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Autore: Arashinoharuka    07/03/2011    4 recensioni
"Sentivo la musica che avevo scelto scaricare i suoi decibel sugli invitati. Nel salone, come del resto in tutto il resto della casa, avevamo fatto in modo che la luce fosse soffusa e leggermente giallastra, per dare all’alto soffitto scuro l’impressione di essere un cupo cielo notturno senza stelle."
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Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Protect me from what I want;
 
 
 
Dopotutto era l’ultimo giorno prima del ballo, non potevo permettermi di rimanere a casa a crogiolarmi nei ricordi, come ormai facevo tanto spesso. Lily mi aveva già chiamata. Decisi di accontentarla, ecco tutto: un pomeriggio a provarsi vestiti per il ballo del giorno dopo non poteva essere così terribile. Avrei sopportato.
Ma non riuscivo proprio a ridere. Rimanevo seria per molte delle sue battute, per alcune accennavo un sorriso che spariva in fretta. Mi ero portata i ricordi con me. Non ce l’ho con te, sono solo un po’ giù, ecco tutto. Sorriso falso, tutto passato: altre sfilze di colori sul suo perfetto corpo da ninfa, il fruscìo morbido dei tessuti sulla sua pelle abbronzata. Mi costrinse persino a provare un vestito rosso, leggero, di un tessuto irriconoscibile che poteva sembrare raso. Era dello stesso colore del sangue, ma più vellutato, come il fragile interno di una rosa rossa. Me ne innamorai subito.
La sera dopo, provandomelo allo specchio della mia camera, non ero più tanto sicura. In fondo non ero mai stata una di quelle che possono permettersi di mostrare le gambe con orgoglio, e forse il colore cozzava troppo con i miei capelli castano scuro. Ma non avevo un cavaliere, quindi non mi preoccupai troppo del mio aspetto. Continuando a guardarmi nello specchio incrinato, mi sciolsi i capelli che mi ricaddero mollemente sulle spalle e mi truccai pesantemente gli occhi di nero. Potevo sempre dire di essermi mascherata da dama stile diciottesimo secolo, e poi nessuno avrebbe badato così tanto alla figlia della proprietaria della casa prestata per ospitare il ballo scolastico di Halloween.
Scesi le scale fino all’immenso salone del ballo. Mi sentivo in armonia con la casa, con quel vestito vittoriano, mentre scendevo la maestosa scalinata che curvava leggermente verso l’ingresso. Il salone era stato decorato con drappi blu notte sopra le finestre e abbondanti ragnatele finte spuntavano in ogni angolo. I cardini di tutte le porte affacciate sulla sala erano stati opportunamente resi cigolanti  con chissà quale sostanza acida. Mia madre entrò dal portone di ingresso, che emise un lungo gemito straziante, simile al miagolio di un gatto in fin di vita.
Trovavo tutto questo estremamente esagerato.
-Oh, tesoro. Sei meravigliosa in quell’abito.- Mia madre mi sfiorò il viso con le lunghe dita affusolate, poi ritirò la mano quasi scheletrica. –Gli invitati dovrebbero cominciare ad arrivare a breve, madame-, disse Mrs. Galloway, l’unica domestica che mia madre continuava a tenere. Chissà come mai aveva l’abitudine di chiamare mia madre ‘madame’, quasi a volerci ricordare ad ogni parola le nostre origini francesi.
Il mio unico compito era occuparmi della musica. Avevo selezionato qualche centinaio di canzoni spettrali adatte al tema ‘festa dei mostri’, per accontentare gli altri invitati e soprattutto il ragazzo che aveva promesso tutta l’attrezzatura per garantire il sottofondo musicale adatto. Appoggiai accanto all’amplificatore al quale il ragazzo, Vic, vestito con uno smoking nero e camicia inamidata, stava lavorando, i dischi su cui avevo registrato la sequenza della musica. –Ehi, Vic. Ti ho portato i dischi.-, dissi, a voce bassa. Lui rispose con un vago ringraziamento e continuò come se io fossi già sparita.
Tornai nella mia camera e aspettai finché non fui sicura che la sala fosse piena. In totale dovevano esserci almeno settecento persone, compresi gli ‘amici di famiglia’ che mia madre aveva invitato da non so quale parte del mondo, i figli e i pochi professori volen-terosi che si incaricavano di recarci il minor disturbo possibile da parte dei loro alunni.
Scesi nuovamente le scale, sperando di non essere vista. Oltre al salone, avevamo lasciato libera quasi tutta la casa, chiudendo a chiave le porte troppo private per essere aperte da gente che persino io conoscevo a stento. Nel corridoio di sopra, quello su cui dava la mia camera, si era già nascosta la prima coppietta. Sentivo la musica che avevo scelto scaricare i suoi decibel sugli invitati. Nel salone, come del resto in tutto il resto della casa, avevamo fatto in modo che la luce fosse soffusa e leggermente giallastra, per dare all’alto soffitto scuro l’impressione di essere un cupo cielo notturno senza stelle.
Mi confusi tra la folla, evitando categoricamente la pista da ballo che si era inevitabilmente formata al centro della sala. Vagando tra la folla, sommersa nei ricordi, lasciai lo sguardo vagare innocuo per la sala e le persone che incontravo. Di tanto in tanto alzavo la mano e sorridevo lievemente per salutare qualche ragazzo che conoscevo, ma evitai i vecchi amici di mia madre, forse perché non volevo dire nemmeno una parola in francese, forse perché anche in mezzo a quella marmaglia volevo rimanere semplicemente sola.
Come un’inutile involucro che conteneva dolore, ricordi sfocati e tristezza.
Mentre il mio sguardo vagava, per caso vidi un ragazzo, non molto lontano da me. Mi guardava con pesanti occhi scuri, color nocciola, pensai. I lunghi riccioli ramati creavano come una cornice intorno al viso bianco come il marmo. Aveva le labbra perfettamente disegnate, del colore dei petali della più bella delle rose. Le sue labbra si schiusero lentamente in un affascinante sorriso, mentre continuava a fissarmi in quel modo insistente, forse quasi sfacciato. Sentii la testa che prendeva a girarmi, vedevo la sala del ballo come da una grande distanza, la gente sembrava non vedermi, non accorgersi che mi sentivo male. Poi la situazione tornò stabile.
E poi cominciai a sentire quella voce nella testa.
- I tuoi ricordi sono tristi, ragazza.
Stupidamente, pensai “Il mio nome è Agathe”,invece di qualcosa di più utile come “Chi sei tu” oppure “Perché mi parli nella testa”.
-Agathe.
-Sei stata abbandonata da tutti.
Rimasi zitta. Come faceva, l’essere che mi parlava telepaticamente a conoscere i miei ricordi?
-Ti sei sentita odiata, disprezzata, dimenticata, vero, Agathe? Nessuno si è comportato bene con te. Non ti preoccupare di come so le cose, cara, è l’ultima delle tue maggiori preoccupazioni, adesso.
Chi sei, ho pensato disperatamente, voglio sapere chi diavolo sei.
Sentii un tocco, lievissimo, sotto il mento, come se qualcuno intendesse farmi alzare lo sguardo. Il ragazzo era davanti a me, brillava di una bellezza incredibile, ma sembrava non avere più di sedici, o forse diciassette anni.
-Ne ho quattrocentocinquantadue.-, mormorò il ragazzo. Ritirò la mano che teneva ancora accostata al mio viso. Io rimasi sbalordita.
-Mi dispiace, Agathe.- Poi sparì.
Letteralmente: un momento mi stava fissando, e quello dopo non c’era. Pensai che dovevo stare male, dovevo avere la febbre, e mi diressi verso la mia camera. Feci girare febbrilmente la chiave nella serratura, aprii la porta. La richiusi a chiave dietro di me.
-Non affrettarti, abbiamo l’intera notte, mia cara.-
Raggelai. Mi voltai, nel modo più lento possibile, verso la provenienza della voce. Era quella del ragazzo sparito nella sala del ballo. Era appoggiato al muro nell’angolo della stanza opposto a quello in cui mi trovavo io e teneva le braccia incrociate. Mi fissava, e sul volto aveva un sorriso nel quale vedevo pochissima allegria. Forse avrebbe potuto piacermi, quel ragazzo: forse, se non avesse avuto quel lampo di aggressività quasi animale negli occhi, e forse, se in quel sorriso non avessi colto le successive intenzioni. C’era qualcosa che proprio non andava in quel ragazzo. Sembravo percepirlo con i sensi, ma non riuscivo, ad elaborarlo con il cervello. Non riuscivo a capirlo.
-I mortali fanno così. Il loro corpo lo percepisce, ma non riescono a spiegarselo, danno per scontato che qualsiasi essere dalla forma umana che incontrano non sia nient’altro che un essere umano.
Il terrore cominciò a sfilare nella mia mente. Partiva dal basso, dalla nuca, come una striscia sottile di un colore argenteo, come un rumore troppo acuto, o un sapore troppo acido. Mi costrinsi a capire cose fosse quello che non andava.
Il ragazzo doveva essere anemico. Era troppo pallido.
Aveva gli occhi troppo luminosi.
Il ragazzo sembrò materializzarsi davanti a me. Mi sfiorò la guancia con un dito. “Qualunque cosa vuoi fare, non farla. Non farlo. Non farlo”.
-Questo farà male.
Qualcosa mi aprì una ferita profonda sul collo. Sentii il ragazzo che accostava le labbra alla ferita, e beveva il sangue che ne fuoriusciva. Sembrava uscisse a fiotti. Cominciai a sentirmi svenire.
Dopo un tempo indefinito, il ragazzo si scostò da me. Sentivo gocce di sangue che ancora scendevano dalla ferita e lui che le raccoglieva con la lingua.
Mi distese delicatamente sul mio letto. accostò le labbra al mio orecchio e mormorò:-Purtroppo non ricorderai niente di questa notte.
La mattina successiva mi svegliai senza capire perché avessi ancora addosso il vestito del ballo. Cercai di toglierlo e mi distesi di nuovo a letto.
Il mio cuscino era sporco di sangue. E io non mi ricordavo perché.
 
 
 
Eh,ecco,bene, e questa roba cos’è?
Io,non ero quella che scriveva solo slash?
Doesn’t matter. Questa l’ho scritta millenni fa. Ho provato a fare meno somiglianze possibile con quella storia orrenda che è Twilight e seguiti vari,ma purtroppo parlando di vampiri la Meyer ha monopolizzato il campo,persino più di Anne Rice. E voglio dire,la Rice contrariamente a quell’altra è una che merita.
In ogni caso: mi è venuta in mente ascoltando Protect me From What I Want dei Placebo,nel periodo della mia esistenza quando mi piaceva la perfezione. {ora preferisco sbudellamenti più espliciti,corpi in putrefazione,catene arrugginite..Quelle cose lì. Scheletri con le ali e la spada *ogni riferimento a concept di gruppi musicali è puramente NON casuale*.}.
Lasciamo perdere.
Se per caso vi è vagamente piaciuta prego,recensite. Sennò non muoio senza recensioni sappiatelo U.U
Ok,so long and goodbye!
 
*Frankie
   
 
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