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Autore: Tury    26/02/2011    1 recensioni
Un fischio, il silenzio e dopo l’esplosione. Se dovessi dare un suono alla mia vita, darei quello prodotto da una bomba. Da quel che ricordo la guerra è sempre stata la mia realtà. Correre, nascondersi, uccidere. Uccidere, uccidere, uccidere. Perché questa è la politica che vige sul campo di battaglia, perché è sempre il più forte a sopravvivere, perché…
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’oscurità, madre di questo corpo senza anima. Tenebra nera, essenza di questo essere. I miei occhi sono aperti ma non vedono. Le mie braccia sono costrette all’immobilità da queste catene che stringono i miei polsi. E la mia tunica, quella tunica che credevo aver macchiato per sempre col demone che ho dentro, quella stessa tunica ricopre ora il mio corpo. Certo, è logora e stracciata, ma è pur sempre lei, nella sua tinta bianca. Nella sua purezza. Un sorriso forzato compare sul mio volto, forzato perché non ho più forze, quest’oscurità sta divorando la mia anima. Un rumore di passi, alzo appena la testa. E incontro il suo viso a un centimetro dal mio. Un ghigno si dipinge sul volto, il mio volto. Tutti uguali, voi potenti, con quella stessa espressione stampata sui vostri visi. Quell’espressione che ho sempre odiato, che vorrei poter far sparire da questo mondo. Quell’ espressione che un tempo regnava anche sul mio viso. Parla, parole sconnesse tra di loro, prive di un significato importante per cui valga la pena prestargli attenzione. Tanto so cosa desidera da me, desidera il mio corpo, la mia anima. La mia fedeltà. Ma io non appartengo a lui come non appartengo a questo mondo. E la risposta a quest’assurdità, a questa contraddizione è sepolta nel mio passato. Io, signore della guerra, porto in me la luce. Mi colpisce in viso, si è accorto che non lo sto ascoltando. Suoni indistinti giungono alle mie orecchie tra cui ne riconosco uno, quello dolce e delicato del suo nome. Alzo di scatto la testa. Lo vedo ridere, quanto odio il suo volto tirato in quella smorfia inumana. Ho sentito il suo nome, cosa le è successo. Faccio tintinnare le catene, nel vano tentativo di liberarmi da questa prigionia.
“Vuoi andare da lei, ma non è possibile. Farah non è me che dovresti odiare ma te stessa, è colpa tua se lei morirà.”
“Lei non morirà, io la difenderò da tutti.”  Afferra i miei capelli e li tira per impedire al mio capo di chinarsi di nuovo.
“In queste condizioni? Non riesci nemmeno a badare a te stessa e pretendi di salvare lei.”
“Lei è forte.”
“Ma noi lo siamo di più!”
“Fammi tornare da lei!”
“Mi dispiace Farah, ma proprio non posso –sul suo volto compare una finta smorfia di dispiacere- ma posso farti vedere cosa le succede.”
Nemmeno il tempo di dare un senso a quelle parole che mi ritrovo in uno spazio delimitato da muri. Li conosco bene, li riconoscerei tra mille. È la stanza di Sophie, della mia Sophie. Improvvisamente la porta si apre facendomi sobbalzare. Eccola. Si guarda intorno, sembra non notarmi. Chiude la porta, vorrei seguirla ma qualcosa mi blocca. Dopo poco rientra, il suo sguardo vaga continuamente in ogni angolo della stanza, sembra stia cercando qualcosa. E poi lo sento, quel suono, soffocato, pronunciato con paura. Mi sta chiamando e le rispondo, ma sembra non udirmi. Si guarda ancora intorno. Chiama ancora il mio nome, questa volta alzando un po’ la voce. E io, come già accaduto, le rispondo, ma nemmeno questa volta le mie parole giungono a lei. Le lacrime iniziano ad inumidirle gli occhi. Voglio correre da lei, abbracciarla, asciugare quelle lacrime ma qualcosa mi blocca.
“Dovevo immaginarlo, sei solo una stronza, Farah. Ed io ancor più stronza mi sono fidata di te.”
Urlo, voglio che mi senta, la chiamo, voglio che venga da me. Ma nulla, non si muove. Sembra non vedermi… possibile che sia diventata cieca anche lei? Urlo ancora il suo nome, la mia voce è roca a causa di questo pianto. Voglio abbracciarla ma le mie braccia sono bloccate. Solo in quel momento mi ricordo delle catene che mi imprigionano. È inutile che provi a farmi sentire, è inutile che continui a gridare il suo nome. Io non appartengo più a questo mondo. L’incubo di cui avevo tanta paura e dal quale ho cercato di scappare, più veloce del vento, mi ha raggiunto. E mi ha bloccata, in questa realtà che non mi appartiene.
Sophie si stende sul letto, abbraccia il cuscino e comincia a piangere. Il suo è un pianto disperato, un pianto che ti distrugge lo spirito, che fa urlare ogni tua cellula, che tortura l’anima. È quel pianto che bagna anche il mio viso, è quel pianto che ogni tanto si riversa sul mondo. Come la pioggia, che ti rende partecipe del suo dolore. E ora che siamo noi a soffrire, il mondo piange con noi. E la nostra colonna sonora è composta dal ticchettio delle gocce contro il vetro. E il nostro lamento si sposa con questo vento impetuoso, che sembra voler piegare tutto al suo potere, sembra voglia devastare ogni cosa. Piangiamo, in silenzio, piangiamo vicine seppur troppo lontane per trovare la pace nelle braccia dell’altra. Piangiamo il nostro addio, decretato dal destino.

  
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