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Autore: miss dark    03/03/2011    5 recensioni
Una storia senza cuore, l’aveva definita. Quelle, le ultime ventotto ore della sua vita, erano senza cuore? Rimase qualche minuto in silenzio a riflettere. I suoi pensieri spaziavano dall’odio verso la situazione nella propria casa, alla paura di essere sola in mezzo al nulla e senza nessuna meta. Dalla felicità che le avevano dato le parole del libro di Hans, alla stanchezza che sentiva pervaderle il corpo. Dalla strana conversazione avuta con Danny a quelle inutili e lacunose con Rosalyn. Dalle poche ma importanti risate con Lucy all’assurda voglia di parlare con quell’uomo che ora sedeva davanti a lei osservandola.
Assurdo ed improvviso viaggio di una diciannovenne dalla sperduta Rawlins alla grande ed affascinante San Francisco.
[Prima classificata al concorso "All around the world" di Fe85]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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V
Dove Annie arriva a San Francisco;
si scopre che Danny viaggia anche per amore e che Annie lo fa per vivere.

 

 

- Sai, mi è sempre piaciuto scrivere, sin dalla scuola elementare. Da quando ho imparato a scrivere, insomma. E’ una di quelle passioni che ti senti dentro e che non ti abbandonano mai. Un rifugio sicuro dove nascondersi nei momenti di confusione e di dolore; un luogo di libertà dove urlare la propria gioia o la propria disperazione. Una presenza costante in te. Come quando, da piccolo, dormi con un pupazzo che hai sempre avuto e che credi ti accompagnerà per tutta la vita. La scrittura è esattamente questo, per me. Una fidata compagna di vita e, in questo caso, di viaggio – disse Josh sognante, guardando alternativamente le proprie grosse mani e il piccolo e delicato volto di Annie che lo osservava ammirata e colpita dall’animo estremamente sensibile che risiedeva nel cuore di quell’omone.
Erano saliti sul treno da quasi un’ora e mezza, ma nessuno dei due aveva intenzione di guardare l’orologio per accertarsi della durata della loro conversazione. Fino a quel momento, si era trattato, più che altro, di un lungo monologo che Josh aveva tenuto sulla propria vita e sulla propria passione. Le aveva raccontato di un libro che aveva scritto da poco e che stava ritoccando, della prima storia che aveva scritto e della sensazione di pura felicità che aveva provato quando qualcuno gli aveva detto che aveva talento e potenzialità di scrivere qualcosa di importante e che avrebbe cambiato la vita delle persone. E’ quello che cerco di fare da cinquant’anni, alla fine. Non sono ancora vecchio, ma mi sono sempre sentito tale. Ho sempre pensato di avere una ventina d’anni in più di quelli che in realtà avevo. Era stata una delle prime cose che le aveva detto quando si erano seduti nello stesso scompartimento.
- Riesci a capire quel che voglio dire? – chiese per accertarsi che Annie non fosse annoiata da quel discorso.
- Certo, lo capisco. Non ho mai pensato che scrivere potesse significare così tanto per una persona. –
- Ah, ragazzina, conosco persone che vivono per la scrittura e che morirebbero per essa. –
Annie era incredibilmente affascinata dal potere che lo scrivere aveva su alcune persone, addirittura su quelle grandi e grosse come Josh. Lei aveva sempre considerato la scrittura un semplice mezzo per comunicare, per scrivere un compito in classe, per dare informazioni di vario genere; qualcosa di funzionale ad un’azione più importante. Non aveva mai pensato che ci fossero persone che togliessero tempo alla propria vita quotidiana per digitare parole su una macchina da scrivere, anziché andare a bere qualcosa con gli amici o vedersi con una ragazza. Certo, immaginava che la scrittura significasse molto per gli autori di grandi romanzi, ma non credeva che persone comuni avessero la capacità di scrivere cose di una certa bellezza. Avrebbe tanto voluto chiedere a Josh di farle leggere anche solo un passaggio di un suo racconto, ma si vergognava e, inoltre, l’uomo le ispirava rispetto e quella richiesta le sembrava fuori luogo. Nonostante le desse un’idea di persona stimata e saggia, però, Annie non aveva timore di parlare con lui.
- Ma sto parlando solo io e non va bene. Perché non mi dici perché sei in viaggio? Prima te l’ho chiesto, ma hai evitato di rispondere. Adesso siamo qui insieme nello stesso vagone e sei praticamente costretta a dirmelo – disse, interrompendo le elucubrazioni di Annie.
- Già, presumo di sì – rispose lei distogliendo lo sguardo dal volto rosso e non rasato dell’uomo.
- Beh, allora racconta. Sai, le storie più belle nascono dai semplici racconti di vita quotidiana. –
- La mia vita non è particolarmente eccitante. –
- Nemmeno la mia, eppure ho parlato per più di un’ora. E poi, non è necessario che sia eccitante, basta che sia una storia ben raccontata. Lo stile e il tono fanno tutto. Ricordalo. Una stessa cosa si può dire in mille modi differenti, tutti ugualmente giusti a seconda delle situazioni. Per cui, hai… - diede un’occhiata all’orologio che portava al polso - …esattamente due ore e mezzo per parlarmi di qualunque cosa tu voglia – concluse. Fissò il proprio sguardo su di lei e non lo distolse finché Annie non si decise a parlare.
- Ok…allora, se ci tieni tanto, posso raccontarti il viaggio che ho fatto fino a qui – disse Annie, cercando di evitare l’argomento “motivo della fuga”, così interessante per tutte le persone con cui parlava e così difficile da affrontare, per lei.
- Certo. E’ un buon inizio – disse lui, sedendosi meglio sul sedile, con la schiena appoggiata e le braccia incrociate davanti al petto. – Ah, scusa, ti dispiace se fumo la pipa? – chiese prima che lei iniziasse a raccontare.
- Ah, ma non è vietato? – chiese la ragazza, guardandosi attorno per cercare il cartello che indicasse il divieto di fumare in luogo pubblico.
- Sì, presumo di sì, ma, sai, non me n’è mai importato molto delle regole. Forse è per questo che faccio il Babbo Natale per la strada, tra un lavoretto e l’altro – disse estraendo dalla tasca del lungo cappotto beige una pipa marrone. – Sempre se non ti disturba, ovviamente – aggiunse, allontanandola dalla bocca.
- No, no, fai pure. –
Josh riempì di tabacco la pipa e l’accese con un fiammifero, poi, dopo aver aspirato la prima boccata, disse, rivolgendosi ad Annie: - Vai pure, sono tutto orecchie. –
La ragazza, confortata da quel clima di confidenza e dall’espressione veramente interessata dell’uomo, iniziò a raccontare quello che le era successo, da quando aveva messo il piede fuori di casa a quando si era avvicinata a lui, davanti alla stazione, descrivendo ogni persona che aveva incontrato nei minimi particolari.
Parlò per circa due ore, senza fermarsi un attimo, se non per riprendere fiato e per accertarsi che l’uomo non si annoiasse. Certo che no, racconti bene, vai avanti, rispondeva lui, e lei andava avanti, osservando, ogni tanto il paesaggio al di là del finestrino socchiuso ed ogni tanto le volute del fumo che fuoriusciva dalla bocca di Josh.
- E questo è tutto – concluse Annie dopo avergli descritto le sensazioni provate all’entrata nella stazione.
- Un’ottima storia, Annie, ma manca una cosa fondamentale, a mio parere – osservò l’uomo, togliendo la pipa dalla bocca. – Una vera motivazione per il tuo viaggio. Ok, è bello viaggiare ed ognuno dei tuoi personaggi aveva un vero motivo per farlo, ma tu, tu perché lo fai? Non si sa, non si capisce, non lo spieghi. E senza quel particolare, è una storia senza cuore. –
Annie rimase profondamente colpita da quelle parole. Una storia senza cuore, l’aveva definita. Quelle, le ultime ventotto ore della sua vita, erano senza cuore? Rimase qualche minuto in silenzio a riflettere. I suoi pensieri spaziavano dall’odio verso la situazione nella propria casa, alla paura di essere sola in mezzo al nulla e senza nessuna meta. Dalla felicità che le avevano dato le parole del libro di Hans, alla stanchezza che sentiva pervaderle il corpo. Dalla strana conversazione avuta con Danny a quelle inutili e lacunose con Rosalyn. Dalle poche ma importanti risate con Lucy all’assurda voglia di parlare con quell’uomo che ora sedeva davanti a lei osservandola. Pensò a tutto e si rese conto che in quelle ore aveva provato emozioni forti e vere come poche volte le era successo nella vita, anestetizzata, ormai, dall’abitudine ad uscire con Anthony e i suoi amici e dall’odio verso la famiglia.
- Vivere – disse, all’improvviso.
Josh annuì ripetutamente e calò il silenzio nello scompartimento.
Dopo un quarto d’ora circa, l’uomo sfilò la pipa dalla bocca e la ritirò nella tasca, dicendo: - Credo che questa sia la nostra stazione. Andiamo su, a scrivere un altro capitolo di questa tua splendida storia. –
Annie prese in spalla il borsone e sorrise. Uscirono dallo scompartimento e si avvicinarono alla porta. Accanto a loro, una donna orientale, con in spalle uno zaino dall’aspetto pesante, cercava di far smettere di litigare i propri due figli, mentre quello che aveva l’aria di essere suo marito leggeva il giornale senza curarsi di aiutare la moglie. Parlavano una lingua che poteva essere cinese o giapponese, Annie non avrebbe saputo distinguere tra le due; erano evidentemente in vacanze lì a San Francisco e stavano tornando in albergo, probabilmente per andare a passare la serata in qualche locale della città o, semplicemente, per andare a dormire dopo una lunga giornata passata a visitare una città. Annie si aspettava di rimanere colpita da quell’immagine di una famiglia non completamente felice, come la sua, ma invece non provò nessun tipo di sensazione. Pensava solamente al motivo del proprio viaggio, alla conclusione a cui era giunta dopo averne parlato con Josh. Pensava a se stessa, solo a se stessa ed era quasi felice. Era fiduciosa del proprio futuro e delle proprie capacità e non si chiedeva più se scappare fosse stata la scelta migliore. Josh la guardava compiaciuto e, quando il treno cominciò a rallentare, si girò verso la porta e diede le spalle ad Annie.
Lei, distolto lo sguardo dalla giovane famiglia, fece un passo in avanti e, quando il treno di fermò, scese subito dopo Josh. La stazione era molto più grande di quella da cui erano partiti e tantissime persone stavano in piedi, davanti alle porte, in attesa di salire sul treno. Annie, disorientata dalla moltitudine di gente, perse di vista Josh. Quando poi la gente fu salita sul treno, lo riconobbe di spalle, mentre abbracciava una donna che doveva avere, più o meno, la sua stessa età. Sciolto l’abbraccio, Josh si voltò verso Annie e si avvicinò a lei, indicandola alla donna: - Ecco, questa è Annie. Annie, lei è mia sorella Susan. –
- Molto piacere – rispose la donna con un grosso sorriso sulle labbra. Era piuttosto robusta, ma indossava un cappotto marrone che la rendeva un po’ più magra.
- Scusaci, Annie, ma dobbiamo andare via subito – disse Josh dopo che le due si furono presentate.
- Già. Mi dispiace non poterti conoscere meglio. Devi essere una persona interessante se hai spinto Josh a presentarci. Però devo andare, perché ho lasciato mio marito da solo con tutti gli ospiti. Ed in più deve tenere d’occhio quelle due pesti dei miei figli! Che vita! – aggiunse la donna, gesticolando continuamente con le mani.
Josh si avvicinò ad Annie e diede le spalle alla sorella, perché non potesse sentire quello che si dicevano.
- Beh, Annie, credo sia il momento di salutarci. Sai, io non abito qui vicino, ma nel caso ti servisse una mano, questo è il mio numero di casa – disse infilandole un bigliettino nella tasca del grosso maglione. – Hai visto, in quattro ore sarei qui, per cui, non farti scrupoli. Ti aiuterei volentieri. –
- Grazie, Josh, ma credo che starò bene, in un modo o nell’altro – rispose Annie.
- Ok. Allora ciao. Abbi fiducia in te stessa, è la cosa più importante, alla fine. E vai avanti con la tua storia, sarà sicuramente fantastica – disse l’omone, accompagnando le parole con un saluto con la mano.
- Ciao Josh – salutò Annie.
L’uomo e la donna s’incamminarono verso l’uscita della stazione ed Annie osservò le loro figure allontanarsi in mezzo alla gente che si affollava nell’edificio. Lesse su un grande orologio digitale che erano le dieci e mezzo della Vigilia di Natale, eppure molte persone erano ancora in giro per la strada.
Si avviò verso l’uscita e, camminando, si rese conto che erano undici ore che non mangiava. Non aveva fatto caso alla fame durante il lungo discorso con Josh, ma adesso che era da sola e che l’unica cosa che la disturbava dai propri pensieri era il fruscio di vestiti e il brusio della gente che la circondava, si rese conto di essere molto affamata. Si guardò attorno, chiedendosi se nella stazione ci fosse un bar aperto dove mangiare qualcosa, quando si sentì chiamare da una voce vagamente familiare.
Si girò e si guardò attorno, ma non riuscì a capire da dove provenisse la voce finché non giunse un secondo grido. Si accorse, allora, che, in lontananza, una figura alta e dai capelli neri agitava la mano per farsi notare. Annie aguzzò la vista per riconoscerla, ma era troppo distante, così decise di andarle incontro. Quando fu abbastanza vicina da distinguere i lineamenti del volto, riconobbe in quegli occhi verdi, quelli di Danny e, colta da un’inaspettata gioia, affrettò il passo verso di lui e lo salutò con un grande sorriso.
- Ehi, Annie, che ci fai a San Francisco? – chiese lui, ricambiando il sorriso.
- Ho deciso che forse è la mia città. Tu hai appurato se fosse la tua o meno? –
- Oh, io ne ero già sicuro quando te lo dissi sul pullman, ieri. –
- Solo ieri? Mi sembra passata un’eternità di tempo. –
- Ah si? A me no. Oggi è volato come niente e adesso eccomi qui, ad aspettare un maledetto treno 567 da Los Angeles – disse lui, sedendosi su una panchina lì vicino.
- Io giusto dieci ore fa ero in viaggio verso Los Angeles – lo informò lei, prendendo posto accanto a lui.
- Davvero? Che bel giro ti sei fatta per poi venire a finire qui – esclamò lui ridendo.
- Già, decisamente lungo ed assurdo! – concordò lei, annuendo col capo.
- Ma, d’altronde, la cosa più bella dei viaggi è l’imprevedibilità. –
Annie dimenticò di essere affamata e si sentì immediatamente a proprio agio, seduta lì vicino a Danny, che l’aveva aiutata sin dall’inizio, con le sue frasi e le sue considerazioni pungenti.
- E adesso che sei qui, che intenzioni hai? – chiese Danny guardandola negli occhi.
- Non ne ho idea, a dire il vero. Non so neanche dove dormire. O solo mangiare – rispose sinceramente. - Non so niente. E’ un Natale così strano, questo – considerò.
- Ah già, Natale – osservò lui, - me n’ero quasi dimenticato! Viaggio da così tanto tempo che ho quasi perso il conto dei giorni. Comunque, se mi dici che è Natale, auguri! – disse ridendo ed alzandosi.
Proprio in quel momento, infatti, il treno 567 si stava fermando davanti al binario.
- Ehi, giusto, perché sei in stazione, chi stai aspettando? – chiese Annie.
Danny sembrò non sentire la sua domanda e continuò il discorso di prima: - Comunque – disse, guardandola per un secondo e poi girandosi verso le porte del treno che si aprivano – se vuoi puoi stare a casa nostra finché non ti sistemi per bene. –
Annie lo guardò cercare qualcuno con lo sguardo, in mezzo alla folla di persone che scendevano dal treno.
- Nostra? – chiese lei, stupita dal plurale utilizzato dal ragazzo, che, dopo qualche secondo di osservazione, aveva trovato chi cercava e gli faceva segno di avvicinarsi.
- Sì, nostra – rispose Danny cingendo con il braccio sinistro la vita di un ragazzo appena sceso dal treno. – Questo è Neil, il mio splendido ragazzo di Los Angeles, venuto fino a San Francisco per vivere una splendida vita in un appartamento in periferia – disse scherzando. Il ragazzo che gli stava affianco era molto magro ed alto quanto lui; portava un paio di occhiali ed aveva l’aria di chi sa perfettamente cosa aspettarsi dalla persona che lo accompagna.
- Già, splendido a dir poco, Danny – disse avvicinandosi per baciarlo.
Annie rimase a guardarli sorpresa e quando Danny si accorse della sua espressione le chiese, scherzando: - Cos’è, credevi davvero che la mia omosessualità fosse una finzione per attirare ragazze?-
- No, ma va, solo non credevo che avessi già un ragazzo e, soprattutto, che venissi a San Francisco per vivere con lui. Credevo che il tuo fosse un viaggio spirituale verso uno dei luoghi simbolo della tradizione di trasgressione – rispose lei, continuando lo scherzo iniziato da Danny.
- In parte è stato anche per quello, sicuramente. Ad ogni modo, Neil, questa è Annie, quella di cui ti ho parlato al telefono. –
- Ah, ecco, la ragazza mora del pullman? – chiese rivolgendosi ad Annie.
- In persona – disse lei sorridendo.
- Oh, che onore! – esclamò lui, tendendole la mano.
- L’onore è tutto mio, ragazzo finora a me sconosciuto – rispose lei, stringendogli la mano.
- Beh, io non so voi, ma sto morendo di fame. Non mangio da stamattina ed è tutto il giorno che viaggio – disse Neil, guardando alternativamente Annie e Danny.
- Io ho mangiato prima di venire qua, ma credo che Annie abbia fame – rispose il ragazzo.
Annie annuì.
- Perfetto, allora, visto che l’esperto sono io, vi condurrò in un pub che ho scoperto ieri sera qui dietro e che mi ha piacevolmente colpito per la sua aria assolutamente ordinaria – disse Danny, avviandosi verso l’uscita dalla stazione. Gli altri due lo seguirono, affiancandolo nel cammino. - Annie, credo che tu abbia deciso di accettare la mia offerta di ospitalità, non è vero? – chiese rivolgendosi alla ragazza.
- Se non è un problema, sì. –
- Nessun problema, ho dormito con gente molto meno carina e molto più puzzolente – rispose Danny, dandole un buffetto sulla guancia. – Ragazzi, si preannuncia un periodo molto interessante. Il primo giorno di questa mia nuova vita, festeggio il Natale con il mio ragazzo e con quella che potrebbe diventare con estrema facilità la mia migliore amica! – esclamò, eccitato.
Annie sorrise e sentì che aveva finalmente trovato il proprio posto e la propria vita.
La radio interna alla stazione trasmetteva una canzone dei Nirvana ed Annie pensò immediatamente a Tedd e Rosalyn, che stavano sicuramente passando il loro Natale in famiglia, davanti ad un camino acceso; all’uscita dalla stazione, non poté fare a meno di notare una prostituta bionda, appoggiata al muro di una stradina secondaria, che le fece tornare in mente Lucy, che, per una notte, era a casa di sua madre a festeggiare; appena entrarono nel pub, una folata di fumo la investì e le fece ricordare le ultime parole che Josh le aveva rivolto: vai avanti con la tua storia, sarà sicuramente fantastica.
Pensò a tutti quegli strani personaggi che aveva incontrato e, soprattutto, pensò che Josh aveva ragione, che dopo tutti quegli anni passati a reprimere i propri sentimenti, dopo quel breve ed assurdo viaggio che l’aveva aiutata ad evadere dal passato, il futuro non poteva che essere fantastico. Aveva fiducia ed era pronta, finalmente, a vivere davvero.












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Finita così?
Sì, finita così. Qualcuno mi ha detto che avrei potuto trovare un finale migliore, che si aspettava qualcosa di più definitivo. Ma, oltre al fatto che per il concorso vi era un limite di pagine, ho pensato che la vita degli adolescenti non può essere scritta con certezza. Sono così imprevedibili e lunatici da rovesciare ogni situazione, come mi disse la ragazza, l'amica, a cui dedico questa storia.
Spero vi sia piaciuta. Spero vi sia servita. Spero vi abbia fatto riflettere e, soprattutto, spero che vi abbia comunicato qualcosa.
Vorrei ringraziare soprattutto l_s, la mia adorata Lucretia, per avermi regalato quel fantastico libro che è "On the road", che mi ha cambiato la vita e che mi ha ampiamente ispirata per scrivere questa storia.
In secondo luogo ringrazio chi ha messo questa storia tra le seguite/preferite, ma soprattutto chi l'ha commentata, in particolare Ss904, che ha sempre sempre commentato. Grazie (:
Beh, direi che questa cinquantesima storia della miss è finita.
Io ne sono estremamente soddisfatta, e voi?
Alla prossima,
Miss dark.

  
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