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Autore: persikka    13/01/2006    2 recensioni
"Mutevole, litigiosa, allegra, goffa, piena di grazia, quella grazia acerba della sua sub-adolescenza da puledra, desiderabile in modo tormentoso dalla testa ai piedi." - Lolita, Vladimir Nabokov
Nuova fic! :'D Si tratta di una storia che sto scrivendo da poco ma che ho in mente da un sacco di tempo. Il protagonista è sempre il caro Rem (*_*), questa volta impegnato con una studentessa... sperando di non scrivere ovvietà nè tantomeno oscenità... =_=
Commentate plz! :'D
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Remus Lupin, Sorpresa
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 4

Capitolo 4. Looking back, was fated from the start

 

 

Aveva i capelli castano talmente scuro da sembrare neri. Di un bruno dalle ombre color carbone.

Né un caldo color castagna, né il freddo nero pece.

Irrimediabilmente mediocre, si ripeté Griet con uno spasmo di fastidio mentre portava anch’ella le braccia al petto.

Dopo aver sorriso ad Arabel, Mimosa portò gli occhi scuri come pozzi su di lei, sorriso tramutato in un ghigno supponente. La Grifondoro roteò gli occhi e spostò il peso da un piede all’altro.

Stettero senza parlarsi per una manciata di secondi; la Serpeverde, minuta, nella sua divisa verde argento, arrogante, con quel viso affilato e gli occhi dal taglio elegante, immobile ma fremente d’impazienza, aspettando solo un cenno dell’interlocutrice per iniziare l’inevitabile scontro verbale.

Uno schiocco di lingua, come una vipera, precedette il saettare delle iridi color inchiostro di Mimosa, dalla Grifondoro alla cugina, portatasi affianco della Black.

“Allora, Arabel, ti va di unirti a noi oppure preferisci rimanere in mezzo alla feccia Grifondoro?” sibilò con le palpebre pesantemente abbassate, come a darsi un tono, poi fece una pausa enfatica, studiando le reazioni della sopraccitata feccia con la coda dell’occhio.

Limitandosi a roteare gli occhi in segno di noia, Griet pregò che Caroline trattenesse Joel dal fare cose estremamente stupide e si concesse una ravvivata ai capelli color rame. Erano ancora un poco bagnati.

E adesso, reagisci.

Osservando, non senza un vivo disappunto, che nessuno sembrava intenzionato a scomporsi, Mimosa serrò le dita attorno al polso affusolato di Arabel e si girò, con la chiara intenzione di andarsene; poi parve ripensarci e tornò a girarsi, incontrando gli occhi di Griet in un guizzo fiammeggiante.

“Dimenticavo, faresti meglio a non mischiarti più a certa gentaglia, se tieni alla tua reputazione…” gracchiò, con gli occhi stretti in due fessure cattive.

Questa volta Griet sentì distintamente alle sue spalle lo scatto irato da Joel, poco prima che Caroline avesse il tempo di bloccarlo e ricondurlo al buonsenso. Sospirò.

Risponderle a tono non avrebbe certo fatto di lei una persona superiore né matura, ed aveva la certezza che fosse proprio il comportamento desiderato dalla Serpeverde.

Accennò un sorriso sarcastico e la dominò dall’alto del suo metro e settantadue centimetri.

“La mia reputazione si è mantenuta alta proprio perché, finora, non ti sei mischiata a me, Black” mormorò tranquillamente Griet.

Le guance regolari della minuta Serpeverde si imporporarono leggermente mentre le sue sopracciglia curate s’inarcavano profondamente e le labbra color ciliegia s’irrigidivano. Non ci era voluto poi molto perché sul suo visino composto apparisse un’ombra di irritazione, sottolineò a sé stessa Griet. Ora Mimosa la stava fissando con asprezza e la Grifondoro era certa che stesse solo scegliendo la sfilza più altisonante di insulti da vomitarle contro.

Mentre la brunetta stava a labbra serrate, Griet si rivolse placidamente alla cugina, sul cui viso poteva scorgere un plateale sconcerto.

“Perché? Non mi sono forse comportata da perfetta lady?” la punzecchiò, sorridendole appena.

Arabel si riscosse, parendo accorgersi solo in quel momento che le attenzioni di Griet si erano spostate da Mimosa a lei. Fissò gli occhi color muschio della ragazza che le si trovava a pochi passi ed inarcò le sopracciglia, facendosi seria.

“Non mi prendere in giro, Griet” fece, in un tono che non voleva lasciar spazio ad alcuna replica.

Dando prova di voler deliberatamente ignorare il suo monito malcelato, Griet seguitò a sorridere al suo indirizzo senza però aggiungere una parola. Accanto ad Arabel, Mimosa la fissava con astio. Ben presto anche Arabel l’avrebbe guardata con gli stessi occhi, era inevitabile, Griet lo sapeva in cuor suo e ne era preparata; anche l’ultimo componente della famiglia che ancora si manteneva in rapporti con lei, le avrebbe voltato le spalle per andare ad occupare il posto che gli spettava di diritto da quando era nato con la P di purosangue stampata a fuoco nell’orgoglio.

Molto più probabilmente, invece, era stata lei ad essere marchiata a fuoco. Ed era la parola mezzosangue a stagliarsi sulla sua pelle chiara, al buio di un matrimonio sbagliato, al cospetto di sguardi che la disapprovavano, sotto il cono di luce della diversità non cercata.

Chiuse per un attimo le palpebre, non poteva fare a meno di incolpare Arabel per essere nata così apparentemente… perfetta.

Sarebbe finita in Serpeverde, sarebbe diventata la Hawkins realizzata che i suoi nonni aspettavano da tempo, avrebbe reso la casata molto orgogliosa di lei e avrebbe finalmente tagliato i ponti con Griet.

Di scatto riaprì gli occhi.

La odiava, per tutto questo, perché lo sapeva, che avrebbe potuto evitarlo.

O meglio, nutriva l’illusione che avrebbe potuto farlo.

Sollevò lo sguardo sulla cugina e, dopo aver incontrato i suoi occhi color nocciola, sbuffò e scosse il capo.

“Allora ti lascio ai tuoi nuovi amici, ci vediamo in Sala Grande” tagliò corto, senza tradire emozioni.

Come mosse un passo Caroline e Joel le furono accanto, riservando sguardi traversi alle due ragazze che si lasciavano alle spalle, ma non fecero molta strada che una voce bassa e calda li raggiunse.

“Ma certo che ci vediamo, Hawkins… nostro malgrado, ovviamente!” aveva esclamato una voce di ragazza con un tono provocatorio e il chiaro intento di sottolineare che il loro discorso non era finito.

I tre Grifondoro si voltarono quasi in simultanea per trovarsi di fronte al viso spocchioso e raffinato di Chastity Rae Schroeder e, accanto a lei, più alto di una manciata di centimetri, largo di spalle e col mento mal rasato, la controparte maschile di Mimosa: Gherard Black.

Messi così sembravano veramente cane e padrona.

“Guarda che a noi non dispiacerebbe affatto non avervi attorno tutto l’anno, quindi perché non…” cominciò Caroline, ma Chastity non diede segno di averla né vista né sentita e si rivolse, socchiudendo i begli occhi castani, a Griet.

Il viso di Caroline si fece scarlatto, ma, serrando le labbra, ascoltò la voce calma e compita della Serpeverde diretta all’indirizzo dell’amica.

“Niente da dire, Hawkins?” mormorò con le belle labbra piene, increspate in un sorriso.

Griet le rivolse un’occhiata indifferente tentando di mascherare il fastidio che quella ragazza così bella e raffinata sapeva provocarle. Non era come con Mimosa, lei era un’ochetta stupida dedita a spargere veleno attorno a sé senza mai centrare veramente il bersaglio, sapeva essere facilmente ed estremamente sboccata, nonostante il suo cognome avesse dovuto essere una specie di garanzia. Chastity era completamente diversa, di una bellezza folgorante, con i capelli lunghi, lucidi e di un corvino profondo, che slanciavano la già elegante figura sottile, gli occhi grandi e lievemente orientaleggianti con lunghe ciglia scure e quelle candide mani affusolate dalle unghie perlacee, sempre curate; solo a riservarle un’occhiata superficiale si aveva l’immagine di una ragazza dall’eleganza e raffinatezza innate e, nonostante possedesse un’irritante, insopportabile, presuntuoso, maligno e quantomai dispotico carattere, la raffinatezza e l’eleganza erano certamente due qualità che possedeva.

“Cosa vuoi sentirti ringhiare, Schroeder?” il tono di Griet era basso e freddo.

Chastity rise e Mimosa, dopo averla guardata, incerta sul da farsi, si unì a lei con una risatina stridula. Gherard sorrideva, le braccia incrociate al petto.

“Che linguaggio…” mormorò la bella Serpeverde, portandosi una mano al viso, in un tono che era troppo alto per non essere udito, ma troppo basso per non dare l’impressione di trattarsi di un pensiero comunicato solo per sbaglio ad alta voce.

“Voglia sua signoria perdonarmi…” fu la sarcastica obiezione di Griet.

“Poiché sei così sporca ed infima da non riuscire a sostenere un tono decente di conversazione, Hawkins…” bisbigliò la Serpeverde, fissandola con occhi scintillanti.

Griet s’accorse d’essersi irrigidita di scatto, serrando le labbra e i pugni lungo i fianchi, solo quando Joel le sfrecciò accanto, con la precisa intenzione di mettere le mani addosso alla Serpeverde che, del tutto tranquillamente, sorrideva sorniona. La Grifondoro osservò l’amico menare uno spintone a Gherard, che, per tutta risposta l’afferrò per il colletto della divisa, bloccandolo a metà dell’azione, e in un attimo nel corridoio s’era formato un capannello di gente ad osservare la furiosa lite dei due ragazzi. Questo, almeno, finchè la ben nota voce imperiosa, dura e tagliente della professoressa McGranitt non echeggiò per il corridoio.

“Volete spiegarmi cosa sta succedendo, qui?”

La frase era stata pronunciata senza urlare, con una freddezza semplice e concisa, tipica della donna alta e secca che ora osservava Joel e Gherard, ancora presi nell’atto intrecciato di mettere le mani addosso l’uno all’altro. Tutti si voltarono verso Minerva McGranitt e tacquero.

“E insomma, voi due, Murray, Black, levatevi le mani di dosso! Dovreste ben sapere che le risse non sono ammesse!”

Ubbidendo all’ordine i due s’allontanarono d’un passo e la donna, dopo avergli scoccato uno sguardo di disapprovazione, si rivolse a Griet e Chastity, in piedi ancora una in fronte all’altra. Il suo sguardo era severo, le sopracciglia inarcate, la fronte attraversata da una ruga sottile.

“Debbo avere ragione di credere che c’entriate anche voi due, vero?” la domanda fu seguita da un significativo movimento delle sopracciglia.

Griet sbuffò lievemente, fuggendo il suo sguardo inquisitore ed aspettò che fosse l’altra a giustificarle entrambe. Sentì distrattamente la vocetta leziosa di Chastity argomentare la loro (la propria) estraneità allo spiacevole inconveniente che, professoressa può starne sicura, non si ripeterà più!

Griet smise di ascoltare passandosi una mano tra i capelli e roteò lo sguardo; stava giusto pensando di allontanarsi quando il suo sguardo venne calamitato dalla figura conosciuta di un uomo in piedi accanto alla professoressa. Si arrestò di scatto con ancora le dita impigliate tra i ciuffi ramati e sbarrò gli occhi su di lui. Come aveva potuto non accorgersi della sua presenza? Lo studiò, avvertendo il sangue imporporarle le gote… lui non sembrava prestarle attenzione, si limitava a fissare l’insegnante mentre storceva il naso con aria severa all’indirizzo della Serpeverde, e sorrideva.

Era un sorriso appena accennato, timido, quasi involontario.

Griet si costrinse a distogliere lo sguardo. Distrattamente si lisciò il mantello e la gonna, poi, dopo aver strizzato gli occhi un paio di volte, si decise a rialzare lo sguardo.

Inevitabilmente il suo sguardo era per lui.

Arrossì, constatando che l’occhiata era stata ricambiata. E che quel sorriso ora era rivolto a lei.

Non volse altrove gli occhi, restò a guardarlo, tormentandosi il labbro con i denti, torcendosi con distratto nervosismo le maniche.

 

Perché la studiava a quel modo? Non avrebbe saputo dirlo. Era anche sbagliato da un punto di vista etico; stare a fissare così morbosamente una studentessa era proprio quel genere di azioni che avrebbe dovuto segnarsi fin da subito sulla lista delle cose-da-non-fare.

Principalmente era sbagliato da un punto di vista pratico.

Perché il commettere certe imprudenze avrebbe potuto costargli la perdita della fiducia tanto difficilmente guadagnata (e compromettere i già ben logori rapporti che intratteneva con le persone normali). Ne aveva già fin troppi di problemi per concedersi leggerezze del genere.

Considerate le premesse, analizzate le conseguente e tratte le debite conclusioni, Remus Lupin decise di distogliere senza preavviso il caldo sguardo color miele da Griet.

 

E lei smise immediatamente di tormentare la stoffa umida del mantello. Il sorriso era sparito dalle di lui labbra sottili, non si vedevano più quelle leggere rughe d’espressione che lo addolcivano.

Con le braccia a penzoloni lungo ai fianchi si voltò anche lei, senza però smettere di pensare che avrebbe voluto sentir ancora su di lei il suo sguardo.

“Signorina Hawkins!”

La voce dura della professoressa, poco discosta da lei, le ricordò senza mezzi termini che il suo problema, attualmente, verteva su altro.

La testa che si abbassa in un debole cenno di asserzione, incurante dei capelli ramati che le scivolano sul viso dal colore dolcemente purpureo.

“Debbo dunque aver ragione di credere che c’entri anche lei, in questa lite?”

Osservò la piccola ruga che andava ispessendosi, tra gli occhi felini della donna, mano a mano che i secondi passavano, mentre lei era solo capace di fissarla con le labbra strette ed un senso di bruciore violento sulle gote, come se qualcuno le avesse sferrato uno schiaffo.

Deglutendo impercettibilmente scosse il capo, mormorando un debole e roco “no”.

La professoressa McGranitt inarcò profondamente un sopracciglio, gettandole un’occhiata dal significato fin troppo chiaro da sopra i suoi occhiali severi.

“Spero di non rivedere episodi del genere anche durante l’anno scolastico, ed ora siete pregati di raggiungere gli altri in Sala Grande, lo smistamento sta per iniziare…” sentenziò, per poi girare i tacchi e sparire lungo il corridoio umido.

Lupin aveva appena avuto il tempo di volgere un’occhiata fugace a Griet, prima di seguire la donna, portandosi dietro anche lo sguardo della Grifondoro. Lo aveva fissato andar via e scomparire tra gli ultimi studenti che affollavano l’ingresso, lo aveva osservato nella sua veste logora e bagnata di pioggia, sentendo ancora nelle narici il profumo familiare che l’aveva avvolta poco prima, sul treno. Un muscolo le si contrasse all’angolo della bocca e, distogliendo lo sguardo, si voltò; Arabel e gli atri Serpeverde se n’erano andati.

“Li odio quelli…” il ringhio basso di Joel raggiunse le sue orecchie, seguito dal sussurro lieve di Caroline.

“Sarebbe meglio fare come ha detto la McGranitt…”

Griet annuì con fare distante, legandosi i capelli con un elastico.

Pensava ancora agli occhi scuri e freddi di Chastity mentre camminava a fianco di Caroline verso la Sala Grande, rifletteva su quanto aveva detto e non poteva fare a meno di temere il giorno in cui anche Arabel sarebbe venuta da lei e le avrebbe detto le stesse parole. Il viso da bambina della cugina le guizzò alla mente come un fulmine doloroso, poteva distinguere chiaramente le belle labbra rosee piegate in una smorfia severa, e gli occhi, duri come pietre, e la voce, ora mutata, più fredda, più sicura, gridare, come una sentenza.

Sentì la luce calda ed accogliente della Sala Grande inondarle il volto come una cascata, non appena mosse un passo oltre l’imponente portone di legno intagliato. D’istinto, i suoi occhi si posarono sull’ampio stemma scarlatto che troneggiava al di sopra della tavolata dei Grifondoro.

Si sedette accanto a Caroline mentre un battito di mani della professoressa McGranitt faceva calare il silenzio in sala; distrattamente fece vagare lo sguardo attraverso la grande stanza, i nomi dei ragazzini smistati le risuonavano vacui nelle orecchie.

Grifondoro, Corvonero, poi ancora un Grifondoro… applausi dalla sua tavolata, scroscianti e coinvolgenti. Applaudì anche lei, senza prestar veramente attenzione a chi andava unendosi a loro.

E così di seguito… uno scaltro Serpeverde, una manciata di gentili Tassorosso, un paio di Grifondoro dal cuore impavido, ancora un Serpeverde - non che vi prestasse molta attenzione, ma ne aveva già smistati due? – e di nuovo una coppia di Corvonero che di sicuro non erano sorpresi della decisione del Cappello Parlante, a giudicare dalle loro espressioni compiaciute.

Ma non avrebbe saputo proseguire, lo Smistamento non era una cerimonia che la entusiasmava. Non ne aveva un ricordo piacevole; quando era toccato a lei, sette anni prima, l’aveva assalita un’ansia selvaggia e, mentre trotterellava verso lo sgabello, magra come un rametto in inverno, aveva perfino temuto che nessuna delle case sarebbe stata quella giusta per lei. Aveva saputo fin da subito che non era Serpeverde quella che le sarebbe spettata, quando proprio la sera prima di partire aveva ricevuto la visita dei nonni che avevano tacciato suo padre, una volta in più, di essere la vergogna della famiglia e lei, la piccola sporca bastarda con cui si era macchiata la lunga e nobile tradizione degli Hawkins.

Corvonero, allora? Ma non si era mai sentita intelligente tanto da potervi aspirare… e Tassorosso? Sospirando, si era convinta che la sua destinazione sarebbe stata proprio quella. D’altro canto, non era stato proprio il Cappello Parlante a dire che la buona Helga Tassorosso accoglieva tutti tra le sue braccia di mamma?

Aveva mosso un passo e si era seduta, con il logoro cappello calato sugli occhi che le sussurrava parole dal suono roco e quasi brusco.

Finirò a Tassorosso, vero…?

E invece che sorpresa quando quello, dopo un mugugnare lento, aveva spalancato lo strappo consunto e aveva urlato a gran voce, facendo risuonare la Sala Grande:

“GRIFONDORO!”

 

Griet sbatté le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto che anche l’ultimo mago andava a prender posto accanto a Martika Patel, una ragazza scialba ma dallo sguardo deciso del sesto anno di Tassorosso. Ed ecco che subito dietro a lui, incedeva con passo incerto Arabel.

Abbassò gli occhi mentre lei si sedeva. Li chiuse mentre le veniva calato il cappello sul capo.

Tanto lei già lo sapeva, perché Arabel non era la piccola bastarda che aveva rovinato la tradizione purosangue della casata degli Hawkins… ma un gemito soffocato sfuggì lo stesso dalle sue labbra tirate in una posa infastidita mentre l’oggetto magico scandiva a chiare lettere

 

“SERPEVERDE!”

 

e la Sala Grande si riempiva degli applausi entusiasti degli studenti verde-argento.

 

 

  
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