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Autore: Miss Demy    01/03/2011    29 recensioni
C'è una melodia che suona scandendo i battiti del cuore. E' una melodia fatta di dolci ricordi, di tristi realtà, di amare accettazioni.
E' una melodia che suona quando si prova amore puro e incondizionato.
Che sia per la persona amata o per il frutto dell'amore per quella persona.
Usagi la sente suonare ogni giorno dentro di sè. Da ormai cinque anni.
Dal cap. 3:
- "Il tuo cuore batte forte, Usako."
"Sembra una melodia, Mamo-chan. Ascoltala insieme a me, stanotte."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa, Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Cap 3: Momenti di felicità

Usagi si era persa in quello sguardo seducente e magnetico, realizzando quanto desiderio l’uomo che amava provasse per lei.
In quel momento per il suo Mamo-chan esisteva soltanto lei.
Senza rispondere a quella che in realtà non era neppure stata una domanda, ma un desiderio espresso, Usagi fece soltanto parlare i suoi occhi azzurri e luminosi.
 
E Mamoru, nella sincerità delle sue iridi, colse il desiderio reciproco, la voglia della sua Usako di abbandonarsi a lui.
Le prese una mano e ne baciò il dorso per poi intrecciare le sue dita fra quelle di lei e condurla nella sua vecchia stanza da letto che ormai da cinque anni era diventata di Usagi.
 
E lì, in quella camera in cui cinque anni prima si erano amati per la prima volta, Mamoru, prendendo il viso candido di Usagi fra le mani, iniziò a baciarla sulle labbra con dolcezza prima, per poi morderle e incontrare la sua lingua in un bacio pieno di passione. Slegò il nastro bianco della vestaglia, aprendola e facendola scivolare per terra.
Iniziò ad accarezzare la sua Usako dappertutto, a memorizzare ogni centimetro di quella pelle liscia e vellutata attraverso i suoi baci pieni di dolcezza ma allo stesso tempo di desiderio.
Dopo averle tolto la biancheria intima ed essersi spogliato, la sollevò da terra per adagiarla sul letto.
 
E lì, sulle candide lenzuola di cotone, Usagi si lasciò andare; si fece trasportare dalle emozioni così forti,  dettate dall’amore incondizionato e sincero che provava per il suo Mamo-chan, abbandonandosi a lui, perdendo i sensi e ritrovando il piacere.
Lo stringeva forte, sentendolo suo, dimostrandogli la sua completa devozione, baciando quelle labbra così dolci, carnose e affamate di lei.
Solo per un attimo lui le allontanò dalle sue, sollevandosi da lei e posando una mano all’altezza del suo cuore:
“Il tuo cuore batte forte, Usako” con tono quasi pentito di ciò che in fondo desiderava con tutto se stesso.
 
Forse non era giusto fare ciò a Usagi, forse non doveva entrarle dentro e bruciarle l’anima per poi ripartire e, magari, farla soffrire di nuovo.
Forse non doveva essere per la seconda volta egoista con la persona che lui amava e che meritava la felicità.
 
Ma Usagi portò la mano su quella di lui, rassicurandolo con un tenero e ingenuo sorriso, dopo aver notato la sua esitazione e un quasi senso di colpa.
“Sembra una melodia, Mamo-chan. Ascoltala insieme a me, stanotte.”
Con la mano libera accarezzò la guancia di Mamoru, avvicinando il suo viso fino a premergli labbra in un dolce bacio.
E lì, tra sguardi complici e i loro cuori che battevano all’unisono suonando una melodia fatta d’amore e di passione,
fecero l’amore, donandosi e completandosi reciprocamente.
 
Quella notte, dopo aver trovato la pace dei sensi, dopo aver sentito incendiare la propria anima, Usagi si sentì felice, viva e felice, quando lui la strinse a sé facendole poggiare la testa sul suo petto e, accarezzandole la schiena e i lunghi capelli, le sussurrò:
“Mi sei mancata, Usako.”
Usagi sorrise, stringendosi ancora di più nel suo abbraccio fin quando Mamoru, portando una mano sotto il suo mento per sollevarle il viso, le chiese serio:
“Da quant’è che non facevi entrare un uomo in questo letto, Usako?”
Per un attimo Usagi si sentì ferita da quella domanda. Gli aveva detto che non c’era mai stato nessun fidanzato e quella domanda significava che Mamoru la considerava una come tante altre; una di quelle che si concedevano per puro divertimento.
Il suo viso sereno e rilassato lasciò posto ad un’espressione delusa:
“Mamoru, non faccio entrare gli uomini nel mio letto.”
Si voltò sul fianco opposto, dandogli la schiena e coprendosi con il lenzuolo. Perché? Perché doveva rovinarle quel momento per lei magico che aveva sognato per così tanto tempo?
 “Vuoi dire che è da cinque anni che…”
 
Usagi si sentì perfino mortificata. Com’era possibile che ne dubitasse? In quel momento capì che a lui non sarebbe interessato se lei avesse avuto altri ragazzi, se si fosse concessa ad altri.
Ed ebbe la risposta alle tante domande che si era posta ma che temeva di fare a lui. Realizzò che Mamoru, al contrario di lei, aveva avuto altre donne e, al solo pensiero, si sentì morire.
 
Annuì solamente, sentendo gli occhi lucidi e un vuoto all’anima.
 
Mamoru aveva finalmente osato domandare ciò che per tutti quegli anni si era chiesto ma che aveva sempre avuto paura di sapere.
Il pensiero della sua Usako tra le braccia di altri, sotto il corpo eccitato di uomini bramosi di lei lo rendevano pazzo di gelosia.
Ma cosa poteva fare lui? Non poteva evitare ciò, non aveva nessun diritto. Lui era partito dopo averla vista piangere, dopo aver capito che lei lo amava, non solo a parole ma con dimostrazioni, donandogli se stessa. Ogni volta che tornava a New York la pensava, non solo come la madre di sua figlia, ma come donna. Una donna, ogni volta, sempre più bella e desiderabile; e quando la gelosia lo assaliva e l’istinto di uomo si faceva sentire, con donne di cui non gli importava nulla, immaginava di essere con la sua Usako, solo con la sua dolce e piccola Usako.
 
Peccato che Usagi era voltata di spalle quando lui, vedendola annuire, aveva lasciato andare un sorriso fatto di gioia, felicità, incredulità e realizzazione di quanto, per qualsiasi cosa, sotto ogni aspetto, Usagi fosse una ragazza unica e speciale. Se Lei avesse potuto vedere i suoi occhi in quel momento, vi avrebbe letto tanto amore. Un amore unico, sincero, eterno.
 
Stringendola forte da dietro, le baciò la guancia e il collo:
“Scusami Usako, non volevo mancarti di rispetto.” Iniziò ad accarezzarle il braccio che lei aveva portato all’altezza del seno:
“Sono onorato sapendo di essere l’unico ad averti avuta. Ti prego, non avercela con me.”
 
Usagi non voleva che si sentisse onorato, lei desiderava con tutta l’anima che lui fosse innamorato di lei. Perché non lo era? Cosa c’era di sbagliato in lei? Per quanto volesse capirlo e rimediare, non ci riusciva. E quando capì che la sua mente la stava riportando ai tanti interrogativi che si poneva da ormai cinque anni, si rese conto che si stava esponendo troppo.
Ed esporsi troppo avrebbe significato la fine per lei tra un mese.
 
Si voltò di nuovo verso Mamoru, tenendo il lenzuolo all’altezza del petto e, con voce piena di dolcezza:
“Non ce l’ho con te, Mamo-chan.”
 
E lui, davanti quegli occhi così belli e luminosi, a quel viso tenero simile alla porcellana, a quello sguardo fatto di dolcezza e malinconia allo stesso tempo; non poté fare altro che abbracciarla forte a sé:
“Dormiamo così, Usako. Ti và?”
Usagi annuì, stringendosi a lui ancora di più, avvertendo un calore al cuore. In fondo, era da cinque anni che sognava quel momento e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di rovinarlo.
 
Quando Mamoru si addormentò, lei rimase sveglia per un po’, approfittando del fatto che lui non potesse notare i suoi occhi, pieni d’amore e di fedeltà osservarlo rapiti da quell’espressione beata che lui aveva in viso.
Ogni tanto lasciava qualche bacio sul suo petto, accarezzando coi polpastrelli il suo braccio e giocando con le sue dita.
Non voleva dormire Usagi, voleva vivere quegli attimi per il maggior tempo possibile.
Quando sentì che Morfeo la chiamava, uscì dal letto per rivestirsi e sbloccare la porta che Mamoru, per sicurezza, aveva chiuso a chiave. Lui non era abituato a certe cose e quindi non ci faceva caso, ma Usagi oltre ad essere una donna era anche una mamma e se la sua bambina di notte si fosse svegliata e l’avesse cercata, avrebbe dovuto trovare la mamma vestita. E se si fosse posta delle domande trovandoli abbracciati, lei le avrebbe risposto che il papà e la mamma avevano dormito assieme come due persone che si volevano bene. E Chibiusa, sapendo ciò, ne sarebbe stata felice.
 
 
Quella mattina di metà Giugno, il tiepido sole che penetrava dalla finestra, riscaldò la pelle candida di Usagi, coperta solo da una leggera camicia da notte senza maniche.
 
A riscaldare il cuore di Mamoru, invece, fu la vista della sua Usako che dormiva serena fra le sue braccia. Rimase ad ammirarla per qualche minuto, perdendosi in quello sguardo così ingenuo che lo riportò indietro nel tempo. A cinque anni prima e all’immagine della sua Odango Atama mentre gli faceva la linguaccia indispettita per quel soprannome, a detta di lei, insopportabile.
Usagi era cresciuta, era diventata una donna bellissima e matura e una madre fantastica. Ma Usagi, quando rideva, quando dormiva, quando era serena nel suo mondo in cui vivevano le persone che lei amava, era la ragazzina di cui si era innamorato anni addietro. E di cui, in quel momento come per tutti gli anni a venire, sarebbe stato innamorato.
 
Uscì dal letto per indossare i boxer e sbloccare la porta e, un sorriso pieno di ammirazione uscì spontaneo dalle sue labbra quando capì che Usagi era davvero la madre migliore che sua figlia potesse avere.
Tornò a letto non appena si accorse che Usagi stava riaprendo pian piano gli occhi; lui voleva essere lì a darle il buongiorno; lei, soltanto con la sua dolce e innocente espressione, lo aveva già dato a lui.
 
“Buongiorno Usako.”
Usagi pensò per un attimo che fossero le parole di uno dei suoi tanti sogni, ma quella mattina fu il bacio sulla fronte che le labbra di Mamo-chan lasciarono a farle capire che era tutto vero.
“Buongiorno, Mamo-chan.” Era bello poterlo dire guardando i suoi occhi blu.
“Dormito bene?”
Usagi annuì con un sorriso, dirgli che era stata la notte più bella e incredibile non era il caso, lui non avrebbe potuto capire, forse non ci avrebbe creduto neppure.
 
Chibiusa bussò alla porta per poi aprirla e poter verificare dalla fessura se la mamma fosse già sveglia. Lo faceva sempre quando si svegliava presto e non voleva più restare da sola; andava nella stanza della mamma e, se ancora dormiva, le si sdraiava accanto accarezzandole la guancia per svegliarla con delicatezza.
Quando i due ragazzi sentirono la porta aprirsi, si voltarono d’istinto e quando videro la piccola, immobile con l’espressione di chi non capiva, Usagi sorridendo la incoraggiò:
“Chibi-chan, vieni sul letto con mamma e papà!”
Non c’era imbarazzo fra i due o nelle loro espressioni, era tutto così naturale, spontaneo ed estremamente familiare.
Chibiusa sorrise, felice di poter stare finalmente con entrambi i suoi genitori sul lettone.
Corse verso di loro e Mamoru, prendendola in braccio, la adagiò al centro iniziando a farle il solletico.
Fu proprio in quel momento, in cui il suono delle risate felici della sua piccola si era unito al sorriso di Mamoru, che Usagi capì che quello era il buongiorno più bello di tutti. Molto più bello di quelli che aveva sempre sognato.
 
“Cosa vuoi fare oggi, Chibiusa?”  domandò Mamoru dopo aver baciato la manina morbida della sua piccola.
“Prima di tutto vorrei mangiare le frittelle! Poi… non so.” Ci pensò un attimo, portando l’indice della piccola mano alle labbra, poi decise: “Magari andiamo al parco!”
Davanti a tutto l’entusiasmo con cui Chibiusa aveva pronunciato quelle frasi, Mamoru lasciò uscire un sorriso pieno di consapevolezza:
“Mi ricordi tanto tua madre, Chibi-chan.” Si voltò verso Usagi notando in lei uno sguardo di chi sapeva che in fondo lui avesse ragione.
“Vado a preparare la colazione” disse quando gli occhi di Mamoru persi nei suoi le fecero battere il cuore ancora più forte.
 
Preparò le frittelle che alla sua bambina piacevano tanto; in realtà piacevano tanto anche a lei e poi quello era un giorno importante, finalmente dopo sette mesi poteva far colazione con la sua famiglia. In fondo, anche se lui non l’avesse mai amata, anche se il suo fosse rimasto solo il suo sogno più grande, per lei sarebbero stati sempre una famiglia.
 
Mamoru si stupì nel vedere il modo impeccabile in cui Chibiusa, dritta sulla schiena, faceva colazione. Guardava Usagi notando lo stesso modo aggraziato della figlia. Usagi era cambiata anche sotto quell’aspetto. In passato avrebbe divorato le frittelle in pochi minuti.
Ogni tanto, mentre masticava, Chibiusa lo guardava e sorrideva, dondolando le gambe sotto al tavolo. E Mamoru, in quell’espressione di pura tenerezza si scioglieva.
 
Quando la piccola finì di mangiare, assicurandosi che anche i piatti dei suoi genitori fossero vuoti, domandò:
“Mammina, posso andare in giardino a giocare?”
Ricordò subito e, prima che Usagi potesse risponderle, voltandosi verso Mamoru:
“Posso, papà?”
Mamoru annuì: “Certo che puoi.”
Chibiusa, contenta, scivolò dalla sedia, diede un bacio ad entrambi e corse fuori dalla vetrata aperta del soggiorno accanto al tavolo.
 
Mamoru la seguì con gli occhi, mantenendo sul viso un’espressione  piena di consapevolezza e malinconia:
“La stai educando in maniera impeccabile, Usako. Non esiste madre migliore di te”, constatò poggiando il gomito sulla spalliera della sedia, continuando a guardare la bambina che spazzolava i capelli della sua nuova bambola.
Usagi, intenta a sparecchiare, si fermò un attimo, osservando lo sguardo di Mamoru. E sorrise, fiera e felice per quelle parole.
“Mi sto perdendo tante cose” ammise con voce amareggiata, picchiettando il pugno sul tavolo.
Usagi non sapeva cosa rispondere. Mamoru aveva ragione, per quanto ci fosse la web cam e nonostante gli raccontasse sempre tutto ciò che riguardava la loro piccola Chibi-chan, sapeva che non era la stessa cosa.
Avrebbe voluto dirgli tante volte di tornare in Giappone ma poi lui avrebbe considerato sia lei che probabilmente la figlia come un ostacolo. E Usagi non voleva ciò. Se fosse tornato per sempre, sarebbe dovuta essere solo e soltanto una scelta di Mamoru.
 
Rimase in silenzio anche se la voglia di stringerlo a sé era enorme.
 
“È sempre più identica a te, Usako. Ogni volta che la osservo la noto sempre più uguale a te.”
Usagi ne era consapevole. Nonostante il colore degli occhi e dei capelli, i lineamenti, le espressioni, il viso stesso, erano molto somiglianti.
Mamoru si alzò per aiutarla a sparecchiare ma Usagi, notando in lui una tristezza che lei non voleva provasse, gli si avvicinò e, prendendogli una mano tra le proprie:
“Ma ha tanto anche di te.” Lui la guardò, curioso.
Sorridendo con estrema dolcezza, Usagi proseguì:
“È istintiva, è volenterosa, le piace fare tante domande per capire le cose. Quando le leggo le favole dice che ha tanta voglia di imparare a leggere e scrivere. Cerca sempre di fare del suo meglio.”
E con tutta quella consapevolezza, Usagi si tradì:
“È perfetta, Mamo-chan.”
Abbassò lo sguardo quando si rese conto di essersi esposta troppo ma lei era così, quando parlava della loro Chibiusa, non poteva non notare tutte quelle qualità che amava di Mamoru.
 
Mamoru, al suono di quelle parole, sentì una forte sensazione di calore al cuore.
Prese il viso di Usagi fra le mani e, quando lei lo guardò con occhi luminosi, avvicinò il suo viso: “Oh, Usako…”
Voleva ringraziarla per quelle parole con le quali aveva cercato di scacciare la tristezza e i sensi di colpa in lui.
Chiudendo gli occhi, le diede un dolce e tenero bacio sulle labbra.
Usagi visse quel momento, cingendogli il busto con le braccia.
 
E Chibiusa, voltandosi e notando i suoi genitori baciarsi, si sentì pervadere da una strana, nuova, sensazione di benessere.
Non li aveva mai visti prima in tale atteggiamento, a volte li aveva osservati abbracciarsi, ma mai scambiarsi dei baci. Sorrise, godendo di quella dolce e familiare scena.
Chissà, magari le cose sarebbero cambiate quella volta, magari anche lei avrebbe potuto avere entrambi i genitori tutti i giorni, proprio come i suoi compagni.
In fondo, lo aveva desiderato così tanto, lo aveva espresso durante il soffio delle candeline di tutti i compleanni, persino durante le preghiere al tempio della zia Rei.
Magari, dopo tanta attesa, il suo desiderio si stava realizzando.
 
Il punto dell’autrice
 

Carissimi lettori, spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
In ogni caso, ringrazio tutti coloro che mi seguono e che mi danno la spinta per continuare a scrivere anche quando credo sarebbe meglio lasciar perdere.
Un forte abbraccio e a presto :)
Se vi và, lasciatemi un vostro parere sul capitolo, ne sarei felice!
Demy

                 
 
 

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