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Autore: LondonRiver16    27/02/2011    12 recensioni
- Sei l’unico parente vivo che mi sia rimasto al mondo, Mikey, perché ti rifiuti di capire quanto tu sia importante per me? – Non si voltò e preferì continuare a fronteggiare il fratello, ma puntò il dito alle proprie spalle per indicare il più giovane del gruppo. – Il padre di Frank me lo ha affidato in punto di morte, d’accordo? Mi ha affidato la vita di suo figlio! E voi vi divertite a rischiare di essere ammazzati!
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note: Non credo proprio che coloro ai quali vengono strappati gli occhi possano piangere, ma è uscita così ^^”

Ecco, con questo capitolo chiudo la storia… ma continuate a temere, perché ho una mezza ideuzza di tornare ad angosciarvi con qualche altra cucchiaiata di Frerard, che, si sa, provoca dipendenza u_u Perciò a presto, motorbabies, e nel frattempo remember to keep running.

Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo ^-^:

Evazick. Frank che spara a Gerard o Gerard che spara a Frank? O_O E adesso chi è il fottuto genio? Attenta, che ti rubo l’idea, corri a registrarla all’ufficio brevetti prima che mi metta a scriverci su qualcosa u_u ok, allora per quando me lo segno l’agguato che mi farai mentre vado a scuola? E che armi preferisci usare di solito? No, perché so benissimo che verrai a cercarmi, cosa credi? XD Grazie mille per la pazienza e a presto! ^-^

Rukiah. Muahahaha (semina sadismo un po’ dove capita)! Dai, ho cercato di meritarmi il tuo perdono con un po’ di dolcezza, almeno qui sotto ^^” Intanto grazie mille per i complimenti e a presto ^^

Shadows7. No che non ti voglio morta, era Mikey che doveva morire u_u Ok, ferma, scherzo scherzo scherzo, non mi uccidere, ti prego, perdono, mi è scappato! ^^” Sono scoppiata a ridere quando ho letto di Ray vestito da fatina, me lo sono immaginata! XDXDXD Purtroppo tendo a ignorarlo nelle storie, è un personaggio troppo “reale”, se sai cosa intendo… magari lo inserisco in una delle prossime opere deviate, giàggià, perché no? Grazie mille (anche per avermi messa fra i tuoi autori preferiti) e a presto! ^o^

genderblender. Grazie mille per il supporto e scusa il ritardo anche se è totalmente imperdonabile ^^” A presto!

Grazie anche a NemuChan, che ha messo la storia fra le seguite e a nishe e Raiden, che hanno messo la storia fra le preferite. E a genderblender, che l’ha messa sia fra le seguite che fra le preferite ^-^

E grazie a tutti quelli che hanno seguito la storia, in generale! ^o^

Ora me ne vo’, ci si vede al concerto il 7 marzo! \^o^/

 

VIII. Count to 17 and close your eyes[1]

 

Erano le cinque e mezza del pomeriggio e il cielo andava tingendosi di un rosa acceso nei pressi dell’orizzonte quando, gettando l’ennesima occhiata irrequieta fuori dal finestrino, a Frank parve di riconoscere alcuni tratti del panorama e si sentì più leggero accorgendosi che Jenny andava man mano rallentando in vista del parcheggio. Riusciva a intravedere, a poche decine di metri da lì, il bunker che avevano lasciato nel primo pomeriggio.

- Ci siamo – mormorò Frank a mo’ di incoraggiamento. – Ci siamo, Gee.

La stoffa ruvida dei sedili sopra i quali Gerard giaceva aveva riportato larghe chiazze color rubino e il corpo del ragazzo tremava come in preda a una febbre letale sotto la coperta di lana logora recuperata nel baule, ma Frank percepì ugualmente il fremito della sua mano nella propria e lo intese come un fiducioso cenno di assenso.

Jenny operò una delle sue straordinarie manovre per portare il furgone più vicino possibile all’entrata del bunker sotterraneo, ma all’ultimo momento si ritrovò a dover frenare di colpo, rischiando di far rotolare i due compagni di viaggio da un lato all’altro del furgoncino.

- Cazzo! – esclamò, coprendo il fischio offeso degli pneumatici. – Merda, merda, merda.

- Che succede? – domandò Frank dopo aver ritrovato l’equilibrio, ma poté rispondersi da sé nel momento in cui, affacciandosi fra i due sedili anteriori, si ritrovò a fissare la figura di Show Pony, in piedi in mezzo alla strada con le braccia incrociate. Il suo sguardo furente puntato dritto su di loro la diceva lunga, ma mai quanto il fatto che non aveva accennato il minimo movimento quando Jenny lo aveva quasi investito con il furgone.

- Non l’ho mai visto così – confessò Jenny, facendo finta di avere qualche problema nel tirare il freno a mano per guadagnare qualche secondo. – Di solito ci pensa Doctor D. a farmi la predica.

- Cosa facciamo? – chiese Frank, mordendosi il labbro inferiore.

- Be’, non è il momento giusto per fare i bambini, abbiamo un ferito grave a bordo e dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Tu cerca di aiutare Gerard a scendere, io penso a Show Pony.

Nel frattempo quest’ultimo si era spostato accanto al furgoncino, sul lato dal quale sarebbe dovuta smontare Jenny, e attendeva con fare impaziente e una maschera di collera sorprendentemente maschile in volto. Frank non fece in tempo a cercare di trattenere Jenny che lei aprì la portiera e smontò sospirando, lasciando il ragazzo con altre mille colpe di cui imputarsi.

Gli occhi fissi a terra, borbottò a Show Pony: - L’ho preso per una buona causa.

- Guardami negli occhi – si limitò a ordinarle lui.

Jenny alzò lo sguardo a incontrare il suo e fece appena in tempo a farsi carico del peso della delusione che vi lesse prima di sentire lo schiaffo del ragazzo colpirle la guancia sotto gli occhi di un mortificato Frank. Poi Show Pony l’afferrò per le spalle, dandole un paio di scossoni: - Abbiamo avuto paura che fossi morta, abbiamo supplicato intere squadre di ribelli perché vi cercassero, idioti… tutti e due voi! – Fece scansare Jenny e puntò l’indice accusatore contro Frank, che si sentì sprofondare: - Anche tu! Scendi immediatamente, hai tre secondi prima che venga a prenderti!

- Io… - riuscì solamente ad accennare Frank.

- No – s’intromise a quel punto Jenny, impedendogli il passaggio con il braccio teso e tornando a incrociare lo sguardo sbigottito del ragazzo in calzamaglia. – Avrai tutto il tempo del mondo per rimproverarci, ma più tardi. Ora è meglio che ti occupi di un ferito che ha già resistito più a lungo dell’immaginabile.

Show Pony lanciò un’occhiata interrogativa a Frank, il quale accennò con il capo al corpo di Gerard, il cui respiro stava riducendosi a un soffio sempre meno percepibile. Trattenendo il fiato, il ragazzo corse ad aprire la portiera scorrevole e sobbalzò alla vista di Gerard coperto di sangue.

- Come avete fatto… non importa. Jenny, la barella pieghevole, corri!

Senza bisogno di ulteriori sollecitazioni, la ragazza schizzò via a obbedire al comando. Mentre attendevano con ansia crescente il suo ritorno, Show Pony s’infilò nello stretto cubicolo per controllare il polso di Gerard sotto lo sguardo apprensivo del più piccolo.

- Come… come sta? – si azzardò Frank, senza riuscire a trattenersi.

Show Pony lo trapassò con un’occhiata severa e parlò con tono tanto inflessibile che per un attimo Frank soppesò l’eventualità di ritrarsi per evitare un ceffone, ma non ce ne fu bisogno: - Il polso c’è, Frank. È forse il più debole che abbia mai sentito, ma c’è. Ora non resta che sperare che la sua forza possa fare più di quel poco che potrò fare io per lui.

A scoraggiare Frank dal porre ulteriori domande ci pensò l’arrivo tempestivo di Jenny, che depose la barella già aperta accanto alla portiera e indietreggiò per permettere a Show Pony e a Frank di adagiare Gerard su quella stretta panca di metallo ai lati della quale erano stati saldati due tubi per consentire il trasporto dei corpi.

Gerard emise un gemito al momento dell’impatto, e Frank rivolse un’occhiata esasperata a Show Pony.

- Buon segno – mugugnò il ragazzo, e con un secco cenno della testa ordinò a Frank di alzare la barella dal lato opposto al proprio.

Show Pony gli fece strada giù per la stretta scalinata che conduceva al bunker sotterraneo e finì per condurlo in un corridoio più stretto di quello principale, dove le pareti erano scrostate e il pavimento presentava solchi profondi e di origine incerta. Frank stava cominciando a temere per le condizioni igieniche dell’ambiente in cui Gerard sarebbe stato curato quando Show Pony si bloccò di fronte a una porta a vetri che conduceva in una stanza rettangolare, non priva di una certa atmosfera di intimità, al centro della quale troneggiava una lastra di metallo sopraelevata, lucida e coperta da un lenzuolo pulito. Un armadio, una credenza e delle mensole zeppe di barattoli sigillati e ammennicoli vari nascondevano le pareti alla vista, e nel complesso non ci si poteva lamentare dell’immagine di pulizia che l’ambulatorio suggeriva.

- Qua dentro non si entra senza questi – lo richiamò all’attenzione Show Pony, passandogli delle pattine, dei guanti di lattice bianchi e una mascherina da chirurgo che Frank fu lesto a infilarsi.

Senza perdere altro tempo entrarono nella camera e deposero il corpo ormai privo di sensi di Gerard sul lenzuolo, che si sporcò immediatamente del suo sangue cremisi.

Show Pony si prese un secondo per riflettere: - Credo di aver bisogno d’aiuto per spogliarlo. Per favore, va’ a chiamare Jenny…

- Non se ne parla, faccio io – replicò il ragazzo, come se fosse stato insultato.

- Frank, credimi, non sai quanto potrebbe essere devastante per te.

Lui strinse i pugni tremanti e gli lanciò un’occhiata di fuoco: - Ho visto cosa hanno fatto quei figli di puttana ai suoi occhi, e non può esistere al mondo niente di più devastante, Show Pony.

Al ragazzo in calzamaglia non restò altra scelta che acconsentire con un sospiro di fronte a tanta ostinazione, ma Frank scoprì presto e a proprie spese che la perversione che Korse era stato solito sfogare su quelli che per lui non erano uomini, ma nient’altro che delle fonti d’informazioni senza dignità, non aveva limiti e perciò sarebbe sempre riuscito a sconcertarlo.

Spogliando Gerard con più dolcezza che mai ed esponendo le sue ferite aperte alla gelida e scarsa luce delle lampade, sentì qualcosa di molto simile a un proiettile trapassargli il cuore. Il suo corpo nudo era interamente coperto di rosso, e se nel caso delle gambe la fonte di tutto quel sangue erano due tagli profondi e pulsanti lungo le cosce, per quanto riguardava la schiena ci avevano pensato la marchiatura a fuoco e le scudisciate che sembravano avergli inflitto.

Ad un tratto, come in un incubo a occhi aperti, Frank lo vide già morto e cadde in ginocchio, sopraffatto, il viso fra le mani e le unghie conficcate nella carne.

- Gerard…

Non stava piangendo, la sua era una disperazione più amara di quanto qualsiasi lacrima potesse testimoniare, ma non fece in tempo a balbettare nient’altro che sentì una morsa violenta stringersi attorno al braccio. Alzò lo sguardo e incontrò quello di Show Pony, fuori di sé: - Ora basta, mi hai già fatto perdere troppo tempo – Con inusitata forza lo tirò in piedi e aspettò di averlo trascinato fuori dallo studio medico prima di lasciarlo cadere a terra. – Non sei in grado di aiutarmi. Il tuo amore eccessivo finirebbe per ucciderlo.

- C-cosa?

- Sto dicendo che se resterai qui non farai altro che rubare minuti preziosi del poco tempo che resta per salvarlo. Ti sto dicendo, Frank, che mi devi lasciar lavorare in pace se vuoi che abbia una possibilità di sopravvivere.

Frank si guardò attorno, come alla ricerca di un argomento valido con cui controbattere: - Ma io… voglio aiutarlo…

Show Pony scosse il capo, risoluto oltre la soglia della pietà: - Sei troppo emotivamente coinvolto. Frank, io ti giuro che farò del mio meglio per salvarlo, ma ora tu devi solo pensare a riposarti, perché quello che potevi fare per lui lo hai già fatto.

Frank deglutì, incapace di ribattere, ma quando Show Pony gli chiuse la porta in faccia non fece nemmeno il tentativo di riaprirla, anzi, rimase immobile con le braccia abbandonate lungo i fianchi. In cerca di una speranza tangibile a cui aggrapparsi, poggiò le mani sul vetro della porta e osservò il ragazzo infilarsi un camice, ma non appena questi iniziò ad avvicinarsi a Gerard reggendo una specie di pinza comprese la sua insistenza perché non assistesse oltre e, reprimendo un conato di vomito, si mise a correre verso il corridoio principale, tentando in tutti i modi di allontanare dalla mente il ricordo di Gerard coperto di sangue e delle sue mani impotenti di fronte a quello scempio.

I pensieri offuscati da uno smarrimento senza rimedio, impiegò qualche minuto per trovare la strada giusta, ma infine il volume elevato di un paio di voci ben familiari lo guidò fino alla cucina, dove solo poche ore prima aveva fatto la conoscenza di Doctor D. e di Jenny.

Il ragazzo si fermò con le spalle al muro e trattenne il fiato per afferrare il senso delle parole.

- Incosciente! – ringhiò la voce aspra di Doctor Death Defying. – E stupida, pure! Come se filartela con il furgone non fosse abbastanza, hai pensato bene di portare con te Frank, pur sapendo che si era appena ripreso e che le sue condizioni erano ancora precarie! Riesci a renderti conto di quanto grave sia stato il tuo comportamento?

- Vuoi lasciarmi parlare per cinque secondi? – lo bloccò in un tentativo spazientito la voce acuta di Jenny, della quale Frank si figurò subito il viso rosso per la collera.

- NO! – abbaiò in risposta l’uomo, e si sentirono le ruote della carrozzella cigolare come se sottoposte a una manovra brusca. – Sono passati tre anni, tre anni, eppure ancora non mi do pace per la morte di Javier. Per quanto coraggioso, lui era solo un ragazzo e mi sono sentito responsabile della sua come della tua sicurezza  fin dal momento in cui vi ho conosciuti. Me li sogno ancora, i suoi occhi che chiedono aiuto un momento prima che Korse ne oscurasse per sempre la luce – Seguì una breve pausa, giusto il tempo necessario all’uomo per ritrovare l’ira da cui forgiare le proprie parole. – E sarebbe potuto accadere lo stesso a te, stanotte! Avresti potuto morire come Javier, Jenny, e allora cosa avrei fatto…

- Non venire a dare lezioni di dolore a me! – scoppiò a quel punto Jenny, e si udirono le gambe di una sedia stridere a contatto con il pavimento. – Lui era il mio ragazzo, il mio ragazzo, io lo amavo! E so benissimo che razza di tormento sia ricordarlo ogni notte e sentirsi una nullità per il semplice fatto di non poterlo riportare in vita! Quindi non provare neppure a usare le lacrime che hai versato per lui per farmi sentire in colpa, perché non sei l’unico a soffrire, mi hai sentito? – singhiozzò.

Doctor D. parve esitare un attimo di troppo: - Io… ora non cambiare argomento!

Fu in quel momento che Frank decise di intervenire, prima che il senso di colpa lo riducesse in cenere mentre origliava una conversazione che stava diventando troppo intima quanto scomoda. Aprì la porta della cucina senza preavviso, cosicché sia Doctor D. che Jenny interruppero la battaglia di improperi che si stavano preparando a scagliarsi addosso per rivolgere a lui gli sguardi ammutoliti per lo stupore.

Presa alla sprovvista più dell’uomo in sedia a rotelle, Jenny si affrettò a passarsi i dorsi delle mani sugli occhi umidi e sulle gote arrossate nel disperato tentativo di mascherare le lacrime versate, poi mosse qualche passo verso il ragazzo, gli occhi celesti che brillavano di una cauta speranza: - Co-come sta Gerard? Frank?

Il ragazzo rimase inattivo per qualche secondo, la mano destra poggiata sullo stipite della porta in cerca di sostegno e gli occhi fissi a terra, asciutti e afflitti. Si sentiva sporco come non lo era mai stato prima in vita sua, sporco del sangue della persona che amava e colpevole quanto tutti coloro che avevano effettivamente versato quello stesso sangue per nutrirsi delle sue urla, esausto come se Dio in persona fosse entrato in sciopero e gli avesse caricato sulle spalle il proprio fardello millenario, e non aveva altri desideri se non quello di urlare finché la stanchezza non lo avesse vinto, concedendogli il beneficio dello svenimento.

Ma prima si sentiva in dovere di regolare i conti con la ragazza più temeraria e altruista che gli avesse mai sbarrato la strada per tendergli una mano.

- Doctor D. – chiamò, schiarendosi la voce. Incontrò lo sguardo dell’uomo e lo sostenne. – La colpa di tutto questo casino non è solo di Jenny, ma anche mia. Ho insistito molto per tornare in città, perché ero certo, me lo sentivo che Gerard era ancora vivo. Se lei non mi avesse accompagnato ci sarei andato lo stesso, prima o poi, e molto probabilmente sarei morto nel tentativo, perché non ho la sua esperienza né il suo coraggio. Per cui, ti prego – sospirò, - non prendertela con lei. Ha rischiato la vita per i miei sentimenti, ed è riuscita a salvare la mia e quella della persona che più amo al mondo.

Lasciato Doctor D. in una specie di trance, Frank fece per voltarsi e andarsene, ma Jenny scattò in avanti e gli carezzò un braccio per attirare la sua attenzione, i grandi occhi azzurri sgranati per la pena: - Frank, come sta Gerard? Che cos’ha detto Show Pony?

Il ragazzo negò con il capo, confuso: - Sta molto male. Molto male. Non so cosa accadrà, Jenny, posso solo continuare ad avere fiducia in Show Pony – Alzò una mano a sostenersi la testa, sentendola improvvisamente pesante. – Ora scusatemi, ma ho bisogno di stendermi.

- Oh, certo – approvò lei, contrita. – Vuoi che ti porti qualcosa?

- No, grazie. Voglio semplicemente restare solo.

Sottraendosi a sguardi troppo apprensivi per poterli sopportare solo un minuto in più, Frank percorse il corridoio barcollando per la debolezza finché non riuscì a raggiungere la camera di Jenny, la stanza in cui aveva ripreso i sensi quella stessa mattina, o più probabilmente alcuni decenni prima.

Si lasciò cadere sul materasso che Show Pony aveva trascinato nella stanza appositamente per lui, pigiò il volto fra i cuscinetti di cellulosa finché non sentì male e diede libero sfogo al grido che gli opprimeva il petto, interrompendosi solamente quando i polmoni iniziarono a bruciargli per l’assenza di ossigeno.

Allora si voltò supino, le braccia larghe come Cristo in croce e lo sguardo fisso su una crepa del soffitto.

Ma non era su quel panorama squallido e familiare che si affacciavano i suoi occhi, in realtà immersi in una dimensione diversa, molto più scura e soffocante, eppure irrinunciabile.

Nel proprio delirio di angoscia, Frank vedeva Gerard sotto tortura.

Aveva sotto gli occhi gli strumenti medievali utilizzati da Korse e dai suoi draculoidi, e le strisce di sangue che li sporcavano.

Sentire l’odore malsano del sangue del compagno mentre si mescolava al sudore del suo corpo nudo, percosso, sentiva il panico del prigioniero attraverso i pori della pelle.

Il supplizio peggiore, comunque, era udire le grida e i guaiti bestiali risalenti a quando Korse – sì, era stato lui – gli aveva strappato gli occhi, i suoi mirabili occhi verdi che, gravidi di tutta la sofferenza che avevano visto e provato, non avrebbero mai potuto darne testimonianza.

Frank non seppe trattenere un sussulto ripensando al momento in cui aveva svestito Gerard ed esposto le lesioni alla luce dell’ambulatorio, e si raggomitolò in posizione fetale alla ricerca di un calore inesistente ma che ricordava bene, un calore che temeva non avrebbe mai più sentito premere contro la propria pelle, un calore che minacciava di svanire per sempre assieme a tutto quel sangue.

È colpa mia. Colpa mia, colpa mia, mia, mia, mia, mia.


Trascorsero i minuti, forse le ore, forse i giorni, scivolarono sulla pelle di Frank in forma di brividi ininterrotti e gli lasciarono un sapore acre in bocca. Il bunker rimase a lungo immerso in un silenzio innaturale, quasi di lutto, e Frank ci si adagiò come una creatura senza più fede né un misero frammento di pensiero felice sopravvissuto per consolarla.

Infine udì dei passi rapidi, esagitati percorrere il corridoio e indugiare qualche secondo davanti alla porta della camera prima di decidersi a entrare fra i mille cigolii dei cardini della porta. Sebbene avrebbe preferito rimanere nel limbo che si era costruito, Frank si obbligò a voltarsi, e quando aprì gli occhi venne folgorato dall’entusiasmo solare di Jenny, che se ne stava sulla soglia esibendo il più disinibito dei sorrisi, apparentemente incapace di smettere di agitare le braccia per più di due secondi di seguito.

Frank non si sforzò neppure di sembrare partecipe della sua gioia.

Stava scivolando, lentamente ma inesorabilmente, verso un’oscurità senza ritorno che si rifletteva nei suoi occhi spenti.

- Frank! Oh, Frank! – proruppe la ragazza, correndo ad accucciarsi accanto a lui, che notò come la sua risata fresca non potesse fare a meno di mescolarsi a parole che trasudavano sollievo. - È salvo, salvo! Show Pony ha detto che è fuori pericolo! È passata, Frank, capisci, è fuori pericolo!

Frank, che aveva colmato gran parte della solitudine di quelle ore ingrate macchinando piani di suicidio nel caso Show Pony fallisse, a sentire di quel miracolo reagì con un fiacco tremore delle labbra e sottraendo il viso allo sguardo di Jenny: - Bene.

La ragazza, seppur sbigottita da una risposta così atona e improbabile, si sforzò di attribuire il tutto alla fiacchezza legata ai postumi della missione e allungò una carezza sulla spalla di Frank.

- Sei certo di non voler mangiare nulla? Ho fatto una focaccia alle noci.

Lui inghiottì a fatica e scosse la testa.

- Allora vieni, ti accompagno da lui – sorrise di rimando Jenny, alzandosi di nuovo in piedi e tendendogli la mano. – Si è svegliato da un po’, sai? Ma ho aspettato ad avvertirti finché Show Pony non mi ha detto che è pronto a ricevere visite, anche se bisogna stare attenti a non stancarlo troppo. Dai, cosa aspetti?

Frank sentì un tuffo al cuore.

Gerard era sveglio, era vivo.

Rivederlo. Baciarlo. Guardarlo.

La sua mente, implacabile, lo obbligò a rivedere l’immagine del sangue raggrumato al posto delle pupille.

I suoi occhi.

- No – sussurrò allora, trovando il coraggio di affrontare l’incredulità degli occhi cerulei di Jenny. Si tirò a sedere, ma il martellante bisogno di difendersi che provava lo costrinse a stringersi le ginocchia al petto con tanta forza che qualche osso scricchiolò. Il ragazzo si inumidì le labbra: - Non posso, Jenny. Non posso vederlo.

Lei fece per dire qualcosa. Mosse un passo avanti e poi si bloccò, sbigottita: - Ma che cosa stai dicendo, Frank? Hai capito quello che ti ho detto? È vivo, è salvo, ti sta aspettando. È… è Gerard. È di Gerard che stiamo parlando.

- So di chi stiamo parlando! – sbottò lui, saltando in piedi. – Ma io… non posso. Non dopo ciò che è successo… ti prego, ti prego, lasciami solo.

Lei scosse la testa febbrilmente, gli occhi sgranati: - Devi aiutarmi a capire.

Frank si guardò intorno, mordendosi le labbra: - No, non potresti.

- Devi farlo per aiutare lui a capire – lo interruppe lei, trattenendo a stento l’ansimare e alzando un braccio in direzione della stanza dove Gerard giaceva su un materasso, assistito da Show Pony. – Tu devi motivare questo rifiuto Frank, o lo distruggerai, capisci? Perché per lui hai ucciso un uomo, hai rischiato la vita, e non pensare che non ti abbia sentito giurargli quanto lo ami mentre correvamo qui ed era a un passo dalla morte! Perché non appena si è svegliato ti ha chiamato, ha chiamato te, Frank!

Frank si premette le mani sulle orecchie: - BASTA!

Jenny lo afferrò per gli avambracci e lo scosse quel poco che riuscì, cercando i suoi occhi.

- Perché ora non vuoi più vederlo? Perché?

Lui si liberò con uno strattone per poi accasciarsi su se stesso con un urlo. Avrebbe giurato che Jenny si sarebbe intestardita e avrebbe continuato a estenuarlo con domande dalle risposte troppo complicate, invece dopo un attimo la sentì correre fuori dalla stanza.

Ansante, indifeso, alzò le braccia a proteggersi la testa che pulsava e riprese a ripetere la monotona litania che il cuore gli suggeriva.

- È colpa mia, colpa mia, colpa mia. È colpa mia, mia, mia, mia.


Questa volta passarono solo pochi minuti prima che gli strilli di protesta di Show Pony cominciassero a far tremare le pareti del bunker: - No! Fermo! Non se ne parla neanche! TORNA INDIETRO IMMEDIATAMENTE!

Sentendo le urla nitide avvicinarsi sempre di più alla stanza dentro alla quale si nascondeva, Frank scattò in piedi, lo sguardo perplesso puntato sulla porta che Jenny aveva lasciato aperta.

- Ragiona, sei ancora troppo debole per uno sforzo del genere! Come te lo devo dire che hai perso troppo sangue? Lascia che ci pensi io a parlare con Frank, vedrai che ha solo bisogno di un altro po’ di tempo per riposarsi… per l’amor di Dio, Gerard!

Mentre il cuore cominciava a martellargli in petto con l’impazienza di una bomba a orologeria, Frank ebbe solo una visione fugace della calzamaglia a pois di Show Pony un attimo prima che il braccio nudo di Gerard gli affibbiasse una spinta abbastanza potente da fargli perdere l’equilibrio e gettarlo a terra.

- Gee – bisbigliò con gli occhi sbarrati e un accenno di mal d’aria.

La voce fiacca ma volitiva del ragazzo, intanto, lo precedette, rivolgendosi a Show Pony: - Ho bisogno di parlare con lui. Lasciateci soli, per favore.

A quel punto s’intrufolò nella camera con la rapidità di un ladro, si affrettò a chiudere la porta per non concedere a Show Pony il tempo di replicare con ulteriori lagnanze e rimase con le mani graffiate e aperte appoggiate al battente chiuso, come se avesse dovuto tenere fuori qualcosa di pericoloso, il torace che si alzava e si abbassava seguendo un ritmo accelerato che testimoniava quanta fatica gli fosse costata percorrere quei pochi metri in corridoio col suo medico alle calcagna.

Frank, appoggiato alla parete opposta, rimase a contemplarlo come un bambino di fronte alla creatura magica dei suoi sogni, sentendo allo stesso tempo delle farfalle librarsi nello stomaco e un macigno dal peso insormontabile ancorarlo al terreno.

Il suo ragazzo – vivo, era vivo – gli rivolgeva le spalle e non pareva avere l’intenzione né la forza sufficiente per voltarsi, ma anche così ai suoi occhi emanava la luce eterea di un angelo. I ciuffi di capelli rossi erano in parte sparati in aria, in parte gli sfioravano le spalle, e si poteva notare, sulla nuca, il nodo della benda adoperata da Show Pony per proteggere le piaghe appena medicate all’altezza degli occhi.

Il dorso era completamente nudo se si escludeva l’abbondante quantità di fasciature che avvolgevano la parte superiore della schiena e copriva così i segni indelebili delle staffilate. La porzione di pelle che si poteva intravedere era stata lavata dal sangue secco ed era, osservò Frank, ancor più lattea di quanto ricordava, a sottolineare l’ammontare di sangue perduto.

Un paio di pantaloni da ginnastica recuperati sul fondo di qualche armadio salvavano dalla vista delle medicazioni apportate alle cosce, ma nulla era in grado di nascondere a Frank il suono, ostinato ma esausto, del suo respiro. Poteva percepire in esso un qualcosa di sconsolante, di avvilito, che gli attaccò addosso la voglia improvvisa di stringerlo a sé, di scoprire se era ancora degno di amarlo e di sentirsi rassicurato dal tepore del suo corpo.

Fece per muovere qualche passo verso di lui, ma la reazione più fulminea di Gerard lo costrinse a bloccarsi con un sussulto. Il ragazzo batté un pugno sulla porta e rimase lì, tremante nell’eco di quello sparo nel buio, come nel disperato tentativo di trattenersi dal piangere.

- Gee…

- Aspetta – lo fermò sul nascere il più grande, boccheggiando. – Prima che tu dica qualsiasi cosa, ho bisogno che mi ascolti - Il silenzio ossequioso da parte di Frank lo spinse a proseguire dopo aver respirato a fondo due o tre volte: - Senti, io… mi aspettavo di trovare te accanto al letto, quando mi sono svegliato. E all’inizio, quando Jenny mi ha detto che non volevi vedermi, non sono… non sono riuscito a capire. Poi, però, ho riflettuto, e ora credo di comprendere, almeno in parte, la tua decisione.

Il più piccolo, certo che avesse equivocato, non si contenne e mosse un altro passo avanti: - No…

- Frank, fammi finire! – alzò la voce, e questo gli costò uno sforzo considerevole che lo obbligò a continuare più adagio. – Ti prego, lasciami finire. Io… credo di aver capito il motivo e… ti giuro che tenterò di capire anche te, se sarai sincero fino in fondo… ti capirò se mi dirai che non ne vuoi più sapere di me.

- C-cosa? – balbettò Frank, sconvolto.

Gerard appoggiò la fronte alla porta, sfinito.

- Anche se non posso vedere come sono ridotto, posso benissimo dedurlo dal dolore che provo. Devo essere inguardabile, anche se so della bravura di Show Pony come medico e non ho dubbi, mi ha dato la sua parola che il tempo guarirà tutto… tutto a parte i miei occhi, certo – Si interruppe per inghiottire il boccone più amaro, poi continuò, anche se ogni parola era come un passo su un tappeto di chiodi. – Frank, io… io capisco come tutte queste ferite ti mettano a dura prova e ci tenevo a dirti che, nonostante io ti ami ben oltre i limiti della follia, forse riuscirò a non odiarti se avrai il coraggio di dirmi chiaro e tondo, senza altri sotterfugi, che vuoi lasciarmi.

Frank si sentì mancare la terra sotto i piedi e agitò le braccia in cerca di un appoggio, sentendo che le gambe minacciavano di cedere sotto al suo peso e che la lingua faticava a obbedire al suo volere. Come poteva credere che bastasse la perversione dei membri della BL, come poteva credere che la loro totale mancanza di scrupoli potesse allontanarlo da lui? Lui, che lo aveva salvato dai draculoidi ed era stato il faro accogliente delle sue notti insonni.

Strinse i pugni e quel gemito gli uscì dalla labbra con la prepotenza di un’offesa.

- Farai meglio a rimangiarti subito quello che hai detto, Gerard Way, perché sai meglio di me che potrebbe cadermi il mondo addosso, potresti giacere in coma per tutto il resto della vita, potresti addirittura passare dalla parte della BL, ma io non smetterei di amarti. Non potrei mai. Non ne sarei capace, perché ormai dipendo da te ed è dal tuo respiro che dipende il mio e… non so più come spiegartelo, ma non smetterò mai di amarti, mai.

A quelle parole Gerard voltò la testa di lato, di modo che Frank poté constatare il pallore del suo viso. Pian piano, con la calma sapiente di una rosa che sboccia, un sorriso di pura gioia si allargò sul suo volto, e il più piccolo fu certo di vedere una lacrima scorrergli sulla guancia un secondo prima che le ginocchia del ragazzo cedessero e lui si ritrovasse in ginocchio, privo di forze.

- Gee! – esclamò Frank, precipitandosi accanto a lui, che sorrise ancora e si lasciò tirare in piedi.

- Ce la faccio – bofonchiò lui, lasciando emergere un orgoglio senza vergogna. – Ce la faccio.

- Non farmi scherzi – si raccomandò Frank, strappandogli una risatina nervosa.

Il silenzio tornò a impossessarsi di loro per qualche attimo prima che Gerard prendesse l’iniziativa, allungando le braccia alla ricerca dell’altro. Mordendosi le labbra per sopprimere la pietà che quell’immagine gli ispirava, Frank gli porse le mani in modo da congiungere i palmi con i suoi: - Sono qui, Gee. Sono qui.

Sorridendo ancora, Gerard fece scivolare le proprie mani lungo le braccia e il collo del più piccolo, poi passò a carezzargli il viso con una tenerezza che Frank credeva di aver scordato. Gli passò le mani ruvide sulla fronte, sul naso, sulle guance e infine fra i capelli neri, attirandolo a sé con un impeto più avido che Frank associava al ricordo di molte notti.

Lasciò che Gerard lo stringesse a sé con forza e gli affondasse le labbra fra i capelli, sentendosi al sicuro.

- Dio, credevo di averti perso per sempre – sussurrò il più grande. – Lo sai, è stato quando mi sono reso conto che la vita senza te non aveva più senso che ho cominciato a lasciarmi andare, in quella cella. E poi sei arrivato. Tuo padre sarebbe stato fiero di te.

- Il merito è soprattutto di Jenny – si schermì Frank.

- Senti, – continuò Gerard, avvicinandogli le labbra alle orecchie. – perché non volevi vedermi?

Preso alla sprovvista, Frank provò l’istinto di fuggire, eppure si lasciò stringere ancora di più nell’abbraccio. A quel punto Gerard dovette percepire l’accelerazione del suo respiro, perché gli diede un altro bacio leggero su una tempia e una carezza sulla guancia: - Prometto che non ti giudicherò.

- Non serve che me lo prometti, so che non lo farai – sussurrò Frank, poggiando la guancia sulla sua spalla e costringendosi a parlare. - È che… è colpa mia.

- Cosa?

- La colpa è mia se ti hanno catturato, imprigionato, spogliato, frustato, è colpa mia se non puoi più vedere, è colpa mia se hanno ucciso Mikey! – ammise con una voce più acuta del solito Frank, sentendosi più libero man mano che rivelava tutte le proprie angosce. – Non capisci, Gee? Io me ne sono andato, mi sono salvato la vita e ho lasciato le due persone più importanti della mia vita nelle mani del nemico… non credevo di meritarmi di starti ancora vicino, di occupare un minuto di più della tua vita, dopo quello che è successo… perché è colpa mia, colpa mia!

Gerard lo cinse con ancora più vigore, cercando di domare l’odio del più piccolo contro se stesso.

- Non dire queste cose. Tu sei la mia vita, capito? La mia vita non esiste senza di te, e tu non sarai mai in grado di rovinarla o di renderla peggiore, in alcun modo – lo riprese tutto d’un fiato, per poi sospirare. – Ti prenderai a sberle quando fai così. Non è in questo modo che devi ragionare.

- Ma è la verità – s’intestardì Frank, più che altro fingendo che le parole del compagno non lo confortassero per nulla. In realtà la sola presenza di Gerard, il suo abbraccio e la sua voce erano sufficienti per risollevargli il morale e attenuare il senso di colpa.

- D’accordo – sospirò ancora Gerard, paziente. – Sediamoci.

Frank lo prese per mano e lo condusse fino al materasso, dove Gerard si sedette e lo lasciò accomodare fra le sue gambe. Il più piccolo si mise comodo, sdraiandosi, e poggiò la testa su una delle sue gambe, non smettendo mai di fissarlo dal basso mentre lui gli sfiorava continuamente il viso, il collo e i capelli.

- Tutto quello che è successo, Frankie, potrà anche essere colpa tua, – esordì il maggiore. – ma devi osservare la faccenda da più punti di vista prima di incolparti così alla leggera. Prima di essere colpa tua è stata colpa mia, che ti ho costretto a lasciarmi solo perché almeno tu avessi un’opportunità di salvarti. Prima di essere colpa mia è stata colpa di Mikey, che con la geniale trovata della missione solitaria ci ha messo alle strette, ci ha costretti a seguirlo – Frank sentì un grido perforargli l’anima, ma si costrinse a farlo assopire in fretta, rapito dalla melodia intessuta dalle parole di Gerard. – Prima di essere colpa sua è stata colpa di Korse, per tutto ciò che era e che ti ha spinto a ucciderlo, se per grazia divina sei riuscito a ucciderlo. E credo che la catena si esaurisca qui, anche se volendo potrei andare avanti, aggiungere qualche spunto filosofico al mio discorso e attribuire tutte le colpe a quell’essere eterno che qualcuno dice averci creato e messi su questa Terra. Il punto della faccenda è che, alla resa dei conti, tutto questo non può essere colpa tua. E in ogni modo – aggiunse il maggiore, accentuando il sorriso che gli illuminava il volto. – Ho scoperto che non mi servono gli occhi per vederti. Mi basta toccarti o semplicemente sentire la tua voce per ricordarmi come sei e cosa mi ha fatto innamorare di te.

- Non sai quanto sia difficile crederti – fece Frank, allungando una mano a sfiorargli il mento.

- Devi solo darti un po’ più di tempo. Ti fidi di me?

- Per la vita.

- Allora conta, diciamo, fino a diciassette, e poi chiudi gli occhi. Devi promettere, però, che li terrai chiusi.

- D’accordo – annuì Frank, sottovoce.

Trascorse quei diciassette secondi a fissare dal basso il volto di Gerard, soprattutto la benda che rendeva invisibili le ferite agli occhi, cercando di immaginare come potesse corrispondere a realtà che pur essendo cieco riusciva a ricordare alla perfezione com’era. Ma fu quando, una volta arrivato a diciassette, obbedì e chiuse gli occhi che comprese, perché le memorie di tanti mesi passati assieme gli si riversarono in mente come una pioggia gelida ma delicata, conducendolo lungo la strada della loro storia.

Aveva di nuovo sedici anni, e un Gerard dalla prepotente chioma rosso fuoco gli faceva l’occhiolino dal tavolo della cucina di casa Iero, approvando il suo ascoltare di nascosto i discorsi dei grandi e strappandogli un sorriso.

 Era davanti alla vecchia casa dei suoi genitori, a notte fonda, le mani gli tremavano perché sapeva di dover affrontare la collera di suo padre, ma i suoi occhi brillavano per la richiesta di amicizia di Gerard.

Il cadavere di suo padre era riverso a metà fra la veranda e l’atrio di casa; un attimo dopo l’aria fredda della notte gli sferzava il viso, la mano sudata di Gerard stringeva la sua e il maggiore lo incitava perché corresse più forte per sottrarlo alla morte.

Ora Gerard gli stringeva i polsi, gli urlava addosso la sua supplica perché lo perdonasse, le sue labbra incontravano le sue, la maniglia della porta della camera da letto si abbassava e la chiave girava nella toppa.

Quello che Frank percepì a occhi chiusi fu, in sostanza, molto di più di quanto la sua vista gli avesse mai permesso di scorgere.

Sentì dei movimenti attorno a sé, sentì che Gerard si allontanava da lui fino a lasciarlo solo, sdraiato sul materasso, ed ebbe l’istinto di seguirlo, ma decise di fidarsi di lui e di rimanere fermo, le palpebre calate sugli occhi. Bastarono pochi secondi perché sentisse le sue gambe sovrapporsi alle sue, il calore del suo torace riscaldarlo, il suo respiro lambirgli il collo e il mento.

Le loro labbra si fusero e Frank, trafitto dalle emozioni, finalmente lasciò cadere una lacrima.

Le dita affondate nei suoi capelli, Gerard passò a baciargli il collo e, ansimando, lo pregò: - Non piangere. Frankie, non piangere.

Sempre tenendo gli occhi serrati per riuscire a vedere come l’altro, Frank cercò le sue labbra e ci affogò le proprie, singhiozzando.

- Mi sei mancato… mi sei mancato così tanto.

- Ssst – lo cullò Gerard, affondando il viso nell’incavo fra la spalla e il collo di Frank per respirare a fondo il suo profumo. – Ora sono qui. Non importa se non ci vedo più. Supereremo tutto, anche la morte di Mikey.

- Gee…

Lui, le labbra a contatto con la sua pelle perché potesse capire, sorrise.

- Questo è un nuovo inizio, Frankie. L’adolescenza è passata, e credo che d’ora in poi non avrai più bisogno della mia protezione.

- Ma…

- Intendo dire – continuò il maggiore, dopo averlo fatto tacere con l’ennesimo bacio. – che d’ora in poi non saremo più protettore e protetto. Tu sei cresciuto, il giuramento che ho fatto a tuo padre è solo lo spettro di quello che era la notte in cui sei rimasto orfano. D’ora in poi andremo avanti insieme. D’accordo?

Frank sorrise, sollevato, e si accoccolò nel suo abbraccio.

- Sì – fremette. – Sì.

E poi fu come se la stanchezza di due giorni si rovesciasse su di loro tutta in un colpo, ma senza più dolore, semplicemente in forma di un sonno sereno e senza sogni che li fece cadere entrambi addormentati nel giro di pochi secondi, non concedendo a Gerard neppure il tempo di allontanare le labbra dalla fronte di Frank.


 


[1] Da “S/C/A/R/E/C/R/O/W”, My Chemical Romance

 

   
 
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