sul sedere che mi hai dato l’anno scorso quando eravamo
in giro per la luna
piena”.
“Ti
ricordo che non sono
cosciente di quello che faccio quando non sono in forma
umana”, sbottò Remus,
fingendosi indispettito.
“Però
scommetto che non ti è
dispiaciuto”, ribatté Sirius. Moony gli
gettò un’occhiata perplessa. “Nel senso
che volevi punirmi per qualcosa e quello è stato il modo
migliore che hai
trovato”.
“Aha”.
Ecco,
forse ora avrebbe dovuto
introdurre il discorso. Era il momento adatto, dopotutto. Ma che
discorso?
Remus si liberò la fronte dai capelli con un gesto
distratto. I suoi capelli
erano odiosamente lisci, mentre quelli di Sirius si aggrovigliavano per
un
nonnulla. Lo squadrò da capo a piedi: non era cambiato, i
suoi abiti erano sempre
un po’ logori e rattoppati e aveva l’aria stanca,
segnata da due occhiaie
profonde. Eppure, in qualche strano ed inspiegabile modo, riusciva
sempre ad
apparire dignitoso.
Il
momento passò e Sirius non
ebbe la forza di dire nulla.
Alla
fine, come previsto, Sirius
fece un acquisto intelligente sopratutto grazie a Remus.
Fu
lui a consigliargli una
villetta su un piano, con le finestre che davano su un ampio cortile
esterno,
di modo che gli fosse possibile sgattaiolare fuori anche in forma
canina senza
essere visto da tutti. Nella casa a fianco abitava una vecchia Strega
in
pensione praticamente sorda. Inoltre c’era un ampio garage a
disposizione,
collegato direttamente con la taverna, che faceva proprio al caso suo:
Sirius
aveva maturato il progetto di costruirsi una moto volante e aveva
iniziato ad
assemblare qualche pezzo nel corso dell’estate con
l’aiuto prezioso del signor
Potter. Infine, la casa disponeva di un camino e di una vasca da bagno
che
all’occorrenza poteva trasformarsi in una doccia; era stato
il precedente
proprietario ad apportare questa modifica. Il quartiere era tranquillo,
abitato
prevalentemente da Babbani o da maghi in pensione. Ovviamente non ci
pensò su
più di tanto e accettò subito di comprare la casa.
James
non la prese poi così male.
Sembrava dispiaciuto, ovviamente, ma disse che capiva e che approvava
la
decisione. Gli confessò che anche lui stava pensando di
andare a vivere per
conto suo e che probabilmente l’avrebbe fatto presto, anche
per lasciare i suoi
fuori dai guai. I signori Potter non vollero accettare denaro da Sirius
e James
non lo aiutò a convincerli, quindi lasciò loro
sul tavolo della cucina due
biglietti per assistere alla finale del campionato nazionale di
Quidditch in un
palco privato che aveva acquistato di persona. Dopodiché,
prese i suoi bagagli
e cominciò il trasloco.
Remus venne ad aiutarlo,
esattamente come
fecero Peter e James. Non partecipò alla battaglia di
cuscini e materassi che
si scatenò a un certo punto, perdendosi inevitabilmente
tutto il divertimento,
nonostante Sirius avesse cercato di coinvolgerlo aizzandogli contro uno
dei
suoi guanciali – il problema fu che non calibrò
bene la forza del colpo di
bacchetta e per poco non rischiò di buttarlo giù
dalla finestra. Al diavolo,
anche quando agiva a fin di bene finiva per combinare disastri. Per di
più
Remus reagì con la solita indifferenza condita da una punta
di disapprovazione,
cosa che lo fece irritare ancora di più. Voleva che gli
urlasse contro, che lo
picchiasse davanti agli altri piuttosto, anziché continuare
a nascondersi
dietro una finta riconciliazione che non c’era mai stata.
Doveva
parlargli, una volta per
tutte.
Quando
si fece ora di cena, Peter
e James dissero che dovevano andare a casa. La sera erano di turno al
quartier
generale dell’Ordine, ma Peter doveva prima cucinare per sua
madre, che
nell’ultimo periodo si era presa parecchi malanni e doveva
passare molto tempo
a letto. James decise che l’avrebbe accompagnato: con quella
sua enorme faccia
tosta riusciva alla perfezione a calarsi nella parte del bravo ragazzo
e a
piacere indiscriminatamente a tutti i genitori. Perfino la madre e il
padre di
Lily, a cui era stato presentato quell’estate, a quanto
pareva l’avevano
trovato immediatamente adorabile. Già, paradossalmente si
trattava dello stesso
ragazzino magro ed occhialuto che il terzo giorno a Hogwarts si era
messo a
lanciare Caccabombe insieme a lui dalla Torre di Astronomia.
“Moony,
dove diavolo stai andando?”
grugnì Sirius, infastidito, quando lo vide prendere il
mantello insieme agli
altri due. Remus lo guardò senza capire, corrugando la
fronte.
“Ci
siamo dimenticati qualcosa?”
chiese Peter, sulla porta, voltandosi.
“No,
no, voi due sloggiate”,
rispose Sirius, facendo un gesto stizzito con la mano. James
alzò le spalle e
fece un sorrisetto, battendo una mano sulla spalla di Peter e
avviandosi al
cancello insieme a lui, dopo avergli urlato un saluto. Per fortuna, i
suoi
amici erano perfettamente abituati ai suoi momentanei sbalzi di umore
conditi
da un’aggressività apparentemente ingiustificata,
perciò non se la prendevano
praticamente mai per quelle bazzecole.
Remus
attese pazientemente che Sirius lo
guardasse negli occhi prima di parlare, come faceva sempre. Detestava
non avere
un contatto diretto.
“C’è
qualcosa che devi dirmi?”
Sirius
lo fissò intensamente,
sforzandosi di pensare a qualcosa di intelligente e sensato da dire in
quel
momento per arrivare finalmente al punto cruciale. Qualcosa che non
avesse già
ripetuto infinite volte quell’anno a scuola, appena era
successo tutto quanto;
evidentemente non era stato abbastanza credibile. Ma come poteva
esprimersi
meglio? Mi dispiace. Sei
mio amico. Mi dispiace davvero, non volevo. Perché
dobbiamo pensarci ancora? Che cavolo ho fatto di così
irreparabile? Perché non
possiamo fare pace?
Niente
gli sembrò adeguato. Era
un disastro, un completo disastro.
Si
strinse nelle spalle, con un
sospiro.
“Niente,
pensavo soltanto che…
visto che abiti lontano e magari, non so, se vuoi un po’ di
compagnia,
considerato che adesso vivo da solo… se ogni tanto vuoi
fermarti qui, c’è una
stanza in più, come sai”.
Remus
rimase in silenzio per
qualche secondo, guardando altrove e tormentandosi le mani. Sirius si
morse il
labbro. Quando impiegava così tanto tempo per rispondere
l’avrebbe ucciso.
Sembrava quasi che stesse scegliendo le parole per un discorso di
universale
importanza.
“Non
devi sentirti in obbligo di
ripagarmi per averti accompagnato in giro a cercare una
casa”, replicò infine. Oh,
certo. Come se gli avesse fatto lui
un dannato favore. Aver
tentato di fare il primo passo per
venirgli incontro non contava niente. Decise che avrebbe gettato la
spugna,
definitivamente. Che si arrangiasse, non ne voleva più
sapere.
“Va
bene, ciao, Remus...”
“…Comunque grazie”.
Si
voltò giusto in tempo per
vederlo sorridere lievemente e fargli un cenno di saluto, prima che si
chiudesse la porta alle spalle.
Sirius
sbuffò e si abbandonò a
sedere sul pavimento, fissando un punto indefinito sulla parete bianca
di
fronte a sé.
There isn't
time to stand still,
We are constantly
changing.
You're draining my will,
I find myself rearranging my points of view.
There
isn't much I could do.
(The Chameleons, Nostalgia)
Nota di fine capitolo: mi sono sempre
chiesta, fin dalla prima
volta che ho letto Il prigioniero di
Azkaban, per quale razza di motivo Sirius sospettasse proprio
di Remus
durante la guerra, quando divenne chiaro che c’era una spia
tra loro. La
conclusione a cui sono giunta è stata che, per forza di
cose, si dev’essere
creato un attrito fra loro, che li ha portati ad allontanarsi; la causa
primitiva
di questo attrito potrebbe essere stata lo scherzo giocato da Sirius a
Piton al
loro quinto anno di scuola, quando gli rivelò come entrare
nel passaggio segreto
del Platano Picchiatore, omettendo il fatto che si sarebbe trovato di
fronte un
Lupo Mannaro in piena trasformazione. Ci tengo a scrivere una storia
che sia il
più in canon possibile, quindi cercherò di
portare avanti questa tesi in
maniera convincente; in questo capitolo cominciano ad esserci degli
accenni ma,
giusto per precisare, ho preferito fare luce su questo punto.
Entreranno
successivamente in gioco anche tante altre concause, ma questo,
diciamo, è il
primum movens.
Altra delucidazione per chi non ha letto Between You And The Giant Squid: James
e Lily al settimo anno sono stati
Capiscuola, ma grazie alla simpatia dei traduttori italiani che in HP1
hanno
reso “they were Head Boy and Girl” come
“erano i primi della classe”, in molti
non ne sono al corrente. Giusto per precisare che non me lo sono
inventata io,
ma la Rowling stessa.
Ultimissima cosa, poi ho finito con le
comunicazioni noiose: come avrete
notato ho inserito delle date, per inquadrare meglio gli avvenimenti.
Per
sistemare l’ordine cronologico mi sono avvalsa
dell’HP Lexicon, per il quale un
giorno o l’altro scriverò una lode in rima baciata.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito finora, vi tedierò a sufficienza con le risposte personali come al solito :) mi raccomando di non trattenervi dal farmi notare se ci sono cose poco convincenti o non corrette, io in primis ho il terrore di sbagliare qualcosa visto che mi ritrovo a gestire così tanti personaggi e una trama non proprio semplice. Al prossimo capitolo :)