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Autore: Circe    09/03/2011    8 recensioni
La battaglia non va per il verso giusto, gli Horcrux sono stati distrutti e la bacchetta di Sambuco non funziona a dovere. Il Signore Oscuro improvvisa quindi una ritirata tattica per non venire definitivamente sconfitto. Insieme a lui solo Bellatrix, la persecuzione dell'amore, un problema da affrontare e il potere da riconquistare.
E la storia ... si ripeterà.
Seguito di “Sgáth, che significa oscurità”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di luna: l'oscurità totale'
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Serpentese

Lui mi stava aspettando da qualche istante. Quando sono entrata nella stanza, era voltato verso la finestra e guardava lontano, con aria cupa e dura. Era l’espressione che assumeva ogni qual volta decideva di agire risolutamente.

“Ditemi mio Signore.” ho sussurrato avvicinandomi a lui “Il nuovo elfo mi ha detto che volevate parlarmi.”

Rhettler è l’elfo che si era procurato il mio Signore in persona, stanco dei miei continui sbalzi d’umore, aveva provveduto a catturare un servo e ad impormi di non ucciderlo per nessun motivo senza prima aver ottenuto la sua approvazione. Cercavo di mantenere la parola, ma non era facile per me non sfogare le mie sensazioni, i miei malumori, e i miei malesseri, sull’elfo domestico. E non avevo nessuno su cui farlo data la desolazione di quel luogo e dato il fatto che dovevamo mantenere un’assoluta segretezza.

Per questo, forse, avevo iniziato a sentirmi strana.

Avevo iniziato a percepire sensazioni completamente estranee alla mia persona: a volte mi sorprendevo a desiderare che, quella vita tanto particolare, non finisse poi così presto, che il mio Signore non decidesse di combattere Potter alla prima occasione possibile, al primo piano plausibile.

Mi trovavo a valutare i lati positivi di quella condizione, alla possibilità di stargli sempre vicina, lontana da tutti, solo io e lui.

Parlargli, ascoltarlo quando, raramente, mi rendeva parte dei suoi pensieri e progetti, condividere con lui le nottate, così lunghe e appassionate e guardare a fianco a lui il fuoco, sentendomi scaldare ogni singola cellula del corpo, ogni stilla di energia magica che scalpitava nel mio essere.

Era bello.

Poi però, questi pensieri scomparivano, ad ondate, lasciando il posto al bisogno di sentire di nuovo nelle mie vene l’adrenalina della guerra, dei duelli, il piacere fisico che scaturiva ogni qualvolta utilizzavo la magia oscura più potente, l’ebbrezza del potere, la sensazione di onnipotenza che provavo nell’esercitarlo su chiunque. Mi mancavano tutte queste sensazioni, la spavalderia delle notti a Nocturne Alley, gli attacchi compiuti insieme agli altri Mangiamorte, gli sguardi terrorizzati e ammirati dei passanti che incrociavo per le strade.

Mi sentivo confusa, non mi ero mai sentita così prima di allora, forse perché non avevo mai vissuto in quel modo, a fianco del mio Signore.

Quando si è voltato per parlarmi, ognuna di quelle sensazioni è tornata prepotentemente a fare da padrone nel mio inconscio.

“Ho trovato il modo, Bella. Ora so come sconfiggere Potter. O meglio, so come ottenere una bacchetta potente, ma indipendente dalla sua.”

Mi sono veramente animata a quelle parole, desideravo di nuovo ardentemente che sconfiggesse quell’onnipresente bimbetto, non potevo più sopportare di convivere con l’angoscia, nel mio animo, di vedere il mio Signore un’altra volta in difficoltà a causa di quel ragazzino.

Non avrei sopportato di perderlo ancora, non volevo più provare quel dolore, a quale, non so nemmeno io come sia riuscita a sopravvivere e a reagire.

Mi sono avvicinata speranzosa, quasi le mie mani toccavano il suo braccio, e le sue mani. Quasi, perché non osavo farlo davvero.

Ma sentivo la sua forza, il suo ardore anche da quella poca distanza. Percepivo lui, la sua essenza, il suo profumo.

Più mi avvicinavo, più il fuoco nel camino si ergeva alto.

Eravamo entrambi di fronte alla finestra in quel momento, ma, alle nostre spalle, era palese la fiamma prodigiosa, la luce che ne derivava cresceva rapidamente, come se seguisse il battito del mio cuore ogni volta che ero vicina al mio Signore. Le nostre ombre sulla finestra erano più oscure che mai, a causa del contrasto. Fuori il buio imperava.

L’atmosfera era strana, ma perfetta. Mi sentivo, per la prima volta in vita mia, a casa.

“Parlatemene, vi prego, mio Signore.” ho sussurrato spostandomi di fronte a lui, per guardarlo negli occhi e perdermi ancora un po’ nella sua espressione e nel suono freddo della sua voce, tanto tagliente da essere dolorosa.

Ha incrociato il mio sguardo, mantenendo la testa alta, il distacco del corpo in quell’istante era palese, ma mi pareva di scorgere un legame fra i nostri occhi.

Poi ha parlato attraendo tutta la mia attenzione.

“Sono venuto a conoscenza di un’altra leggenda, quella della fenice nera. Quella dal piumaggio macchiato di nero dai Babbani, dai loro orribili intrugli. Colei che è vissuta, rinascendo dalle proprie ceneri, mantenendo un piumaggio nero, per non dimenticare l’onta. Per vendicare il dolore e l’avvelenamento subito da quegli sporchi esseri inferiori, noncuranti. Tu conosci questa leggenda magica?”

Ero estasiata dalle sue parole, non avevo mai sentito parlare di nulla di simile, ma avevo già capito ogni suo intento e sapevo che avremmo potuto farcela. Ce l’avremmo fatta perché la fenice nera era come lui. il mio Signore si sentiva, in parte, come quell’animale.

L’avevo capito da quando sentivo l’erede dentro di me, sentivo le sue sensazioni e le sue emozioni. La vergogna di portare sangue babbano nelle vene, quel segno che sarebbe restato per sempre. Non ne avrei mai parlato con lui, odiavo saperlo, avrei preferito non avesse dovuto portare questo segno, ma io lo amavo … e lo adoravo. Null’altro aveva realmente importanza.

“No mio Signore, mai, ma la trovo una storia affascinante, io credo che abbiate assolutamente ragione: è questa la soluzione. Permettetemi di aiutarvi, vi prego.”

Alle mie parole ha accennato un sorriso soddisfatto “Bene, Bella, mentre io troverò la fenice nera, dunque, tu troverai il modo di creare la bacchetta in segreto, come ti ho detto, senza l’aiuto di nessuno. In seguito, la creerai per me.”

Non aspettavo altro. Ero di nuovo pronta ad agire, creare, fare magie.

Trasportata da quella sensazione, senza nemmeno pensare molto a ciò che stavo chiedendo, ho domandato “Mio Signore, dunque credo sia giunto il momento di liberarci del problema. Ormai è ora di ricominciare a fare, combattere, muoverci. L’avevate detto voi stesso, ricordate?”

Sono bastati pochi istanti di silenzio per capire che non avrei dovuto osare.

Nei suoi occhi ho visto nascere una rabbia profonda ed incontrollata, una rabbia espressa con una forza che mi ha stupita e spaventata nello stesso istante. Quella stessa forza che mi ha afferrato per le braccia istantaneamente, sbattendomi poi sul divano vicino.

Non l’avevo mai sentito urlare veramente, la sua rabbia è sempre stata più o meno controllata, almeno in mia presenza.

“Lo vuoi davvero eliminare subito, non lo sopporti più, ti dà veramente tanto fastidio?” ha domandato con una voce terribile, che mi ha fatto soltanto ammutolire.

Non potevo né annuire né scuotere la testa e la sua presa sulle mie braccia diventava ogni istante più forte, più crudele e vendicativa.

“Bene dunque, facciamolo ora.” ha aggiunto, afferrando con le sue stesse mani i lembi della mia veste e strappandoli con forza e decisione all’altezza del ventre.

Guardava quel punto come se volesse trapassarmi la carne con la sola forza dello sguardo, come se volesse distruggermi e distruggere l’erede con l’energia del suo pensiero.

Tremavo sul serio, ma volevo che mi togliesse quel peso, quell’essere estraneo che mai ho desiderato e che invece si era avvinghiato al mio corpo con tutte le sue forze.

Poi è successo qualcosa.

L’ha fatto di nuovo.

È successo tutto nel giro di pochi attimi.

Gli ha parlato ancora, solo un sibilo, ma sapevo che l’erede lo sentiva, lui lo capiva, loro erano uguali, si scambiavano segnali.

Sentivo però, in quello stesso istante, la sua magia fluire dentro me, penetrante e devastante.

“Fermatevi, mio Signore, vi prego.” ho urlato disperata. Non sapevo nemmeno perché avevo cambiato idea tanto velocemente, non volevo più che uccidesse l’erede così in fretta, senza pensarci.

In maniera del tutto sconsiderata, gli ho fermato le mani che stava posizionando sul mio ventre, gliele ho toccate entrambe, con forza.

Mentre insistevo pregandolo di fermarsi, mi ha strattonata con grande violenza, liberandosi dalla mia oltraggiosa stretta.

“Cosa succede ora?” ha chiesto infuriato.

Lo guardavo dritto negli occhi, non capivo più nulla, non capivo come fosse stato possibile che mi fossi permessa di pretendere qualcosa da lui, andare contro il suo volere anche se non lo aveva palesato, so bene comprendere ciò che desidera e ciò che lo disturba, l‘ho sempre fatto, senza bisogno che dicesse nulla. E in quel momento invece? In quel momento non capivo che strana piega stesse prendendo il nostro rapporto. Lui così strano, io tanto cambiata.

Sapevo che lui lo voleva, ma non sapevo più cosa io desiderassi davvero.

“Non uccidetelo, non liberiamocene ora, aspettate, vi prego, ho sbagliato alcune valutazioni … vi prego, vi chiedo scusa.”

Il silenzio è calato tra noi, il fuoco che prima fiammeggiava potente nel camino, si era quasi spento in pochi istanti, solo qualche fiammella tremolava fra la legna.

“Comprende il serpentese, non lo avevi capito? È l‘erede di Slyherin, è ovvio, questo forse cambia la situazione?” mi ha detto alzandosi in tutta la sua altezza, lasciandomi stravolta e sola sul divano.

Non ho potuto rispondere la verità, non ho potuto rispondere che quello l’avevo capito, ma che non avevo ancora capito il significato vero di quel particolare.

Almeno fino a quel momento.

Solo in quell’istante, ho avuto una sorta di folgorazione, ho intuito all’improvviso come fossero legati.

Di come fossero padre e figlio.

Non sapevo più che dire e come comportarmi, ero totalmente disperata per essermi comportata così male nei confronti del mio Signore, di aver agito in modo da contrariarlo, farlo soffrire, indisporre. Io, che dovrei essere la più fedele di tutti.

E non osavo nemmeno prendere in considerazione il fatto che tenessi a quell’essere che era entrato nella nostra vita come un fulmine devastante.

Come ogni volta che mi trovavo nei guai con lui, lacrime copiose e salate mi sono sgorgate dagli occhi, non sapevo più come trattenermi. Sapevo solo ripetere “Mi dispiace.”

Mentre ancora lui era alto davanti a me, ha pronunciato un’altra frase in quella lingua, ovviamente a me incomprensibile, per poi allontanarsi lentamente, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.

Ho continuato a piangere per un po’, sfiorandomi il ventre con una mano. Per la prima volta da quando c’è l’erede, non l’ho graffiato con le unghie, solo toccato.

Avevo freddo: i brividi mi percorrevano tutto il corpo, era strano in quella stagione tutto quel freddo, forse si trattava più del dolore, della paura di aver tradito il mio Signore.

Pensare alla bacchetta, alla battaglia, alla vittoria, in quel momento non mi aiutava per nulla, dovevo davvero fare i conti coi miei sentimenti e coi miei desideri più profondi.

Mi domandavo se anche lui pensava questo, se anche lui si trovava in difficoltà davanti all’erede e davanti ad ogni singola emozione.

Mi mancava la sicurezza, il potere che traevo dal mio Signore un tempo, quando riuscivo semplicemente a convincermi di adorarlo, senza pensare di amarlo, senza condividere con lui dolori e problemi.

In quel momento tutto era diverso, tutto era cambiato.

Tutto era più difficile.

Ho guardato il fuoco vicino a me, quel fuoco che di solito mi dava una forza dirompente, ma in quel momento, notavo solo braci che, lentamente, stavano finendo per spegnersi.

E non riuscivo a trarne la benché minima forza.

 

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Note:

Finalmente ce l’ho fatta ad aggiornare anche questa storia.

Ho scritto il capitolo di getto, cercando di porre l’attenzione su un paio di punti (non so se ci sono riuscita): Bellatrix sta cominciando a vivere l’amore, anziché la semplice adorazione e incontra parecchie difficoltà, come normale che sia. Vero che una relazione reale e non di fantasia l’aveva già vissuta con Rod, che era suo marito, ma con il Signore Oscuro è molto diverso, sia per il tipo che è lui, sia per le condizioni di vita in cui lui vuole restare e che lei è abituata ad accettare.

Mentre lui, come sempre nella mia visione delle cose, sente qualcosa, ma è ben lungi da ammettere che, un certo interesse per il piccolo c’è, e preferisce ucciderlo piuttosto che ammetterlo.

Continuano dunque i dubbi e ripensamenti da parte di entrambi.

L’elfo, che probabilmente avrà la sua importanza in futuro, ma soltanto in un’occasione, si chiama in quel modo in onore di Rhett Butler, cioè il protagonista maschile di “Via col vento” libro e film che amo incondizionatamente sopra ogni cosa (o quasi). E non verrà ucciso da Bella per sfogare gli ormoni della gravidanza (e così Julia non soffrirà più, tutto merito di Regulus!).

La storia della fenice nera è assolutamente inventata, contrariamente a quanto faccio di solito, non ho preso la leggenda da nessuna parte. Sto semplicemente studiando un argomento che descrive la condizione degli uccelli bloccati nelle chiazze di petrolio durante i disastri ecologici (non sono impazzita, è un argomento del mio master) e mi è venuta fuori questa idea assurda per la storia.

Direi che ho detto tutto! Scusate se mi sono dilungata.

Risponderò alle recensioni sullo scorso capitolo entro pochi giorni, mi spiace per il ritardo, ma sono impelagata fra studio e lavoro.

Grazie a tutte per le recensioni e il per il supporto sempre molto gradito!!

Circe

   
 
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