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Autore: Miss Demy    26/02/2011    25 recensioni
C'è una melodia che suona scandendo i battiti del cuore. E' una melodia fatta di dolci ricordi, di tristi realtà, di amare accettazioni.
E' una melodia che suona quando si prova amore puro e incondizionato.
Che sia per la persona amata o per il frutto dell'amore per quella persona.
Usagi la sente suonare ogni giorno dentro di sè. Da ormai cinque anni.
Dal cap. 3:
- "Il tuo cuore batte forte, Usako."
"Sembra una melodia, Mamo-chan. Ascoltala insieme a me, stanotte."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa, Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Cap 2: Sentirsi viva

Usagi avrebbe dovuto resistere, se lo era imposta  per tutto il giorno, o meglio, dal giorno in cui lui - una settimana prima - le aveva telefonato sia per parlare con Chibiusa che per dirle che sarebbe tornato per due settimane.
 

Quel giorno per lei era sembrato non terminare mai.
E l’agonia era continuata quando lui le aveva telefonato avvertendola che l’aereo avrebbe ritardato a decollare.
Erano sette mesi che non lo vedeva e quell’ora d'attesa in più le sembrava non passasse mai.
Se lo era ripromessa; sarebbe rimasta calma senza rendergli visibile il suo entusiasmo, senza fargli capire che, nonostante fossero trascorsi ormai cinque anni, lei non aveva mai smesso di amarlo, anzi, forse lo amava più di prima e quel piccolo tesoro di nome Chibiusa avrebbe sempre fatto sì che lei – pur volendo – non riuscisse a dimenticarlo.
 
Ma lui era rimasto lì, sull’uscio, a guardarla con occhi felici, come se avesse appena visto la cosa più bella in assoluto, di quelle che neanche la City avrebbe mai potuto offrire.
Aveva lasciato la valigia e, posandole una mano sul fianco, l’aveva spinta a sé con dolcezza per stringerla forte e sentirla. Sentirla di nuovo.
 “È bello poterti riabbracciare, Usako” aveva detto con un sospiro che sembrava una calda carezza sul suo collo.
Usagi non ce l’aveva fatta, era stata debole e fragile, come sempre d’altronde. Come ogni sei mesi.
Approfittò della scusa che lui la stesse salutando per far finta di voler solo ricambiare l’abbraccio.
Gli portò le braccia sulla schiena, stringendo fra le mani la giacca verde militare del ragazzo, alzandosi sulle punte e poggiando il viso nell’incavo della sua spalla.
“Ben tornato, Mamo-chan.”  
E lì, nella penombra dell’uscio di quell’abitazione che odorava di casa per entrambi, lei poté finalmente sentire quell’odore che le era mancato davvero tanto negli ultimi sette mesi ma che era sempre rimasto impresso nella sua memoria.
 
La piccola Chibiusa, per l’entusiasmo di poter finalmente rivedere il suo papà, si era svegliata più volte da quando Usagi le aveva rimboccato le coperte e, dalla porta semi chiusa riuscì a percepire la luce che proveniva dall’esterno.
Si era alzata dal letto e, stropicciandosi gli occhi con le mani, si era fermata sulla soglia della porta della sua stanza, vedendo che alla fine del corridoio, il papà era appena arrivato e stringeva fra le braccia la sua bellissima mamma avvolta solo da una vestaglia di seta bianca.
Quanto le piaceva osservare quella scena. Le sapeva di unione, di famiglia. Una di quelle che spesso invidiava ai suoi compagni d’asilo.
Un sorriso le si allargò sul visino e, istintivamente, corse verso il ragazzo, felice:
“Papà, papà!”
I due ragazzi rallentarono l’abbraccio, per poi scioglierlo del tutto.
Usagi tornò sulle piante dei piedi, scalzi, e Mamoru si chinò per abbracciare la piccola e prenderla in braccio.
Chibiusa strinse le braccine attorno al collo del padre e questi le spettinò di proposito i capelli, lunghi fino alle spalle, potendone sentire la morbidezza.
“Mi sei mancata Chibi-chan” disse commosso dandole un bacio sulla guancia.
“Finalmente sei tornato, papà! Mi sei mancato tanto, tanto!”
 
Per Usagi quella era una scena disarmante; vedere il suo amato Mamo-chan stringere la loro bambina, di Mamoru e sua, le riempiva il cuore di gioia infinita.
Ogni volta che lui abbracciava, accarezzava, baciava dolcemente loro figlia, Usagi poteva sentire una parte di quell’affetto rivolto a lei. E anche se desiderava tanto, con tutta se stessa, che le cose andassero diversamente tra lei e il suo Mamo-chan, quell’affetto che sarebbe stato per sempre rivolto a lei, solo a lei, le bastava.
Almeno, si auto convinceva che le sarebbe bastato.
 
Mamoru entrò in casa con Chibiusa in braccio, che non accennava a voler lasciare il suo papà, e la valigia nell’altra mano.
Usagi richiuse la porta e solo quando sentì lo scatto, mettendo il chiavistello, come faceva tutte le sere, poté affermare di sentirsi finalmente felice. Dopo sette mesi era di nuovo felice.
 
“Mamma, per favore domani posso non andare all’asilo?”
La piccola lo aveva chiesto con sguardo da cucciolo supplichevole, in braccio al padre.
Usagi sorrise, avvicinandosi alla sedia sulla quale era seduto Mamoru, e chinandosi a dare un bacio sulla fronte della figlia:
“Vediamo cosa ne pensa papà.”
Usagi sapeva di essere l’educatrice della piccola e capiva che Chibiusa considerava lei l’unica a cui chiedere il permesso per tutte le cose che credeva lo richiedessero.
Ma a Usagi piaceva, durante le settimane che Mamoru era con loro, che Chibiusa riconoscesse anche lui come padre a tutti gli effetti.
Non solo un padre che portava regali da NYC o che giocava facendola divertire, ma un educatore a cui chiedere permessi e da ascoltare durante i rimproveri.
E Mamoru lo apprezzava tanto. Lui stimava la sua Usako davvero tanto.
Chibiusa si voltò di scatto verso il padre che la guardò con  tenerezza.
“Solo se ora torni a dormire, sono le 00.30.”
La bambina annuì contenta. L’indomani avrebbe potuto passare l’intera giornata con entrambi i suoi genitori.
Mamoru si alzò e, tenendola in braccio, la portò nella sua cameretta, rimboccandole le coperte e dandole un bacio sulla fronte.
Usagi era rimasta con la testa poggiata sullo stipite della porta, le mani sulle braccia incrociate al petto e un sorriso pieno di dolcezza sulle rosee labbra.
Quando Mamoru si alzò dal letto della bambina, indietreggiò per permettergli di socchiudere la porta.
“’Notte Chibi-chan” le disse prima che Mamoru potesse spegnere la luce dall’interruttore posto accanto alla porta.
“’Notte mammina.”
Solo quando la porta fu socchiusa, allontanandosi verso la cucina, Mamoru chiese:
“Ti và di parlare un po’ o sei stanca?”
Usagi scosse  la testa, con occhi luminosi, felice di restare a parlare un po’ col suo Mamo-chan:
“No, non sono stanca, vieni, preparo qualcosa da bere” disse avviandosi in cucina.
 
Mamoru prese posto sulla sedia dove poco prima era stato seduto con la figlia in braccio.
“Preparo un the o preferisci qualcos’altro?”
“Preferirei una birra se ce ne sono” rispose lui alzandosi e aprendo il frigo.
Ne tirò fuori una e Usagi gli porse l’apribottiglie.
Lei era rimasta poggiata sul bancone, osservandolo e notando che Mamoru era davvero diventato un uomo. Il suo viso più marcato, la sua voce più dura, il suo corpo più muscoloso…
Tutto faceva di Mamoru l’uomo che lei amava e a cui non voleva dover resistere. L’uomo a cui non avrebbe mai voluto dover rinunciare.
Mamoru bevve un sorso e si avvicinò a Usagi, prendendo una ciocca di capelli che le scendeva sul seno.
“Ormai li porti così?” chiese lui e solo allora lei si ricordò di avere i capelli ancora raccolti in una pinza per capelli.
Li sciolse immediatamente, scombinandoli per cercare di dar loro volume, credendoli ormai appiattiti e orrendi agli occhi di Mamoru.
Lui bevve un altro sorso e, sfiorando con le dita della mano libera una ciocca dei biondi e lunghissimi capelli:
“Sei diventata davvero bellissima, Usako.”
Ma Usagi abbassò lo sguardo, arrossendo e sentendo dentro si sé una stretta al cuore.
Lui sorrise, vedendo come un suo complimento, a distanza di anni, riuscisse ancora ad imbarazzarla.
Approfittò degli occhi bassi della ragazza per far scendere lo sguardo su tutto il corpo di lei e realizzare che Usagi, la sua Odango Atama, era diventata una donna.
Non erano solo le responsabilità di cui si era sempre dovuta fare carico negli ultimi quattro anni.
Era il suo corpo che, come giusto che fosse, era cambiato.
Le appena pronunciate forme di cinque anni addietro erano diventate forme prosperose da far invidia a tante ragazze; la vita asciutta e le gambe toniche scoperte per metà da quella vestaglia di raso bianco, avevano fatto notare a Mamoru una Usagi ancora più bella di come la ricordava.
 Ogni volta che tornava, la trovava più bella, più matura.
 
Posò la birra sul bancone poggiando la mano sul bordo, accanto al fianco di Usagi, e portò l’altra mano sotto il mento della ragazza, facendole alzare lo sguardo:
“Che c’è? Ti vergogni?” le sussurrò prima di avvicinare il viso a quello di lei e darle un bacio sulle labbra. Un bacio dolce, tenero, durato qualche attimo ma sufficiente a Usagi per inebriarsi di quel sapore di birra unito all’odore di Mamoru.
Non aveva avuto neanche il tempo di realizzare l’accaduto che lui aveva già allontanato le sue labbra carnose  e umide dalle proprie.
Accadeva, ogni tanto, che lui le si avvicinasse per darle uno di quei baci dolci che riservava alla madre di sua figlia.
E Usagi non era per lui solo la madre di sua figlia; Usagi era la ragazzina di cui si era innamorato quando aveva ventuno anni.
 
Glielo avrebbe voluto dichiarare ma poi era arrivata quella lettera dagli USA e aveva deciso di non dirle nulla, seppur lei gli avesse mostrato e dimostrato i suoi sentimenti.
Ma per Mamoru amare significava cercare di non farla soffrire e se glielo avesse detto, poi per lei sarebbe stato più difficile dimenticarlo. Così come lui voleva realizzare i sui sogni, anche Usagi meritava la felicità.
Ma allora perché prenderle la sua purezza? Non lo sapeva in quel momento, sapeva solo che lei era lì in casa sua e lo amava.
E lui amava lei. E inoltre la desiderava, voleva saperla sua, sua e di nessun altro, e ricordare quel momento ogni volta che avrebbe avvertito la sua mancanza. E così fu.
L’ipotesi ‘Chibiusa’ non era stata considerata durante quel momento di amore e di passione ma, non appena ne ebbe notizia, nonostante tutto ciò che avrebbe comportato, ne fu contento.
Anche se Usagi lo avesse dimenticato e si fosse fidanzata con un altro ragazzo, una parte di lei sarebbe stata sua per sempre.
  
Dopo quel bacio, Usagi non rispose alla domanda. Cosa avrebbe potuto dire d’altronde? Che lo amava e il solo saperlo nella sua stessa stanza, ad un passo da lei, la rendeva tremendamente agitata? Che sapere che l’uomo per lei più irresistibile al mondo e di cui era follemente innamorata la considerasse bella la faceva sciogliere come neve al sole? Che quei baci dolci che lui le dava di tanto in tanto le facevano esplodere il cuore per poi farglielo fermare non appena lui ritirava le labbra dalle proprie? No, non poteva dirgli tutti i suoi pensieri e le emozioni che lui, soltanto lui, era capace di farle provare.
 
Mamoru tornò a sedersi dopo aver ripreso la bottiglia in mano.
Notò l’effetto che, nonostante lei cercasse di nascondergli, provocava in Usagi e cercò di rallentare la tensione:
“Allora, che mi racconti di nuovo?”
Usagi alzò le spalle, portando le mani ai bordi del bancone:
“Il mese scorso finalmente ho preso il diploma. Devo ancora andare a ritirarlo, a proposito.”
“Lo sai che ti stimo davvero tanto, vero Usa?”
Un sorriso malinconico le uscì spontaneo, annuii:
“Hai visto? Anche se ho dovuto abbandonare per un po’ la scuola, alla fine ce l’ho fatta…”
Mamoru sorrise, fiero.
Bevve un sorso di birra e, battendo piano un pugno sul tavolo chiese:
“Per il resto? Che si dice al Crown?”
Usagi sapeva che il pugno sul tavolo significa che Mamoru era nervoso. Era il suo modo di lasciar uscire la tensione. Ormai lei lo conosceva bene il suo Mamo-chan, anche se poteva vederlo solo due volte l’anno, massimo tre quando Mamoru riusciva ad ottenere un permesso speciale.  
“Va tutto come sempre… dopo aver lasciato Chibiusa all’asilo vado a dare una mano a Motoki fino al pomeriggio quando torno a riprendere la piccola. Le sai già queste cose.”
Una piccola esitazione, poi:
“Tu piuttosto, che mi racconti di te? Come procede il tirocinio?”
Mamoru portò le mani al viso, sfregandole per scacciare la stanchezza che iniziava a sentire sempre di più:
“Mi hanno firmato un contratto la settimana scorsa. Da Settembre sarò uno specializzando, Usako.”
Usagi notò tanto entusiasmo in quell’ultima frase che, nonostante le risultasse difficile, sorrise:
“Sono contenta per te, Mamo-chan. Riparti sempre tra due settimane?”
Mamoru scosse la testa e, portando le mani al collo per distendere i muscoli che sentiva tesi:
“Posso fermarmi un mese stavolta, Chibi sarà contenta.”
Usagi, meravigliata e incredula non riuscì a trattenersi:
“Perché non me lo hai detto al telefono?” Sembrava persino arrabbiata.
“Volevo vedere la tua reazione quando te lo avrei detto” rispose quasi divertito, notando che era riuscito a farle brillare gli occhi al suono di quella notizia.
Usagi si voltò, imbarazzata per quella prova a tradimento:
“Che stupido che sei!”
Ma nella sua voce c’erano solo dolcezza e immensa felicità che a stento non le si spezzò un respiro.
 Finendo la sua birra, Mamoru picchiettò la mano chiusa a pugno sul tavolo:
“Al tuo fidanzato non spiace se resto qui per un mese, vero?”
Usagi si rivoltò verso di lui, seria:
“Non c’è nessun fidanzato, lo sai bene.”
 
A lei non piaceva scherzare su quell’argomento. Magari Mamoru non lo faceva per male, ma solo lei sapeva quanto avesse sofferto, e quanto soffrisse, per lui. Lui non sapeva di tutte le volte in cui lei era rimasta stesa sul suo letto a perdersi nell’odore lasciato da lui sulle lenzuola; non sapeva la sensazione di vuoto che provava tutte le volte che lui ripartiva, Mamoru non poteva sapere di tutte le lacrime versate la notte quando la sua mancanza diventava soffocante.
No. Lui non sapeva tutto questo, non poteva neppure immaginarlo. Magari se avesse conosciuto le sue emozioni non si sarebbe più permesso di scherzare. Ma lei non gliele avrebbe mai confidate, solo avrebbe fatto sì che non scherzasse su certi argomenti delicati per lei.
 
“Ogni volta mi dici la stessa cosa, Usako. Vuoi che ti creda?”
Usagi si innervosì leggermente: “Perché dovrei mentirti? Sai che non lo farei mai.”
Mamoru si alzò per gettare la bottiglia nel portarifiuti e, intrappolando Usagi tra il bancone e il suo corpo, ne seguì le curve coi polpastrelli, solo sfiorandole.
“Guarda quanto sei bella, Usako. Come fai a dire, ogni volta, che non c’è nessuno che ti vuole?” La sua voce era simile ad un sussurro pieno di consapevolezza.
“Non ho detto questo” rispose lei abbassando lo sguardo, imbarazzata, avvertendo gli occhi blu oceano di lui sul suo corpo.
“Ho detto che per me esiste solo mia figlia.” Sbatté le palpebre, come a volersi correggere: “Nostra figlia.”
 
Avrebbe voluto dirgli che oltre a loro figlia per lei esisteva solo lui, da sempre, e che nessun altro avrebbe mai potuto colmare il vuoto che lasciava lui ogni volta che ripartiva. Sapeva che la vita era una sola e che magari avrebbe trovato l’uomo che l’avrebbe resa felice come meritava, ma per lei era meglio vivere di attimi, di ricordi, di piccoli baci dolci ogni tanto ogni sei mesi che una vita intera fatta solo di ripieghi e di seconde scelte.
 
Al pensiero che nessun uomo fosse riuscito a toccare e ad avere la sua Usako, all’immagine di lei – bellissima e sensuale – un po’ triste e malinconica di fronte a sé; un turbine di emozioni che aveva cercato di tenere a freno si impossessò di lui.
Portò il braccio sulla schiena di Usagi, stringendola a sé e inebriandosi del suo respiro sul suo collo unito a quell’odore unico che era solo suo, solo della sua Usako. Per un attimo la sentì tesa dentro il suo abbraccio ma poi, pian piano, la avvertì rilassarsi.
 
Usagi si lasciò andare a quell’abbraccio. Era il suo ossigeno e doveva farne riserva per i mesi successivi. Per quel momento Mamo-chan era suo, soltanto suo. E ciò le bastava.
Gli cinse il busto con le braccia, posando la guancia sulla sua spalla.
Si sentì morire quando avvertì la mano di Mamoru sul suo ginocchio e il cuore sembrò uscirle dal petto quando la mano salì fino a sotto la vestaglia fermandosi sul bacino.
“Da quant’è che nessun uomo ti tocca così…” chiese lui, con voce piena di desiderio, facendo sempre più pesanti le sue carezze sulla coscia di Usagi.
 
Ma Usagi non rispose, cercava di regolarizzare il suo respiro che, inevitabilmente sentiva soffocare.
Portò d’istinto la mano su quella di Mamoru, che con insistenza e passione accarezzava i suoi glutei, per bloccarla:
“Mamoru, ti prego…” supplicava col cuore che le esplodeva nel petto.
 
Ma Mamoru non le diede retta, lasciò la schiena di Usagi per prenderle la nuca e avvicinare il suo viso fino a baciarle le labbra.
 
Quel bacio era per Usagi necessario più dell’ossigeno, sapeva che avrebbe complicato tutto, che le avrebbe reso tutto più difficile al momento della partenza, ma lo aveva desiderato tanto che in quel momento poco importava se fosse rimasto solo un bacio unito a delle carezze nuove, che non sentiva sulla sua pelle da ormai cinque anni.
Si lasciò andare, assaporando le labbra di Mamoru sulle sue e si stupì quando lui le dischiuse per accarezzargliele con la lingua. Istintivamente, come se fosse per lei naturale donargli ogni singola parte di sé, intrisa del suo amore per lui, gli cinse il collo con le braccia, intrecciando le dita fra i capelli neri, e gli catturò le  labbra in un bacio nuovo, più passionale. Come cinque anni prima ma con una maturità maggiore.
Lui lasciò le sue morbide labbra per un solo istante, giusto il tempo di dire:
“Ti voglio, Usako. Stanotte.”  

 
E Usagi, ammirando quegli occhi pieni di passione, per un attimo sentì il suo cuore fermarsi.
Sapeva che se avesse fatto l’amore con lui, se gli avesse concesso tutta se stessa, tra un mese ne sarebbe morta.
Rifletté qualche istante ma, come al solito, non riuscì a resistergli.
Magari sarebbe morta proprio su quel letto, ricordando quei momenti di passione e perdendosi come sempre nell’odore di Mamoru impregnato nel cotone.
Ma quella notte non le interessava.
Quella notte, voleva soltanto sentirsi viva.

 
Il punto dell’autrice
 

Questo capitolo mi è venuto spontaneo, istintivo.
Ci sono ancora tante cose su cui far luce ma piano piano inizierete a conoscere questi personaggi.
Spero il cap.  vi sia piaciuto.
Fatemi sapere cosa ne pensate, una vostra recensione è sempre molto gradita!
Un bacio e a presto!
Demy


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